LA MITOLOGIA GRECA
Aspetti generali e introduttivi


Quando si prende in esame un mito non si deve aver la pretesa di risalire alle possibili origini storiche o culturali che possono averlo generato, per la semplice ragione che il mito non è una materia prima, ma un prodotto derivato, i cui componenti sono così artificiosi e ingarbugliati che praticamente è impossibile scomporli nelle loro singole unità.

Un mito non è nato vero e col tempo è divenuto falso, ma è nato falso ed è divenuto sempre più incomprensibile. Al punto che oggi di tanti miti conserviamo soltanto alcune frasi fatte, usate a mo' di banali paragoni: p.es. "bello come un Apollo" o, al femminile, "come Venere", "astuto come Ulisse", "forte come Ercole", oppure "essere una megera" o "un narcisista", ecc. Siamo talmente lontani dai miti che ci ricordiamo solo quelli che abbiamo studiato sui banchi di scuola, anche perché nella odierna letteratura infantile, giovanile o nella cinematografia o nei cartoons per adolescenti i miti hanno nomi vicende e ambientazioni molto diversi.

E tuttavia la mitologia greco-romana fa parte della storia della cultura ed è stata fonte inesauribile d'ispirazione per una schiera innumerevole di artisti, dai pittori ai poeti. Persino ai tempi del Manzoni si discuteva se continuare o meno a riconoscere dignità culturale alla mitologia classica.

Quando Freud elaborò per la prima volta la teoria del complesso di Edipo (e poi quella del complesso di Elettra), dimostrando che un mito lontanissimo nel tempo poteva riacquistare un grande valore psicologico per il presente, la tragedia di Sofocle riacquistò improvvisamente un grande valore artistico. Questo a riprova, se ancora ci fosse bisogno di dirlo, che una curiosità intellettualmente stimolata può dare frutti insperati.

I miti sono come delle carte da gioco che vanno rimescolate e ridistribuite ai giocatori che le sanno interpretare con arguzia o ironia. La cosa più bella è arrischiare delle interpretazioni suggestive, del tutto opinabili, che favoriscano la riflessione. L'abbiamo fatto coi miti di Aracne, Minosse, Dedalo, Polifemo e Ulisse.

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Non si può che sorridere al leggere le avventure degli eroi ed eroine e soprattutto degli dei della mitologia greca. Eppure nella nostra stessa civiltà borghese tantissima produzione mediale risente delle caratteristiche fondamentali di quell'antica mitologia, ovviamente mutatis mutandis.

Basti pensare a come il cosiddetto "pubblico" viene indotto a considerare gli attori cinematografici, gli atleti sportivi, gli eroi di libri o fumetti per giovani (tradotti immancabilmente in film), ma si pensi anche ai successi editoriali di Luciano de Crescenzo, tutti impostati sulla riscoperta per lo più in forma ironica dei miti classici, ma anche al modo stesso di fare politica che hanno taluni personaggi di governo, privi di riserve mentali quando si tratta di paragonarsi a "superman" o al "messia".

La cosa strana è che per molti secoli la religione cristiana (sia essa cattolico-romana o protestante) ha creduto di poter ovviare alle "favole" del mondo pagano introducendo il realismo delle vite dei santi o la teologia della cosiddetta "vita trinitaria", schiere angeliche ivi annesse.

Ma è poi davvero strano questo? Ancora oggi il cristianesimo caratterizza, ideologicamente, tutta la civiltà occidentale, al punto che ci si rivolge tranquillamente a "dio", in occasione di guerre di conquista fatte passare per "missioni di pace", nella speranza di veder esaudite le proprie richieste coloniali o imperiali.

Oggi i governi occidentali usano il cristianesimo alla stessa stregua di come nell'antichità i potentati usavano il paganesimo, persino avvalendosi di forme e modi che il cristianesimo stesso, nei suoi tempi migliori, aveva recisamente condannato. E' come se la mancata realizzazione degli ideali cristiani abbia portato a un revival della mitologia classica, pur nel rispetto formale delle apparenze post-pagane.

Non c'è dunque stranezza in tutto questo, poiché cristianesimo e mitologia hanno più punti in comune di quel che si pensi; solo che per accorgersene bisogna porsi al di fuori del cristianesimo e i primi a farlo, con successo, sono stati i filosofi illuministi del XVIII secolo, che, come noto, o erano atei o vagamente deisti.

Purtroppo, come spesso succede in questi casi, s'è fatta di tutta l'erba un fascio, in quanto dietro la preoccupazione di salvaguardare le verità della ragione non c'è stata analoga preoccupazione di cercare di capire le ragioni di quei miti, pagani e cristiani, le motivazioni psicologiche, culturali o politiche che li avevano generati. Tutto era mito e quindi tutto da cestinare.

A partire dal XIX secolo già tutta la "mitologia cristiana" era entrata nel novero delle scienze dedicate al folklore, allo studio dell'etnologia, sociologia, antropologia della religione. Scienze neonate che, spesso, per motivi di opportunità, non sono mai arrivate a conclusioni che potessero risultare particolarmente scomode alle autorità religiose costituite e agli stessi governi occidentali, costretti a sbandierare nel mondo intero il cristianesimo come fonte della loro superiore civiltà.

Un testo coraggioso come quello di Saintyves Paul, Les saints successeur des dieux. Essais de mythologie chretienne, Paris, 1907, non è mai stato tradotto in lingua italiana. Forse perché l'autore sosteneva con energia che il culto dei martiri e dei santi è di origine pagana. E quanto, in questa trasposizione di miti, abbia influito l'ideologia ebraica divenuta cristiana, è facile immaginarlo.

