IL SENSO DELL'ACCUSA CATTOLICA DI DEICIDIO

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IL SENSO DELL'ACCUSA CATTOLICA DI DEICIDIO

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Se si prendono alla lettera i vangeli canonici, l'accusa di deicidio, rivolta agli ebrei, diventa inevitabile. E fa bene Walter Peruzzi a sostenere che "l'idea del 'deicidio' come responsabilità collettiva di tutto il popolo ebreo, che lo marchia e giustamente lo espone alla persecuzione, alla discriminazione e alla diaspora, non è un'idea di qualche isolato padre della Chiesa ma una sorta di opinione comune della Chiesa fin dai primi secoli cristiani. Essa venne formulata in modo ufficiale e solenne a metà del V secolo da Leone I Magno..."(Il cattolicesimo reale, Odradek ed., Roma 2008, p. 275).

Gli ebrei hanno ucciso il "figlio di dio" sapendo che lui si dichiarava tale. E non si sono mai pentiti d'averlo fatto. Sotto questo aspetto, l'antisemitismo dei manipolatori del quarto vangelo raggiunge il livello più alto, nell'ambito del Nuovo Testamento. Non c'è alcuna possibilità di dialogo tra il Cristo e i suoi interlocutori, che difendono le radici del giudaismo.

L'accusa di deicidio è equivalente a quella di ateismo, benché gli ebrei dichiarino di essere sempre stati monoteisti. In sostanza sono gli stessi vangeli che, avendo la pretesa di sostenere che Cristo era un dio, cioè sostituendo una questione politica con una teologica, finiscono inevitabilmente col diventare antisemiti. E' infatti impossibile perdonare un popolo che uccide il figlio del dio onnipotente, che come tale si pone, in piena autoconsapevolezza, per l'intero genere umano. Neanche se si pentissero, potrebbero essere perdonati, a meno che non smettessero d'essere ebrei e diventassero cristiani, come fece il fariseo Saulo di Tarso.

Ma oggi che farebbe un ebreo che volesse rinunciare alla propria confessione restando però credente? Quale delle tre confessioni cristiane accetterebbe: ortodossa, cattolica o protestante? Se guardiamo i grandi geni dell'umanità: Spinoza, Marx, Freud, Einstein, Chaplin..., vien da pensare che molto probabilmente un ebreo oggi diventerebbero ateo.

Forse anche per questo la chiesa cattolica ha smesso di considerarli deicidi: in un mondo secolarizzato quell'accusa non ha più senso, anzi rischia di far passare gli ebrei come dei campioni di ateismo, che è per detta chiesa ideologia assai più pericolosa che non quella ebraica. Senza poi considerare che gli storici (anche quelli borghesi) tendono a vedere l'antisemitismo degli Stati come una prosecuzione di quello cattolico-romano, ereditato dal protestantesimo. Sicché rientra nell'interesse della chiesa porre cesure nei confronti del proprio passato e rifarsi in un certo senso la verginità.

Nel Concilio Vaticano II essa ha voluto far vedere ch'era disposta a ritirare l'accusa di deicidio, indipendentemente dal fatto che gli ebrei volessero o meno pentirsi del loro delitto. Oggi però possiamo rivedere totalmente i termini della questione, visto che la presunta "divinità" del Cristo risulta essere frutto di una mera interpretazione mistica della tomba vuota.

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Nel mondo imperiale romano l'accusa di deicidio non veniva formulata dalle gerarchie cattoliche semplicemente per distinguere la propria religione da una concorrente, la cui origine geografica comune poteva ingenerare qualche confusione; essa serviva anche per cercare la compiacenza delle autorità romane, che avevano bisogno di una religione affidabile e universale, utile ad aggregare un impero diviso in tante etnie lingue e culture, una religione non localistica come quella pagana, né settaria come quella ebraica, e che soprattutto non fosse in alcun modo politicizzata.

