FINE DELL'UNIVERSO

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


FINE DELL'UNIVERSO

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Se la natura non avesse alcun fine perché chiederselo? Gli animali non si pongono problemi filosofici, e non si sentono certo infelici a causa di questa loro inconsapevolezza. Eppure anch'essi fanno parte della natura. Dunque perché solo l'essere umano si pone problemi di natura teleologica?

Il fatto stesso di porsi il problema di un "telos", cioè di un fine delle cose, non solo implica una qualche sua possibilità virtuale, ma anche una differenza sostanziale tra essere umano e animale.

E' quanto meno illogico sostenere che nell'universo non esiste alcun fine, in quanto non siamo in grado di conoscerlo in maniera adeguata. Se tale fine fosse facilmente conoscibile non si capirebbe il motivo per cui l'uomo sia così diverso dall'animale.

L'uomo è dotato di un'intelligenza superiore, frutto della libertà, che non viene meno neppure quando la utilizza per autodistruggersi. Essendo dotato di libertà, l'uomo è libero di non comprendere il senso della propria esistenza.

L'animale vive di istinto, non ha problemi di coscienza e non deve compiere scelte esistenziali. Sensazioni come angoscia, paura, dolore... non sono tali da indurlo a decidere per il bene o il male. Se l'animale, istintivamente, non si comporta secondo la propria natura, la responsabilità, di regola, appartiene all'uomo, che ne ha voluto fare un proprio passatempo, uno strumento di lavoro, un'occasione di business, insomma una copia sbiadita di se stesso.

Chiunque crede di trovare nell'animale caratteristiche umane fondamentali o dei surrogati di queste o pensa addirittura di potergliele fare acquisire, perde il suo tempo. Il primo a subire un torto a causa di tale illusioni è proprio l'animale, che finisce col perdere parte della propria natura.

Quando si vuol negare un fine alla natura è perché non si riesce a scorgerne uno nella vita umana in generale e nella propria in particolare: di qui la sopravvalutazione dell'importanza degli animali in campo affettivo.

Si badi, l'infelicità dell'essere umano non sta tanto nel non conoscere scientificamente il fine dell'universo, quanto semplicemente nel non viverlo in maniera conforme. Cioè a dire, le cose possono essere vissute in maniera adeguata anche senza conoscerne l'intero significato. La "positività" della vita è cosa che prima di tutto si "sente".

Molti obiettano che se nell'universo esistesse un fine, la libertà umana non potrebbe essere tale. Noi vediamo chiaramente che l'essere umano appartiene allo stesso universo cui appartengono gli animali: dunque se la sua differenza è così grande rispetto agli animali, perché non pensare che l'universo abbia in sé delle potenzialità che nessun animale è in grado di cogliere? Cioè perché stupirsi allorquando si sostiene che il fine dell'universo è senza dubbio legato alla natura umana?

Certo, si può obiettare che se veramente l'essere umano fosse il fine dell'universo, esso avrebbe dovuto esistere prima e non dopo la comparsa degli animali.

Un'obiezione del genere sarebbe tuttavia strana se provenisse dagli ambienti evoluzionistici. S'è mai visto un prodotto finito prima delle sue parti costitutive?

Ciò che non si vuole ammettere è la compatibilità tra "fine" e "libertà". Un "fine" non può essere imposto, se non appunto a un animale, il quale comunque lo vivrebbe d'istinto, senza coscienza, o perché acquisito attraverso una qualche costrizione.

Là dove esiste la coscienza, come nel caso dell'essere umano, lì esiste anche la libertà, ovvero la possibilità di accettare o rifiutare un "fine" per la propria esistenza.

FORZA INTERIORE E FORZA ESTERIORE

Perché mentre nel mondo animale la forza del maschio si accompagna a una maggiore bellezza rispetto alla femmina, nel mondo umano la bellezza è un attributo tipicamente femminile?

Nel mondo animale è il maschio, in competizione con altri maschi, che deve convincere la femmina ad accettare la riproduzione. Nel mondo umano invece esiste un rapporto dispari tra i sessi che deve diventare pari, pur restando dispari. Una tale complessità relazionale il mondo animale non sarebbe stato in grado di affrontarla, poiché qui il concetto di "forza" gioca sempre un ruolo decisivo.

