Le contraddizioni del “Socialismo reale” in Unione Sovietica (pdf-zip)

di Cristina Carpinelli

Ricercatrice del Cespi (Centro Studi Problemi Internazionali) di Milano

 

Un ventaglio di disuguaglianze

Il ventaglio di diseguaglianze che traspariva dal paragone tra i diversi gruppi socio-occupazionali situati ai poli opposti della scala, sia nelle imprese industriali, sia nelle aziende agricole, era di gran lunga più esteso e variegato di quanto risultasse dall’analisi della struttura sociale, che si avvaleva della formula trinomica del “2+1”. Senza ripudiare in modo esplicito la versione “ufficiale” sovietica della società, i nuovi studi avevano introdotto una nozione di società come struttura gerarchica di gruppi sociali classificabili in base ad uno status sociale “superiore” o “inferiore”. La formulazione più lucida di tale concetto la si trovava già in un’opera della sociologa Zaslavskaja comparsa nel 1970: “In linea di principio, la posizione sociale dei diversi strati e classi nella società socialista può essere rappresentata nella forma di una certa gerarchia in cui alcune posizioni sono ritenute superiori ad altre. Il fondamento della gerarchia verticale delle posizioni sociali (...) risiede nella complessità e nel genere delle responsabilità relative al tipo di lavoro svolto; un aumento di queste è di norma seguito da un aumento dei livelli d’istruzione previsti e dei compensi materiali, e comporta anche modificazioni nel modo di vita1. Gli studi sociali si orientavano sempre più verso un’immagine dell’insieme della struttura sociale sovietica, in cui gli elementi primari erano i gruppi differenziati in senso verticale e disposti lungo una “scala di posizioni sociali”. In più, essi stabilivano un nesso inestricabile tra la struttura sociale e l’ineguaglianza. Gli elementi che costituivano la struttura erano i gruppi diseguali dal punto di vista economico e sociale. Tali principi di carattere generale costituivano di per sé un netto distacco rispetto ad alcuni elementi della visione “ufficiale” della società sovietica. Lo stacco era indubbio rispetto alla nozione tradizionale di un sistema di classi strutturato soltanto in senso orizzontale e rispetto alla concezione dell’ineguaglianza delle retribuzioni come specchio di differenti meriti individuali. Di pari, se non addirittura di maggiore portata, era il riconoscimento dell’inadeguatezza dello schema tripartito del “2+1”, quale strumento di analisi delle forme dominanti di differenziazione sociale.

Nello schema tradizionale della struttura sociale, alla classe operaia era stato attribuito uno status sociale superiore che affondava le sue radici nella “missione storica” di quella classe. La classe operaia era, infatti, associata a una forma più “elevata” di proprietà e doveva, quindi, svolgere un ruolo “guida” nella fase di transizione verso il comunismo. La proprietà di tipo cooperativo era, al contrario, una forma “transitoria” di proprietà che avrebbe dovuto gradualmente fondersi in quella statale; in questo senso, essa era un tipo inferiore in confronto con la proprietà dello Stato e, di conseguenza, pure inferiore era la sua classe di appartenenza (quella contadina). Tuttavia, i sociologi e i politologi di nuovo orientamento (Butenko ed altri) sostenevano che, nella formazione socio-economica del socialismo sviluppato, l’impresa collettiva non poteva essere considerata una forma poco “evoluta” di proprietà, e smentivano il fatto che essa potesse essere considerata uno degli elementi cardinali della discriminazione tra le due classi-base. Anzi, nel socialismo sviluppato sovietico, la proprietà di tipo cooperativo era quella che si era caratterizzata per i più alti livelli di redditività: “In effetti, se il comunismo è fondato sulla proprietà unica di tutto il popolo, che si realizza durante il passaggio al comunismo, non è possibile mantenere ma, al contrario, va eliminata (attraverso lo sviluppo totale della socializzazione, praticamente attraverso la statalizzazione) la proprietà cooperativo- kolchoziana e le forme economiche che le sono legate. In questa situazione difficile, dove la vita esige insistentemente altre cose, bisogna ricordarsi che le risorse economiche e sociali della cooperazione e delle aziende ausiliarie, connesse alla proprietà cooperativo-kolchoziana, sono le meglio impiegate al fine di accrescere, il più rapidamente possibile, la produzione alimentare e di migliorare l’approvvigionamento alla popolazione; la cooperazione socialista, ma soprattutto i kolchozy, sono oggetto di una campagna denigratoria, la quale presenta la proprietà cooperativo-kolchoziana come una proprietà di secondo ordine (in rapporto alla proprietà statale), benché gli eventi storici stiano dimostrando esattamente l’incontrario2. Il politologo Butenko riportava due esempi a titolo dimostrativo: 1) durante il periodo 1976-1980, nei kolchozy, 1 quintale di patate costava 7,8 rubli mentre nei sovchozy 11,4 - cioè quasi il 40% in più che nelle fattorie collettive; 2) i provvedimenti assunti per ridurre il numero delle aziende ausiliarie avevano arrecato un grave danno all’economia nazionale, abbassando la sua produzione agricola di circa il 30%-40%3. Le accuse di Butenko erano soprattutto rivolte a Kosolapov, redattore-capo di “Kommunist”, che si era fatto in quegli anni interprete zelante della statalizzazione accelerata della proprietà cooperativo-kolchoziana e della rapida creazione di una società senza classi, fondando la sua tesi sulla necessità di una “socializzazione progressiva”, che avrebbe avuto il suo compimento con la soppressione delle cooperative. Kosolapov aveva lanciato il suo appello di “non elogiare più le forme cooperative, poiché queste forme di gestione economica non sono altro che un residuo della vecchia società, che va perdendo di significato. (…) Inoltre, nelle condizioni attuali, l’azienda ausiliaria individuale è una vestigia delle più caratteristiche della piccola produzione, e ha un contenuto parzialmente privato nella misura in cui il suo prodotto acquista l’aspetto di merce4. Questa posizione intransigente, sostenuta da diversi scienziati sociali di spicco (I.JU. Širjaev; G.R. Imanov, M.S. Aženov, ecc.), era ancora espressa nel periodo in cui il potere sovietico stava accingendosi a varare alcune leggi che limitavano da un lato l’esercizio individuale delle piccole attività economiche, e dall’altro autorizzavano la creazione sul territorio sovietico di imprese miste con la partecipazione del capitale straniero. Si chiedeva Butenko: “E’ poi vero che le piccole attività economiche individuali rappresentano un pericolo per la proprietà statale? Al contrario, il capitale estero non funzionerà con la logica capitalistica del massimo profitto?”5.

