LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


La pianificazione ai tempi del Minotauro
Alcune osservazioni sulla civiltà minoica
 
[pianta del palazzo - ricostruzione del palazzo]

Introduzione

La civiltà minoica è stata la più antica d’Europa e ha influenzato a lungo lo sviluppo di tutto il Mediterraneo. Per secoli il re di Cnosso [1] ha dominato l’Egeo, trattando da pari a pari con i faraoni e i sovrani mesopotamici più potenti. La società minoica ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della civiltà micenea, prima che entrambe cadessero sotto i colpi ferrati delle tribù doriche, che posero fine alle economie palaziali gettando le basi per la nascita dell’Ellade classica.

La società minoica fu un esempio di modo di produzione asiatico, un’economia in cui una struttura di villaggi gentilizi che vivevano di agricoltura e pastorizia veniva coordinata da un centro palaziale che assommava poteri economici, politici e religiosi. Di questa società ci interessano soprattutto due aspetti: perché e come vi nacque uno Stato e come questo Stato gestiva le attività produttive in assenza di istituzioni quali la moneta e il mercato. Partiremo da una breve descrizione ambientale e storica di Creta per poi passare a questi due temi e all’analisi del palazzo di Cnosso, come vedremo, elemento centrale dell’assetto produttivo della civiltà cretese. Descriveremo infine, alcuni aspetti religioso-ideologici di questa civiltà.

L’ambiente geografico

Creta è un’isola di medie dimensioni. La sua posizione nell’Egeo meridionale e l’assenza di molte materie prime la rende ideale e allo stesso tempo la costringe ai contatti con l’Asia e l’Africa. L’elemento del mare ha dunque sempre avuto un ruolo centrale nel suo sviluppo. Il terreno dell’isola, fatto di pianure e montagne, favorisce l’agricoltura e rende praticabile la pastorizia.

La complessione del terreno suddivide quasi naturalmente l’isola in aree amministrative. La situazione idrogeologica e boschiva dell’isola, inizialmente favorevole, già in epoca classica risultava deteriorata a causa dell’intenso sfruttamento a cui Creta era stata sottoposta. Infine, l’isola, posta alla confluenza di placche continentali, è stata frequentemente colpita da terremoti e maremoti disastrosi [2].

Creta prima dei minoici

Anche se vi sono tracce di epoca paleolitica, i primi insediamenti significativi di Creta risalgono al periodo mesolitico (circa 10000 a.C.) mentre nel neolitico l’uomo occupò tutta l’isola. E' questo il periodo in cui avviene il cambiamento fondamentale della storia, a Creta come altrove: l’uomo da puro appropriatore di risorse diviene produttore dei beni necessari al proprio sostentamento, superando il livello di lotta puramente animale per la sopravvivenza grazie alla produzione agricola e all’allevamento.

Nel tardo neolitico (4000-3500 a.C.) si contano oltre cento insediamenti, il maggiore a Cnosso. Questa diffusione è indice di un boom demografico che è causato da significativi sviluppi tecnologici e insieme li alimenta.

Gli abitanti sono ancora sia agricoltori che cacciatori che allevatori, senza un predominanza di un elemento sull’altro. Sebbene manchino i metalli, l’economia si avvantaggia dell’introduzione di alcune invenzioni quali l’aratro, il carro, l’uso della lana e la produzione di ceramiche in forme avanzate che consentono un miglior immagazzinamento dei prodotti. Sinergicamente al boom demografico queste innovazioni rendono non più sostenibile l’elemento nomadico ancora presente in altri consessi neolitici.

Non che in un’isola come Creta si fosse mai potuto migrare per lunghe distanze, ma la popolazione divenne troppo estesa anche solo per seguire i greggi sulle colline. Il passaggio alla stanzialità avvenne sulla base di una divisione del lavoro essenzialmente sessuale.

L’agricoltura, l’accudimento degli animali domestici, la lavorazione della lana rimasero prerogative femminili, la caccia e la raccolta attività maschili, sebbene risulti una certa sovrapposizione di ruoli in alcuni ambiti, come la produzione di ceramiche.

Non si aveva ancora nessuna struttura statale, anche se vi erano funzioni (religiose, militari) espletate da una specifica parte della popolazione che si legittimava in base a una religione matriarcale, a ragione del peso decisivo della donna nell’accudimento delle forze produttive (cioè dei figli e dei campi).

Il processo di creazione di un’agricoltura sufficientemente evoluta per sostentare villaggi stanziali è comune a tutto il bacino del Mediterraneo. A Creta avvenne in forme relativamente rapide, rispetto, ad esempio, alla Grecia continentale, grazie all’isolamento, che impediva invasioni ma limitava anche la presenza di risorse naturali.

Contribuirono alla velocità della nascita della società palaziale anche i contatti con l’Egitto e l’Asia minore, necessari per l’assenza di metalli nell’isola. Essendo a metà strada tra Cipro (l’isola del rame) e i porti dello Ionio, dove si accumulava lo stagno proveniente dal Nord, Creta divenne un punto di passaggio obbligato per il commercio del bronzo tra oriente e occidente, favorita in questo non solo dalla sua posizione centrale ma anche dalle numerose baie e golfi.

L’uso dei metalli, rivoluzione tecnologica fondamentale, pose fino al neolitico. Cambiò la produzione non solo delle armi, che divennero più efficaci, ma anche delle navi. I cretesi furono i primi a navigare in mare aperto, con scafi agili e ben manovrabili. Costituirono una flotta con cui liberarono l’Egeo dai pirati a cui si sostituirono, quali riscossori di tributi.

I metalli, la flotta, gli scambi con altre nazioni, delineano un balzo delle forze produttive, creando le condizioni per la civiltà minoica. Proprio quando la Grecia continentale subiva la prima invasione dorica significativa, che ne arrestò lo sviluppo per secoli, a Creta vennero costruiti i primi palazzi. Nacque il potere centrale, lo Stato.

Nasce lo Stato palaziale

Nel periodo che va dal 3500 al 2000 a.C., a Creta iniziano a svilupparsi le caratteristiche fondamentali del modo di produzione asiatico. Nascono la metallurgia, la scrittura, i villaggi si coordinano in centri urbani. Molti di questi elementi sono derivati dalle coeve civiltà dell’Asia e dell’Egitto – il catch-up con i vicini è una costante della storia umana – così, ad esempio, nel paesino di Platanos, in una tomba risalente al XVIII secolo a.C., è stato trovato un codice di Hammurabi, che probabilmente ha avuto per il diritto cretese un’importanza analoga a quella dei codici napoleonici per la maturazione del diritto italiano nell’Ottocento.

L’esperienza delle civiltà vicine fu da subito importante perché rispetto ad altre società palaziali, sostanzialmente autarchiche, per Creta gli scambi furono sempre una necessità vitale per lo sviluppo delle forze produttive. Prima ancora di organizzare la produzione agricola (canalizzazione, irrigazione), lo Stato dovette scambiare il sovrappiù prodotto nel settore primario. Per questo scambio era necessaria una flotta la cui costruzione è così stata probabilmente il punto di origine dello Stato minoico. Assieme ai prodotti egiziani o assiri, le navi cretesi riportavano sull’isola il modo con cui quelle società avevano organizzato l’economia.

