Vivere è comunicare. Comunicare è vivere

CONTRO LA GRAMMATICA ITALIANA
COMUNICARE PER SEGNI - SEGNI PER COMUNICARE


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1. Vivere è comunicare. Comunicare è vivere

Il linguaggio, come la coscienza, sorge dalla necessità di rapporti con altri uomini. Marx

A. L'espressione "Vivere è comunicare" non ha la pretesa di indicare che la vita che viene comunicata sia di per sé una vita di "valore". L'espressione in sé non dice nulla sul significato della vita che si vuole comunicare, né, tanto meno, rappresenta un indice della positività di tale significato.

Da qualunque contenuto comunicato non si può di per sé dedurre in maniera logica, consequenziale, il valore dell'esperienza cui esso fa riferimento. 

Per comprendere in maniera sufficientemente adeguata il valore di un'esperienza, occorre che il ricevente del messaggio si lasci coinvolgere nell'esperienza che gli offre l'emittente, assumendone i valori. Il che dipende unicamente dalla predisposizione interiore del ricevente, che può essere più o meno favorita dalla forza attrattiva del messaggio e dello stesso emittente.

Le obiezioni che a questo punto si possono porre sono due:

a) la condivisione di un'esperienza comune può anche portare a non saper individuare le soluzioni per risolvere in maniera adeguata le sue contraddizioni, al punto che per comprendere bene una determinata esperienza occorre condividerne un'altra di valore superiore;

b) se si condivide già una determinata esperienza, a che serve comunicarsene i valori?

La risposta a questa seconda obiezione è facile: non c'è nessuna esperienza che possa essere condivisa fino al punto di non aver bisogno di essere usata come oggetto di comunicazione.

Questa è la premessa fondamentale da cui partire per una qualunque analisi sul linguaggio. Se vogliamo considerare il silenzio come l'espressione più adeguata per comunicare un certo tipo di esperienza, bisogna altresì aggiungere che la comunicazione è cosa che non riguarda unicamente la parola e che col termine linguaggio occorre intendere la capacità espressiva umana in senso lato. Inoltre l'esperienza umana non è così perfetta da non aver bisogno della comunicazione per poter rimanere coerente con i propri valori fondamentali, ovvero per potersi riprodurre all'infinito. Essa è costantemente soggetta a fasi di diversa intensità.

La risposta alla prima obiezione richiederebbe invece un trattato a parte. In effetti, oggi non possiamo prescindere dal fatto che una qualunque trattazione dell'argomento in oggetto è storicamente situata in un contesto socio-culturale caratterizzato dalla logica dell'antagonismo.

A noi non interessa unicamente analizzare le caratteristiche del linguaggio umano, ma: 1. analizzare tali caratteristiche considerando che ci troviamo a vivere una formazione sociale particolare; 2. verificare in che modo da tale analisi si possono trarre degli spunti utili per uscire da questa formazione antagonistica.

B. Ora procediamo. Se l'espressione "Vivere è comunicare" non dice nulla sul significato dell'esistenza cui si fa riferimento, l'espressione opposta: "Comunicare è vivere" offre ancor meno indicazioni.

Questa seconda espressione infatti o viene considerata in maniera del tutto semplicistica, nel senso che chiunque comunichi qualcosa, in qualunque modo e con qualunque mezzo, deve per forza essere un soggetto esistente, in vita, in quanto i morti non comunicano (anche se qualcuno pensa che attraverso dei fenomeni paranormali possano farlo); oppure occorre considerarla in maniera circospetta, nel senso che chiunque abbia la pretesa di dimostrare qualcosa solo per il fatto che la comunica, va guardato con sospetto.

L'espressione "Comunicare è vivere" può essere soggetta a un'illusione che nel nostro tempo, basato su un uso massiccio dei mezzi mediali, è piuttosto tipica. Molti infatti ritengono che la qualità di un'esistenza sia proporzionale alla quantità di messaggi che essa trasmette o che su di essa si trasmettono. Quanto più si "comunica" tanto più "si crede" (o si vuol fare credere) di vivere un'esistenza significativa, dotata di un certo prestigio.

Certamente la proprietà dei mezzi comunicativi garantisce un elevato potere politico (persuasivo), ma essa di per sé non garantisce affatto che tale potere venga usato per fini democratici e umanitari, proprio perché non è la capacità di trasmettere notizie e informazioni che può di per sé dimostrare un valore positivo di un'esistenza.

Normalmente anzi, laddove i mezzi di comunicazione appartengono a poche persone, il loro uso è necessariamente, inevitabilmente, anti-democratico. Paradossalmente, laddove si usa tanta informazione monopolistica, unidirezionale, non interattiva, lì di sicuro essa si rivela del tutto inutile, anzi dannosa, ai fini dello sviluppo della democrazia.

Nulla infatti è più inutile di quella informazione che non permette di contribuire in qualche modo alla risoluzione del problema che si presenta. Persino la comunicazione interattiva non serve a nulla se alla fine il problema rimase irrisolto.

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Fonti


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Linguaggi
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Aggiornamento: 27/08/2015