Rivalutando il ruolo dell’impresa collettiva nel socialismo, gli studiosi di nuovo orientamento aderivano ad un diverso modello della struttura sociale. Gli studi e le ricerche sociali più recenti avevano dimostrato l’inadeguatezza del paradigma classico per la comprensione della forma reale della società sovietica contemporanea. Cinque erano le condizioni fondamentali a sostegno della confutazione dello schema convenzionale: 1) lo stato sociale dei contadini kolchoziani si differenziava ben poco da quello della componente rurale della classe operaia. Nel tessuto dei rapporti sociali, gli operai dei sovchozy erano molto più omologati ai contadini dei kolchozy, che agli operai dell’industria statale. Il confine sociale fra la classe operaia e quella contadina era meno netto rispetto a quello esistente fra popolazione urbana e rurale; 2) le differenze sociali tra i contadini dei kolchozy e la classe operaia industriale erano scomparse, ed erano meno evidenti rispetto a quelle che esistevano fra gli strati professionali qualificati di una stessa classe sociale; 3) erano, pure, scomparse le differenze sociali tra gli operai più qualificati e il comune personale tecnico e ingegneristico. Ne’ per il carattere delle loro capacità o conoscenze, ne’ per il loro rapporto rispetto ai diritti e ai doveri, ne’, infine, per il tenore e lo stile di vita, essi si contraddistinguevano gli uni dagli altri. In alcuni settori dell’industria, il 10-15% degli operai possedevano un’istruzione superiore; quindi una parte di essi “formalmente” apparteneva allo strato dell’intellighenzia; 4) lo strato dell’intellighenzia era assai eterogeneo. Esso comprendeva i “proletari del lavoro di concetto”, l’”elite intellettuale” e l’”alta dirigenza politica ed amministrativa del paese”; 5) nella formula trinomica della struttura sociale non vi era posto per altri gruppi presenti nella società. Tali gruppi erano i dirigenti dell’economia ai vari livelli, i lavoratori connessi alla distribuzione e allo scambio della produzione dell’economia nazionale, i piccoli imprenditori socialisti, il personale contabile e di segreteria (gli impiegati), i piccoli affaristi dell’economia ombra, ecc. Era fatto, dunque, esplicito riferimento all’esistenza di strati sociali non più solo “infraclassi”, m anche “extraclassi”, che determinava l’avvicinamento di status di una parte della classe-base ad un’altra (contadini kolchoziani e operai della campagna) e il divario di status all’interno di una stessa classe-base (operai urbanizzati e operai della campagna).