Le prove archeologiche indicano il passaggio dal clan gentilizio alla struttura statale[3]. Come avvenne ovunque, l’urbanizzazione condusse allo sfaldarsi dell’ordinamento gentilizio. È probabile che il disfacimento dei clan sia avvenuto dopo che essi avevano raggiunto il grado massimo di sviluppo permesso dalla società gentilizia: la lega tribale, come per i Germani descritti da Tacito o per i nativi americani descritti da Morgan.

I capi tribù che combatterono l’esercito yankee o le legioni romane ci sono noti come valorosi guerrieri, feroci a volte, eppure saggi, ma non ebbero il tempo e le risorse per costituirsi in Stato contro le aggressioni di nemici più avanzati tecnologicamente. A Creta, l’equivalente di Vercingetorige ha invece dato vita a una dinastia, quella minoica.

Come in tutte le società a modo di produzione asiatico, lo Stato sorge per coordinare gli sforzi produttivi di comunità rurali autonome, largamente autosufficienti, organizzate su basi egualitarie all’interno e tra loro. Queste comunità tribali “cedono” la propria sovranità (a Creta attorno al 1900-1700 a.C.) a un re-sacerdote assoluto, che da semplice capo della tribù più importante diviene una divinità e più prosaicamente il direttore della burocrazia di palazzo la cui costruzione, assai rapida[4], porta con sé, come vedremo, una rivoluzione sociale, tecnologica, politica, artistica.

Ne L’origine dello Stato, della famiglia e della proprietà privata, Engels fornisce un’insuperata analisi del sorgere dello Stato quale strumento di controllo della lotta di classe. Così si sviluppa lo Stato ateniese classico, così lo Stato romano che condusse alla sua massima espressione il mondo schiavile.

Nel modo di produzione asiatico, la nascita dello Stato non deriva dalla nascita di classi in conflitto tra loro, ma dall’esigenza di gestire e aumentare il sovrappiù emergente dal settore agricolo. Il rapporto di produzione non è infatti basato sull’espropriazione dei produttori, sia essa ab origine, come nello schiavismo, o a rate, come per i salariati. I mezzi di produzione rimangono nelle mani e nel pieno possesso della classe produttiva (essenzialmente i contadini).

Non appena si produce una quantità di risorse sufficiente a sostentare persone che non lavorano, dalla classe contadina si distaccano gruppi di uomini specializzati in attività particolari, all’inizio essenzialmente guerrieri e sacerdoti-scienziati (si pensi ai druidi dei Galli).

L’importanza, reale o presunta, di questi gruppi permette loro di appropriarsi del sovrappiù agricolo della comunità. Esiste un privilegio, sotto forma di beni materiali e prestigio, da difendere. Ne deriva un’ideologia e una religione atte a giustificare questo dominio che passa per la funzione produttiva, non per la proprietà.

I produttori vengono espropriati di parte del risultato del loro lavoro, non dei mezzi di produzione, le terre, che diventano formalmente del re (o del dio, che è lo stesso).

I palazzi sorgono per immagazzinare e accrescere il sovrappiù che non è solo plusprodotto (grano, olio, bestiame) ma anche pluslavoro (corvèe sotto forma di prestazioni lavorative per costruire i palazzi stessi, servire nelle forze armate).

La burocrazia del palazzo impone ai villaggi gentilizi il pagamento di una tassa in natura in cambio di un “servizio” come lo studio delle piene del Nilo (in Egitto), studi astronomici in Mesopotamia e Centro-America, le opere di canalizzazione (pressoché in ogni civiltà palaziale), tutti lavori indispensabili allo sviluppo dell’agricoltura.

Anche a Creta osserviamo la presenza di lavori di irrigazione, ma l’aspetto più importante è, come si diceva, la costruzione di strumenti per il commercio marino (la flotta). La burocrazia del palazzo contribuisce a un innalzamento colossale delle forze produttive sia portando a termine lavori in campagna che nessun villaggio avrebbe potuto nemmeno immaginare, sia sviluppando il settore proto-industriale (ceramiche, cantieristica navale, costruzioni), sia concentrando e sviluppando le conoscenze scientifiche del tempo. In virtù di questo contributo, si appropria del sovrappiù creato dal settore primario.

La burocrazia del palazzo gestisce la produzione perché è depositaria delle necessarie conoscenze scientifiche e consente alla società un balzo tecnologico notevole. Tuttavia sarebbe ingenuo dare di questo processo una descrizione idilliaca: contadini e funzionari che cooperano per il bene comune.

La realtà è che il sorgere dello Stato asiatico è, come per lo Stato schiavile, una storia di sopraffazione della massa di produttori a opera di una èlite ristretta. Solo che questa èlite non comanda in virtù della proprietà dei mezzi di produzione, nemmeno in forma collettiva, come succederà per il primo senato romano, ma in virtù del proprio ruolo tecnico nella produzione.

E' difficile sapere quale fu in concreto nella civiltà minoica il peso della coercizione rispetto a quello della messa in comune volontaria delle risorse. L’assenza di potenti nemici ai confini (fossero bellicose tribù o altri Stati asiatici) ridusse senz’altro il peso dell’elemento militare, anche se vi sono accenni in diversi poeti e storici greci alla crudeltà di Minosse, seppure la storia non abbia tramandato alcuna traccia di uno Stato dittatoriale.

Negli affreschi dei palazzi cretesi compaiono guerrieri ma non ossessivamente come in contesti simili. A Cnosso non vi erano porte ciclopiche come in Mesopotamia o a Micene, né colossali statue di pietra, animali o faraoni che fossero, a ricordare ai contadini chi comandava. Al contrario, Cnosso appare un palazzo accessibile e pienamente integrato nel tessuto urbano circostante. Inoltre, lo spazio dedicato alla guarnigione dei soldati è esiguo rispetto alle dimensioni del palazzo.

Se tutto ciò sia dipeso dal fatto che i villaggi fossero stati convinti a essere guidati dal palazzo o ne fossero invece stati così terrorizzati da non necessitare di “ricordi” di quegli episodi non lo sapremo forse mai. Infatti, se è chiaro il motivo che a posteriori rese conveniente la nascita dello Stato palaziale, poco sappiamo dell’effettivo processo storico che a quello condusse. Cnosso era già prima del sorgere del palazzo il centro agricolo più fiorente.

Possiamo supporre che il suo capo sia riuscito a soggiogare con la forza i villaggi vicini, traendone un tributo che diveniva conveniente scambiare oltre mare. Probabilmente una forma di subordinazione c’era già, come si è appurato nelle leghe di tribù in altre parti del mondo.

Può darsi invece che lo sviluppo demografico abbia messo la società cretese di fronte alla necessità di entrare in possesso di metalli in misura massiccia per garantirsi la sopravvivenza, obbligando ad accentrare i prodotti necessari per lo scambio.

