STORIA DEL MEDIOEVO
Feudalesimo e Cristianesimo medievale


LA CRISI EUROPEA DEL TRECENTO

Filatura (miniatura di un salterio del XIV sec., Londra, British Museum)

La crisi economica europea del XIV secolo anticipò, in un certo senso, quelle che vari secoli dopo sarebbero diventate le crisi cicliche, di sovrapproduzione, del capitale industriale.

La produzione commerciale era sostanzialmente iniziata con la nascita dei Comuni e aveva coinvolto non solo i settori di lusso, ma anche il tessile, iniziando a sconvolgere l'economia agricola basata sull'autoconsumo.

Questo tipo di produzione, basata sul primato del mercato, che si serviva di una manifattura sparsa e centralizzata, influì enormemente sulle motivazioni che avevano scatenato le crociate, i cui esiti, per quanto politicamente fallimentari, furono favorevoli allo sviluppo dei commerci con l'oriente.

La borghesia, nuova classe emergente, aveva saputo fare quattro cose importanti:

  1. opporsi efficacemente alle rivendicazioni feudali degli imperatori tedeschi;
  2. ridimensionare il potere dei grandi proprietari terrieri, sviluppando città politicamente autonome;
  3. trovare un'efficace mediazione con gli interessi dell'alto clero cattolico;
  4. appoggiare quei sovrani che, con ambizioni nazionali, erano disposti a favorire le attività mercantili e a riconoscere alla stessa borghesia un certo peso politico.

Il ceto borghese voleva arricchirsi velocemente e il prezzo delle contraddizioni del proprio sviluppo voleva farle pagare soprattutto ai contadini e agli operai di città.

Questa situazione idilliaca, per il capitalismo commerciale e proto-industriale (manifatturiero), con ampi risvolti finanziari, in quanto la borghesia era diventata la principale fonte di finanziamento dei grandi sovrani, ebbe un'improvvisa e inaspettata battuta d'arresto agli inizi del Trecento, cioè proprio nel momento in cui la grande borghesia voleva far pesare politicamente la propria differenza da quella piccola e media, pretendendo che il Comune si trasformasse in Signoria.

Generalmente gli storici sostengono che la crisi del Trecento fu dovuta al fatto che la produzione agricola non riusciva più a seguire il ritmo troppo serrato della crescita della popolazione, che raggiunse appunto la punta massima tra il 1280 e il 1300.

Tesi, questa, come si può ben vedere, di tipo malthusiano, che assegna le maggiori responsabilità non ai ceti proprietari di terre e capitali, ma a quelli che, non disponendo che della propria forza-lavoro, non erano in grado di coltivare la terra con mezzi e metodi avanzati, disboscavano selvaggiamente le foreste e, invece di andare a bonificare le terre paludose o di mettere a frutto quelle incolte, preferivano tentare la fortuna nelle città, salvo poi ritrovarsi in condizioni peggiori delle precedenti.

Quando poi, come storici, si è costretti ad ammettere che a partire dalla metà del XIII secolo s'era andata affermando la pratica delle recinzioni delle terre comuni (enclosures), per trasformarle in pascoli, in modo da poter produrre la materia prima per le fiorenti industrie tessili (p.es. i landlord inglesi per gli industriali delle Fiandre), si evita accuratamente di considerare questo fenomeno come una delle principali cause della proletarizzazione dei contadini, che divenne massiva quando da quelle "comuni" i nobili passeranno alle terre "private".

La ricchezza di un territorio dipende dal lavoro dei suoi abitanti, ma è evidente che se questi vengono espropriati dei loro mezzi produttivi, gli introiti dovuti a nuove metodiche di produzione finiscono solo nelle casse dei proprietari, sicché anche se la ricchezza di pochi aumenta, quella generale diminuisce enormemente.

