CHE COS'E' L'UNIVERSO?

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


CHE COS'E' L'UNIVERSO?

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11

Newton - come noto - arrivò a dire che la Luna non cade sulla Terra come una mela matura perché ha una velocità tangenziale (cioè un moto trasversale opposto a quello verticale di caduta causato dalla forza gravitazionale della Terra) sufficiente a farle ottenere un moto parabolico (circolare) che non la farà mai cadere. Se i pianeti non avessero una propria velocità, che li rende sufficientemente autonomi, andrebbero a sfracellarsi contro quelli che hanno una massa maggiore. L'universo sarebbe dominato solo da giganti che dovrebbero tenersi a debita distanza.

In tal senso Newton aveva fatto un passo avanti rispetto ad Aristotele, il quale, pur avendo individuato il moto circolare dei pianeti, ne attribuiva la causa alla facoltà ch'essi hanno di risiedere nei cieli, in quanto tutto ciò che appartiene alla sfera o regione terrestre (sublunare) è inevitabilmente destinato a cadere sul nostro pianeta.

Tuttavia Newton, rispetto ad Aristotele, non avanzò neanche di un millimetro quando sostenne che alla Luna la velocità iniziale doveva essere stata data da una sorta di "Primo Motore", cioè da quella "cosa" che nella Fisica aristotelica era responsabile del movimento ultimo dei pianeti, in quanto essa sola non era mossa da alcunché.

Dunque fino a Newton il movimento veniva visto come una sorta di "difetto metafisico", scientificamente inspiegabile: la perfezione stava nell'immobilità assoluta, nella staticità paga di sé. Chi si muove è perché ha bisogno di farlo, altrimenti starebbe fermo. Le classi dirigenti infatti, quelle regali e nobiliari, non lavoravano, né ai tempi di Aristotele né a quelli di Newton, essendo del tutto passive ancorché politicamente dominanti: il lavoro era cosa ignobile, da schiavi o da servi o da operai salariati.

Tommaso d'Aquino era così convinto della fondatezza dell'idea del "Primo Motore", che la utilizzò come una delle cinque prove dell'esistenza di dio. Disse infatti che colui che non ha passioni o desideri, avendo già tutto, non può essere che immobile e dare movimento verso di sé a tutto il creato (concezione, questa, non molto diversa da quella buddhista, formulata molti e molti secoli prima e che verrà ripresa dalla teologia degli asceti ortodossi col concetto di "apatheia", anch'esso di molto anteriore al tomismo).

Il primo che mise in discussione questa teoria fu il filosofo tedesco I. Kant, che nelle sue opere scientifiche mostrava idee chiaramente ateistiche. Egli arrivò magistralmente a formulare una sorta di "teoria evoluzionistica", secondo cui i corpi stellari, i pianeti, i satelliti... non sono sempre stati come li vediamo oggi. P.es. le stelle possono essersi formate per contrazione (o condensazione) di nubi di gas, dovuta alla forza gravitazionale delle stesse nebulose. Quindi niente "Primo Motore" bensì "autosviluppo", "autocreazione", e, peraltro, verso una direzione specifica: gli elementi pesanti si formano da una combinazione di elementi leggeri.

Kant si trovò a dover spiegare il motivo per cui tutte le velocità risultanti dalla contrazione siano dirette verso un centro (velocità centripeta) e non trasversalmente. Fu allora che ipotizzò l'esistenza di una forza repulsiva universale, che si opporrebbe alla gravitazione che attrae.

Di questa geniale intuizione filosofica non fu del tutto convinto Laplace, il quale sosteneva che se essa fosse vera le orbite dei corpi celesti dovrebbero andare indifferentemente da est verso ovest e viceversa, quando invece i 37 sistemi orbitanti del nostro sistema solare (quelli allora conosciuti) hanno tutti un'orbita da ovest verso est, inclusi i satelliti attorno ai pianeti, e per giunta tutte le orbite giacciono sullo stesso piano, cioè non sono una perpendicolare all'altra.

Laplace in sostanza dimostrò che per ottenere delle forti velocità tangenziali, ai corpi celesti è sufficiente quella medesima gravitazione universale che dovrebbe farli cadere. In altre parole, se una nebulosa rotante su se stessa, si contrae fino a esplodere, i corpi che si formano non sono schegge impazzite, che non sanno dove andare, ma sono corpi intelligenti, che si mettono a girare attorno al corpo dotato di maggiore densità e quindi di maggiore gravitazione. Cioè nell'universo le cose possono anche avvenire casualmente, ma le conseguenze devono sottostare a delle leggi precise.

