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Nascita
dell’espressione laica
I - II -
III - IV
Dario Lodi
Le lotte seicentesche fra Cattolici e Protestanti, causano un clima
d’incertezza culturale che si tenterà di colmare in vari modi. Le questioni
religiose appaiono un pretesto per affermare un’egemonia. La Guerra dei
Trent’anni (1618-1648) determinò una grave crisi demografica ed economica la
crisi economica del territorio tedesco. Nessuna potenza uscì vincitrice dal
conflitto, ma si ebbe la fine delle pretese romane (e del Sacro Romano Impero),
con notevole ridimensionamento degli Asburgo e della Spagna. Ne venne la nascita
di nazioni ufficialmente indipendenti, fra cui la Francia, nuova potenza
principale europea.
L’assenza di un riferimento culturale assoluto, fu vissuta, nelle arti
figurative, con indubitabile disagio, attenuato, di caso in caso, da
approfondimenti sulla materia precedente, con inevitabili conseguenze
nostalgiche, malinconiche, ma anche con scatti originali, potendo la propria
sensibilità svilupparsi a piacere. Si ha, nel ‘700, una rivisitazione barocca
con occhi più attenti, meno legati alla necessità dell’ornamentazione, bensì
ricavando da essa un impulso a licenze espressive.
Antesignano della pur parziale disinvoltura settecentesca è Jacques Callot (1592?-1639), uno dei maggiori incisori di sempre. Divenne famoso
per le sue acqueforti, diciotto tavole intitolate “Le miserie della
guerra”, riguardanti la terribile Guerra dei Trent’anni, ma la sua vera
natura era ironica, sardonica e insieme festosa. Dovette piegarsi a
immagini convenzionali per soddisfare la committenza. Callot, francese,
si formò a Roma (dove ammirò le opere di Annibale Carracci) e a Firenze,
protetto da Cristina di Lorena, presso Giulio Parigi. Fu poi nella natia
Nancy, a Breda, a Parigi e di nuovo a Nancy. Realizzò stupendi
“Capricci” sia religiose sia laiche molto elaborate. La dimostrazione
della sua sfrenata fantasia e del suo desiderio di libertà espressiva è
data da questo “Ballo di Sfesseria” del 1621, ispirato dal glorioso
Teatro dell’Arte italiano. Sfesseria è una località di sua invenzione,
evidentemente derisoria. Molte incisioni di Callot sono custodite dal
Museo teatrale del Burcardo a Roma (Burcardo è il nome italianizzato del
tedesco Johannes Burckardt, vescovo cattolico quattrocentesco, autore di
un’importante storia dei papi del tempo). |
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Altri precursori della libertà d’espressione, sono, con esiti a
volte mirabili, Salomon van Ruysdael (1600-1670), Jacob van Ruisdael
(1628?-1682) e Meindert Hobbema (1638-1709), tre pittori olandesi.
Siamo, genericamente, a esempi di grande rigore tecnico unito a
sperimentazioni nuove, basate sugli effetti della luce sulle cose.
