L'AMBIGUITA' COME VALORE NELLA COMUNICAZIONE

CONTRO LA GRAMMATICA ITALIANA


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L'AMBIGUITA' COME VALORE NELLA COMUNICAZIONE

Nella comunicazione e quindi nella grammatica italiana l'ambiguità di certe espressioni linguistiche viene considerata come un limite da sopportare e non come il principale fattore che distingue l'uomo dall'animale. Si dice p.es. che il messaggio è un insieme di segnali organizzati in modo da esprimere "chiaramente" ciò che si desidera comunicare. Perché dire "chiaramente"?

Se un messaggio viene espresso "chiaramente" non c'è più una vera "comunicazione", che è ambigua per natura, ma semplice richiesta di "esecuzione di un ordine", come nel mondo militare o informatico o, per certi versi, in quello tra genitori e figli, tra docenti e studenti, sempre in quello tra animale e domatore, e simili.

Il parlare umano, se vogliamo coglierlo nella sua profonda essenza, che è segno della libertà e insieme della carica emotiva con cui questa viene gestita, è necessariamente ambiguo, in quanto si rivolge a un'esigenza interpretativa complessa, del tutto sconosciuta agli animali o alle macchine con intelligenza artificiale, che si basano, nelle loro interpretazioni, su un numero determinato di segnali, più o meno grande. (1)

L'ambiguità del linguaggio umano non è semplicemente dovuta a caratteristiche quantitative: p.es. il numero praticamente illimitato di segnali comunicativi o di forme espressive, ma è strutturale all'esserci, in quanto è proprio ciò che permette lo scambio delle opinioni e la possibilità di compiere delle scelte personali di libertà, interpretative e comportamentali. Una qualunque pretesa di chiarezza o di esaustività logica è sicuro indizio di presunzione ideologica, di integrismo culturale.

Nel processo della comunicazione umana non c'è nulla che assicuri una totale univocità del significato di un messaggio. Tutto, com'è giusto che sia, può essere soggetto a fraintendimento, persino gli oggetti fisici della comunicazione. Questo per dire che la comunicazione si basa su una buona dose di incertezza o, se vogliamo, di reciproca fiducia tra emittente e ricevente. Nel senso che il più delle volte la comprensione o l'accettazione dei termini di un messaggio dipende non tanto dalla loro "chiarezza" teorica o espositiva, quanto dal rapporto pre-linguistico o meta-linguistico tra i soggetti interagenti.

E' proprio in virtù di questo rapporto che ci si può comprendere anche quando non è possibile una vera comprensione sulla base del messaggio in sé. E' pura illusione pensare che sia possibile una comunicazione "chiara e distinta" in modo astratto, a prescindere dai soggetti in causa, da un loro rapporto sociale.

Se col linguaggio si pretende di comunicare un messaggio inequivoco, il contenuto di tale messaggio sarà necessariamente molto povero o, anche se complesso (come p.es. nella matematica), relativamente ininfluente ai fini della trasformazione della coscienza umana, che deve misurarsi in un processo decisionale attivo.

Bisognerebbe quindi reimpostare completamente la struttura della grammatica italiana, focalizzando l'attenzione su quegli esempi che meglio caratterizzano la specificità del linguaggio umano. La grammatica non può essere paragonata alla matematica o alla logica, proprio perché la logica vera della grammatica sta nell'ambiguità delle espressioni linguistiche umane, ambiguità che è intrinseca alla loro formulazione e che è tanto maggiore quanto più sono in gioco elementi che riguardano la libertà di coscienza. Non ci si può sottrarre all'ambiguità: chi pretende di farlo impoverisce il linguaggio e indirettamente mina le basi della democrazia.