L'universo è composto di tanti spirali (le nebulose), di tante trottole (i pianeti) e di tanti dischi rotanti (le orbite). Eccezioni a queste regole si trovano solo nei superammassi di galassie, che però non sono ancora nella fase del collassamento.

Conclusione? La conclusione purtroppo è composta di sole domande. E cioè se esiste un'evoluzione del genere, si può ipotizzare un suo inizio? Se vi è stato un inizio, si può ipotizzare una fine dell'universo?

A queste domande verrebbe da rispondere affermativamente, eppure, se lo facessimo, dovremmo poi ammettere che nell'universo esiste un punto particolare, una sorta di "Primo Motore", il che però contrasta con l'idea che nell'universo non sembra esistere alcun "centro" specifico, univoco. Nessun punto ha una posizione privilegiata o preferenziale: è come se tutti i corpi fossero seduti attorno a una tavola rotonda e ognuno di essi fosse convinto d'essere al centro. L'universo è uniforme in ogni suo luogo.

Da quando si è sconfessata la teoria tolemaica, abbiamo dedotto che per comprendere l'insieme dell'universo è sufficiente studiare una sua piccola parte, p.es. quella del nostro sistema solare.

Studiando tale sistema si è chiaramente capito che l'universo non è statico, ma si muove secondo fasi di contrazione e di espansione, come un elastico. Che sia attualmente in espansione lo ha dimostrato Hubble nel 1929, studiando l'effetto Doppler applicato alle galassie. Una scoperta semplicemente geniale e a tutt'oggi rimasta inconfutata. Si arrivò persino a dire, grazie ai suoi calcoli, che tutti gli oggetti astronomici che osserviamo non possono avere un'esistenza superiore ai 20 miliardi di anni. Lo stesso si dirà degli elementi chimici dell'universo.

Che le cose abbiano avuto un inizio e siano destinate a finire l'aveva già detto Rutherford nel 1908, con la sua teoria del decadimento radioattivo, secondo cui ogni elemento radioattivo si riduce della metà dopo un certo lasso di tempo, al punto da trasformarsi in altra cosa. P.es. l'uranio-235 dopo un miliardo di anni diventa piombo-207.

Oggi gli archeologi usano l'orologio radioattivo del carbonio-14 (che ha un tempo di dimezzamento di 5570 anni) per datare i reperti antichi. Anzi con l'orologio fornito dall'uranio gli scienziati hanno stabilito una data di nascita del sistema solare intorno ai 4,55 miliardi di anni, in seguito all'esplosione di una supernova, giunta alla fase finale della sua esistenza.

Senonché è stato solo nel 1983, dopo il Nobel dato al fisico americano W. A. Fowler, che gli scienziati si sono convinti di una "finitudine" di tutti gli elementi cosmici. Il che però non è servito per dare una risposta sicura a un altro tipo di domanda, e cioè: l'universo-contenitore è destinato a finire come tutto ciò che contiene? Ha anch'esso una data di nascita?

Newton, a tale proposito, fece questo ragionamento: le stelle non possono che essere distribuite in uno spazio finito, poiché se fossero presenti in uno infinito, anche il loro numero dovrebbe essere infinito e ciò darebbe luogo a una forza gravitazionale infinita, che renderebbe instabile l'intero sistema.

Leibniz gli obiettò che le stelle devono per forza essere distribuite in modo uniforme in uno spazio infinito, poiché se questo fosse limitato, si riproporrebbe l'idea di un "centro", che a partire da Copernico si è definitivamente escluso.

Kant intervenne in questa diatriba dicendo che noi non siamo in grado di dire né che l'universo sia finito né che non lo sia. Il quesito non ha soluzione, almeno non all'interno di una geometria euclidea.

E così il dibattito abortì, semplicemente perché si faceva coincidere "finito" con "limite". Oggi invece, grazie alle geometrie non-euclidee, gli scienziati sono convinti che possa esistere sia una finitezza senza limite che un infinito limitato.

Il primo ad avere un'idea innovativa in questa direzione, e a esporla con chiarezza e con coraggio (Gauss infatti lo precedette ma esitò ad andare controcorrente), è stato Bernhard Riemann, che nel 1854 cominciò a dire che sul piano tridimensionale lo spazio ci appare infinito, ma se lo immaginiamo curvo, può essere anche finito: la Terra, p.es., ha una superficie curva finita e illimitata. In nessun punto la sua superficie non è curva. Quindi che l'universo sia finito o infinito dipende dalla curvatura dello spazio.

Oggi alcuni scienziati sostengono, alla luce di queste considerazioni, che se si accetta l'idea di un'espansione dello spazio, bisogna per forza considerarlo finito, proprio come un palloncino che si gonfia, un sacco amniotico di una madre gravida.