Senz’altro, una volta avviato, lo scambio con civiltà già palaziali avrà velocizzato lo sviluppo di analoghe istituzioni sull’isola, anche se non vi è alcuna prova di aiuti tecnici da altri paesi nella creazione dei palazzi.

L’unica cosa certa è che la centralizzazione del sovrappiù agricolo era necessaria per il commercio e che a questa centralizzazione segue in tempi rapidi il sorgere di un palazzo e della relativa burocrazia. La nascita dei palazzi conduce a una maggiore divisione del lavoro e a una rivoluzione tecnica che consente la diversificazione dell’export con beni a più alto valore aggiunto, prodotto dei palazzi, che dunque da semplici appropriatori delle merci da scambiare diventano i gestori della produzione.

Quando si parla di economia palaziale occorre sottolineare la transizione tra il momento di semplice appropriazione coatta (la requisizione forzata del sovrappiù) e quello della direzione centralizzata dell’economia.

I funzionari iniziano a dirigere la produzione coordinando agricoltura, industria, commercio estero, ovviamente traendone immensi benefici per sé e per il loro vertice, il re-sacerdote.

E' il sorgere stesso dei palazzi che conduce a questa svolta. Quando i palazzi nascono come dal nulla al centro delle piane più fertili dell’isola, le case cretesi sono casupole a due piani, di cui il secondo in legno, che formano minuscoli villaggi, con costruzioni appena più complesse ed ampie per le funzioni comunitarie come l’assemblea politica, le liturgie, le sepolture.

La creazione dei palazzi impone il livellamento di colline, terrazzamenti, opere di canalizzazione e progettazione. Si impone dunque una rivoluzione tecnologica all’atto stesso della creazione del potere palaziale.

Dirigendo i lavori di costruzione del palazzo la burocrazia legittima il proprio ruolo socialmente egemone. Artigiani e tecnici di ogni tipo devono collaborare per questo immenso sforzo produttivo e rimangono a corte.

Si consideri che al suo apice la capitale dell’isola poteva contare su circa 70.000 abitanti mentre il nucleo del palazzo poteva accogliere circa 12.000 persone, ovvero oltre il 15% della popolazione cittadina. Cnosso si estendeva per oltre 20.000 metri quadrati ed era composto da ben 1500 camere spesso affrescate, disposte su più piani.

Per una costruzione così colossale, per giunta terminata in tempi brevi, saranno occorsi tutti i tecnici, artigiani, operai disponibili. Ovviamente non tutti saranno poi restati stabilmente a palazzo, ma la burocrazia palaziale li aveva comunque coordinati al suo sorgere. La costruzione di Cnosso (e poi degli altri palazzi) non ha solo comportato l’uso di risorse e tecnologie ma ne ha determinato la nascita. [5] Si può dire che una volta costruito Cnosso, tutto vi si accentra: scienza, produzione, potere, che si irradia in tutti gli angoli dell’isola tramite una struttura di funzionari.

La nascita del potere centrale muta radicalmente la struttura sociale. La burocrazia di palazzo non costituisce una classe poiché non è proprietaria nemmeno collettivamente dei mezzi di produzione. Ma certo ha immenso potere e prestigio in quanto è comunque l’asse portante del rapporto di produzione, lo scambio tra città e campagna, lo sviluppo anche della produttività agricola. Da questo trae potere e prestigio.

Scompaiono dunque le tombe collettive: il dignitario, il nobile ha ora una tomba singola, si libera dall’abbraccio gentilizio del clan. L’esplosione delle forze produttive si riverbera sull’arte che fiorisce splendidamente: i vasi si fanno riccamente decorati – in questo settore a Cnosso operano dei veri maestri, si pensi al famoso stile di Camaron – la scultura, la pittura fioriscono. Notiamo in queste lavori una mirabile fusione di estremo naturalismo e aspetti metaforici, allegorici.

Simili capolavori impressionarono i re di tutta l’area. Non a caso troviamo opere d’arte minoiche nelle sepolture di paesi anche molto lontani. Possiamo supporre che una fioritura simile sia avvenuta per le altre arti, come la musica o la poesia, di cui però abbiamo scarse tracce. Un impulso colossale lo riceve l’architettura: si fabbricano le costruzioni più imponenti ed elaborate dell’epoca, almeno per l’Europa.

Quanto alla scrittura, la pianificazione delle attività produttive, in assenza del mercato, necessita di una contabilità e dunque di una struttura di segni che superi gli usi religiosi e ideologici per divenire anche strumento pratico di sviluppo sociale. Da pittorico-geroglifica, la scrittura diviene fonetica, il famoso alfabeto “lineare A” che non è purtroppo ancora stato decifrato come invece si è riusciti a fare per il “lineare B”, pure abbastanza simile. I geroglifici continueranno a essere usati in campo rituale mentre la nuova scrittura, come vedremo, viene utilizzata per mantenere la contabilità del palazzo ovvero per pianificare l’economia.

Non appena creato, Cnosso imprime una svolta a tutta la società cretese. Sorgono palazzi anche nelle altre zone dell’isola. Dei tre palazzi principali, Festo guarda a sud ed è l’unico posizionato per esigenze belliche. Malia invece è del tutto scoperto, a pochi metri dalla costa. Dal canto suo, Cnosso sorge su una collinetta a 4 km dal mare, alla confluenza di due fiumi, il Knossanò e l’affluente Vlychià [6]. La localizzazione dei palazzi porta ad arguire che i minoici non temevano davvero nessuno: i commerci con l’Egitto o l’Asia minore e la Siria erano scambi tra pari. Evidentemente la talassocrazia minoica, descritta anche da Platone, fu un fatto reale.

D’altronde, il ruolo del palazzo nell’espansione economica e politica di Creta è visibilissimo. Il suo sorgere condusse al pieno sfruttamento delle possibilità agricole dell’isola. La popolazione crebbe rapidamente e fu costretta ben presto a colonizzare altre isole. La concentrazione della produzione industriale nei laboratori palatini condusse a un’espansione e dunque alla necessità del commercio.

Lo sviluppo delle forze produttive per effetto della pianificazione economica è immenso. Lo dimostra il fatto che i palazzi, distrutti dal disastroso terremoto che colpisce l’isola nel 1700 a.C. circa, vennero ricostruiti immediatamente e anche ampliati.

L’apogeo

Le testimonianze dei viaggiatori che visitarono Creta nel momento di massimo splendore minoico descrivono una società florida, città ampie costituite da una ragnatela di piccoli centri rurali che attorniano il palazzo. Sparpagliate sul territorio, laddove non vi è un’aggregazione cospicua di abitanti, si trovano ville signorili sede del funzionario locale. La notevolissima densità abitativa è permessa da un’agricoltura assai sviluppata, con sistemi sofisticati di irrigazione dei campi [7].