Dovranno passare oltre tre secoli prima che il potere imperiale, con Costantino, si rendesse conto che solo il cristianesimo rispondeva nel modo migliore ai requisiti richiesti. E in quel momento l'ebraismo non era stato considerato neanche lontanamente come una possibile alternativa. Semmai a Cristo alcuni imperatori preferirono l'antico dio del Sole, detto Mitra, del mondo indopersiano.

Tuttavia l'antisemitismo andò crescendo a dismisura anche dopo la svolta liberale di Costantino, in quanto gli ebrei, avendo perduto definitivamente la loro nazione e venendo esclusi per principio da cariche pubbliche e da altre professioni di rilevanza sociale, s'erano dovuti arrangiare a svolgere mansioni d'ogni genere, anche quelle proibite dalla legislazione cristiana, o comunque moralmente vituperate (come p.es. l'usuraio). Con l'inevitabile conseguenza ch'essi avevano finito col sentirsi una comunità ingiustamente discriminata, quando non addirittura perseguitata, perennemente sulla difensiva, intenzionata sempre più a trovare occasioni di riscatto sociale ed economico nei confronti dell'odiato mondo pagano e cristiano. Di qui il crescente risentimento istituzionale e popolare, che s'era innescato come una reazione a catena: quello che proprio non si sopportava degli ebrei erano le grandi capacità intellettuali, vissute in uno spirito settario e in una condizione economicamente agiata.

L'antisemitismo fu però molto più forte in epoca romana che non in quella medievale, proprio perché in quest'ultima (almeno sino alla fase altomedievale), non essendovi rapporti sociali basati sullo scambio economico dei beni ma sull'autoconsumo, le occasioni di riscatto per la popolazione ebraica erano inevitabilmente ridotte al minimo. Non a caso la comunità ebraica tornò di nuovo ad arricchirsi dopo la nascita dei Comuni, quando cominciarono a imporsi meno vincoli morali allo sfruttamento economico di risorse altrui, umane e materiali. E non a caso proprio a partire dal Mille riprese vigore un acceso antisemitismo, la cui giustificazione stava anche nel fatto che gli ebrei non erano tenuti dalla loro legge ad avere scrupoli, quando era in gioco il business, nei confronti del "non-ebreo".

Per i cristiani questo era il modo più semplice per scaricare le tensioni che si accumulavano quando i loro ideali venivano palesemente contraddetti da una pratica di tutt'altro tenore (la classe borghese non nasce grazie agli ebrei ma grazie ai cristiani). L'antisemitismo è sempre stato gestito dai cristiani come valvola di sfogo per ovviare a quei conflitti sociali causati dallo sfruttamento del lavoro altrui. La minoranza ebraica (ma analoghi trattamenti venivano riservati anche agli islamici, agli eretici ecc.) veniva letteralmente spogliata di tutti i propri beni. Si partiva da una discriminazione largamente condivisa, per poi colpire chiunque non avesse forza sufficiente per opporvisi.

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Ma cerchiamo di capire meglio l'accusa di deicidio. E' probabile che se si chiedesse a un ebreo che senso ha essere accusato d'aver ucciso un "dio", risponderebbe con un sorrisetto. E' difficile che qualcuno (ebreo o non ebreo) possa avere una consapevolezza del genere, anche perché di regola, nell'antichità, si pensava il contrario, e cioè che fossero gli dèi ad ammazzare gli uomini. Al massimo un ebreo di duemila anni fa poteva avere la convinzione d'aver fatto fuori uno che si proponeva, in maniera illusoria, come liberatore nazionale dal dominio romano. Al di là di una pura e semplice rappresentazione politica del messia non si poteva andare e, se vogliamo, non lo si potrebbe neppure oggi, se si escludono le questioni religiose che i suoi discepoli traditori hanno farcito sopra la sua tomba vuota.

Sotto questo aspetto l'accusa d'aver fatto morire un liberatore nazionale può essere rivolta anche al movimento nazareno, che non fece niente per cercare di liberarlo dalle mani dei suoi carnefici (romani ed ebrei collusi), né fece qualcosa di significativo dopo la sua morte, proseguendo la sua missione liberatrice. Il Cristo fu tradito dai suoi prima e dopo la croce.

