IL DIRITTO ALLA CULTURA: FAIR USE NO COPYRIGHT

IL DIRITTO ALLA CULTURA
FAIR USE NO COPYRIGHT


LE MAIL 1-2-3-4-5

Il conduttore tv non paga i diritti d'autore

I presentatori televisivi non possono essere considerati autori ma semplici esecutori
www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idCat=33&idArt=608

(Cassazione 16407/2003)

Il presentatore di uno spettacolo televisivo non può, in quanto tale, essere automaticamente considerato coautore dei testi e degli schemi di intrattenimento del programma realizzato. Questo, in sostanza, il principio stabilito dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione a proposito di un ricorso della Videotime S.p.A. relativo ad un programma condotto dalla nota soubrette Raffaella Carrà. La Suprema Corte, confermando una sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, ha però precisato che, nel caso in questione, la società ricorrente era ricorsa ad un espediente "artificioso", cioè "lo sdoppiamento in due diversi contratti e in due diverse qualificazioni formali (conduttrice, coautrice) di una sostanzialmente unica prestazione professionale", mentre, nel caso concreto, "l’opera da interpretare (o eseguire) era talmente priva di originalità da non potersi non ritenere assorbita (tanto da risultarne indistinguibile) nella mera presentazione professionale artistica di conduzione, quale show girl, di un programma televisivo genericamente delineato secondo un semplice schema e destinato, appunto, ad essere arricchito dalla originalità interpretativa dell’artista". Pertanto, se è vero che normalmente il presentatore non è autore in quanto non crea, il principio non vale in tutti quei casi nei quali il programma è arricchito proprio dall'apporto creativo e di bravura del conduttore (come nel caso della Carrà), anche se questi non sia l'autore dei testi. (12 dicembre 2003)

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n.16407/2003
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito della segnalazione di una verifica fiscale generale effettuata nei confronti di R. P. (in arte, Raffaella Carrà), l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Milano notificava, in data 18 gennaio 1994, tramite messo comunale, alla s.p.a. Videotime, nella qualità, questa, di sostituta di imposta della lavoratrice autonoma P., un avviso di accertamento, con correlativa irrogazione di soprattasse del 20% e del 50%, per la mancata effettuazione, da parte della società, di ritenute alla fonte di £ 28, 080 milioni, per l’anno 1988, in relazione al compenso pattuito tra le parti per la realizzazione di programmi televisivi.

L’Ufficio prendeva atto che le parti avevano tra loro stipulato due contratti: uno, relativo alla prestazione dell’attività di conduttrice e di show girl di programmi televisivi, assoggettato per l’intero compenso alla ritenuta alla fonte; un secondo, concluso mediante scambio di corrispondenza, relativo all’ideazione dei testi dei medesimi programmi ed alla cessione dei conseguenti diritti, assoggettato a ritenuta alla fonte, previa deduzione forfettaria del 30% del compenso, ai sensi degli artt. 25, primo comma, del DPR n. 600 del 1973 e 50, comma 8, del DPR n. 917 del 1986 [1].

Pur su tale premessa, l’Ufficio riteneva che il secondo contratto, concernente l’ideazione dei testi e di schemi dei programmi, doveva ritenersi strumentale, coordinato ed accessorio rispetto al primo, relativo alla conduzione dello spettacolo, perché l’ideazione non presentava caratteristiche di originalità e creatività tali da impedire di assoggettare l’intero compenso alla ritenuta alla fonte del 18%, ai sensi dell’art. 25 del DPR n. 600 del 1973: considerava, perciò, illegittima la deduzione forfetaria del 30% del compenso.

Avverso tale avviso proponeva ricorso la s.p.a., deducendo: il difetto della notificazione dell’atto, per l’omessa indicazione delle generalità del messo comunale notificatore, il quale aveva apposto una firma illeggibile; il difetto di motivazione dell’atto, per l’omessa allegazione della segnalazione della Guardia di finanza (conseguente alla verifica effettuata a carico della P) menzionata nell’avviso; l’infondatezza della pretesa fiscale, data la validità del contratto relativo alla cessione dei diritti d’autore; l’illegittimità dell’irrogazione della soprattassa del 50%, perché l’omesso versamento delle ritenute non effettuate non era sanzionabile ai sensi dell’art. 92 del DPR n. 602 del 1973, ma solo ai sensi dell'art. 95 dello stesso DPR (20%); l’estraneità all’annualità del 1988 di una delle fatture prese in considerazione nell’avviso essendo stata pagata nel 1989 (motivo proposto con memoria integrativa).

Con sentenza n. 134/30 del 1995, la Commissione tributaria di primo grado di Milano accoglieva il ricorso in relazione al punto c), dichiarando assorbite le altre eccezioni sollevate nel ricorso.