Di regola la grammatica sostiene che è il contesto a "condizionare" la comunicazione, in quanto certe proposizioni assumono significati diversi a seconda del luogo (e del momento) in cui vengono formulate. In realtà è sbagliato sostenere che si tratti di un "condizionamento". Il contesto anzi, determinando la storicizzazione di un'espressione linguistica, permette a quest'ultima di dare un senso alla propria ambiguità, che altrimenti risulterebbe del tutto indeterminata e quindi assolutamente incomprensibile (l'ambiguità infatti non è mai assoluta, ma relativa all'interpretazione che se ne può dare, ed è fuor di dubbio che esistono interpretazioni più adeguate di altre).

Il linguaggio umano non vuole porsi in maniera ambigua per partito preso, anche perché gli umani, in definitiva, devono potersi comprendere: di qui peraltro la necessità di capire i termini in cui un determinato linguaggio può esprimersi ambiguamente. Sono infatti questi termini (i confini semantici ch'essi stabiliscono) che col passar del tempo mutano aspetto. Tuttavia l'ambiguità resta e deve restare.

Questo per dire che non sono i diversi contesti che danno a certe espressioni linguistiche una ricchezza di significato, ma è proprio la natura ambigua del linguaggio umano che permette un suo utilizzo in più contesti (ovviamente sulla base di infiniti termini). Tale natura rende possibile svariate interpretazioni nei confronti di tutte le espressioni linguistiche, anche se non tutte le interpretazioni possono considerarsi equivalenti: se l'ambiguità fosse assoluta sarebbero assolutamente arbitrarie anche le interpretazioni, ma così non è.

In altre parole la ricchezza di contenuto non sta tanto nella possibilità di usare una stressa frase in contesti diversi, per dire le stesse cose o cose differenti, ma sta nella profondità dei riferimenti al valore umano in essa contenuti. Quanto più un'espressione è profonda, tanto più essa si presta ad essere equivocata. Il fatto poi ch'essa possa essere applicata a più contesti spazio-temporali, è del tutto irrilevante: infatti non è detto che l'individuazione di un contesto permetta, di per sé, un'interpretazione inequivoca di un determinato messaggio.

Il contesto serve soltanto per delimitare i confini dell'ambiguità, in quanto nel processo storico tendono a mutare, inevitabilmente, le forme della comunicazione.

Insomma, la bellezza del linguaggio umano sta proprio nella possibilità di poterlo utilizzare in maniera elastica. La sua polisemia, che permette di costruire decine di figure retoriche, molteplici situazioni metaforiche, movimenti drammatici o paradossali del pensiero, è di una ricchezza straordinaria.

La complessità del linguaggio umano è tale per cui è da escludere categoricamente che l'uomo possa tout-court discendere da un animale. Lo dimostra il fatto ch'esso è l'unico soggetto che può dire consapevolmente il contrario di ciò che pensa: può dirlo anche senza volerlo, sia perché non se ne accorge (si pensi p.es. ai lapsus), sia perché non è in grado, non ha i mezzi linguistici per agire diversamente, e questo senza considerare che, pur in presenza di una comunicazione apparentemente inequivoca, si può essere fraintesi per motivi extra-linguistici.

Nello studio della grammatica dovremmo abituarci a pensare che nessuna parola, singolarmente presa, può pretendere un senso compiuto, foss'anche la parola più concreta di questo mondo, come "mamma".

Nessuna parola di per sé esprime un significato certo (anche un padre può svolgere le funzioni di una "mamma"), nessuna parola, solo perché frutto di una combinazione di lettere alfabetiche, può pretendere d'avere un senso univoco.

Se io dico a mia moglie: "Ci guardiamo un bel film?", lei sa bene che io in realtà voglio dire una cosa del tutto diversa. Immancabilmente infatti quando guardo un film sdraiato sul divano, dopo un po' m'addormento. Lei lo sa e tranquillamente risponde: "Va bene".

Quella domanda quindi è un invito rivolto solo a lei, anche se intenzionalmente è rivolto a entrambi, perché è sempre meglio guardare un film insieme che da soli.

Non è una domanda retorica o convenzionale, in quanto l'intenzione è seria ed eticamente motivata: vorrei poter vedere il film sino in fondo e vederlo insieme a lei, ma la realtà oggettiva, con le sue necessità, le sue regole, le sue abitudini, vince anche le migliori intenzioni soggettive.