L'insurrezione armata dei giudei infatti avvenne circa 30 anni dopo quel tragico venerdì: un tempo sufficiente per permettere ai romani e di organizzarsi e di sferrare un colpo demolitore alla credibilità di Israele. E noi non sappiamo se a quella rivolta giudaica i cristiani abbiano partecipato, in quanto la tradizione pervenutaci li vede rifugiarsi come pecore a Pella, in attesa che la tragedia avesse fine.

I cristiani (e non a caso smisero di chiamarsi "nazareni") erano diventati tanto più anti-giudaici quanto più si allontanava la possibilità di un riscatto politico d'Israele dall'oppressione di Roma imperiale. Anzi, quanto più il cristianesimo rinunciava all'idea di una liberazione nazionale, tanto più i suoi intellettuali, nel delineare le cause della morte del Cristo, evitavano di fare differenze tra un partito politico ebraico e l'altro. Nel quarto vangelo molte volte viene scritto, dai manipolatori di Giovanni, che gli oppositori di Gesù erano, sic et simpliciter, i "giudei", una categoria che veniva usata in chiave non "politica" ma "metafisica".

Qui tuttavia va fatta una precisazione. All'interno del movimento nazareno, subito dopo la morte del Cristo, si scontrarono varie interpretazioni della tomba vuota, finché, ad un certo punto, ebbe la meglio quella petrina, secondo cui il messia, pur essendo indubbiamente morto, era anche "risorto" e sarebbe presto tornato per ridare la libertà alla Palestina.

Pietro cioè aveva offerto una soluzione di compromesso ai capi-giudei: "noi non vi accuseremo di alcun delitto politico, in quanto, secondo noi, la morte di Cristo era inevitabile, voluta direttamente da dio, per motivi che noi non possiamo sapere, però noi vi chiediamo di aderire alla versione definitiva che abbiamo dato circa la sua scomparsa dal sepolcro, considerando quindi Gesù come il vero messia che doveva venire". I partiti giudei, come noto, rifiutarono questa proposta e anzi iniziarono a perseguitare i nazareni, ritenendoli responsabili di diffondere una rassegnazione politica nei confronti dei dominatori stranieri (tra i persecutori farisei, su mandato del sommo sacerdote, vi era lo stesso Saulo di Tarso).

Noi non sappiamo che fine fece la maggior parte degli apostoli, i quali, se si esclude Pietro, sono inspiegabilmente del tutto assenti negli Atti degli apostoli. Quelli che non avevano accettato la sua versione mistica dei fatti o che volevano continuare la battaglia politica, che fine avevano fatto? Nel vangelo supercensurato di Giovanni, tra le righe delle ultime pagine, si può intravedere l'obiezione che alcuni apostoli mossero alle tesi petrine, là dove parlano Tommaso, Maria Maddalena e lo stesso Giovanni Zebedeo. Vi è addirittura un punto (21,18) in cui si fa in qualche modo capire che Pietro sarebbe stato costretto ad accettare, proprio in forza delle sue stesse tesi mistiche, un'evoluzione (paolina) delle cose contro la sua volontà: "quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti". E chi se non Paolo avrebbe snaturato completamente le origini ebraiche del cristianesimo petrino, togliendo ad esso qualunque velleità o reminiscenza politica?

In Paolo l'antisemitismo è venuto formandosi a partire dalla lettera ai Galati, poiché fino a quella ai Romani egli sembrava voler offrire ai Giudei la possibilità di rientrare in una misteriosa prospettiva soteriologica. A suoi giudizio, infatti, il tradimento degli ebrei era servito per far credere ai pagani nell'esistenza di un unico dio: se tutti avessero accettato l'idea che il messia risorto era il figlio di dio incarnato, non ci sarebbe stato alcun motivo di combattersi. I popoli pagani ed ebrei sarebbero diventati contemporaneamente "cristiani".

