MARX: IL CAPITALE - Premessa

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


COMMENTO AL CAPITALE

(K. Marx, Il Capitale, ed. Newton Compton, Roma 1976)

Dall'economia politica all'antropologia storica

Premessa

Il grande merito di Marx è stato quello di aver subordinato la filosofia alla politica; il grande torto quello d'aver subordinato la politica all'economia. Tuttavia, nel momento in cui riuscì a mettere a nudo i limiti di fondo, ontologici, dell'economia politica borghese, attraverso Il Capitale, Marx aveva aperto la strada, senza volerlo, alla fine del primato dell'economia sulla politica.

Infatti, proprio il fallimento della rivoluzione socialista in Europa occidentale aveva dimostrato che la fine del capitalismo non sarebbe potuta avvenire con il solo strumento della “critica dell'economia politica”, ovvero sulla base della convinzione che la transizione verso il socialismo era non meno necessaria di quella dal feudalesimo al capitalismo.

Sarà Lenin a dimostrare che il superamento, pur necessario, del capitalismo, sarebbe potuto avvenire se anzitutto si fosse privilegiato lo strumento della politica (tattica, strategia, organizzazione del consenso, ecc.) La tesi del Capitale sulla necessità di superare la contraddizione antagonistica del capitalismo, poteva, in sostanza, realizzarsi affrontando il problema della transizione in maniera rivoluzionaria, privilegiando la sovrastruttura politica sulla struttura economica, senza aspettare che il capitalismo portasse a maturazione le proprie risorse.

La storia dell'umanità, con Marx e Lenin, ha compiuto dei progressi sostanziali. Per superare l'ideologia borghese bisognava cogliere l'uomo nella sua storicità, e Marx riuscì a farlo, ma bisognava coglierlo anche nella sua interezza, e l'economia politica, da sola, non poteva rispondere a questa esigenza.

Sotto questo aspetto, anche il leninismo va superato, poiché i limiti dell'economia politica e del sistema capitalistico se non si risolvono con la critica in sé -come fece Marx-, non si risolvono neppure con la rivoluzione in sé, come Lenin credette di fare, anche se nell'ultimo periodo della sua vita si accorse dell'errore, così come Marx, venendo a contatto col populismo russo, s'accorse d'aver sottovalutato l'importanza della comunità agricola fondata sull'autosussistenza.

La critica teorica è stato il primo passo, la rivoluzione politica il secondo: il terzo passo dovrà essere quello della riscoperta del primato dell'uomo sia sull'economia che sulla politica.

Marx ha trovato l'ontologia dell'economia, Lenin quella della politica, ora bisogna trovare l'ontologia dell'uomo.

Probabilmente la nuova scienza che dovrà preoccuparsi di cercarla sarà l'antropologia storica, cioè una scienza che da un lato valorizzi la storicità dell'uomo e dall'altro la sua globalità di espressioni vitali.

NOTA. Tutte le citazioni del Commento si riferiscono al volume unico di Marx, Il Capitale, a cura di E. Sbardella, prima edizione della Newton Compton, Roma 1976.

Breve analisi del Capitale - I vol.

Il primo libro del Capitale venne pubblicato da Marx nel 1867 ad Amburgo. Il piano iniziale era quello di pubblicarlo come secondo fascicolo di Per la critica dell'economia politica, sulla "Tribune", ma la collaborazione al giornale era stata sospesa. Il secondo e il terzo volume furono pubblicati da Engels. Il quarto volume, che sotto il titolo Teorie del plusvalore comprende un resoconto storico delle dottrine dell'economia politica borghese da Hobbes a Ricardo, venne dapprima pubblicato da Kautsky e poi, in un'edizione più accurata dall'Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca dopo il 1920.

Marx inizia l'indagine del sistema capitalistico con l'analisi del concetto di merce. Nel capitalismo la forma commerciale del prodotto del lavoro è comune e non isolata o casuale come nelle società precapitalistiche. Marx scopre che nella merce ci sono due valori: Valore d'uso (quello che soddisfa un qualunque bisogno dell'uomo) e Valore di scambio (che è il rapporto quantitativo tra una merce e un'altra di diverso tipo: attraverso infiniti scambi si stabiliscono continuamente dei rapporti di equivalenza tra i valori d'uso più diversi).

Base del valore di scambio di due merci diverse è il lavoro. La produzione delle merci è un sistema di rapporti sociali in cui i singoli produttori creano prodotti di qualità diversa (in virtù della divisione sociale del lavoro) e tutti questi prodotti sono fatti uguali l'uno all'altro mediante lo scambio. Di conseguenza quello che tutte le merci hanno in comune non è il lavoro concreto di un determinato ramo della produzione, né il lavoro di una stessa categoria di prodotti, ma il lavoro umano astratto (in generale).

