STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


LA QUESTIONE DEL POTERE NEL TRECENTO

Giuseppe Bailone

Arresto di papa Bonifacio VIII

La generale crisi del Trecento coinvolge anche il papato e l’impero, le due grandi istituzioni medievali universali, da tempo in conflitto per l’egemonia e adesso costrette a misurarsi con sempre più consistenti poteri nazionali, come le monarchie d’Inghilterra e di Francia, e con i Comuni.

Il Trecento si apre significativamente con il conflitto tra Bonifacio VIII e il re di Francia: il papa subisce una pesante umiliazione personale e, pochi anni dopo la sua morte, nel 1308, il nuovo papa Clemente V trasferisce la propria sede in Avignone, sotto l’influenza della monarchia francese.

La lotta per il potere coinvolge e divide anche la cultura, sollecitandola a produrre argomenti e teorie di legittimazione delle opposte pretese di primato.

Il pensiero teocratico è antico ed affonda le sue radici nei secoli in cui la società occidentale ha avuto solo nella Chiesa l’istituzione che in qualche misura ha conservato una parte del patrimonio culturale dell’antichità e qualche forma d’organizzazione della vita civile. Anche la rinascita dell’idea di un potere politico universale risente di questo primato di fatto del potere religioso: l’impero rinasce “sacro” nel Natale dell’800 con una cerimonia che, almeno formalmente, lo subordina al papato.

La rinascita economica e civile dopo il Mille cambia le cose: il potere politico laico si autonomizza ed apre il conflitto per l’egemonia, a partire dalla questione delle investiture dei vescovi-conti. Le novità culturali del Duecento mettono in crisi il potere culturale della Chiesa e alimentano il pensiero critico nei confronti delle pretese teocratiche culturali e politiche. Germina in questo contesto anche il pensiero politico democratico.

Agli inizi del Trecento Egidio Romano ripropone a sostegno di Bonifacio VIII la tradizionale tesi teocratica della pienezza del potere (plenitudo potestatis) papale, di origine divina, sia in campo spirituale che civile: la superiorità dei fini spirituali su quelli mondani assicura a chi ha autorità sull’anima la superiorità su chi ha autorità solo sui corpi. Qualche decennio prima aveva spiegato, con argomenti aristotelici e tomistici, al suo allievo e futuro re Filippo il Bello l’origine naturale dello Stato, ma, anche, la sua subordinazione al potere spirituale.

Dante ricava, invece, dalla diversità dei fini spirituali e mondani la necessaria autonomia del potere politico dal potere spirituale: l’imperatore risponde direttamente a Dio, e non al suo vicario terreno, del suo compito nel piano della provvidenza divina. Con la teoria dei “due soli” (condannata dal papa avignonese Giovanni XXII nel 1329) propone per il potere la separazione che, negli stessi anni, Duns Scoto teorizza tra la fede e la filosofia: papato ed impero hanno entrambi in Dio la sorgente del loro potere, ma in autonomia reciproca e con finalità diverse.

Guglielmo di Occam e Marsilio da Padova, entrambi accusati di eresia, si difendono dagli attacchi del papa Giovanni XXII (1316-1334), mettendosi sotto la protezione dell’imperatore Ludovico il Bavaro, e dimostrano l’infondatezza di quella pienezza del potere che il papa proclama di aver ricevuto da Dio.

Occam non solo svincola il potere politico dalle dipendenze papali, ma svuota il potere papale anche in campo spirituale: il potere del papa è ministrativus non dominativus. Non solo il papa non ha la pienezza del potere (plenitudo potestatis) nelle faccende di questo mondo, ma non ce l’ha neppure in materia spirituale. La legge di Cristo è legge di libertà e il papa deve rispettarla, mettendosi al servizio della Chiesa, non dominandola. La Chiesa è la libera comunità dei fedeli, non una struttura di potere. Cristo non volle fondare nessun regno, ma una libera comunità finalizzata alla salvezza spirituale dei suoi membri. La Chiesa è una comunità storica, che vive attraverso i secoli consolidando il suo patrimonio di verità; non può essere sciolta da nessuna volontà umana e durerà fino alla fine dei secoli. Solo la Chiesa come comunità universale dei fedeli di tutti i tempi è infallibile. Il papa può sbagliare e anche i concili possono cadere in errore.