Paolo comincia a odiare seriamente gli ebrei quando vede che i cristiani provenienti dal giudaismo vogliono imporre alle comunità da lui fondate dei vincoli ch'egli da tempo considerava superati (il primo dei quali era la circoncisione). La lettera ai Galati documenta bene questa sua profonda amarezza. L'odio nei confronti degli ebrei non si poneva a livello politico, poiché questi ebreo-cristiani avevano già accettato le tesi mistiche della resurrezione e della figliolanza divina del Cristo, ma si poneva a livello ideologico.

Tale contrapposizione netta di "civiltà" raggiunge l'apice nel quarto vangelo (restando ovviamente entro i limiti del Nuovo Testamento), là dove i dialoghi tra il Cristo e i giudei sul fatto ch'egli ambiva a dichiararsi dio in virtù delle sue miracolose guarigioni compiute nel giorno vietato del sabato, marciavano su strade parallele, senza mai incrociarsi. Leggendo quel vangelo si arriva prima o poi a un punto in cui è necessario prendere una decisione: o si diventa antisemiti, volendo restare cristiani, oppure, se si parte da posizioni non religiose ma ateistiche, si deve cominciare a dar ragione agli ebrei, in quanto uno storico non può considerare accettabile l'idea di rinunciare a una liberazione nazionale in nome di principi mistici.

In altre parole, il fatto di aver voluto mistificare l'interpretazione politica della strategia antiromana, che il movimento nazareno aveva elaborato al tempo di Gesù, trasformandola in un'opposizione ideologica tra vecchia e nuova religione, tra giudaismo e cristianesimo, tra monoteismo e di-teismo (che poi diventerà tri-teismo), ha indubbiamente contribuito ad alimentare un certo antisemitismo, senza peraltro risolvere in alcun modo i due principali problemi di allora: lo schiavismo sociale e l'imperialismo romano.

L'antisemitismo è stato tanto più forte quanto più si voleva imporre uno scontro di civiltà, in cui la parte politica prevalente, prima quella cattolico-romana, poi quella liberal-borghese, veniva a porsi come fulcro dell'opposizione a qualunque altra civiltà non cattolica o non capitalistica. L'antisemitismo è diventato il pretesto per scatenare un odio universale (e quindi politico) contro qualunque civiltà estranea a quelle dominanti in Europa occidentale e negli Stati Uniti

Oggi l'antisemitismo è venuto meno soltanto perché il dominio dell'occidente (cattolico-protestante e borghese) è assoluto, universale, e solo perché, dopo la catastrofe delle due guerre mondiali, l'Europa occidentale ha dovuto cedere la quasi totalità della propria egemonia militare agli Stati Uniti, i quali si servono proprio di Israele come punta di diamante nel Medio Oriente, al fine di destabilizzare un'area geografica fortemente caratterizzata dall'islam.

Oggi non è più l'antisemitismo il perno attorno a cui far ruotare consensi favorevoli all'egemonia mondiale del capitalismo, ma semmai è l'antislamismo. Infatti l'attuale ebraismo non ha assolutamente da dire nulla contro il capitalismo, anzi, quando viene vissuto nella maniera più laica possibile, ne è una delle espressioni più significative.

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Peruzzi, nel libro citato sopra, s'è limitato a criticare l'antisemitismo dal punto di vista della moderna concezione democratica dei diritti umani, mostrando il lato intollerante della religione cattolica, ma non è entrato nel merito della questione che fece nascere l'antisemitismo cristiano già a partire dai vangeli. Cioè non si tratta soltanto di ribadire il principio dell'uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge (pluralismo confessionale), ma anche di precisare che nella diatriba ebraismo/cristianesimo di duemila anni fa, l'accusa rivolta agli ebrei di aver ucciso un messia che si proclamava "figlio di dio" è storicamente assurda, in quanto il Cristo semmai professava l'ateismo, ovvero l'idea che l'unico dio dell'universo è l'uomo.