Il “mito”, sopravvissuto per molti anni, secondo cui la società sovietica già nella fase matura del socialismo sviluppato (quella prossima al comunismo), si sarebbe caratterizzata per la “piena omogeneità sociale” veniva completamente distrutto: “Fatto sta che, secondo le leggi della natura, lo sviluppo progressivo di ogni sistema porta ad una complicazione della sua formazione, all’aumento del pluralismo degli elementi e dei legami (di questa formazione - n.d.r.) e non al rafforzamento dell’uniformità. Perciò il dogma sopravvissuto per molti anni, secondo il quale la società socialista sviluppata si sarebbe caratterizzata per la “piena omogeneità sociale”, è semplicemente privo di fondamento6. Il raggiungimento di una società socialmente omogenea dipendeva, secondo la maggior parte degli studiosi sovietici tradizionali, dal conseguimento di costanti progressi nel campo scientifico e tecnologico, in base ai quali si presumeva sarebbe stato possibile arrivare ad una graduale riduzione delle differenze in materia di condizioni del lavoro, di retribuzioni, ecc. A differenza di questi autori, la sociologa Zaslavskaja metteva in discussione il fatto che il superamento delle differenze sociali, fosse automaticamente dato dal progresso tecnico-scientifico, poiché questa concezione meccanicistica, di stampo positivista, non considerava l’impatto importante del fattore umano sullo sviluppo della scienza e della tecnica.

Se la transizione verso la società comunista non era intesa come abbattimento totale delle disuguaglianze, e nemmeno come un completo controllo sui mezzi di produzione da parte dei produttori diretti della ricchezza, essa cionondimeno era vista come: 1) un processo di fusione delle due forme di proprietà socialista (l’assorbimento della proprietà di tipo cooperativo in quella statale) e, quindi, della scomparsa delle due classi-base; 2) il superamento della differenza tra lavoro intellettuale e manuale; 3) l’emergere dell’abbondanza dei beni materiali. Nelle opere sovietiche sul comunismo scientifico invece d’indagare la struttura reale della società, la dinamica dei mutamenti tra le classi e in seno alle classi, il processo complesso e contraddittorio di formazione dell’omogeneità sociale della società sovietica, si scandiva ritualmente soltanto la tesi su questa omogeneità: “In sostanza non si studia la contraddizione reale dovuta al fatto che con il venir meno delle differenze di classe, con lo sviluppo ulteriore dei tratti comuni del modo di vita e della connotazione spirituale degli uomini, si fanno sentire di più le differenze di carattere non di classe: professionali, socio-culturali, di età e sesso, nazionali e linguistiche, ecc.7. Al posto dello studio del complicatissimo processo di formazione ed educazione della persona socialista si facevano ragionamenti scolastici su un ideale di cittadino sovietico. Si domandava il sociologo Jakovlev: “Ma da dove vengono, allora, i fenomeni di stagnazione, le persone malate di consumismo, spiritualmente vuote, da dove vengono il carrierismo, il burocratismo, l’indifferenza? Durante gli anni della stagnazione era stata impostata la concezione della omogeneità crescente man mano che ci si avvicinava al comunismo, dell’estinzione della diversità. Nell’economia: una sola proprietà statale, un solo schema per gestirla. Nel sociale: l’annullamento di ogni differenza. Nel politico: l’immutabilità delle strutture politiche. Eppure le opere di K. Marx, F. Engels e V.I. Lenin si distinguevano innanzi tutto perché partivano dalla effettiva dialettica della realtà, dalla complessità e dalla non univocità dello sviluppo storico. L’intera esperienza testimoniava che la storia non aveva mai, in nessun senso, raggiunto il progresso attraverso la semplificazione. Di contro, ogni successiva formazione, ogni successivo sistema economico-sociale e politico si era mostrato internamente più complesso del precedente. In questo senso, non vi era motivo di ritenere un’eccezione il socialismo e il comunismo. Ciononostante, la concezione dell’uniformità era stata fatta passare con invidiabile tenacia nella pratica e nelle elaborazioni teoriche. Era possibile riscontrarne l’influenza anche negli approcci alla soluzione di una serie di problemi riguardanti l’economia, la sfera sociale e la cultura. Si prenda anche la tesi sull‘azione delle leggi sociali. Nell‘esaminare, ad esempio, il capitalismo noi vediamo la complessità, la contraddittorietà dei suoi processi e meccanismi interni. Ma non appena si comincia a parlare del socialismo sembra che entri in funzione un automatismo quasi completo, indipendente dall‘uomo. I rapporti di produzione entrano da soli in armonia con lo sviluppo delle forze produttive. Il carattere pianificato e proporzionale dello sviluppo economico, la soluzione delle questioni sociali si autoregolano. Entrano in funzione automaticamente i meccanismi di sviluppo della coscienza sociale, della giustizia sociale, dei rapporti nazionali, ecc.8. Anziché studiare il socialismo reale si era preferita la costruzione di modelli speculativi. Il socialismo era nato come negazione dello sfruttamento capitalistico e della morale borghese. In virtù di ciò, la nuova società veniva immaginata come qualcosa di romanticamente ideale, priva di vizi e contraddizioni, mentre le disgrazie e le magagne venivano attribuite ai residui del passato. “In ogni formazione sociale a noi nota, in ogni fase storica, la contraddizione tra le forze produttive e la loro forma sociale, i rapporti di produzione, muove e perfeziona l‘attività sociale e lavorativa, produce rivoluzioni, accelera il progresso. Ma, invece, di sottoporla ad una profonda ricerca, nella società socialista si è cominciato a sostenere dogmaticamente che nel socialismo la contraddizione fondamentale è quella tra i “germogli visibili” del comunismo e i ”residui” del capitalismo9. Il carattere errato di questa posizione stava nel fatto che la specificità del socialismo era dedotta dalla combinazione delle basi generali della formazione comunista e dei nei della vecchia società. Con questo approccio i rapporti economici del socialismo perdevano il loro carattere distintivo, il problema delle leggi economiche proprie del socialismo era rimosso: “Il socialismo non è per nulla la combinazione temporale dei tratti del comunismo immaturo e dei nei del capitalismo, ma è una costruzione sociale che si connota come unica nel suo genere, poiché ha caratteristiche, dinamiche e principi propri10.