Interponeva appello l’Ufficio, deducendo: l’adeguatezza dell’autonoma ed articolata motivazione dell’avviso, indipendentemente dalla mancata allegazione della segnalazione della polizia tributaria; la carente motivazione della sentenza di primo grado in ordine all’attività di creazione artistica ascritta alla P; l’unitarietà del rapporto tra le parti contrattuali, rapporto da assoggettare ad identico trattamento fiscale, quanto ai compensi, nonostante la duplicità dei contratti, poiché la prestazione complessiva pattuita a carico della lavoratrice aveva ad oggetto una prestazione professionale autonoma, rispetto alla quale l componente creativa era in rapporto di necessaria ed inscindibile accessorietà; il mancato intervento della SIAE, altrimenti necessario, ove si fosse davvero trattato di una espressione di diritto di autore da arte della P.

Resisteva la s.p.a., insistendo su quanto prospettato in primo grado e contestando i rilievi avversari sul ruolo svolto, nell’anno 1988 (quando ancora non era stata stipulata con le emittenti televisive una convenzione transattiva sul contenzioso in atto), dalla SIAE, la quale (nel 1994) aveva comunque riconosciuto tutelabile, secondo la normativa sul diritto d’autore, l’opera realizzata dalla P.

Con sentenza n. 349/10/97, del 26 settembre 1997, depositata il 6 novembre 1998, non notificata, la Commissione regionale della Lombardia accoglieva, per quanto di ragione, l’appello e compensava le spese di lite, osservando che: lo scopo della notificazione era stato raggiunto, perché la contribuente era stata in grado di prospettare una adeguata difesa ed aveva comunque sanato la (peraltro ininfluente) irregolarità attraverso l’effettiva proposizione del ricorso al giudice di primo grado; l’avviso era sorretto da un’autonoma, articolata ed adeguata motivazione, indipendentemente dalla (mancata) allegazione della segnalazione della Guardia di finanza, menzionata nell’atto impugnato solo con valenza informativa ed accessoria; era da considerarsi artificiosa la tesi della contribuente dello sdoppiamento della prestazione professionale di uno steso soggetto quale show girl e quale coautrice di testi, essendosi invece in presenza di una partecipazione unitaria alla realizzazione di un programma televisivo, secondo uno schema prestabilito, arricchito (in via eventuale) dalla professionalità ed originalità interpretativa caratteristiche delle prestazioni di ogni lavoratore autonomo, come dimostrato, nella specie, dall’art. 8 (concernente la cessione dei diritti relativi all’utilizzazione economica sulle prestazioni rese) dal primo contratto (registrato) e dall’art. 4.3 del secondo contratto (art. in base al quale i corrispettivi per l’ideazione dei testi comprendevano anche gli eventuali diritti spettanti, tramite SIAe, all’obbligata: tali spettanze di autrice sarebbero state defalcate dagli importi sopra specificati nella stessa misura in cui fossero state percepite dalla P., in riferimento agli importi dei compensi per la cessione dei diritti di utilizzazione economica dei testi relativi ai programmi oggetto del contratto registrato): era perciò tutta da dimostrare la possibilità di due cessioni distinte, cioè dei diritti relativi ai programmi senza i testi, da un lato, e dei diritti relativi ai testi senza i programmi, dall’altro, così che i compensi per tale attività professionale unitaria dovevano assoggettarsi per intero alla ritenuta alla fonte; era fondato il rilievo della contribuente in ordine all’applicabilità della sola soprattassa del 20%; erano inammissibili, perché fuori termine, gli ulteriori motivi proposti in primo grado ed in appello.

Ricorre per cassazione la s.p.a., articolando tre motivi e concludendo per l’annullamento dell’atto impositivo, previa cassazione della sentenza di appello, con vittoria delle spese di lite.

Precisa di aver notificato il ricorso sia al Ministero delle finanze (in data 17 dicembre 1999), sia all’Ufficio tributario periferico (in data 20 dicembre 1999).

Nessuno si costituisce per gli intimati.

Nel corso dell’udienza di discussione, l’avvocato R.C. insiste nelle proprie posizioni e dichiara che l’altro difensore ha rinunciato al mandato difensivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso, da ritenersi diretto nei confronti del Ministero delle finanze, nonostante la distinta menzione anche dell’Ufficio periferico, è infondato e va rigettato.

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 148 cod. proc. civ.: poiché dalla relata di notifica non emergono le generalità del messo comunale notificatore dell’avviso, ma solo la sua sottoscrizione autografa illeggibile, la notificazione sarebbe, secondo la ricorrente, inesistente, stante la natura ricettizia dell’atto impositivo e tenuto conto dell’impossibilità di considerare quest’ultimo una provocatio ad opponendum od una vocatio in ius e, quindi, di applicare la sanatoria di cui all’art. 156 cod. proc. civ., erroneamente richiamata dal giudice di appello.

