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Nascita
dell’espressione laica
I - II -
III - IV
Dario Lodi
La mentalità protestante non tollerava le rappresentazioni artistiche
tradizionali. Questo fatto, per quanto non sempre rispettato, favorì una certa
molteplicità espressiva, specialmente in pittura, tuttora la comunicazione
culturale più facile a essere recepita. La liberazione di energie fisiche da
secoli di sudditanza psicologica rivolta a re e papa, andò a creare, tuttavia,
realtà sociali che poco avevano a che fare con la cultura vera e propria,
fermandosi a imprese materiali, sovente notevoli grazie alle imprese
transoceaniche, che richiedevano celebrazione di coloro che ottenevano successo.
La celebrazione doveva essere uguale e quella riservata un tempo alla divinità.
Il fenomeno spiega il moltiplicarsi di artisti, in spietata concorrenza fra
loro, e la nascita di pittori dotati, genericamente, d’indubbia bravura. Non
sono mancati, nel mezzo di quest’ aurea mediocrità, artisti eccelsi. L’eccezione
si spiega proprio con la liberazione da legami storici e con la valorizzazione
della singola personalità. La civiltà europea si stava trasformando e la
trasformazione superava, sostanzialmente, le differenze religiose. Diminuiva
sempre più il potere delle due istituzioni classiche, impero e papato. Il
laicismo olandese dei tempi di Rembrandt e Vermeer aveva fatto scuola. Il
Barocco era divenuto internazionale: il suo linguaggio aperto, per gli effetti
pratici causati dagli eventi – le cosiddette guerre di religione – poté essere
variamente interpretato e sviluppato. Il Neoclassicismo era alle porte, ma
ancora non si avvertiva la sua prossima venuta. L’arte del ‘700 è soprattutto
continuazione delle precedenti espressioni, con particolare riguardo a quelle
classiche, depurate – nei casi migliori – dagli eccessi manieristici.
Il ritratto di Antoine Coypel (1661-1722) fatto al collega
Alexis Grimou pare l’emblema della borghesia del tempo. Coypel aveva
imparato dal padre e affinò la sua arte a Roma, ispirandosi alla scuola
barocca della città. Tornato in Francia, divenne primo pittore del re.
Fu un notevole decoratore, come tale realizzò dipinti nel soffitto della
cappella di Versailles e figure tratte dall’Eneide nel palazzo reale.
Commentò, infine, le proprie opere con uno scritto. Non c’è nulla di
particolarmente rilevante nella sua pittura, tranne la diligenza e la
precisione esecutiva. Un ottimo mestierante nella scia della gloriosa
famiglia dei Parrocel. Questo ritratto è forse la sua cosa più viva e
apprezzabile. E’ sicuramente una testimonianza importante dei personaggi
emergenti di quel periodo, l’espressione di Grimou ne è un sicuro
emblema. Il quadro, del 1705-1708, olio sui tela cm. 45x32, è custodito
dal Museo di Rouen. |
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Alexis Grimou (1678-1733) era chiamato il “Rembrandt di
Francia”, non perché particolarmente bravo, quanto per certa sua abilità
a riprodurre opere del grande maestro olandese. Grimou era un talentuoso
che preferiva una vita da bohemien, continuamente inseguito dai
creditori. Tentò di entrare nell’Accademia reale di pittura e scultura,
ma dovette accontentarsi dell’Accademia di San Luca di Parigi. Fu
pittore di genere, paesaggi e soprattutto ritratti: un buon caravaggista,
talentuoso e svogliato. Il quadro rappresenta una giovane donna in
costume teatrale, è del 1730-1733, olio su tela, cm. 74x59, Ermitage, S.
Pietroburgo. |
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Di ben altra levatura è la personalità di Antoine Watteau
(1664-1721) sebbene sempre dipendente da committenti alla ricerca di
effetti superficiali. Watteau, di Valenciennes, fu a Parigi dove trovò
modo d’ispirarsi ai pittori olandesi, alle opere di Tiziano, Rubens,
Callot e da Claude Gillot, buon pittore, preso il quale apprese temi di
carattere decisamente profano, relativi soprattutto ai personaggi della
Commedia Italiana (Ia gloriosa Commedia dell’Arte), molto popolare in
Francia. Grazie ad un secondo pittore, Charles de La Fosse, entrò a far
parte dell’Accademia Nazionale di pittura, con sede a Parigi. Decorò i
castelli di Meudon e di Muette, introducendo per la prima volta soggetti
esotici, cineserie. Fu ritrattista, ma anche buon paesaggista.