La crisi del Trecento non arrivò perché la popolazione aumentava più della produzione agricola, ma per ragioni del tutto diverse:

  1. all'aumento della popolazione non corrispose in maniera adeguata una redistribuzione della proprietà della terra;
  2. la forbice tra prezzi agricoli e prezzi artigianali-manifatturieri si allargava progressivamente a danno del mondo rurale;
  3. nelle campagne la conduzione della terra, a causa dei condizionamenti urbani, assumeva sempre più caratteristiche "mercantili", che venivano inevitabilmente a penalizzare il tradizionale autoconsumo (la rendita si trasforma da naturale a monetaria; lo sfruttamento intensivo della terra ne riduce la fertilità; l'introduzione delle monocolture aumenta la dipendenza dai mercati; la trasformazione degli arativi in pascoli riduce il bisogno di manodopera...);
  4. le difficoltà crescenti del mondo rurale a sopportare i ritmi crescenti del profitto commerciale del mondo urbano, diminuirono notevolmente le capacità di assorbire la produzione borghese, che divenne ben presto eccedente rispetto ai bisogni effettivi;
  5. i costi proibitivi dell'amministrazione statale, ivi inclusi quelli militari, avevano indotto i sovrani a chiedere enormi prestiti alla borghesia, una parte della quale aveva allestito istituti bancari e finanziari, ma gli enormi debiti contratti rendevano spesso impossibile una loro estinzione.

Purtroppo la crisi del Trecento non venne sfruttata adeguatamente dai contadini e dal proletariato urbano. Tutte le rivolte infatti vennero soffocate nel sangue:  p.es. il tumulto fiorentino dei Ciompi, che pur durò dal 1378 al 1382, non riuscì a impedire all'oligarchia di riprendersi il potere; la rivolta francese detta Jacquerie, nel 1358, portò soltanto a 20.000 morti tra gli insorti. Erano sicuramente male organizzate e tuttavia esse sapranno anticipare le grandi insurrezioni contadine e urbane che contrassegneranno tutta la storia europea dei secoli XVI-XVIII.

La stessa peste, degli anni 1347-50 (più le successive ondate), che pur flagellò enormemente le popolazioni europee, non può essere considerata un fattore in grado di spiegare la crisi economica del Trecento. La carestia, p.es., era già presente molti anni prima, e il morbo non si diffuse prima di tutto tra le campagne, dove non lo si ricordava dai tempi della guerra greco-gotica del VI secolo, ma nelle aree degradate delle città, tra le popolazioni più emarginate.

Il fatto è che gli storici non possono accettare l'idea che uno sviluppo prodigioso del nuovo sistema produttivo, basato sul valore di scambio, potesse improvvisamente conoscere un regresso di così gigantesche proporzioni; sicché fanno di tutto per attribuirne la causa non a fattori endogeni, interni a tale sistema, ma a fattori esogeni, riguardanti il vecchio mondo feudale, ritenuto ancora troppo immaturo rispetto alle esigenze dei nuovi tempi.

In molti manuali scolastici non ci si accorge neppure di una stridente contraddizione relativa alle migliorie nel modo di gestire la produzione agricola: da un lato infatti si sostiene che lo sviluppo impetuoso della borghesia fu anche dovuto al fatto che nelle campagne s'era introdotta la rotazione biennale e triennale delle colture, si era migliorata notevolmente l'efficienza dell'aratro e dell'aratura dei campi, si era diffuso l'utilizzo dei mulini a vento e ad acqua; dall'altro però, quando si deve trovare una spiegazione all'inaspettata crisi trecentesca, si sostiene che i sistemi di coltivazione erano troppo arretrati rispetto alle esigenze produttive della borghesia.

In altre parole, il progresso della tecnologia viene visto in maniera del tutto separata dai conflitti di classe che favorirono quello stesso progresso, sicché quando subentrano le prime gravi crisi strutturali dello sviluppo economico, gli storici non le addebitano ai conflitti di classe, ma alla stessa tecnologia, il cui progresso viene ritenuto del tutto insufficiente.

Si è addirittura attribuita la causa della crisi europea ai mutamenti climatici, che effettivamente provocarono dal 1315 al 1317 pesanti allagamenti e alluvioni, e si è sostenuto che tali mutamenti possono essere stati generati dagli indiscriminati disboscamenti delle foreste da parte dei contadini.

Tuttavia, anche se vi sono stati disastri ambientali, questi non possono essere considerati una "causa" della crisi economica, bensì un "effetto", proprio perché è il "disboscamento" in sé che va considerato un'espressione della crisi economica. E' incredibile che uno storico consideri "positivo" il disboscamento quando p.es. esso serve per assicurare i mezzi di trasporto alla borghesia, e lo consideri "negativo" quando invece viene utilizzato dai contadini per esigenze di abitabilità o di mera sopravvivenza.