Il motivo di ricorso è infondato.

Al riguardo va premesso che le condizioni di validità dell’atto impositivo, quali prescritte dalle singole norme tributarie, vanno tenute distinte (logicamente e cronologicamente) dalle condizioni di validità della sua notificazione.

Ne consegue che l’irritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente al fine di eccepire la decadenza dell’amministrazione della possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell’azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione dell’atto (v., in particolare, per considerazioni analoghe, Cass., nn. 11354 del 2001 e 3936 del 2002).

Nella specie, non essendo in contestazione ne la tempestività dell’esercizio del potere impositivo (in concreto esercitato dall’amministrazione finanziaria, come dimostrato dalla stessa impugnazione dell’avviso, nel merito, con piena cognizione di causa, da parte della s.p.a.), ne la tempestività dell’impugnazione della contribuente (la quale, nel suo ricorso al giudice di primo grado, ha dimostrato, come ora osservato, di essere pienamente a conoscenza dell’avviso di accertamento impugnato), non v’è interesse, per la ricorrente, a dedurre un vizio della notificazione dell’atto impugnato: si è già rilevato che, contrariamente a quanto dedotto dalla società, il vizio della notificazione non ridonda, di per se, in vizio dell’avviso di accertamento.

Oltre a ciò, va rilevato che l’invocata irritualità della notificazione (per l’illeggibilità della sottoscrizione del messo notificatore, nella relata di notifica) è palesemente insussistente.

Come più volte osservato da questa Corte, la nullità di un atto non dipende dall’illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall’impossibilità oggettiva di individuare l’identità del firmatario, senza che rilevi la soggettiva ignoranza di alcuni circa l’identità dell’autore dell’atto: nel senso di sottoscrizione illeggibile, spetta all’interessato (superando la presunzione che il sottoscrittore, qualificatosi nell’atto come titolare di un pubblico ufficio, aveva il potere di apporre la firma) dimostrare la non autenticità di tale sottoscrizione o l’insussistenza della qualità indicata (v. Cass., sez. un., n. 3739 del 1971, a proposito della sottoscrizione illeggibile di un messo esattoriale apposta in calce alla relata di notificazione di una cartella esattoriale; Cass., n. 4100 del 1978, a proposito della firma di un ufficiale giudiziario identificabile attraverso il timbro apposto sulla relata di notificazione; Cass., n. 11354 del 2001, a proposito della notificazione di un avviso di accertamento; più in geenrale, sul principio secondo cui l’illeggibilità della firma non da luogo alla nullità dell’atto amministrativo quando dall’atto risulti la qualità di organo della persona giuridica pubblica dell’autore della sottoscrizione e non venga dimostrata dall’interessato la non autenticità della sottoscrizione o la non appartenenza all’ufficio del suo autore, v., ex plurimis, Casss., nn. 3342 del 1979, 3031 del 1987, 522 del 1994).

Nel caso in esame, nella relata di notificazione: v’è la sottoscrizione di chi l’ha redatta; è indicata la qualità di messo comunale del suo autore; non è dedotta o dimostrata dalla contribuente l’insussistenza della suddetta qualità nel redattore della relata.

Occorre perciò concludere per l’insussistenza del denunciato vizio (di nullità o di inesistenza) della notificazione.

In tali sensi e sotto tali profili è dunque corretta la decisione impugnata, la dove rileva che l’illeggibilità della firma in discorso costituisce una mera ed ininfluente irregolarità, che comunque (sul punto dell’interesse a dedurla) non ha impedito alla contribuente una completa difesa in giudizio.

Con il secondo mezzo d’impugnazione, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, perché l’avviso di accertamento impugnato, pur recando una parte motiva autonoma ed articolata, fa anche riferimento ad una segnalazione della Guardia di finanza, mai notificata alla s.p.a.: di qui il lamentato difetto di motivazione dell’avviso, inesattamente negato dalla Commissione tributaria regionale.

Anche tale motivo di ricorso è infondato.

Come esattamente rilevato dal giudice regionale, la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato si fonda su elementi autonomi dalla segnalazione menzionata nell’atto.

Non si è in presenza di una relatio, ma solo dell’indicazione dell’origine storica del procedimento accertativo a carico della contribuente ed il cui esito è fondato sulle ragioni di fatto e di diritto (compiutamente) esposte nell’avviso.

In altri termini, la menzione della segnalazione vale esclusivamente ad evidenziare l’occasione del procedimento, senza assumere anche la funzione di un rinvio ricettizio per l’esposizione degli elementi individuativi della pretesa tributaria.