Non bisogna infatti dimenticare che nel confronto culturale tra ebraismo ed ellenismo, esiste una specifica superiorità ebraica proprio nella capacità di presentare in maniera realistica situazioni in gran parte romanzate. Mentre infatti nella mitologia greca appare subito evidente la costruzione artificiosa, palesemente inverosimile, volta a colpire l'immaginazione, la fantasia dell'ascoltatore o del lettore; viceversa in quella ebraica, generalmente più sobria ed allusiva, le falsificazioni hanno lo scopo di mettere in risalto una verità che si vuole presumere storica, connessa a vicende più di popoli o etnie o tribù che non di individui singoli o di piccoli gruppi parentali.

Tant'è che spesso si ha l'impressione che nella cultura ebraica la falsificazione abbia, in definitiva, lo scopo di coprire, mascherare situazioni o eventi che potrebbero risultare contraddittori alle scelte "mitologiche" successivamente compiute, o comunque a scelte diciamo "impopolari", in quanto la mitologia -anche nella cultura ebraica- viene sempre usata dalle classi dominanti come arma per rabbonire le istanze emancipative delle masse.

Nelle società antagonistiche la mitologia, e quindi ogni tipo di religione, può essere tranquillamente considerata come una forma di narcotico atto a far sognare paradisi perduti o comunque a far evadere dalle frustrazioni del presente.

Sotto questo aspetto ci pare poco significativa la differenza tra miti e leggende; al massimo si può accettare quella di miti e utopie, avendo quest'ultime, in genere, lo scopo non tanto di falsificare la realtà, quanto di far sperare, per lo più ingenuamente, in una realtà diversa.

I miti e le leggende sono sempre stati usati per confermare un presente non per negarlo, facendo leva sull'innata fantasia umana, sulle straordinarie capacità oniriche di cui gli esseri umani sono dotati per natura, in virtù delle quali spesso s'illudono di poter ovviare alle contraddizioni del loro tempo.

Nei miti la fantasia serve per edulcorare una realtà segnata dagli antagonismi sociali. Nelle utopie invece vi è il tentativo di credere che forse si potrebbe sperare in una società migliore, se solo questo sogno fosse socialmente condiviso.

Non ci piace neppure l'idea di considerare i miti come discorsi chiusi in se stessi e le teologie come discorsi "aperti" al confronto incessante tra uomo e dio. Sarebbe come dire che i miti di un bambino sono delle favole proprio perché si tratta di un bambino, mentre le teologie dell'adulto possono vantare delle verità proprio perché vengono elaborate da persone adulte. Miti e teologie appartengono, in realtà, al novero delle leggende e la differenza che li separa è solo di forma (nelle teologie p.es. vi sono delle tesi da dimostrare, il che potrebbe essere interpretato come una forma non di superiorità intellettuale ma di insicurezza esistenziale).

E' evidente che le favole per bambini, somministrate dai loro genitori, non possono avere la medesima complessità di quelle somministrate agli adulti da parte dei poteri costituiti.

Il fatto che la cultura occidentale abbia creduto, per molti secoli, che la mitologia cristiana non sia stata una vera e propria mitologia, ma una vera e propria storia, non toglie nulla alla convinzione che nella storia del cristianesimo la mitologia ha assolutamente svolto un ruolo preponderante, al punto che risulta quasi impossibile discernere la verità dalla finzione.

Fa parte appunto dell'ideologia ebraica, come già detto, far credere vero ciò che è falso, utilizzando, allo scopo, gli artifici dei dettagli storici, degli avvenimenti popolari, mentre la mitologia di origine greca, non avendo alle spalle una consolidata tradizione di popolo, si preoccupa più di stupire con "effetti speciali" (ieri la retorica linguistica, oggi anche la multimedialità), avendo chiaramente un mero scopo di svago emotivo, di intrattenimento intellettuale, in cui l'identificazione tra aspettative del singolo e vicende mitiche non raggiunge mai profondità particolarmente esistenziali.

Il dramma di Abramo che sacrifica Isacco è infinitamente più complesso di quello di Agamennone che sacrifica Ifigenia: là era il senso di una colpa personale che aveva portato all'infanticidio, qui è il senso d'impotenza umana nei confronti del destino.

Con ciò ovviamente non si vuol sostenere che il cristianesimo non abbia operato un benefico "repulisti" di tutte le falsità della mitologia pagana; si vuol semplicemente sostenere che in questa sorta di epurazione razionale spesso e volentieri non s'è fatto altro che rimpiazzare un'obsoleta e ingenua mitologia con un'altra decisamente più sofisticata.

Purtroppo l'accesso riservato a fonti e alle stesse lingue latine greche ed ebraiche, ha fatto sì che il popolo cristiano non abbia mai avuto gli strumenti (in Europa praticamente solo a partire dalla Riforma sono cominciati gli studi critici) per mettere in discussione tale operazione intellettuale.

La chiesa romana ha dominato incontrastata per molti e molti secoli proprio a motivo d'un monopolio culturale sulla lingua scritta. Inevitabilmente questo potere ha impedito di fare studi critici sul passato pre-cristiano, quello di origine pagana, che ci avrebbe permesso di capire quale e quanta dipendenza esiste del cristianesimo nei confronti della mitologia classica.

Tutti i miti costruiti intorno alla figura di Gesù Cristo sono di origine pagana. Forse l'unico documento che la chiesa cristiana non è riuscita a manipolare è la sindone, nei confronti della quale si guarda bene dal considerarlo attendibile: infatti se la sindone è vera i vangeli mentono.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Storia antica