La forza è l'elemento che permette al maschio di dominare la femmina, salvo eccezioni poco significative, come p.es. la mantide religiosa o l'ape regina. L'unico momento in cui il maschio non esercita la forza sulla femmina è quello del corteggiamento. Infatti è la femmina che deve accettare la riproduzione e generalmente lo fa scegliendo il maschio che nella lotta con altri maschi si dimostra più forte.

Quando il concetto di "forza" s'impadronisce della sfera umana, l'uomo diventa come l'animale, anzi peggio, perché nell'animale la forza viene sempre esercitata entro certi limiti, che sono quelli della sopravvivenza delle rispettive specie e quelli, non meno fondamentali, del rispetto della natura.

L'uomo è "naturalmente" più simile all'animale nella prima fase della sua vita, quella in cui ancora deve capire che i rapporti vanno regolati su criteri opposti a quelli della "forza". Ecco perché si dice che nei confronti degli alunni bisogna avere dei metodi non molto diversi da quelli che usano i domatori o gli addestratori di animali.

C'è da dire che tutte le civiltà individualistiche, da quelle schiavistiche alle attuali, sono civiltà in cui la "forza" gioca un ruolo centrale: non a caso vengono definite come "maschiliste" o "patriarcali".

Il contrario di "forza fisica" è "forza morale": quest'ultima, come noto, può esprimersi compiutamente anche in una condizione di debolezza fisica. In tal senso non vi è alcuna differenza tra uomo e donna. Anzi, la superiorità fisica dell'uomo costituisce un ostacolo da rimuovere, in quanto si pone come tentazione a far valere le ragioni della propria forza.

Per la donna, sotto questo aspetto molto generico, è più facile far valere la forza della ragione, il valore della morale: la tentazione che deve vincere è proprio quella di non rinunciare a tale compito a motivo della propria debolezza.

Resta comunque inspiegabile, dal punto di vista delle determinazioni lineari o quantitative, il passaggio dal mondo animale a quello umano. E' come se la natura si fosse ad un certo punto resa conto che per garantire l'equilibrio degli elementi contrapposti non era più necessaria una forza esteriore ma soltanto una interiore.

La natura deve necessariamente aver subito l'impatto di un agente esogeno, una sorta di condizionamento indipendente dalla sua volontà. Essa infatti aveva le sue leggi ben definite, collaudate in milioni di anni; per sconvolgere queste leggi deve essere successo qualcosa di "esterno" (al pianeta), in grado di innestarsi e di interagire coi suoi processi fisico-chimici. La novità sostanziale è stata proprio quella di rendere inscindibili gli aspetti materiali e spirituali. A partire da un certo momento Materia e Coscienza non possono più essere esaminati e neppure vissuti separatamente.

Un capovolgimento epocale del genere testimonia di una intelligenza molto singolare, interna o esterna alla natura, cioè appartenente alla terra o all'universo. Infatti, ci si chiede come abbia potuto la natura attuare una svolta così radicale, quando per milioni di anni aveva basato la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo su atteggiamenti del tutto opposti. Per quale motivo c'è voluto così tanto tempo prima di creare l'essere umano? La natura ha forse compiuto un percorso evolutivo in cui l'uomo rappresenta la sua forma suprema di autoconsapevolezza, nel senso che la nascita dell'essere umano può essere considerata come la fine di un ciclo e allo stesso tempo l'inizio di un nuovo ciclo?

Considerando che la comparsa dell'uomo sulla terra è, rispetto ai tempi dell'universo, molto recente, è forse lecito pensare ch'essa vada interpretata come l'inizio di un ciclo la cui durata, in forme progressivamente diverse, può essere misurata in miliardi di anni?

Le forme dovranno per forza essere diverse, poiché è impensabile che la natura, una volta giunta, con la nascita dell'uomo, a un livello di consapevolezza superiore, del tutto sconosciuto al mondo animale, voglia continuare ad accettare l'attuale configurazione dei limiti spazio-temporali?

Con la nascita dell'essere umano la natura è giunta a un punto da aver bisogno di superare se stessa e di darsi una nuova veste (sia spaziale che temporale), più conforme alle esigenze superiori della nuova creatura.

