Pascoli e Ulisse

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Demitizzare gli eroi e i loro cantori

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Filippo Palizzi, Pastorella

Pascoli non ha pietà dell'Ulisse omerico e ne ridimensiona alquanto le velleità leggendarie: da eroe mitico lo trasforma in un disadattato sociale, in un poveruomo senza identità.

Quando Odisseo rivede la terra dei Ciclopi "gli sovvenne il vanto / ch'ei riportò con la sua forza e il senno, / del mangiatore d'uomini gigante"(XVIII, 10-12). E si rivolge, con la mente, all'aedo Femio (cantore della reggia di Itaca, qui già morto), per dirgli che, nel passato, aveva vissuto in quest'isola un momento di "gloria" (più avanti si cruccerà di non riavere Femio nella stessa grotta di Polifemo, a cantare per l'ennesima volta la sua gloriosa impresa).

Al vedere quell'isola pare gli sia tornata la voglia di fare spacconate, bravate da pirata intellettuale, avido di rapine e di sberleffi ai danni degli ingenui. Proprio come allora dice ai suoi compagni: "le voglio prendere al pastore, / pecore e capre; ch'è, così, ben meglio"(XVIII, 25 s.).

E si vanta di due cose: d'aver accecato il ciclope e di non aver subito alcuna conseguenza dalla maledizione che Polifemo gli lanciò, di perdere in mare i suoi compagni e di non ritornare ad Itaca. "Or sappia che ho compagni e che ritorno / sopra nave ben mia dal mio ritorno"(XVIII, 32 s.).

Ulisse vorrebbe comportarsi come allora: attraccare per rapinare il pastore. Raccomanda i compagni di nascondere la nave, temendo che quello possa colpirla con un masso, come cercò di fare l'ultima volta. E di restarvi di guardia, mentre lui solo, con "Iro il pitocco", sarebbe andato a far visita al "mostro" (si noti l'astuzia di portare con sé questa volta, temendo il peggio, un personaggio del tutto spregevole e insignificante. Iro fu un mendicante di Itaca ucciso dallo stesso Ulisse, perché portava a Penelope i messaggi dei Proci; qui il Pascoli ne fa il ritratto di un ladro affamato e senza scrupoli).

La descrizione della grotta è troppo realisticamente bella per non essere riportata per esteso: "E i due meravigliando / vedean graticci pieni di formaggi, / e gremiti d'agnelli e di capretti / gli stabbi, e separati erano, ognuni / né loro, i primaticci, i mezzanelli / e i serotini"(XIX, 18-23).

Improvvisamente appare una figura del tutto assente nel poema omerico: una donna, la moglie del pastore, in atto di allattare il figlio più piccolo.

Lei si mostra subito molto ospitale, ma Ulisse, schiavo dei pregiudizi, compie la prima gaffe e le chiede: "dunque l'uomo [riferendosi a Polifemo] a venerare apprese / gli dei beati, ed ora sa la legge, / benché tuttora abiti le spelonche, / come i suoi pari, per lo scabro monte?"(XIX, 33-36).

E quella, gentile ma non ingenua: legge, religione, di che parli? "Ognuno alla sua casa è legge, / e della moglie e de' suoi nati è re. / Ma noi non deprediamo altri: ben altri, / ch'errano in vano su le nere navi, / come ladroni, a noi pecore o capre / hanno predate. Altrui portando il male / rischiano essi la vita. Ma voi siete vecchi, e cercate un dono qui, non prede"(XIX, 38-45).

Si noti come l'accenno alla "legge" e alla "religione" abbia fatto scattare nella mente della donna (qui la stessa del Pascoli) l'equazione "civiltà=ingiustizia". Ingiustizia che si maschera col diritto formale e con il culto ossequioso degli dèi: la civiltà di pochi truffatori che vorrebbero campare a spese di molti onesti lavoratori.

Ma Pascoli è anche fine psicologo, poiché scrive che Ulisse, al sentire quelle parole, "verso Iro... ammiccò: poi disse: - Ospite donna, ben di lui conosco / quale sia l'ospitale ultimo dono -"(XIX, 46-48).

Ulisse saccente, che presume di sapere... Ulisse ironico, che "ammicca", che sa come raggirare i gonzi e quindi anche quella povera contadina e pastorella.


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Aggiornamento: 21 giugno 2005 - Homolaicus - Il mito di Ulisse