Altrettanto evoluta è l’attività artigianale e industriale, condotta alle dirette dipendenze del palazzo [8]. La popolazione è formata in massima parte della classe produttiva, costituita per lo più di contadini, ma in città anche di artigiani e tecnici, diretta dalla burocrazia palaziale (gestori, sacerdoti, guerrieri) che presiede alla divisione del lavoro. Vi sono alcuni indizi circa la permanenza di una divisione del lavoro di carattere sessuale.

Sappiamo che le donne attendevano ai culti, alla tessitura e probabilmente al controllo di gestione, mentre la classe contadina comprendeva entrambi i sessi.

I re erano maschi anche se non è detto che sovraintendessero una casta di funzionari completamente maschile. Maschi erano, presumibilmente, i guerrieri che, come in ogni società, dovevano presiedere alla difesa dello Stato da attacchi esterni ed interni, mentre a quelli esterni, come ricordato, pensava la flotta, a quel tempo la più importante del Mar Egeo e tra le principali del Mediterraneo.

Peraltro, non vi sono molti indizi di un’attività bellica sul suolo cretese, non sono state trovate fortificazioni, la storia o la leggenda non tramandano battaglie o rivolte. Le testimonianze che abbiamo in questo senso, come le spade trovate nelle tombe, alcuni affreschi raffiguranti scene di battaglia, appaiono più un’eco di altre civiltà palaziali dove invece l’elemento militare giocò un ruolo decisivo.

Si trovano ad esempio affreschi di carri da guerra, ma non vi è alcuna testimonianza sull’uso reale di quest’arma sull’isola. Probabilmente la raffigurazione riprende episodi dei paesi della zona dove invece il carro ebbe un ruolo di primo piano (si pensi alla guerra di Troia o alla fuga nel Mar Rosso degli ebrei).

Scudi a forma di 8 potrebbero far pensare a una formazione proto-oplitica dei fanti, ma anche in questo caso non è possibile discernere l’ornamento dallo strumento. Al contrario, le testimonianze sono univoche circa la potenza della flotta, necessaria a garantire ai minoici la possibilità di scambiare con gli altri popoli.

Questi scambi non avvenivano dietro controprestazione in denaro (la moneta sorgerà solo mille anni dopo) o scambiando direttamente bene con bene. Eppure i ritrovamenti in sepolture egizie o siriane lasciano supporre scambi fitti e frequenti tra tali civiltà e i minoici.

Vi era dunque scambio ma non si trattava di scambio di merci neppure in forma di baratto. Lo scambio era invece uno scambio di regali cerimoniali. Almeno una volta l’anno le navi minoiche salpavano alla volta dei porti egizi, libici o mediorientali portando in dono al faraone e agli altri sovrani palaziali i tipici prodotti cretesi in cambio di prodotti del luogo (avorio, oro, argento e così via).

I palazzi si scambiavano dunque sotto forma di dono il sovrappiù creato dalle rispettive economie. Solo più avanti sorsero degli intermediari specializzati in questi scambi (i fenici) che vivranno negli interstizi e ai confini delle società palaziali, mutuandone talune caratteristiche.

Accanto a questi intermediari, la storia ci tramanda del commercio attuato direttamente dai templi. Ma a Creta i templi coincidevano coi palazzi e dunque il monopolio del commercio estero era rigoroso. Va da sé che i “doni” che il faraone si scambiava con Minosse dovevano incorporare una massa analoga di lavoro. Come potesse essere calcolata l’equivalenza di lavoro contenuto in un vaso di Cnosso rispetto a un quintale di avorio è difficile a dirsi. Forse l’unica unità di misura era la stiva stessa della nave.

La cosa certa è che questo scambio non mercantile avvenne per secoli [9]. Se nessun equivalente generale (unità di conto o riserva di valore) esisteva per regolare il commercio estero non poteva esisterne uno per regolare gli scambi interni. I dipendenti del palazzo ricevevano non un salario ma pezzi di terra o altri doni, oltre a una serie di servizi e prodotti in natura.

La grandissima parte della popolazione, che viveva nei villaggi attorno ai palazzi, forniva ad essi prodotti agricoli e lavoro coatto, ricevendone in cambio lavori pubblici, protezione militare, gestione produttiva. Nel loro complesso, gli scambi tra città e campagna erano regolati amministrativamente. Nessuna relazione produttiva fondamentale della società minoica passava per il mercato.

Non sappiamo se sulla terra donata dal re ai funzionari lavorassero gli equivalenti cretesi dei clientes etruschi o romani, avvisaglie del sorgere della proprietà privata della terra e dello schiavismo, ma non è nemmeno detto che i funzionari mantenessero la proprietà dei fondi alla loro morte.

Quello che è certo è che l’economia “privata” non ha giocato alcun ruolo nello sviluppo della civiltà minoica. La produzione era basata o sulla direzione collettiva della burocrazia o sull’autosussistenza comunitaria dei villaggi. In termini moderni era o nazionalizzata o cooperativa. D’altronde, non vi è alcun segno dell’esistenza di una schiavitù in senso classico (che appunto presuppone un mercato e una moneta), il che non significa che i contadini fossero “liberi”: le obbligazioni che la burocrazia gli imponeva non dovevano essere di poco conto [10].

Il palazzo e l’economia

Creta minoica aveva le caratteristiche classiche di un’economia palaziale, ovvero:

“the palaces were the focal points of economic activity, the headquartes of agriculture and handicrafts, and foreign trade took the form of an exchange of gifts between the Cretan kings on one hand, and the Oriental and Egyptians rulers on the other”[11]

E' interessante evidenziare che, con i mezzi a disposizione all’epoca, lo strumento fondamentale per sviluppare le forze produttive era il palazzo stesso, che incarnava i rapporti di produzione dominanti, ovvero la pianificazione centrale dell’economia. Il peso del palazzo stava non solo nelle sue dimensioni, cospicue rispetto all’economia dell’isola, ma soprattutto in ciò che vi si produceva: praticamente tutto ciò che superasse l’autosostentamento della classe contadina.

La concentrazione della scienza e della tecnologia nel palazzo è indispensabile anche solo per costruire il palazzo, che è un’opera notevolmente complessa. Si pensi ai sofisticati lavori idraulici per mezzo dei quali il palazzo traeva dai due fiumi che lo circondavano l’acqua pulita e in cui riversava le acque sporche tramite canali fognari.

Il palazzo aveva avuto un ruolo decisivo nell’aumentare il volume della produzione e dunque del sovrappiù di cui si appropriava e aveva anche condotto alla nascita di nuovi settori economici.

Lo sviluppo di attività produttive urbane rende inevitabile lo svilupparsi di un’altra funzione: quella di gestione della produzione e dei rapporti di scambio tra i settori economici. Non esistendo la moneta, il lavoro, come detto, è diviso amministrativamente, è direttamente sociale.

Il mercato è sostituito dalla conoscenza che i funzionari del palazzo hanno delle attività produttive, dalla pianificazione che deve necessariamente sorgere. Se, ad esempio, giungevano a palazzo 10.000 litri d’olio o 10.000 quintali di grano occorreva costruire (prima) gli enormi recipienti, i pithoi, in cui questi prodotti dovevano essere conservati.