La presenza fisica dell'essere umano sul pianeta va considerata come una fase transitoria, propedeutica a ben altre forme d'esistenza. Quanto più si sviluppa l'autoconsapevolezza umana, tanto meno la terra è in grado di soddisfare le sue esigenze.

La gestione individualistica della libertà o il primato concesso alla "forza fisica" non fa che impedire lo sviluppo progressivo di questa autoconsapevolezza.

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Quando scopriremo che materia ed energia coincidono, senza dissipazione né entropia, avremo trovato l'origine dell'universo. Materia prodotta dall'energia e viceversa, senza soluzione di continuità.

Dal punto di vista umano tale reciprocità è possibile tra coscienza ed esperienza, tra essere e pensiero. Non c'è un primato dell'uno sull'altro, poiché essi convivono in maniera simbiotica nell'essere umano. La stessa scienza non è che uno sviluppo progressivo della coscienza, la quale non può scindere gli aspetti etici da quelli cognitivi: si può far valere una distinzione, non una netta separazione. Essere e pensiero hanno un'autonomia relativa, proprio in quanto dal punto di vista assoluto risultano interdipendenti.

Tale reciprocità non può neppure essere interrotta dalla morte fisica, poiché nell'universo non esiste il concetto di morte definitiva: tutto è destinato ad essere trasformato perennemente. L'importante è sostenere che l'effetto partecipa alla causa come suo prodotto originario, assolutamente specifico.

NOI E L'UNIVERSO

Il nostro compito è quello di rendere tutti i pianeti dell'universo simili al nostro. Noi adesso stiamo sperimentando varie opzioni di forme di vita, di cui quelle più recenti, legate allo sfruttamento indiscriminato dell'uomo e della natura, non sono praticabili dall'universalità del genere umano.

Quando arriveremo a capire che la forma migliore di vivibilità è stata quella in cui l'uomo si sentiva parte della natura, noi saremo davvero pronti per iniziare la nostra avventura nel cosmo.

Se la Terra fosse stata dotata di molte meno risorse, ci avremmo messo meno tempo per accorgerci dei nostri errori. Non solo, ma questo pianeta per moltissimo tempo ci è parso incredibilmente vasto, con territori per noi addirittura irraggiungibili.

Ora però i confini si stanno restringendo e anche le risorse non sono più così abbondanti. Probabilmente l'essere umano deve andare incontro a immani catastrofi prima di poter capire che i suoi comportamenti sbagliati possono avere effetti irreversibili sull'ambiente.

Noi siamo destinati a vivere, ma questo non ci esime dal compito di ricercare le condizioni naturali migliori per poterlo fare.

* * *

L'intelligenza dell'universo s'è espressa in forma evolutiva. Cioè fino a quando non sono state poste, dopo averle collaudate per tantissimo tempo, le condizioni utili alla vivibilità dell'essere umano, questo non è riuscito a nascere, non ha potuto farlo.

L'essere umano sembra il risultato di un lunghissimo lavoro scientifico da parte dell'intelligenza dell'universo, che probabilmente ha proceduto secondo il criterio del provare e riprovare, facendo tesoro degli errori compiuti.

Il concetto di evoluzione dell'universo esclude inevitabilmente l'idea di un dio onnipotente che sa già a priori quello che deve fare. L'universo si è evoluto lentamente, migliorandosi costantemente, giungendo progressivamente a darsi delle leggi sufficientemente valide a permettere la nascita di un elemento molto particolare: l'essere umano, che avrebbe avuto la possibilità di comprendere i meccanismi dello stesso universo.

L'uomo e la donna sono l'autocoscienza dell'universo, la cui intelligenza non può che essere umana e non può che essere un tutt'uno con la sensibilità. Il nostro destino è quello di vivere l'umanità universale, di essere noi stessi nell'universo e la Terra rappresenta per noi soltanto un laboratorio in cui sperimentare le varie opzioni esistenziali, al fine di poter capire quale di esse sia la migliore. Capito questo, avremo come compito quello di diffonderla nell'intero universo.

Noi non siamo fatti per vivere in eterno nella sola Terra, proprio perché non può essere un singolo pianeta e neppure un intero sistema solare a delimitare i confini della nostra coscienza. L'intelligenza che ci ha creati è umana come noi: la differenza che al momento ci separa è analoga a quella di un padre nei confronti del proprio figlio. Il figlio però sta crescendo e un giorno arriverà a capire che tra lui e suo padre vi sarà piena uguaglianza. Noi nasciamo umani, ma con l'esperienza possiamo diventarlo ancora di più.