Salomon si specializzò nei paesaggi fluviali. Fece parte della
Corporazione di S. Luca della città di Harleem. Si esercitò dal vivo,
rifinendo poi in studio e miscelando i vari motivi per ottenere un
effetto scenografico affascinante ed equilibrato. Rivaleggiò con Jan van
Goyen, forse più artificiale, meno spontaneo. Si riporta (fig. 1) un suo
“Paesaggio fluviale con pescatori”, 1630 circa, cm. 51,5x83,5 –
Collezione Thyssen-Bornemisza. |
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Il secondo, Jacob van Ruisdael, era nipote di Salomon e medesimo
esploratore della realtà umana a livello materiale, senza sottrarsi a
interpretazioni liriche delle visioni. La questione lirica ha accenti
naturali, ma essi furono accentuati dalla lunga stagione religiosa,
spezzata, indirettamente, dal protestantesimo. Quest’ultimo ebbe alla
base una caratteristica puritana, nella realtà il distacco da Roma
consentì l’avvento del laicismo, nei paesi protestanti, ovvero sua
principale conduzione di vita. Scopo dei principi tedeschi era, infatti,
lo sganciamento dal potere religioso, non dalla religione, sebbene, alla
fine, la religione divenne un fatto privato e la morale una questione
relativa, non assoluta come invece predicava l’istituzione ecclesiastica
romana (ovviamente anche il Cattolicesimo fu, in parte, condizionato
dalla forte novità eretica). Tutto ciò, nella cultura si riflette con
espressioni generalmente malinconiche, con riflessioni interiori che si
manifestano attraverso testimonianze di un afflato personale (ma
composto di motivi, variegati secondo le personalità, legati a una
cultura fatta di riferimenti trascendentali per tutto il Medioevo),
verso il visibile del quale si è responsabili. Jacob, nella sua pittura,
trasmette, con particolare intensità, la percezione di vibrazioni
interne al sentimento, tramutate in vera e propria poesia. Il nostro
artista prepara la grande pittura paesaggistica dei secoli successivi,
lanciando messaggi addirittura all’Impressionismo. Nella foto 2, il suo
spettacolare “Mulino a vento a Wijk-bij-Duurstede”, 1670, cm. 83x101,
Rijkmuseum, Amsterdam.
Il terzo, Meindert Hobbema, era allievo e amico di Jacob van Ruisdael.
Esercitò l’attività di pittore sporadicamente, specialmente dopo essere
stato nominato ispettore all’importazione di vini, ad Amsterdam. Le sue
opere importanti si concentrano nell’arco di dodici anni, i primi del
suo vero impegno pittorico, eppure il suo virtuosismo è semplicemente
straordinario, la sua luce, il suo cromatismo, i colori sfuggenti eppure
concreti, sono inconfondibili. La pittura di Hobbema è sicuramente più
studiata di quella di Ruisdael, ma l’artista riesce a non far pesare gli
artifizi, grazie a una solarità resa con notevole naturalezza. Si veda
la figura 3, “Il viale di Middelharnis”, 1689, cm. 103,5x151, National
Gallery, Londra. |
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Intanto, in Italia, il Barocco seguitava a dare opere devozionali,
spesso molto elaborate. La decorazione veniva sostituita da continue
sottolineature dell’elemento sacro, eseguite con grazia ed eleganza,
parecchie ripetitive e tediose. Pochi artisti fanno eccezione. Uno di
questi è sicuramente Daniele Crespi (1698-1630), di Busto Arsizio (?),
proveniente da una famiglia di pittori (fra cui il Cerano, suo maestro),
morto prematuramente nel corso della peste manzoniana. Si diceva che si
fosse macchiato di omicidio per riprendere al meglio l’agonia, poi
riportata su numerose opere, relative alla “Pietà”, per chiese milanesi
(accusa mai provata). Lavorò molto per la Certosa di Garegnano, a nord
di Milano, un “corpo santo” ora appartenente alla città meneghina. Le
sue tele si distinguono per una specie di cura sofferta, alquanto
animata interiormente e non sempre esibita in modo teatrale. Ne fa fede
questo “Sogno di San Giuseppe”, 1620-1630, olio su tela, cm. 203x297, al
Kunsthistorischen Museum di Vienna. Un’opera straordinaria che rivela un
talento particolare e una passionalità sincera, vissuta profondamente
con grande partecipazione sentimentale. |
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Estremamente prolifico è Giambattista Tiepolo (1696-1770) fra i
migliori artisti del ‘700, autore instancabile di affreschi mitologici e
religiosi, pale d’altare, incisioni. Imparò da Gregorio Lazzarini,
pittore eclettico, e s’ispirò ai grandi maestri veneziani, Tintoretto,
Tiziano, il Bassano, Paolo Veronese. Divenuto famoso, si avvalse
dell’aiuto dei figli Giandomenico e Lorenzo, nonché di Gerolamo Mengozzi
(il Colonna) per le decorazioni e le finte architetture. Fu attivo nella
sua città natale, Venezia, in molte città del Veneto, in ville e chiese,
a Milano, infine in Spagna, chiamato dal re Carlo III per decorare il
palazzo imperiale. Nello spesso palazzo operava Raphael Mengs, il padre
del Neoclassicismo che godette della medesima fama (un’assurdità).