Tali quantità andavano previste in base a determinati coefficienti di produzione (ad esempio, 1 vaso gigante=1 tonnellata di grano) per fornire agli opifici palaziali gli ordinativi necessari. Ma questo a sua volta implicava calcoli sulle materie prime per la costruzione di questi vasi, sul reperimento degli artigiani necessari e così via. Tutto ciò veniva fatto nello stesso luogo fisico, appunto il palazzo, in quanto la tecnologia non avrebbe permesso altri metodi.

Così il palazzo stesso pianificava l’economia. Se guardiamo ai magazzini, vediamo che gli stessi risultavano organizzati in base alla destinazione: quelli grandi, “strategici”, erano posti sotto la protezione del santuario (erano cioè nell’ala dove era presente anche il tempio), quelli più piccoli, “operativi” erano costruiti vicino agli appartamenti e ai laboratori. Le due ali sono divise da una corte centrale. Si può azzardare una supposizione sui magazzini.

I piccoli rettangoli che formano i magazzini dell’ala occidentale del palazzo (circa una ventina) appaiono troppo piccoli per una suddivisione “per prodotto” (olio, vino, cereali, ecc.). Avanziamo l’ipotesi che la suddivisione fosse invece fatta per zona [12]. Ogni magazzino corrispondeva a una zona amministrativa.

Con ciò la pianificazione degli input produttivi era grandemente semplificata. Bastava guardare il contenuto di un magazzino per trarne immediate indicazioni sull’andamento delle attività produttive di ogni villaggio.

Guardando alla pianta del palazzo come a uno strumento di pianificazione, abbiamo come la trasposizione in forma fisica di una tavola input-output alla Leontiev [13]:

[magazzini dei prodotti] [corte centrale] [laboratori]

Una moderna struttura (matematica, non più fisica) per pianificare l’economia si presenta in forme del tutto analoghe. Prendiamo uno schema semplificato dei famosi bilanci materiali con cui il Gosplan pianificava l’economia sovietica (simili alle citate tavole di Leontiev tuttora in uso per la contabilità generale di tutti i paesi occidentali)[14]:

Input Output Consumo produttivo di output Output finale

Totale distribuito

    1, 2, …, n totale    
Input

materiali correnti

1

2

n

x(11)x(12)…x(1n)

x(21)x(22)…x(2n)

I quadrante
x(n1)x(n2)…x(nn)
c(1)c(2)…c(n)

W(1)

W(2)

W(n)

y(1)

y(2)

II quadrante
y(n)

X(1)

X(2)

X(n)

Valore aggiunto   III quadrante
(v1+m1)…(vn+mn)
v+m IV quadrante  
Output lordo   X(1)X(2)…X(n) X    

(dove: X sono gli input, v i salari, m il surplus)

Il palazzo si presenta dunque non solo come l’unità amministrativo-politica e religiosa, ma come l’organizzatore della produzione, il luogo dove viene determinata la suddivisione del lavoro sociale tra campagna e industria e, all’interno di essa, dei vari settori. Quanto alla corte centrale, essa era il luogo delle udienze e delle cerimonie, il cuore del reticolo di vie che dalla città si irradiano nelle campagne circostanti: tutte le strade portavano a Cnosso. Questo simboleggiava non solo l’apertura del re e dei funzionari verso i propri sottoposti, ma anche la centralità socio-economica del palazzo per la vita dell’isola.

Guardando a ciò che resta del palazzo, e dando per buone le intuizioni di Evans e degli altri che si sono succeduti negli scavi, occorre anche osservare che la sede centrale di guardie e scribi, ovvero le due componenti della burocrazia, erano un po’ discoste dal palazzo e di analoga ampiezza. Forse a significare l’equidistanza ed equimportanza che il re attribuiva alle due anime dello Stato. Una forma semplificata del palazzo di Cnosso che rappresenta quanto detto sin qui è la seguente:

Era lo spazio dunque, la suddivisione del palazzo, a giocare un ruolo centrale nella pianificazione dell’economia. Accanto ad esso e, forse col tempo di importanza crescente, vi sono strumenti gestionali più avanzati, come le cretule, in cui si registravano non solo le proprietà del re (bestiame, prodotti agricoli, carri, armature), ma anche le collaborazioni produttive obbligate (ovvero le corvèe cui erano obbligati i villaggi circostanti).

In definitiva le stanze di Cnosso e questi pezzetti di argilla giocavano il ruolo che nella pianificazione economica dei paesi stalinisti giocheranno i bilanci materiali. La concentrazione di tutta la produzione avanzata tecnicamente in un solo luogo eliminava alla radice i problemi di trasmissione delle informazioni tra singoli impianti e uffici centrali tipici delle economie centralmente pianificate.

Mitologia e religione

E Minosse rispose: Creta che è la culla di Giove e il mondo mio!
(Ovidio, Metamorfosi, Libro VIII)

Quando Creta esce dalla fase neolitica si porta dietro l’ideologia religiosa classica di questa fase: il totemismo, la grande dea terra, madre di tutti i viventi, l’adorazione di luoghi e in luoghi particolari (come le grotte).

Lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento portano al sorgere di una religione dei cicli vitali basata su una coppia divina dea madre-dio fertile che rappresentano l’avvicendarsi delle stagioni (naturali e della vita).

La divinità femminile non è che la dea madre originale che incarna la fertilità della natura che però ha ora bisogno della figura fertilizzante del dio maschio per poter dare corso alla sua potenza generatrice.

La divinità femminile, la natura, rappresenta la prima fase della vita umana, quella in cui le ridotte orde di uomini si appropriano dei frutti naturali, vegetali e animali. La seconda divinità rappresenta lo stadio in cui l’uomo comincia a produrre i propri mezzi di produzione, si da alla caccia grossa e poi all’allevamento e all’agricoltura.

Vediamo culti simili in tutto il Mediterraneo: Iside e Osiride in Egitto, Cibele e Attis in Asia minore, Ishtar e Tammuz in Babilonia, ma anche Afrodite e Adone nella Grecia classica.

Con il sorgere del potere centrale del palazzo, i totem dei singoli clan lasciano il passo al totem unico: il toro. Ma il sorgere di un nuovo modo di produzione e dunque di nuove relazioni sociali non conduce alla scomparsa immediata dei culti legati a fasi precedenti, che si mescolano alla nuova ideologia, in una più o meno lunga fase di passaggio. Nel caso di Creta il toro viene a incarnare gli aspetti di potenza generatrice della coppia divina fino a divenire la divinità principale dell’isola.

Ma oltre a incarnare le divinità precedenti, il toro vi si contrappone, riflettendo lo sviluppo delle forze produttive, che con il sorgere del settore industriale, superano il dominio dei tempi e dei capricci della natura.