Lei lo sa e a volte ironizza rispondendo: "Vuoi dire che ci dormiamo un bel film...".

* * *

Una delle cose più assurde della grammatica italiana è che espressioni di questo tipo (generiche sì, ma fino a 30 anni fa quasi impossibili): "Altri linguaggi oltre quello testuale sono molto importanti", continuano a non scalfire minimamente l'accentuazione degli aspetti più astratti e formali di detta grammatica. Cioè il fatto che qualunque testo di grammatica italiana inizi sempre, oggi, col capitolo dedicato alla comunicazione risulta del tutto inincidente rispetto all'importanza, assoluta, che si dà, nello svolgimento dei capitoli grammaticali veri e propri, agli aspetti rigorosi della sintassi e delle regole in generale da applicare meccanicamente.

La grande scoperta del valore della comunicazione, avvenuta praticamente negli anni '70 (in Italia), continua ad essere ricondotta a un sapere circoscritto nell'ambito di un capitolo preliminare, che anticipa un affronto tradizionale (conservativo) della grammatica italiana. Quest'ultima cioè non si pone come sviluppo delle nuove teorie della comunicazione, non scaturisce dall'affronto dei diversi criteri e metodi della comunicazione sensu lato, ma resta una sorta di scienza super partes, che ingloba ogni scoperta linguistica e comunicativa.

Ancora non si è capito che la grammatica non può più riferirsi alla sola espressione scritta. Esiste una grammatica più globale, più olistica e meno settoriale da imparare: quella appunto della comunicazione, che è, oltre che orale e scritta, anche gestuale, visiva, segnica, audiovisiva, iconica, simbolica, multimediale, ecc. E', questa, una grammatica molto interattiva, poiché pone in stretta relazione l'uomo e l'ambiente, gli esseri umani tra loro. E' una grammatica polisemica, aperta a varie interpretazioni, non strutturata a priori, non determinata da formule schematiche, analoghe a quelle della matematica.

La grammatica da studiare dovrebbe essere quella che valorizza l'errore, che anzi parte sempre dall'errore per studiarci sopra le motivazioni storiche, psicologiche, culturali che l'hanno generato.

La grammatica dovrebbe essere anzitutto contestuale, cioè in grado di tener conto del vissuto di chi pone segni, espressioni, simboli... e di chi vuole apprenderli, verificarli, motivarli, riprodurli, arricchirli...

La grammatica dovrebbe essere dinamica, capace di studiare tutte le modalità di espressione del vissuto e dell'immaginazione che va al di là del vissuto.

La grammatica è solo un aspetto della comunicazione, di ogni forma di comunicazione, non è questa ad essere un aspetto di quella. Comunicazione vuol dire linguaggio, cioè espressione di volontà, di intelligenza, di sensibilità. Occorre studiare tutte le forme espressive del linguaggio per poterlo capire in maniera dinamica.


(1) Nella definizione dei linguaggi informatici si deve evitare scrupolosamente l'ambiguità, a meno che non la si voglia stabilire a priori, ponendo istruzioni del tipo "if <espressione> then <istruzione> else <istruzione>", dove "else" è il massimo dell'ambiguità possibile. Come se si dicesse a un bambino: "mangia la mela che trovi nel cesto A, se non la trovi o non trovi il cesto, allora vai a prendere una pera nel cesto B". L'analisi della correttezza formale-sintattica è eseguita dall'elaboratore in questo modo:
analisi lessicale: controlla che i simboli utilizzati appartengano all'alfabeto
analisi grammaticale: verifica il rispetto delle regole grammaticali
analisi sintattica contestuale: verifica restrizioni di tipo contestuale (tipi di dati, identificatori non definiti…). La semantica deve rientrare in queste regole di tipo se vogliamo matematico. (torna su)


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Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Linguaggi
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Aggiornamento: 27/08/2015