Per non parlare del fatto che sul piano politico, se veramente il Cristo si fosse paragonato, in maniera esclusiva, a dio, avrebbero anche potuto esserci delle giustificazioni nella decisione che venne presa di toglierlo di mezzo. Questo per dire che la chiesa romana non va soltanto contestata sul piano giuspolitico (quello in cui è più facile farlo), ma anche sul piano ideologico, entrando nel merito delle questioni teologiche che le appartengono e che vanno affrontate secondo i principi dell'umanesimo laico.

Bisogna anzi chiedersi, visto che gli ebrei hanno voluto giustiziare un messia che si proclamava ateo e comunista, se non sia il caso di riconsiderare in maniera positiva l'accusa di antisemitismo o di antigiudaismo, naturalmente all'ovvia condizione di metterla sullo stesso piano di quella che oggi usano i comunisti nei confronti del capitalismo. Un giudaismo che oppone all'ateismo del Cristo il proprio rigido monoteismo e alla socializzazione dei beni le proprie differenze di classe e di casta, non è meno pericoloso di un capitalismo che, nella sostanza, si comporta nella stessa maniera.

Stiamo ovviamente ragionando per assurdo, poiché quando la chiesa romana parlava di antisemitismo, lo faceva da un punto di vista religioso (gli ebrei avevano ucciso la divinoumanità) e certamente non per perorare la causa del socialismo democratico. La tesi della figliolanza divina del Cristo era servita proprio per negare qualunque valore al comunismo primitivo. Semmai erano gli ebrei che, attendendo un messia politico, ambivano a creare un regno di giustizia su questa terra.

Peruzzi ha avuto il merito di farci capire che l'aumento dell'antisemitismo andò di pari passo all'aumento del potere politico della chiesa romana. Avrebbe però dovuto aggiungere che l'antisemitismo era tanto maggiore quanto minore era la credibilità che le idee cristiane riuscivano a riscuotere nell'ambito della società civile. La storia infatti ci insegna che ogniqualvolta le ideologie non risolvono i problemi materiali delle masse popolari, le istituzioni si servono di diversivi per distrarre l'attenzione di quest'ultime.

Questo spiega il motivo per cui in Europa occidentale l'antisemitismo fu più forte nel Basso che non nell'Alto Medioevo, e spiega anche il motivo per cui, oltre all'antisemitismo, la chiesa romana scatenò le persecuzioni anticlericali e le crociate contro l'islam, e quest'ultime due ebbero sempre un impatto più forte di qualunque pogrom antisemita.

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L'ebraismo, nella forma del sionismo, è diventato un modo per affermare la teologia politica a livello statale. Le conseguenze sono state e sono ancora oggi, sul piano democratico, assolutamente devastanti, specie in considerazione del fatto che si pretende di sostenere una teologia del genere in un'area geografica per definizione pluriconfessionale.

Politiche di questo genere possono trovare le loro giustificazioni solo all'interno di regimi politicamente autoritari, culturalmente intolleranti, eticamente maschilisti e dove regnano sovrani il fanatismo, l'estremismo e l'isolazionismo.

Il sionismo rischia di diventare il carnefice dello stesso ebraismo: questo perché una qualunque religione politicizzata oggi, alla lunga, mina le fondamenta religiose di se stessa. Sotto questo aspetto non vi è molta differenza tra ebraismo e cattolicesimo-romano.

Non si può andare a ritroso nella storia: oggi gli Stati non possono essere che laici, democratici, aconfessionali, tolleranti nei confronti di qualunque religione che chieda di esprimersi in modo da non violare i diritti umani e civili e soprattutto che dimostri di voler restare entro i limiti della libertà di coscienza.

Peruzzi Walter, Il cattolicesimo reale. Attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della chiesa, dei concili, 2008, Odradek

www.cattolicesimo-reale.it

BIBLIOGRAFIA

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018