I contadini devono obbedire alla natura per seminare e raccogliere, ma gli artigiani e i tecnici sono più liberi di scegliere quando e come produrre. La forza del toro si contrappone alle stagioni, ai tempi obbligati della campagna, rappresenta una forza naturale urbana, non a caso adorata a palazzo, non nelle grotte. Più cresce il peso della produzione non agricola e della pianificazione statale più la figura del toro diviene comune. Minosse aveva ormai imposto il suo regno.

All’apogeo del regno minoico, il legame tra il sovrano e il toro è talmente forte da risultare quasi ossessivo. Le corna di toro comparivano in affreschi, ceramiche, come fregi dei palazzi. I giovani (maschi e femmine) dovevano sottostare al potere del toro, saltandolo nel pericoloso rito di passaggio della taurocataplasia, per entrare nel consesso dei cretesi adulti.

Passando per le ampie e pericolose corna dell’animale il giovane ne traeva la forza, ma allo stesso tempo vi si sottometteva, divenendo suddito del re-toro, Minosse. Questo avveniva probabilmente nello spazio centrale del palazzo-santuario (non si conservano templi minoici: i luoghi di culto erano i palazzi stessi) alla presenza del re, supremo sacerdote.

I miti classici conoscono e tramandano questa religione. Una delle fatiche di Eracle sarà appunto la cattura del toro selvaggio cretese. Come animale totemico il toro era anche l’animale sacrificale [15].

E' molto probabile che per l’uccisione rituale del toro venisse usata l’ascia bipenne (labrus in cretese, da cui la parola labirinto, “casa delle asce”) e che i sacerdoti e i fedeli ne bevessero il sangue in rithon a forma di testa taurina.

L’uso dell’ascia acquisiva senso pensando che la sua forma ricorda le corna del toro che dunque veniva ucciso dalla sua stessa forza imbrigliata dalla ragione del suo figlio prediletto, suo sacerdote, secondo la legge classica delle religioni ancestrali di uccidere il simile col simile.

Se con la nascita dello Stato e dunque del potere assoluto di Minosse l’importanza del totem toro diviene quella di una divinità, le altre figure totemiche si riducono invece notevolmente d’importanza, anche se si trovano ancora figure di animali totemici sacrificali.

Al contrario, il toro espande il suo “raggio d’azione”. In molti miti, ovviamente di origine cretese, Zeus stesso è raffigurato come un toro e il suo essere toro ne simboleggia la possanza e la fertilità.

Minosse è appunto figlio di Zeus che in forma di toro avrebbe rapito e sedotto una bellissima fanciulla dell’isola, Europa, che diede alla luce, oltre al re di Cnosso, Radamanto e Sarpedonte, gli altri sovrani di Creta, alleati o nemici di Minosse, a seconda dei racconti.

La natura semidivina o divina tout court del sovrano palaziale è una costante di queste società, non solo mediterranee. Nel caso di Minosse colpisce la forza con cui questo attributo viene tramandato dalla storia. Sembra che il rapporto tra il padrone degli uomini e quello degli dei fosse davvero continuo. In tutto il poema omerico Minosse è l’unico di cui viene detto esser stato educato personalmente da Zeus.

D’altronde il re di Creta doveva aver avuto protettori anche tra altri dei, considerando che la leggenda narra come alla morte del padre adottivo fu scelto come re e legislatore della stessa Creta, perché, invocando un segno da parte degli dèi, ottenne che Poseidone facesse uscire dal mare un bellissimo toro bianco (ovviamente). Minosse dunque, in quanto preferito dagli dei vince la lotta con i fratelli, altri monarchi dell’isola. Più calvinisticamente diviene il predestinato in quanto sottomette a sé tutti gli altri palazzi.

Il toro non dà solo origine alla dinastia grazie a Zeus e a Poseidone, ma ne tramanda la stirpe. Sappiamo infatti che la moglie di Minosse, Pasifae, resa pazza di amore per un toro (cos’altro…), riesce grazie a Dedalo ad accoppiarsi con lui dando luogo al celebre Minotauro, essere mezzo uomo e mezzo toro.

Rinchiuso nel labirinto, il toro-uomo si ciba di altri uomini, inviati come tributo dai popoli sottoposti a Cnosso. Questo personaggio rappresenta una fase importante della storia minoica. La sua uccisione a opera di Teseo re di Atene segnala che l’Attica non è più sottomessa a Creta. L’eroe umano uccide l’uomo-toro, il totem della dinastia minoica. La morte del Minotauro segna la fine della civiltà minoica e il suo ingresso nell’orbita delle monarchie micenee.

La testa del toro, in quanto simbolo del potere assoluto minoico, incuteva timore ai cretesi ma anche a molteplici altre popolazioni del Mar Egeo. Non a caso Talos, leggendario gigante di bronzo, guardiano meccanico dell’isola, dono di Zeus a Europa (o secondo altre leggende a Minosse stesso) aveva la testa di toro.

La leggenda si presta a numerose interpretazioni ma sembra abbia anche una derivazione storica: Talos sarebbe stato il capo degli ispettori di Cnosso, inviato a ispezionare i villaggi per verificare l’andamento della produzione e l’applicazione delle leggi. Quale metodo migliore per condurre a termine questo compito che presentarsi al villaggio con una testa di toro quale copricapo?

Non possiamo sapere, ovviamente, se davvero un temuto Talos abbia mai fatto visita a un villaggio presentandosi con corna taurine alla cui vista i poveri abitanti del villaggio si sarebbero prostrati: il toro, simbolo del dio, simbolo del re scendeva tra loro. Non ha senso aspettarsi conferme storiche dirette dei miti, ma questi ci dicono comunque moltissimo delle vicende storicamente avvenute.

Tramite la civiltà micenea, le leggende cretesi sono giunte alla Grecia classica e fino a noi. Sebbene Cnosso fosse un lontano ricordo già ai tempi di Esiodo e Omero, rimase l’eco della sua potenza. Come ricordato, colpisce infatti il gran numero di miti dell’Ellade classica riferibili a Creta come personaggi e ambientazione. Lo stesso Zeus, si è visto, sarebbe nato a Creta (in una grotta) che dunque anche per i greci classici rappresentava la culla della propria civiltà.

Quanto a Minosse, che Omero chiama “beneamato interlocutore ed amico di Zeus”, lo ritroviamo sia nell’assedio di Troia sia nelle opere di storici e filosofi greci come Tucidide, Platone, Aristotele, concordi nel descrivere il suo dominio incontrastato dell’Egeo, la sua saggezza, la sua potenza, così leggendarie da entrare persino nella Divina Commedia. Il sovrano cretese avrebbe esteso il suo potere alla Licia e a diversi arcipelaghi egei, avrebbe compiuto spedizioni in Asia Minore, Sicilia, Libia.

Per vendicarsi dell’assassinio del proprio primogenito Androgeo, avrebbe fatto una spedizione in Attica, impossessandosi dell’isola di Megara, assediando Atene a cui impose il famoso tributo di sangue rotto al fine da Teseo.