L’inessenzialità dell’atto alla struttura della motivazione dell’avviso impedisce di ritenere che per la suddetta segnalazione valga a carico dell’amministrazione finanziaria, il dovere di allegazione di cui all’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 (non rileva qui accertare se siffatto dovere fosse operante già prima della modifica introdotta dall’art. 1 del D.lgs. n. 32 del 2001: v., in senso difforme, sul punto, Cass., n. 15234 del 2001 e n. 1034 del 2002).

Con il terzo ed ultimo mezzo di impugnazione a società ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 cod. civ., 25, primo comma, del d. P.R. n. 917 del 1986, per la mancata distinzione, in contrasto con l’espressa volontà delle parti contrattuali, tra i due contratti stipulati dalla s.p.a. e la P.: uno avente ad oggetto la prestazione lavorativa di conduttrice di programmi televisivi; l’altro riguardante l’opera di coautrice degli stessi programmi.

La sentenza impugnata, per pervenire alla conclusione di una complessiva prestazione unitaria della P., richiamerebbe in modo inconferente l’art 8 del contratto registrato (art. che si limita ad assicurare alla società il diritto esclusivo di sfruttare economicamente i programmi televisivi, una volta registrati, anche per la parte relativa all’ideazione e sceneggiatura di essi) e l’art. 4.3 dell’altro contratto (spiegabile con lo specifico ruolo svolto dalla SIAE nell’ambito dei contratti stipulati nel mondo dello spettacolo televisivo).

La ricorrente ribadisce, pertanto, la legittimità della deduzione forfetaria del 30% dei compensi corrisposti per la cassazione del diritto d’autore.

Il motivo, come prospettato, è infondato.

Non è dubbio che debba, in astratto, distinguersi tra il contratto avente ad oggetto la prestazione dell’artista interprete o esecutore di un’opera (prestazione comprensiva degli elementi di discrezionalità e di, limitata, creatività propri dell’attività interpretativa o esecutiva artistica) ed il contratto concernente gli aspetti patrimoniali del diritto d’autore sull’opera interpretata o eseguita.

La creatività propria dell’interpretazione (o esecuzione), infatti, non è, di regola, riconosciuta nel nostro ordinamento quale espressione di una creazione intellettuale, costituente opera dell’ingegno suscettibile di autonoma protezione di diritto di autore, come, invece, l’opera interpretata (o eseguita).

Ne consegue che la conduttrice di uno spettacolo televisivo (assimilabile ad un’attività artistica interpretativa o esecutiva) non può, in quanto tale, essere automaticamente considerata coautrice dei testi e degli schemi drammatici e di intrattenimento del programma realizzato.

Nella specie, tuttavia, il giudice regionale non è incorso nell’errore di escludere la configurabilità in astratto delle distinte qualità di conduttrice e di autrice dei programmi televisivi, ne ha affermato che la società e la P. abbiano voluto regolare unitariamente, non distinguendoli, i due aspetti.

Al contrario, la ratio decidendi della sentenza impugnata si basa sul presupposto che, in punto di fatto, l’opera da interpretare (o eseguire) era talmente priva di originalità da non potersi non ritenere assorbita (tanto da risultarne indistinguibile) nella mera presentazione professionale artistica di conduzione, quale show girl, di un programma televisivo genericamente delineato secondo un semplice schema e destinato, appunto, ad essere arricchito dalla originalità interpretativa dell’artista.

Su tale assunto, la Commissione ha considerato un mero espediente (artificioso) lo sdoppiamento in due diversi contratti e in due diverse qualificazioni formali (conduttrice, coautrice) di una sostanzialmente unica prestazione professionale.

I richiami ad alcune clausole contrattuali valgono, per il giudice di appello, non già a delineare la formale volontà delle parti, ma a dimostrare che, nonostante l’apparente duplicità dei contratti, il reale intento delle parti era regolare complessivamente ed unitariamente gli aspetti economici della prestazione professionale (anch’essa unitaria) della P.

La sentenza impugnata è dunque esente dalla prospettata censura, perché, lungi dal violare le norme di diritto indicate dalla ricorrente, si è limitata ad individuare e qualificare il rapporto unitario contrattuale dissimulato sotto l’apparente diversità dei due contratti stipulati tra la società e l’artista: in proposito va sottolineato che la sentenza non è stata impugnata in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. e che, pertanto, esula dall’esame di questa Corte ogni aspetto relativo ad eventuali vizi di motivazione della decisione.

Al rigetto del ricorso non consegue alcuna pronuncia sulle spese, data la mancata costituzione in giudizio dell’intimato Ministero (per se e per l’Ufficio periferico).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

7 febbraio 2003, Camera di consiglio della sezione tributaria.

Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2003.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Diritto
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 22/04/2015