Pascoli e Ulisse

Home
Su


Demitizzare gli eroi e i loro cantori

I - II - III - IV - V - Testo

Ad un certo punto, e siamo alla fine del canto XIX, il pastore torna finalmente dalla campagna, e mentre "Iro in fondo s'appiattò tremando (XIX, 57), la moglie invece "gli venne incontro, e lo seguiano i figli / molti, e le molte pecore e le capre..."(XX, 2 s.).

In mezzo a tutti quei belati, alte grida, fischi, gemiti (XX, 6 s.), "l'uomo vide il vecchio eroe che in cuore / meravigliava ch'egli fosse un uomo"(XX, 9 s.).

Il "vecchio eroe", il "superuomo", che non sapeva riconoscere l'uomo comune, normale, naturale, che ora, generoso, lo invita a mangiare...

Ma Ulisse insiste; era venuto per rubare e se ora non è proprio il caso, che almeno gli sia dato modo di vantarsi della sua prodezza sul ciclope. "Io sapea d'un enorme uomo gigante / che vivea tra infinite greggie bianche, / selvaggiamente, qui su i monti, solo / come un gran picco; con un occhio tondo..."(XX, 17-20).

Il pastore lo ascolta come se parlasse di cose insensate ed è costretto a ridimensionarlo: "Venni di dentro terra, io, da molti anni; / e nulla seppi d'uomini giganti"(XX, 22 s.).

Ulisse insiste nella descrizione dell'occhio e, in particolare, sul fatto che Polifemo era un uomo così grande da poter scagliare delle pietre in mare, dall'alto di una montagna.

Ma il pastore non ha voglia d'ascoltare favole e, rivolgendosi alla moglie, le chiede di fargli mente locale: "Non forse è questo che dicea tuo padre? / Che un savio c'era, uomo assai buono e grande / per qui, Telemo Eurymide [un profeta che viveva tra i ciclopi], che vecchio / dicea che in mare piovea pietre, un tempo, / sì, da quel monte, che tra gli altri monti / era più grande; e che s'udian rimbombi / nell'alta notte, e che appariva un occhio / nella sua cima, un tondo occhio di fuoco..."(XX, 34-41).

Dunque un semplice vulcano in eruzione. Di che parla Ulisse? Vaneggia come un mitomane? Possibile che non si renda conto che gli episodi di cui va narrando non appartengono alla realtà ma solo alla sua immaginazione? O forse si son rivoltate le parti ed è il pastore che lo prende in giro?

Ulisse però non demorde e di nuovo domanda: "E l'occhio a lui chi trivellò notturno?"(XX, 43). "Ed il pastore ad Odisseo rispose: / Al monte? l'occhio? trivellò? Nessuno. / Ma nulla io vidi, e niente udii. Per nave / ci vien talvolta, e non altronde, il male"(XX, 45-47).

Quindi se accecamento ci fu, nessuno più lo ricorda. In tutta semplicità il pastore ha smontato non solo la mitologia classica, ma anche le fantasticherie intellettuali e politiche di quanti con l'inganno vorrebbero dominare il mondo.

Ci piace immaginare che il pastore sia stato talmente furbo da usare la parola "nessuno" nello stesso identico modo in cui la usò Ulisse per ingannare Polifemo. Se "Nessuno" ha fatto qualcosa, perché "Qualcuno" dovrebbe ricordarlo?

Ma non vogliamo forzare i testi: qui piuttosto sembra che il pastore svolga la parte di uno psicanalista che lascia parlare il proprio paziente affinché si liberi delle proprie ossessioni.

Sarebbe comunque interessante immaginare, in chiave surreale, che il pastore sia lo stesso Polifemo, che Ulisse, da vecchio, rivede com'egli era sempre stato: un semplice pastore di pecore, e che solo un interesse di parte aveva voluto trasformare in un mostro orrendo. Il racconto del Pascoli è così moderno che potrebbe essere proseguito in mille modi diversi.

Senza considerare ch'esso si conclude addirittura in maniera comica, allorché, concluso il dialogo tra i due, "dal fondo Iro avanzò, che disse: / - Tu non hai che fanciulli per aiuto. / Prendi me, ben sì vecchio, ma nessuno / veloce ha il piede più di me, se debbo / cercar l'agnello o rintracciare il becco. / Per chi non ebbe un tetto mai, pastore, / quest'antro è buono. Io ti sarò garzone"(XX, 48-54).

Non ci è dato sapere dal Pascoli che fine fece questa curiosa richiesta, ma se questi sono i valori della civiltà mercantile, se questa è la dignità di chi segue le leggi e i culti religiosi, è facile immaginarselo.

Nei primi versi del canto XXI la mesta partenza di Ulisse dall'isola dei Ciclopi. Le presunte verità dell'eroe sono state duramente mortificate, ed egli ora è solo, chiuso nella sua tristezza. "E il cuore intanto ad Odisseo vegliardo / squittiva dentro, come cane in sogno: / Il mio sogno non era altro che sogno; / e vento e fumo. Ma sol buono è il vero"(XXI, 13-16).

Omero aveva mentito, ma il cantore Femio gli aveva fatto da eco tante di quelle volte che persino l'attore principale di questa epopea s'era convinto che la finzione fosse realtà, come un attore hollywoodiano che s'immedesima talmente nella parte da non sapere più chi è.


Home ] Su ] Testi ] Immagini ] Ricerca nel sito ]

Inviare a Galarico un messaggio contenente domande su questo ipertesto.
Aggiornamento: 21 giugno 2005 - Homolaicus - Il mito di Ulisse