Frequentando i maggiori mercanti del tempo, Watteau conobbe
dettagliatamente l’arte fiamminga. Fui richiesto anche a Londra, dove
realizzò quattro pannelli per Buckingam Palace. Si ammalò presto di
tisi, morendo a soli trentasette anni.
Watteau dipinse molto e trasse guadagni sostanziosi dalla sua
pittura, probabilmente grazie alla spettacolarità delle sue opere di
paesaggio, nelle quali, tuttavia, c’è poca traccia di stile barocco e di
stile rococò. Il nostro artista non è portato alla decorazione né
all’enfasi, preferendo concentrarsi sui moti del proprio animo di fronte
ai soggetti. Qui si propongono: “La famiglia di Mezzettino”, anno 1717,
olio su tela cm. 26x20, Wallace Collection, Londra e “Pellegrinaggio a
Citera”, anno 1717, olio su tela, cm. 129x194, Louvre, Parigi (ne esiste
una seconda versione, dell’anno dopo, custodita nel castello di
Charlottenburg, a Berlino). Sono caratterizzati, specie il primo, da
un’atmosfera malinconica, come se stessero arrivando tempi molto tristi.
Mezzettino era una maschera teatrale creata da Angelo Costantini e
divenuta famosa in poco tempo, come efficace scacciapensieri. La
malinconia è soffusa nell’aria, impregna i vestiti degli attori e rivela
la tristezza dietro i volti sorridenti. Era finita una civiltà
millenaria e il futuro, con il suo materialismo volgare, non dava
altrettanti garanzie civili. Watteau ci trasmette questa sensazione con
estrema franchezza e con dolore trattenuto da un certo pudore
intellettuale. Il “Pellegrinaggio a Citera” sembra un sogno recuperato
con puntiglio e amore per la natura e i personaggi (a Citera, secondo la
mitologia, era nata Afrodite, dea della bellezza). Un viaggio verso
l’eden (o dall’eden, non si sa con sicurezza quale sia la versione
esatta: in entrambi i casi è la malinconia per un possibile malessere
esistenziale a dominare la scena). |

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Pur dovendo seguire le richieste del tempo, che esigevano pitture di
genere, in altre parole riproduzioni precise degli oggetti e delle
persone, Jean-Baptiste-Simeon Chardin (1699-1779) riuscì a
coltivare la propria personalità e a comunicarla attraverso opere
realistiche e poetiche allo stesso tempo. Che fosse un pittore dotato,
se ne rese conto bene Noël Coypel, avendolo avuto per qualche tempo nel
suo studio. Chardin fu chiamato a collaborare alle decorazioni del
castello di Fontainebleau, sotto la direzione del Primaticcio. Questo
gli valse l’accettazione all’Accademia, di cui nel tempo divenne
cancelliere e tesoriere, infine organizzatore dei Salon (il Salon era
una creazione reale basata sull’esposizione – annuale e poi biennale -
di pittura e scultura di artisti dell’Accademia Reale a Parigi.
Prima edizione nel 1667, ultima nel 1863, dopo la quale nacquero
varie versioni espositive). L’ammirazione di re Luigi XV valse al nostro
pittore l’assegnazione di un appartamento nel Louvre, dove restò sino
alla morte. Ma la sua fortuna si deve al matrimonio con
Françoise-Marguerite Pouget che lo introdusse nell’ambiente
alto-borghese, osservando il quale egli si diede alla produzione di
opere originali, rappresentanti i giovani di quel mondo intenti a
passatempi ludici, neanche immaginabili nella bassa e media società.
Chardin fu attratto da questi esercizi oziosi, volgendoli tuttavia a
favore di considerazioni vitali ed esistenziali di notevole profondità.