Dei re di Cnosso, dicevamo, si accenna anche nella narrazione della guerra di Troia in cui la flotta cretese, guidata da Idomeneo, figlio di Deucalione, terzogenito di Minosse, è la terza per importanza nella spedizione. Non solo, ma il mito lega le casate micenee a Creta. Narra infatti che dal figlio di Minosse, Crateo discesero anche i micenei (gli atridi erano dunque nipoti di Minosse), una discendenza storicamente probabile.

Della civiltà minoica e delle sue cerimonie religiose molto ci dicono gli affreschi, a sfondo, appunto, politico-religioso. La cultura minoica era intrisa di naturalismo. Le città e i palazzi minoici erano immersi in boschi, ininterrottamente digradanti dalle montagne, in un rapporto con la natura ancora organico.

L’emergere del potere assoluto del re-sacerdote-pianificatore è certo visibile, ma in forme meno aggressive che altrove. Gli affreschi non narrano le gesta del re-dio, come in Egitto, ma il rapporto dell’uomo con la natura e dunque con la sua massima espressione, il toro. Si alternano scene di vita civile a scene di vita religiosa. Le raffigurazioni degli dei non incutono il timore delle divinità orientali ed egiziane.

Quanto alle liturgie, a Cnosso, il supremo sacerdote era il re stesso, automaticamente figlio di dio e dio esso stesso, che partecipava alle liturgie portando il simbolo del suo potere, la bipenne.

L’ordine sacerdotale era invece in un primo tempo femminile, segno che la religione del toro non aveva ancora preso il sopravvento. Solo quando la religione ginecocentrica della dea madre cadde in declino (si ricordi l’episodio della regina Pasifae pazza d’amore per il toro), l’elemento maschile si fece più presente e importante, anche se i sacerdoti maschi furono per secoli vestiti da donna.

Un aspetto importante della religione minoica è la sua sensualità. Le sacerdotesse non nascondevano il proprio aspetto corporale dentro vesti abbondanti, come poi faranno per millenni e fanno tuttora.

Al contrario, indossavano striminzite pelli di animali e vesti che lasciavano abbondantemente al vento seni e braccia. Gli affreschi e le statuette ci rimandano sacerdotesse, musicanti (donne), dee di una sensualità prorompente e incredibilmente moderna.

Tanto più la sessualità della dea è prorompente, tanto più il suo sguardo magnetico e penetrante. C’è una famosa raffigurazione di dea (la “piccola statuina dei serpenti”) che stringe due serpi nelle mani, insieme il male e l’uomo, dominati dalla sua splendida sensualità.

Basta fissare il volto di questa miniatura per rendersi conto di quale fosse il ruolo della donna nella società minoica. Femminili fino al midollo, dee e sacerdotesse dominavano il simbolo fallico per eccellenza. Altro che freudiana invidia del pene: nude e armate, seni al vento e mani che brandivano un’ascia immersa nel sangue del toro, ecco un’immagine comune nella Creta del secondo millennio avanti Cristo.

La sensualità emergeva anche nei riti. Vi sono indicazioni di danze e canti, a tratti orgiastici, tutti a predominanza femminile. Le cerimonie si svolgevano all’aperto fino all’emergere della religione del toro, che li condusse all’interno dei palazzi.

Il sacerdozio femminile rifletteva l’emancipazione generale delle donna nella Creta minoica. Oltre a filare la lana, le donne fabbricavano vasellame, andavano a caccia, guidavano i carri tirati da buoi, assistevano agli spettacoli e vi prendevano anche parte, compresa la pericolosissima taurocataplasia.

Ancora nella Creta neo-palaziale i diritti civili dei sessi, per esempio nel matrimonio, erano identici e sia il nome sia il patrimonio di famiglia era trasmesso ai figli dalla madre. La discendenza matrilineare si rifletteva sulla legittimità dei figli.

Secondo quanto riportato da Erodoto, se una donna cretese sposava uno schiavo, i figli erano considerati legittimi; se invece era un cittadino cretese a sposare una schiava o una straniera, i suoi figli erano privi di ogni diritto. Anche il mito ci parla metaforicamente di questa condizione: persino il potente Minosse si trovò a mal partito tradendo la moglie Pasifae, peggio di quanto successe a lei nella stessa circostanza.

Gli affreschi ci rimandano anche di cerimonie paragonabili alle olimpiadi, con gare di pugilato, lotta, forse corsa dei carri. Sappiamo dagli scavi che gli atleti, come poi nei giochi ad Olimpia, venivano da diverse regioni greche, compresa l’Attica. Probabilmente si trattava di giochi in onore del dio toro.

E' difficile stabilire quanta fu l’influenza che queste proto-olimpiadi ebbero sulle successive manifestazioni elleniche di questo tipo. Di sicuro, considerando la cultura greca classica nel suo insieme, possiamo riscontrare molteplici derivazioni cretesi, a dimostrazione che la civiltà minoica rimase per secoli dopo la propria scomparsa un faro per tutto l’Egeo.

La crisi

Gli studiosi si interrogano sulle crisi che, a intervalli di circa un secolo, hanno colpito la società minoica fino alla più catastrofica, che pose fine alla civiltà di Cnosso, nel 1400 a.C. Un tempo la teoria “sismica” e la teoria “politica” si contrapponevano. Secondo alcuni il palazzo era crollato semplicemente per il terremoto, secondo altri per sommosse o invasioni. Probabilmente i due fattori interagirono.

Dopo tutto, se il re non era in grado di intercedere presso gli dei per evitare i terremoti, a che pro restargli soggetti? La prima distruzione sismica, come visto, ebbe effetti insignificanti sui palazzi, che furono ricostruiti meglio di prima. Ma a partire da circa il 1500 a.C. la società minoica sembra aver esaurito tutte le sue potenzialità. Il surplus agricolo e industriale non cresceva, gli scambi con gli altri popoli venivano sempre più ostacolati dall’affacciarsi sui mari di altre potenze, soprattutto del Peloponneso.

Nei suoi avamposti continentali, la civiltà minoica si fonde con la nascente civiltà micenea. I racconti e i miti ci narrano di un carattere pacifico di questa fusione: come visto, il mito vuole che i re di Sparta e Micene siano discendenti di Minosse, ma quali che siano questi rapporti, nel XV secolo a.C. i micenei conquistano rapidamente tutta l’isola.

La Creta minoica, civiltà palaziale “pura”, diviene una Creta micenea, parte integrante di quell’epoca di transizione, con caratteri palaziali ma già orientata al mondo schiavile. Si utilizza il lineare B, armi micenee, navi micenee, una cultura che non è in grado di mantenere ai fasti del passato. L’arte declina, molti palazzi non vengono ricostruiti. Per l’economia non cambia molto: si tratta di una struttura palaziale e Cnosso continua a essere il centro politico dell’isola, base della pianificazione agricola e artigianale.

Questo regno minoico-miceneo va avanti per circa un secolo, mentre la distruzione finale a opera di tribù doriche è collocata dagli studiosi tra il 1350 e il 1250 a.C. Dopo aver preso Micene e Tirinto, queste tribù salpano per Creta e vi si danno a saccheggi, incendi e distruzioni. Sono forse gli stessi “popoli del mare” che assalirono l’Egitto.