Non può essere fatta ricadere sul mondo rurale la responsabilità dei disboscamenti e quindi dei mutamenti climatici, quando all'origine di tali fenomeni vi erano pressioni economiche estranee agli ambienti rurali. Condizioni atmosferiche sfavorevoli al mondo contadino vi sono sempre state nell'alto Medioevo, ma le carestie erano semmai provocate dalle guerre. La singolarità delle carestie del XIV secolo stava appunto in questo, ch'esse erano presenti in tempo di relativa pace. Le crociate e la lotta per le investiture ecclesiastiche erano già finite. E anche se fra Inghilterra e Francia era scoppiata la cosiddetta "Guerra dei Cento anni", questa in realtà fu vista dalla borghesia come una ghiotta occasione da sfruttare per arricchirsi finanziariamente.

Tutte le guerre locali tra Comuni e Signorie, presenti in Italia nel XIV secolo, furono ben poca cosa rispetto alle grandi invasioni barbariche dell'alto Medioevo, tant'è che se si guarda la curva demografica europea e italiana dall'VIII secolo agli inizi del XIV si noterà che la popolazione era triplicata.

Probabilmente le classi emergenti nel Trecento non riuscivano a capacitarsi della nascita di un fenomeno senza precedenti storici, e cioè il fatto che la fame invece di diminuire al crescere del benessere progressivo della borghesia e dell'artigianato, andava aumentando. Quanto più si sviluppavano le città, tanto più le campagne finivano in miseria e tanto più nelle città andavano ad allargarsi le fila dei diseredati privi di un vero lavoro, in grado di sopravvivere solo grazie ad espedienti e all'assistenza pubblica, mentre tra le fila del proletariato manifatturiero, essendovi un'eccedenza notevole di manodopera (quella ex-contadina rovinata dalla concorrenza), lo sfruttamento era particolarmente intenso, con salari da fame. I salari si alzarono solo dopo l'arrivo della peste, proprio a causa del decremento demografico.

La crisi del Trecento fu colossale non solo perché le carestie durarono più di un secolo, ma anche perché la peste si portò via come minimo 1/3 della popolazione europea, e soprattutto perché la borghesia non aveva sufficienti risorse per risolvere il fenomeno, inedito, della sovrapproduzione; era infatti una borghesia priva di quegli immensi territori coloniali di cui potrà disporre solo a partire dal 1492.

I mondi slavo, bizantino, arabo e turco avevano impedito alla borghesia euro-occidentale di crearsi un proprio dominio coloniale in oriente, salvo le eccezioni, geograficamente limitate, di Genova e soprattutto di Venezia. La situazione collassò proprio nel momento del suo massimo sviluppo, e da questa crisi la borghesia riuscirà a risollevarsi solo accentuando, internamente, il proprio monopolio produttivo e l'assolutismo politico dei propri sovrani (dalle Signorie ai Principati), e solo dopo, esternamente, aver sterminato le civiltà precolombiane in America latina, e dopo aver occupato alcuni punti strategici (scali portuali) lungo le coste africane e asiatiche.

UN'OCCASIONE MANCATA

Nel Trecento si ebbe la possibilità, in tutta l'Europa occidentale, di dire basta allo sviluppo della borghesia, ma non vi si riuscì, per mancanza di determinazione politica e di chiarezza negli obiettivi strategici.

Non furono sufficienti né le continue sconfitte subite in Medio oriente a partire dalla quinta crociata, che fecero recuperare ai turchi i territori perduti e che permisero ai bizantini di riprendere fiato per almeno altri due secoli.

Né bastarono le ondate devastatrici della peste che, a partire dal 1348, sterminarono, sino alla metà del XV secolo, un terzo della popolazione europea.

Tanto meno furono decisivi i crolli finanziari dei maggiori banchieri italiani: Bardi e Peruzzi, d'importanza europea, che avevano legato la sorte dei loro capitali alle guerre condotte da Firenze contro Verona e Lucca e soprattutto dal sovrano inglese contro i francesi nella guerra dei Cent'anni (1337-1453).

Per tutto il Trecento vi furono anche terribili carestie, provocate non solo dalle continue guerre, dalla trasformazione capitalistica delle campagne (che intensificava, impoverendoli, lo sfruttamento dei suoli e che trasformava l'autoconsumo in monocolture commerciali) e dai mutamenti climatici, cui si accompagnarono continue rivolte sociali, non solo rurali, ma anche urbane.