Eppure il matematico Georg Cantor, padre della teoria degli insiemi, elaborò una tesi che portava a risultati opposti, e cioè che in un universo sempre in espansione, lo spazio infinito mantiene sempre il suo carattere infinito, esattamente come nei numeri cardinali e ordinali transfiniti, che oggi nessun matematico mette in discussione.

A parte questo, l'importanza della curva rispetto alla linea retta sembrava aver aperto inedite piste di ricerca. Infatti ci si cominciò a chiedere se l'universo è solo in eterna espansione, in uno spazio infinito, illimitato, aperto, non influenzato in alcun modo dal moto della materia (come voleva Newton), oppure se l'universo può passare da una fase di espansione a una di contrazione: in tal caso lo spazio potrebbe anche essere finito, chiuso, ancorché illimitato (come dirà Einstein).

I tentativi di rispondere a questo dilemma si sono incrociati con gli studi condotti negli anni Trenta dall'astronomo svizzero Fritz Zwicky, secondo cui nell'universo esistono grandi quantità di materia oscura, invisibile, formata di particelle (p.es. neutrini) con carica nulla, prive di elementi chimici e con una massa a riposo molto piccola, incapace di emettere luce, e questo in una percentuale, rispetto al totale della materia, di addirittura 9/10! La presenza di queste particelle, la cui natura resterebbe indifferente all'espansione dell'universo, lascia supporre che quest'ultimo sia finito e chiuso. In altre parole l'esistenza dei corpi stellari e quindi di quella umana sembrano dipendere, in ultima istanza, da una materia che non si vede!

La conferma sperimentale delle sue idee si ebbe nel 2008, quando con un telescopio ci si accorse che la luce subisce, nel suo viaggio cosmico, una strana deviazione anche in punti dove non sono visibili masse gravitazionali.

Nel 1854 il fisico tedesco Hermann von Helmholtz, studiando la termodinamica, arrivò a dire che prima o poi l'universo si troverà in una condizione di temperatura uniforme e che, a partire da quel momento, cadrà in uno stato di "eterno riposo", come fosse morto. Questo perché se è vero che un sistema può evolvere da uno stato di non equilibrio termico verso uno stato di equilibrio, non succede mai il contrario.

A questa considerazione non pochi obiettarono che se non esiste nessun altro sistema al di fuori dell'universo, allora non vi può essere scambio di calore con l'esterno, sicché l'espansione dell'universo va considerata di tipo adiabatico. Cioè ci sarà sempre una differenza di temperatura prodotta dalle relazioni tra luce (o radiazione) e particelle, proprio perché l'universo è in espansione. Il tempo che occorre per giungere a una temperatura uniforme è più lungo della scala temporale di tale espansione, pertanto nei sistemi in cui la forza gravitazionale svolge un ruolo decisivo, l'equilibrio termico stabile non può esistere.

Insomma è proprio la gravitazione che rende instabili gli equilibri. Se anche l'universo originario fosse stato uniforme e non strutturato, di fatto la sua spontanea evoluzione lo porta ad essere difforme e strutturato. La gravitazione è responsabile, insieme alle particelle e alla radiazione, del passaggio dal semplice al complesso, dal caos all'ordine, dall'equilibrio al non equilibrio termico.

Nel 1964 gli astronomi americani Arno Penzias e Woodrow Wilson, dopo uno studio avviato nel 1940 e che fu premiato col Nobel nel 1978, scoprirono che in tutto l'universo esiste una radiazione cosmica di fondo. In altre parole l'universo primordiale doveva essere caldissimo, composto più di radiazione che di particelle. Di tutti gli elementi dell'universo, quelli più abbondanti e quindi anche quelli più leggeri, sono elio e idrogeno, che, sommati, arrivano al 99% della materia! Questo vuol dire due cose: 1. che gli ammassi stellari si sono formati solo quando le particelle (in origine uniformemente distribuite) si aggregarono per attrazione reciproca; 2. che la temperatura della radiazione tende a diminuire in un universo in espansione.

Già nel 1938 il fisico nucleare Hans Bethe era arrivato a ipotizzare che tutte le stelle fossero nate da una fusione termonucleare e che la loro energia provenisse da una reazione nucleare incessante, interna al loro stesso nucleo. Peccato che questa sua ipotesi abbia trovato una prima applicazione nella costruzione della bomba atomica, a Los Alamos, di cui diresse la divisione teorica del progetto Manhattan.

Stranamente si ha l'impressione che quanto più ci si avvicina a comprendere, con gli strumenti scientifici e tecnologici, i segreti dell'universo, tanto meno si è in grado di gestirli per il bene dell'umanità.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018