All’epoca, Tiepolo era considerato il miglior pittore d’Europa,
realizzatore ineguagliabile di scene movimentate, aeree,
straordinariamente spettacolari, piene di pathos. Il nostro artista
ricorreva al melodramma (era, poeticamente parlando, il momento di
Pietro Metastasio) e completava, generalmente, la scena con colori
brillanti e con luci favolose. Delle meravigliose macchine teatrali, i
suoi dipinti, che fanno entrare in un mondo fiabesco e nostalgico dove
tutto sembra frutto di un sogno ideale.
Tiepolo ebbe commissioni da
grandi personaggi del tempo, sia laici sia religiosi, ma soprattutto dai
primi. Fu una sorta di imprenditore artistico e le sue opere,
sostanzialmente, risentono del mestiere, hanno scarsa profondità
intellettuale, ma non sono certo prive di sontuosità, di eterea quanto
sicura eleganza e raffinatezza, frutto di grande abilità tecnica, quanto
di acuta attenzione verso l’effetto visivo, con risultati che fanno
spesso gridare al miracolo.
La prima figura si riferisce alla “Caduta
degli angeli ribelli”, 1726, un affresco a Udine nel Palazzo
Patriarcale. La seconda raffigura “Antonio Riccobono”, (importante
umanista rodigino del ‘500), olio su tela, cm. 90x120, anno 1734,
Palazzo Roverbella, Rovigo. Terza figura, uno degli affreschi di Villa
Valmarana “ai nani” presso Vicenza: “Teti consola Achille”, anno 1757.
Infine, la superba “Immacolata Concezione”, anno 1767-1769, cm. 155x281,
Prado, Madrid. |

 
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Due generazioni prima di Tiepolo, fu notevole l’attività, originale,
del bolognese Ferdinando Maria Galli da Bibbiena (noto anche come
Bibbiena, 1657-1743) come architetto, trattatista e soprattutto
scenografo. Maestro di prospettiva, il Bibbiena fu attivo in vari teatri
e chiese (a Fano, Mirandola, Modena, Novellara, Piacenza, Vicenza,
Colorno, Sabbioneta, Collecchio, Cento, oltre a Bologna, ovviamente, e a
Parma, dove fu al servizio di Ranuccio III Farnese e Francesco Farnese
per ben ventitre anni). Nel 1708 fu chiamato a Barcellona, quale
sovrintendente alle feste di nozze per Carlo III d’Austria, fra il 1712
e il 1714 a Vienna, alla corte imperiale. Sorprendenti le soluzioni dei
suoi fondali, capaci di creare ambienti fantastici mai banali. Nella
foto, un esempio del suo mestiere e della sua inventiva, precorritrice
la sensibilità settecentesca. |
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Dello stesso autore:
- Fatti e misfatti, 2011, Prospettiva Editrice
- La rivoluzione cristiana,
2010 Prospettiva Editrice
-
Dentro
la storia, 2010, Mjm Editore
- Variazioni sul tema, 2009 Prospettiva Editrice
- Magazzino 51 (ebook),
Note a margine,
Notte senza fine,
Poesie per un attimo (Novantuno Virgole su un Punto)
- Dentro la pittura, ed. Abel (ebook)
- Il problema dell'equilibrio, ed. Abel (ebook)
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Scrittori del '900 (e dintorni)
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