La civiltà micenea di Creta è piegata dal ferro di queste popolazioni guerriere e poco raffinate. I superstiti scappano in montagna. Ai nuovi padroni dell’isola nulla interessava dei palazzi e dei rapporti di produzione che ne scaturivano. Finì dunque la pianificazione dell’economia, il lavoro coatto divenne schiavitù.

Le donne persero il loro prestigio, anche per il maggior peso dell’elemento bellico (esistono fortificazioni micenee sull’isola). L’arte si fece stilizzata e povera, manieristica. Ai geniali artisti di Cnosso si sostituirono scadenti artigiani. Al culto del toro e dell’ascia il pantheon classico. Probabilmente i nuovi arrivati ignoravano che il mito poneva proprio a Creta il luogo di nascita dell’onnipotente Zeus.

Quale fu in conclusione, la causa della decadenza della civiltà minoica? Come per tutti i modi di produzione, la sua incapacità di sviluppare le risorse materiali a disposizione della società.

Le società palaziali nascono in un’esplosione produttiva, grazie alla centralizzazione del sovrappiù sociale e alla pianificazione del lavoro produttivo. Queste condizioni tuttavia, una volta impiantate, rimangono statiche. A quel punto, l’evoluzione della società viene a dipendere da fattori esterni, dalla capacità di aggredire nuove terre e di resistere alle aggressioni altrui.

Finché la flotta minoica riuscì a dominare l’Egeo, Cnosso fiorì. Ma non appena l’espansione territoriale si fermò e cominciò l’arretramento, Cnosso non fu più in grado di difendere l’isola. Finì così, dopo circa cinque secoli, la prima civiltà europea che dimostrò che il benessere di una società può fare a meno del mercato e della moneta. Il livello di sviluppo delle forze produttive non permetteva invece ancora di fare a meno di burocrati, Stato, repressione e privilegi. Per quello bisognerà attendere la nostra epoca e la rivoluzione socialista.

Bibliografia

Cfr Il mito del Minotauro e Il mito di Dedalo e La mitologia


[1] Tradizionalmente il sovrano che rese Creta potente è tramandato con il nome di Minosse che però, come “Faraone” nella Bibbia, potrebbe essere un nome proprio derivante da un titolo oppure, come il kaiser, un titolo derivante da un nome proprio. Quello che sappiamo è che in lingua cretese il termine minos indicava il sovrano. (torna su)

[2] Si pensi che il terremoto del 1856 comportò la distruzione di oltre 3500 case ad Iraklion, la capitale moderna che sorge a pochi passi dal palazzo di Cnosso. Secondo Plinio, il terremoto del 368 a.C. distrusse 60 delle 100 città cretesi. (torna su)

[3] Questo è chiaramente indicato dalla presenza delle tombe a tholos (ampia camera mortuaria unica circolare). (torna su)

[4] In proposito occorre osservare che sebbene Cnosso sia sempre stato di gran lunga il centro più importante, i dati sono discordanti circa la possibilità che ogni palazzo incarnasse una vera monarchia o piuttosto l’ombra lunga di Minosse, per il tramite di vicerè e altri funzionari. Il mito racconta che i capi dei palazzi erano fratelli il che potrebbe non essere lontano dal vero. Anche perché le tribù alleate si definivano spesso come sorelle o figlie. (torna su)

[5] Un’ipotesi simile, con riferimento allo Stato asiatico dei faraoni, viene avanzata da Mendelssohn in L’enigma delle piramidi, la cui costruzione richiese e allo stesso tempo permise la nascita dello Stato. (torna su)

[6] Come detto, è difficile stabilire se Cnosso fondò gli altri palazzi o li prese a forza. Di sicuro la forma e le proporzioni dei palazzi sono le stesse, anche se Cnosso è notevolmente più ampio (da 3 a 5 volte). Senz’altro i progettisti venivano dalla stessa scuola e gli elementi di similitudine sono ovunque. Inoltre, le cretule (ovvero le unità di base della contabilità palaziale) in Lineare A indicano che questi centri erano tra loro in contatto e che Cnosso coordinava anche le loro attività. (torna su)

[7] A dimostrazione del fatto che lo sviluppo delle forze produttive permesso dalle risorse dell’isola fosse notevole si può citare il fatto che l’attuale capitale di Creta non ha molti più abitanti della Cnosso di allora. (torna su)

[8] Nulla è dato sapere sulla eventuale decentralizzazione di queste attività produttive tra i diversi palazzi, anche se è ragionevole supporre che solo i palazzi principali avessero le dimensioni minime per sviluppare un’attività industriale avanzata, mentre le ville servivano a controllare l’afflusso di sovrappiù dalle diverse zone del paese al palazzo. (torna su)

[9] Non vogliamo affermare che i palazzi cercassero davvero un’equivalenza precisa negli scambi. Il valore di scambio non aveva ancora sussunto i valori d’uso e probabilmente i re si facevano vanto di poter regalare più di quello che ricevevano in cambio, anche se possiamo presupporre, la generosità altrui non fosse affatto sgradita. Sembra che tra i doni che i faraoni fecero ai re di Cnosso vi fossero anche guardie nubiane, a dimostrazione che lo Stato egizio fosse più esperto di quello cretese in fatto di repressione sociale. Occorre anche ricordare che il modo di produzione asiatico, una volta giunto al suo apogeo, è una società statica che sopravvive in quanto non sviluppa “pulsioni commerciali”, ovvero proprietà privata significativa dei mezzi di produzione. Per evitare che tali pulsioni si sviluppassero si doveva dar corso a attività di sperpero del sovrappiù sociale in forme che simboleggiassero nello stesso tempo la potenza del monarca. Bene si prestavano a questo le piramidi o le tombe micenee, non solo per la quantità abnorme di lavoro umano necessario a costruirle, ma anche per l’ingente quantità di prodotti che vi trovavano inutile destinazione (almeno prima di essere trafugati). Non a caso l’unica forma di riserva di valore rinvenuta in resti minoici, alcuni talenti di bronzo ciprioti, erano ornamenti di tombe, non ricchezza da spendere. (torna su)

[10] Lo vediamo nell’enorme quantità di magazzini presenti nel palazzo, in cui veniva conservata la grandissima parte del sovrappiù agricolo dell’isola. (torna su)

[11] Alexiou, p. 131. (torna su)

[12] Questo potrebbe anche spiegare le diverse figure geometriche dei pitoi. (torna su)

[13] Per un’introduzione alla teoria di Leontiev si veda L. Pasinetti, Lezioni di teoria della produzione, (1975). (torna su)

[14] Per una descrizione e analisi di queste tecniche vds. AA VV, Soviet Planning. Principles and Techniques, (1972). (torna su)

[15] Ricorda ad esempio il già citato Ovidio che Minosse, toccando il suolo dei Cureti, sciolse i voti fatti al padre Zeus Giove con l’offerta di cento tori. (torna su)


a cura di Csepel - Xepel

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015