E' questo tipo di lavoro che dà il vero valore alle merci. La grandezza del valore è determinata dalla quantità (o tempo) di lavoro socialmente necessario per produrre una data merce, cioè non è determinata dal tempo "individuale" impiegato da un singolo produttore.

Nel capitalismo una merce non si scambia con un'altra merce, ma si scambia col denaro, che svolge il ruolo di equivalente universale (come prima l'oro). Ad un certo grado di sviluppo della produzione mercantile il denaro si trasforma in capitale. Prima la formula della circolazione delle merci era M (merce)- D (denaro)- M (merce). Ora diventa D-M-D' (ove D' è la somma di denaro originalmente anticipata più un incremento: il plusvalore). Ora si compra non per l'uso ma per la vendita, per il profitto.

Da dove viene questo profitto? Il plusvalore non può scaturire dalla circolazione delle merci, perché questa conosce solo lo scambio tra equivalenti, né può sorgere da un aumento dei prezzi, perché i guadagni e le perdite reciproche dei venditori e degli acquirenti si compenserebbero. Per ottenere plusvalore il possessore di denaro deve trovare sul mercato una merce il cui valore d'uso abbia la proprietà peculiare di essere fonte di altro valore. Questa merce è la forza-lavoro dell'uomo. Il capitalista non paga tutta la forza-lavoro dell'operaio, ma solo quella parte sufficiente all'operaio per riprodurla; contemporaneamente però il capitalista può disporre di questa forza-lavoro per un tempo superiore a quello necessario per riprodursi: è sulla base della differenza di questo tempo che il capitalista realizza il plusvalore. Ad es. in 6 ore l'operaio può creare un prodotto la cui vendita basta a coprire le spese del proprio mantenimento, ma siccome il capitalista gli ha offerto in anticipo un contratto sulla sua forza-lavoro complessiva, ne risulta che nel tempo di lavoro supplementare l'operaio non viene pagato, ma solo sfruttato, per cui il plusvalore non è che pluslavoro non retribuito.

Di per se stessi i mezzi di produzione non rappresentano "capitale", perché lo diventano solo quando servono a sfruttare lavoro altrui. Va inoltre sottolineato -dice Marx- che non è stato il capitalismo a scoprire il pluslavoro, poiché questo esisteva in tutte le società dove una piccola minoranza deteneva il monopolio dei mezzi produttivi. In queste società però non dominava il valore di scambio, ma il valore d'uso del prodotto e quindi, per il carattere stesso della produzione (che era per i bisogni locali immediati) non si aveva un illimitato bisogno di plusvalore.

Naturalmente perché l'operaio venga sfruttato, occorre che sia libero di accettare il contratto (non può quindi essere un servo della gleba o un artigiano nelle corporazioni), ma deve anche essere totalmente privo di mezzi di sussistenza (terra e mezzi produttivi). Cioè egli deve poter esistere solo vendendo forza-lavoro.

L'aumento del plusvalore è quindi possibile in due modi: 1) prolungando la giornata lavorativa (plusvalore assoluto) o 2) riducendo, con la razionalizzazione del lavoro o l'introduzione di nuova tecnologia, il tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza-lavoro (plusvalore relativo).

Marx analizza tre stadi storici nello sviluppo della produttività del lavoro in regime capitalistico: semplice cooperazione, manifattura e produzione meccanica. Quest'ultima ha assicurato la piena vittoria del capitalismo.

Caratteristiche fondamentali del capitalismo (concorrenziale):

  1. crisi di sovrapproduzione, cioè eccesso di beni prodotti, per realizzare profitti, che non possono essere consumati a causa dei bassi salari;
  2. nello stadio industriale avanzato si ha l'eliminazione dei piccoli capitalisti che producono a costi superiori e non riescono a tenere il passo con le innovazioni tecnologiche e la concentrazione dei capitali;
  3. l'accumulazione capitalistica esige l'allargamento della popolazione operaia, ma con l'estendersi della tecnologia si riduce l'impiego di lavoro e si crea una sovrappopolazione relativa, con cui il capitalista tiene bassi i salari degli occupati (quando questa sovrappopolazione diventa assoluta i capitalisti, nel timore d'essere espropriati, tendono a scatenare delle guerre);
  4. legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, ovvero il capitalista, essendo interessato a realizzare sempre maggiori profitti, cerca di introdurre nuovi macchinari, facendo notevoli investimenti: se a questo si aggiunge la difficoltà di piazzare le merci per le limitate capacità di acquisto degli acquirenti o per la concorrenza di altri capitalisti, di avere le materie prime a prezzi ridotti, di avere una classe operaia combattiva - si spiega il motivo per cui il saggio generale del profitto tende ad abbassarsi.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015