Quindi se il fine dell'universo è la nascita dell'essere umano, un altro essere umano ha fatto nascere l'universo. All'origine di tutto esiste un extraterrestre quasi identico ai terrestri: una forma di energia umana che ad un certo punto ha deciso di manifestarsi in forma materiale, e questa forma si è evoluta sino al punto in cui è potuto nascere un modello analogo al suo prototipo.

Quando gli ebrei dicevano: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza", avevano perfettamente ragione. Hanno poi sbagliato a dare al soggetto sottinteso il nome di "dio", ma questo è dipeso dal fatto che nella loro cultura è prevalso l'elemento religioso. Non c'è in realtà nessun dio a capo dell'universo, ma una forma sensibile e intelligente in cui noi possiamo riconoscerci molto facilmente, essendone parte costitutiva.

Questa energia s'è trasformata in materia, dando a questa le sue stesse proprietà. Quando arriveremo a capire che tra materia ed energia non c'è differenza di sostanza ma solo di forma, che i processi sono reversibili, quando arriveremo a padroneggiare entrambi gli elementi (e questo implicherà uno sviluppo notevole non tanto della scienza quanto della coscienza), il prodotto umano derivato sarà all'altezza del prodotto umano originario. Dobbiamo unire Einstein a Gregorio Palamas per arrivare davvero a capire il segreto della vita umana.

L'essenza dell'essere umano resta inconoscibile: non ci sono parole adeguate per poterla definire esattamente. Possiamo avvicinarci alla sua comprensione soltanto per via negativa, dicendo quel che non è.

Lo stesso dovremmo dire dell'universo, dove i punti di riferimento per comprenderlo sono le stelle, un'esplosione di luce perpetua. Così l'essenza dell'essere umano è una sorta di illuminazione. Ci si appressa adeguatamente a un essere umano solo vivendo un'esperienza di splendore interiore, poiché questo è l'unico modo intelligente per poterlo comprendere.

La conoscenza è illuminazione dello spirito. Tant'è che anche nel linguaggio popolare lo si dice: "I tuoi occhi emanano una luce". Noi non dobbiamo fare altro che togliere a questi ragionamenti il misticismo che da tempo li avvolge, come Marx l'ha tolto all'economia borghese.

L'UNIVERSO SIAMO NOI

Noi non abbiamo nessun elemento per poter ritenere che l'universo non sia eterno ed infinito. Se pensiamo che la Proxima Centauri, cioè la stella più vicina alla Terra, dista 4,2 anni luce (cioè 40 mila miliardi di chilometri), ci rendiamo conto che qualunque speculazione intellettuale si possa fare sull'universo non potrà mai trovare alcun riscontro concreto, alcuna verifica attendibile di tipo scientifico.

Se accettiamo l'idea che i livelli di profondità della coscienza sono insondabili, dobbiamo accettare anche l'idea che l'universo ci sovrasta in maniera incommensurabile, e qualunque empiria o qualunque metafisica noi si possa elaborare intorno ad esso, lascerà sempre il tempo che trova.

Ritenere che l'universo abbia avuto un inizio e che addirittura avrà una fine non è cosa che si possa desumere dalle distanze abissali che separano tra loro i corpi celesti. E' in un certo senso puerile pensare che una cosa infinitamente più grande di noi debba essere stata creata da qualcuno ancora più grande. Dobbiamo smetterla di pensare che tutto quanto noi non riusciamo a fare di positivo su questa terra, debba essere fatto altrove da qualcuno migliore di noi.

Questo modo di ragionare, applicato alla natura, viene chiamato col termine di "antropomorfismo", cioè le cose apparentemente inspiegabili vengono interpretate in maniera mistica. I credenti non accettano l'idea che possano essere soltanto uno spazio infinito e un tempo eterno a caratterizzare la nostra esistenza: hanno bisogno di un "dio" padrone di entrambi. Temono che l'assenza di un dio perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra, voglia dire non avere un preciso punto di riferimento, una certezza assoluta.