E’ il caso soprattutto del “Bambino con la trottola”, anno 1737-38, olio
su tela cm. 67x75, Louvre, Parigi. Mai un soggetto laico aveva ricevuto
una tale attenzione e una tale intensità sentimentale, pur nel rispetto
della realtà oggettiva (il bambino ha una precisa consistenza materiale,
ma è pure condizionato da una certa spiritualità che si risolve negli
effetti del gioco curioso che sta svolgendo, oppure che si svolge sotto
i suoi occhi). Più votato al prodigio tecnico, a un virtuosismo però non
fine a se stesso, è il quadro, olio su tela, “Le bolle di sapone”, anno
1734, cm. 93x74,5, National Gallery, Washington. Strepitosa la seconda
figura che osserva con fatica, e con stupore, ciò che sta accadendo.
Chardin sposò le “Nature morte” (ma è migliore il termine “Still
life” ovvero cose ancora vive) senza alcuna remora. Il tema non era
considerato degno di nota, ai tempi. Si propone questo strabiliante
“Paiolo di rame stagnato, macinapepe, porro, tre uova e tegame”, anno
1734-1735, olio su tavola, cm. 17x21, Louvre, Parigi. Gli oggetti
sembrano animati, grazie al gioco di luci e ombre che, nel caso, pare
prevalere sulla stessa abilità dell’artista, come se gli oggetti
avessero chiesto di essere dipinti, di essere evidenziata la loro
esteticità, in quanto strumenti legati all’uomo e alla natura
(quest’ultima madre del tutto). Il nostro straordinario artista visse
gli ultimi anni con problemi alla vista (per via dei pigmenti a base di
piombo) e quindi si dedicò al pastello, dimostrando enorme bravura anche
qui, come si evince da uno dei ritratti della moglie, anno 1775,
pastello su carta cm. 47x38,5, Louvre, Parigi. Pochi artisti sono stati
in possesso della sensibilità pittorica di Chardin, grandissimo talento
naturale messo a disposizione della poesia e della razionalità allo
stesso tempo. Le sue opere sono più vive della vita stessa.
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Due i veri rappresentanti del “Rococò”, una sorta di deriva del
Barocco: Boucher e Fragonard. François Boucher (1703-1770) si
distingue per un gusto e una grazia che vanno ben oltre il puro ricamo,
impreziosito superficialmente da infiniti svolazzi, per approdare a una
specie di festa dell’immagine e dell’immaginario. Il Rococò è
genericamente lezioso perché va a servire i capricci estetici della
nobiltà francese (altrove è una ripetizione, spesso esangue, del
modello). La corte ha bisogno di celebrazioni, di sostegno estetico: la
Francia è la grande potenza del momento in Europa. La Spagna è decaduta,
la Germania è frantumata in mille staterelli, la Prussia è ancora di là
da venire. Luigi XIV ha insegnato la via, peraltro perigliosa, del
conseguimento di un potere francese pari a quello dell’imperatore Carlo
V. Nonostante le sconfitte e il ridimensionamento, la Francia rimane un
faro per l’Europa, l’Inghilterra volge altrove le sue mire espansive. La
corte francese è presa dall’idea dell’impresa che sembra a portata di
mano. Intanto, festeggia il presunto potere continentale con lustrini e
bagliori nella massima, irrefrenabile, eccitante spensieratezza.
Boucher aveva imparato da François Lemoyne, primo pittore di Francia, e
da Joseph Aved (“Le camelot”, il venditore ambulante), vinse il Prix de
Rome nel 1723 e, dopo aver conosciuto in Italia i dipinti del Correggio,
del Veronese, del Guercino e del Tiepolo, traendone ispirazione nella
rappresentazione dei volumi, delle atmosfere, divenne membro
dell’Accademia e quindi primo pittore reale grazie anche all’aiuto della
Pompadour (di cui fece un trascurabile ritratto). Boucher fu anche
ottimo incisore, fornendo, tra l’altro, opere per libri di commedie di
Molière ed eccelso disegnatore, molto ricercato nel campo degli arazzi.