Praticamente dalla rivolta contadina nelle Fiandre (1323-28) alla rivolta contadina dei Lollardi inglesi (1381), l'Europa occidentale fu in un continuo stato di tensione: non erano solo i contadini a combattere contro l'esosità dei loro feudatari o fittavoli, che esigevano rendite monetarie sempre più elevate, che trasformavano gli arativi in prativi per vendere la lana delle pecore, che occupavano abusivamente le terre comuni a disposizione di tutti i contadini, che obbligavano quest'ultimi (dopo averli ridotti di numero) a rinunciare all'autoconsumo e a vendere solo per il mercato; erano anche gli ex-contadini divenuti operai che, nelle città, lottavano contro i loro nuovi sfruttatori: gli imprenditori tessili, i quali, a fronte di una manodopera sempre più numerosa e che non erano in grado di assorbire, imponevano salari da fame e condizioni subumane di vita, le quali, peraltro, giocheranno un ruolo decisivo nella diffusione della peste. Lottavano anche contro un nuovo sfruttatore: lo Stato, che esigeva sempre più tasse per sostenere il proprio apparato burocratico e militare (quest'ultimo spesso in guerra).

Nonostante questi immani disastri, la borghesia non ne uscì affatto sconfitta. Vacillò, è vero, ma poi si riprese, diventando più forte di prima. Infatti si formarono potenti Stati nazionali, in grado di conquistare molti territori extra-europei.

Praticamente con la fine della guerra dei Cent'anni (1453) la Francia aveva posto le basi del futuro capitalismo dell'intera Europa. L'Italia aveva iniziato il processo economico della borghesia intorno al Mille, insieme alle Fiandre e alla Lega anseatica, sfruttando i tre più importanti mari europei: Mediterraneo, del Nord e Baltico. Ma assolutamente decisiva, per le sorti dell'Europa, fu la vittoria della Francia borghese contro l'Inghilterra feudale, tant'è che proprio in forza di questa vittoria la stessa Inghilterra fu costretta a ridurre notevolmente i poteri della propria aristocrazia e a trasformarsi progressivamente in nazione borghese e centralizzata: ci vollero però la sanguinosa guerra delle Due Rose (1455-85) e la rivoluzione del 1688.

Alla svolta impressa dalla Francia si opposero, vanamente, la Spagna e l'Impero asburgico, entrambi usciti sconfitti dalla guerra dei Trent'anni (1618-48), anche se con Carlo V ebbero la meglio in Italia dal 1494 al 1559 (pace di Cateau-Cambresis), impedendo ai francesi di mettervi piede sino a Napoleone. Occupata dagli spagnoli e tagliata fuori dalle rotte commerciali nel Mediterraneo (dopo il 1453) e nell'Atlantico (dopo il 1492), l'Italia tornerà ad essere un paese sostanzialmente feudale, almeno sino all'unificazione nazionale.

Difficilmente comunque la penisola avrebbe fatto una fine migliore se fosse stata occupata dai francesi nel 1494 con la discesa di Carlo VIII. L'intenzione non era certo quello di unificarla, rendendola sovrana indipendente, e tantomeno di eliminare lo Stato della chiesa (che peraltro i francesi post-napoleonici difenderanno, per tenere l'Italia divisa, sino all'unificazione). Semplicemente la Francia avrebbe utilizzato buona parte della penisola come una propria colonia da sfruttare.

D'altra parte né la Spagna né l'Impero asburgico costituivano un'alternativa allo Stato borghese francese. L'enorme impero di Carlo V non era che un castello di carte, che si reggeva in piedi grazie agli introiti provenienti dalle colonie sudamericane. Ideologicamente, essendo controriformista, era fuori tempo massimo rispetto alle tendenze borghesi e protestantiche dell'Europa del Nord. Ebbe la meglio in Italia solo perché qui esisteva la frantumazione degli Stati regionali o Principati. Il feudalesimo del suo Impero non costituì mai un'alternativa alla rivoluzione economica borghese, proprio perché la nobiltà represse sempre molto duramente qualunque rivolta contadina e appoggiò sempre la chiesa romana in lotta contro le eresie.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia medievale
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Aggiornamento: 01/05/2015