I credenti son come dei bambini: han sempre bisogno che qualcuno li guidi, che insegni loro come devono comportarsi. Non riescono ad accettare l'idea che nell'universo l'unico dio è l'essere umano in quanto tale. Hanno la coscienza atrofizzata, non essendo abituati a ragionare autonomamente. Partono dal presupposto che non vi sia alcuna speranza per il genere umano, ovvero che il cosiddetto "peccato originale" ci abbia guastati in maniera irreparabile e che l'unica salvezza possa esserci soltanto "data" nell'aldilà.

Se i credenti fossero delle persone "ragionevoli" e non "fideistiche", si renderebbero conto che l'infinità dell'universo è, in fondo, un nulla rispetto a quella dell'umana coscienza (o quanto meno non le è superiore). Si renderebbero conto che l'essere umano è destinato all'eternità non perché esiste un dio onnipotente e onnisciente, ma proprio perché non ne abbiamo alcun bisogno. Noi siamo dèi di noi stessi, e tutto il male e tutto il bene che possiamo fare dipendono esclusivamente da noi.

SCIENZA E COSCIENZA IN RAPPORTO ALL'UNIVERSO

L'illimitatezza fisica dell'universo è in stretta relazione alla profondità della coscienza umana. Questo rapporto tra il materiale e l'immateriale è noto sin dai primordi dell'umanità. È mutato solo il modo d'identificare l'immateriale, che è stato definito, di volta in volta, come natura, cosmo, universo, apeiron, essere, dio... Proprio per questa ragione dobbiamo pensare che la terra sia, al momento, l'unico pianeta abitabile dell'universo. Non si tratta quindi solo di particolarissime condizioni ambientali (fisiche, chimiche ecc.) che hanno potuto renderlo abitabile, ma anche del fatto che l'essere umano è un prodotto unico e irripetibile dell'intero universo.

Se questo è vero, bisogna ammettere che, al momento, è più indispensabile sviluppare la coscienza che non la scienza. La vera "scienza" è quella che rende "umana" la coscienza. È solo una perdita di tempo sviluppare una scienza che a nulla serve per garantire la libertà di scelta, che è appunto quella fondamentale della coscienza. È infatti sotto gli occhi di tutti che, nonostante l'immane sviluppo tecnico-scientifico, gli antagonismi sociali sono rimasti, anzi tendono ad approfondirsi o quanto meno a diversificarsi nelle forme, senza mai risolversi.

In un contesto diviso tra classi e ceti contrapposti, un qualunque sviluppo della scienza fa anzitutto gli interessi della classe dominante, e anche quando di quello sviluppo traggono beneficio le classi subalterne, si tratta sempre di briciole, del tutto insufficienti a modificare qualcosa di significativo del sistema dei rapporti conflittuali. In un sistema del genere tutte le risorse impiegate per lo sviluppo della scienza sono sottratte ai tentativi di risolvere i problemi sociali relativi a giustizia, uguaglianza e libertà per tutti.

Qualunque riflessione cosmologica o fisica sull'universo, che non tenga conto della superiorità ontologica della coscienza, non serve a nulla e non andrebbe finanziata in alcun modo. Anche perché in una società fondata sull'antagonismo sociale qualunque finanziamento ha sempre una doppia finalità: una formalmente o ufficialmente scientifica; l'altra, nascosta ai più, di tipo politico o militare o economico o tutte queste cose insieme. P. es. negli Stati Uniti qualunque ricerca scientifica in campo cosmologico serve per sostenere - e si finge anche di dimostrarlo - che, in caso di pericolo proveniente dal cosmo, solo gli stessi Usa sarebbero in grado di salvare l'umanità. Più viene sbandierata la propria superiorità tecnologica, più la si usa come arma di minaccia, di ricatto, d'intimidazione, di pressione psicologica e anche, se necessario, di terrore.

La scienza viene sempre usata al servizio dei poteri costituiti, e gli scienziati si prestano al gioco semplicemente perché vengono lautamente finanziati. Peraltro qualunque spesa venga fatta negli Usa per sviluppare la ricerca scientifica, il risultato finale, che ovviamente rimane implicito, deve sempre essere quello di controllare la popolazione fin nei suoi più piccoli dettagli, in totale dispregio di qualunque riservatezza e privacy. Per i poteri forti la scienza ha appunto lo scopo di mortificare la coscienza.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018