Di lui si propongono “Ragazza distesa” (forse Louise O’Murphy, amante
per tre anni di Luigi XV), un tema ripetuto più volte, anno 1752, olio
su tela, cm. 58,5x73, Alte Pinhakotek, Monaco e “Diana al bagno”, anno
1742, olio su tela cm. 57x73, Louvre, Parigi. Il secondo quadro
testimonia il ricorso alla mitologia, soggetto quanto mai adatto a
quell’ambiente nobiliare, felicemente irresponsabile in senso sociale.
Boucher, comunque, vi aggiunge elementi da favola con brio e sensibilità
ben oltre il dato carnevalesco. Nella ragazza distesa, il pittore fa
sentire l’odore di cipria e fa apprezzare certa frivolezza attraverso un
linguaggio carnale appena accennato. |

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Più festoso (e meno incisivo) è il suo ideale continuatore,
Jean-Honorè Fragonard (1732-1806). Fragonard si formò da Boucher e
s’ispirò alle opere viste in Italia, soprattutto a quelle dei Carracci e
di Tiepolo. Il suo maestro gli aveva detto di evitare Michelangelo e
Raffaello, ritenendoli probabilmente inadatti alla pittura immediata del
suo allievo. Determinante fu anche un lungo viaggio nelle Fiandre al
seguito di un conte. Visitò anche diverse città europee. Alla fine,
Boucher scelse di essere un pittore alla moda, specializzato in
frivolezze eleganti e ricercate per certa loro freschezza e leggerezza.
Notevole l’atmosfera giocosa che attraversale sue opere, facendole
consistenti come un sogno ideale. Fantastico il distacco dalla realtà e
il sostare infinito in ambienti sovrumani, resi con felice disincanto e
con desiderio d’incantesimo. Si veda “I fortunati casi dell’altalena”
anno 1767, olio su tela, cm. 81x64, Wallace Collection, Londra. E’ un
quadro particolarmente luminoso, animato, allegro e lievemente ironico,
condiscendente. Fa eccezione, nelle sue opere, questa intitolata “La
lettura”, anno 1776, olio su tela, cm. 82x65, National Gallery,
Washington. Il personaggio è seriamente concentrato sul libro, il
pittore coglie l’acme della concentrazione, trasmettendo una
piacevolezza intellettuale che era sicuramente nelle sue corde: una
virtù piuttosto vanificata dalle esigenze mercantili. Essendo un
conservatore, Fragonard fu rovinato dalla rivoluzione francese.
Jacques-Louis David, astro nascente della pittura europea, provò ad
aiutarlo, ma non riuscì a salvarlo dalla miseria, lui che era stato
ricchissimo. |

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Pittore fuori dalle righe, nato nel sud della Francia, grande
estimatore della pittura italiana (e in Italia visse a lungo, lavorando
soprattutto a Roma, dove morì) fu Pierre Subleyras (1699-1749),
alquanto richiesto ai tempi per il suo notevolissimo talento. Il suo
“Nudo di schiena” (forse la moglie Maria Felice Tibaldi, abile
miniaturista, autrice anche di copie da quadri del marito) è un inno
all’erotismo misterioso e affascinante che sovrintende lo sbocciare
della vita. Non è qualcosa di volgare, ma di sublime che giunge
all’attenzione dell’artista attraverso la vitalità, metafisica, della
modella. Il dipinto è datato 1740 circa, olio su tela cm. 74x136, ed è
custodito dalla Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma. Subleyras fu
un artista tecnicamente molto dotato. La sua pittura, descrittiva, è
caratterizzata da una certa gaiezza derisoria, sana e accattivante, che
la fa vibrare: è in fondo un realismo senza sbocchi intellettuali o
romantici. Neppure ci sono mire estetiche. C’è una notevole curiosità
per il tutto e specie per le cose strettamente umane che si risolve
sovente, per fretta, nel bozzetto. Si salva sicuramente questo
strepitoso nudo di schiena, padre-padrone di tutti i nudi femminili. |
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- Fatti e misfatti, 2011, Prospettiva Editrice
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2010 Prospettiva Editrice
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Dentro
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