Jakovlev riteneva giusta l’accusa che negli ultimi tempi era mossa alle scienze sociali per il loro distacco dalla pratica sociale, per lo stile e il metodo di lavoro, per il clima morale e psicologico in cui si svolgeva l’attività scientifica: “Le scienze sociali non si sono limitate a rispecchiare lo stato della società, ma hanno attivamente contribuito alla sua formazione. L’ideologia della stagnazione e il mascheramento della stagnazione non avevano bisogno di una conoscenza precisa della vita. Tutto ciò che non si collocava nel letto di Procuste della mentalità dogmatica e della pratica dell’entusiasmo generale era ritenuto, pubblicamente o implicitamente, dubbio e sospetto (…) Non è stata forse data della concezione del socialismo sviluppato un’interpretazione congiunturale, tale da indurre a perfezionamenti parziali, pigri, timidi, incoerenti, e che consacrava l’ottimismo di maniera e affievoliva la presa di coscienza di cambiamenti radicali ormai maturi?11. Si era, insomma, venuto a formarsi oggettivamente, nel tempo, un sistema di rottura delle basi materiali del socialismo costituito dalla dispendiosità dell’economia, le cui origini andavano ricercate nella genesi della stagnazione. Nella sfera strutturale uno dei fattori (ma non l’unico) di questa stagnazione risiedeva nell’assolutizzazione della proprietà statalizzata, nella sua equiparazione a forma suprema di proprietà, quella di “tutto il popolo”, quando nella realtà il dominio e il controllo dei mezzi di produzione erano nelle mani di un ceto burocratico, che “formalmente” agiva per conto di tutto il popolo e nei fatti si comportava come una classe dominante, sfruttatrice e privilegiata.


1 T. Zaslavskaja. Urbanizacija i rabočij klass v uslovijach naučno-techničeskoj revoljucii. Akademija Nauk SSSR, Institut meždunarodnogo rabočego dviženija. Moskvà 1970; pag. 103.

2 A. Butenko. La perestroika contre les blocages du socialisme, Progress, 1988; pag. 45.

3 A. Butenko. Op. cit.; pag. 45.

4 R.I. Kosolapov. “Aktual’nye voprosy koncepcii razvitogo socializma, in Sociologičeskie issledovanija, n. 2/1985; pag. 17.

5 A. Butenko. Op. cit.; pagg. 57-74.

6 T. Zaslavskaja. “O strategii social’nogo upravlenija”, in Nauka i žizn’, n. 9/1988; pag. 37.

7 A. Jakovlev. “Dostiženie kačestvenno novogo sostojanija sovetskogo obščestva i obščestvennye nauki”, in Kommunist, n. 8/1987; pag. 20.

8 A. Jakovlev. Op. cit.; pagg. 7-8.

9 A. Jakovlev. Op. cit.; pag. 12.

10 A. Butenko. “Teoretičeskie problemy soveršenstvovanija novogo stroja: o social’no-ekonomičeskoj prirode socializma”, in Voprosy filosofii, n. 2/1987; pag. 28.

11 A. Jakovlev. Op. cit.; pag. 6.

 

Classi e “gruppi” (1)

Un ventaglio di disuguaglianze (2)

Antagonismi e contraddizioni (3)

L’interpretazione dell’ineguaglianza (4)

Il dibattito sulle contraddizioni sociali nell’Unione Sovietica (5)


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica
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Aggiornamento: 23-04-2015