L’impero, sostiene Occam, fu fondato dai Romani, prima ancora dell’avvento di Cristo, poi passò ai Franchi e, in seguito, ai Tedeschi: il diritto dell’elezione imperiale spetta, quindi, ai principi di Germania.

Marsilio da Padova (1275-1343), aristotelico averroista, elabora un pensiero politico particolarmente originale.

La separazione di fede e ragione, di sapere sacro e sapere profano, lo porta a distinguere nettamente le leggi religiose da quelle politiche: le prime mirano alla salvezza dell’anima, le altre tendono ad assicurare la pace tra i cittadini; le prime prospettano per trasgressori pene nell’aldilà, le altre in questo mondo. Tra le prime, egli, con “audace novità rispetto a tutti i precedenti scrittori”,[1] mette accanto alla legge mosaica e a quella evangelica anche quelle di Maometto e dei Persiani.

L’influenza aristotelica lo porta a valutare le leggi istituite dal potere politico in base alla loro finalità, il bene comune, la vita buona della comunità politica, la pace tra i cittadini, invece che alla luce della legge divina eterna, secondo la teoria del diritto naturale, influenzata dall’idealismo platonico e dal razionalismo stoico.

Una buona nozione di giusto diventa legge solo se ha carattere coercitivo, se a proporla è un potere in grado di imporla e di farla rispettare. La legge è un comando o un divieto.

Come le nozioni di giusto e di utile diventano leggi solo se assumono la forma di precetti coattivi, così possono diventare leggi anche le nozioni false di giusto e di utile se assumono forma di precetti coattivi. Leggi ingiuste, ma leggi. Non possono, però, dirsi leggi perfette.[2]

Abbiamo qui una prima espressione di quello che si chiamerà positivismo giuridico: la legge è imposizione, è comando coattivo dello Stato, e la sua origine è puramente umana.

Le leggi umane “provengono direttamente dalla volontà (arbitrium) della mente umana”.[3]

Non è difficile vedere in questa teoria un’espressione secolare del volontarismo teologico che ha in Occam e in Duns Scoto i suoi esponenti più prestigiosi. La volontà che Marsilio individua alle sorgenti delle leggi è quella del popolo: “Noi diciamo che legislatore ossia causa effettiva prima e propria della legge è il popolo, ossia la collettività (universitas) dei cittadini o la parte più importante (valentior pars) di essi, che per sua scelta ossia volontà espressa con parole nell’adunanza generale dei cittadini ordina ossia determina di fare o di omettere una cosa riguardante gli atti civili umani con minaccia di pena o supplizio terreno”.[4]

E’ questa la prima teoria della sovranità popolare.

Il popolo di Marsilio non è quello che intendiamo oggi: è quello del Comune italiano, dove la valentior pars sono i membri delle corporazioni, i soli ad avere tutti i diritti politici. Pesano in questa concezione sull’origine del potere legislativo le condizioni storiche, ma, anche, l’influenza di Aristotele, molto critico nei confronti della democrazia “di massa” di Atene e favorevole a una sua correzione in senso elitario.[5]

Se la fonte del potere è la volontà popolare, l’esercizio del potere, però, non può essere arbitrario, ma deve realizzarsi nel rispetto delle leggi. Come Tommaso, Marsilio riprende da Aristotele il principio dello Stato di diritto, ma, mentre in Tommaso la legge cui il sovrano deve sottostare è sia la legge positiva che quella naturale, per Marsilio la legge è quella voluta dal popolo sovrano.

Le leggi nascono dal potere popolare, al fine di promuovere la pace civile, ma il potere si esercita nei termini stabiliti dalle leggi.

Compito dello Stato è quello di assicurare la pace, di eliminare i conflitti tra i cittadini. E’ alla luce di questo fine che le leggi si possono giudicare giuste o ingiuste. E’ questo un punto che Hobbes, tre secoli dopo, mette a fondamento della sua teoria politica.


[1] Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, vol. 1, ed. Il Mulino Bologna 1966, pag. 302.

[2] Defensor pacis, I, 10,5

[3] Defensor pacis, I, 12, 1

[4] Defensor pacis, I, 11, 3

[5] Sulla concezione aristotelica della democrazia si possono vedere le pagg.141-144 del n° 1 dei “Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino”  Viaggio nella filosofia. La filosofia greca.


Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Comuni e Signorie - La peste - Il Trecento


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015