LA FILOSOFIA ITALIANA E IL NEOIDEALISMO DI CROCE E GENTILE

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LA FILOSOFIA ITALIANA E IL NEOIDEALISMO DI CROCE E GENTILE

I - II - III

Quadro storico

L'unificazione nazionale italiana è avvenuta nel 1861, tardi rispetto agli altri paesi europei (se si esclude la Germania). Essa ebbe due principali caratteristiche: fu un movimento popolare rivoluzionario e si concluse con il tradimento della borghesia, che volle realizzare il compromesso con l'aristocrazia (laica ed ecclesiastica) e la monarchia. La questione agraria, soprattutto al sud, rimase irrisolta e anzi si aggravò, determinando la spaccatura fra un nord industrializzato e un sud sottosviluppato. La borghesia, consapevole di questa contraddizione, aveva bisogno di un sistema ideologico-filosofico cui poter fare riferimento per giustificare i rapporti sociali esistenti. Questo sistema venne trovato nel neoidealismo di Croce e Gentile.

Il neoidealismo italiano consiste in una riforma dell'idealismo hegeliano, promossa, agli inizi del Novecento, da un filosofo napoletano, Benedetto Croce (1866-1952) e da un filosofo siciliano, Giovanni Gentile (1875-1944).

E' stata una risposta, sofisticata nella forma ma arretrata nei contenuti (in quanto reazionaria), alle due principali correnti ideologiche e politiche affermatesi nella seconda metà dell'Ottocento: il socialismo e il positivismo. E' stata una risposta che si è avvalsa delle teorie liberiste già formulate nel corso del Risorgimento nazionale e che sono state conciliate sia con la tradizione cattolica che con la filosofia hegeliana. Una risposta culturalmente debole (anche se in Italia apparve molto forte), in quanto espressione di una borghesia nazionale costretta a cercare un compromesso con le forze più retrive del paese: i latifondisti e la chiesa romana. Quel compromesso che era stato realizzato politicamente l'indomani dell'unificazione, verrà realizzato anche ideologicamente col neoidealismo.

Questa riforma della filosofia hegeliana riuscì, grazie al livello intellettuale particolarmente elevato di questi due filosofi, a emarginare, nel panorama culturale italiano, qualunque disciplina di tipo scientifico, qualunque ideologia politica progressista, almeno sino alla fine della seconda guerra mondiale.

La differenza fondamentale tra Croce e Gentile stava nel fatto che mentre per il primo (teorico del liberalismo) la riforma neoidealistica doveva avvenire nell'ambito dello Stato democratico-liberale, per il secondo invece (teorico del fascismo) doveva avvenire nell'ambito dello Stato fascista.

Per capire le loro due filosofie bisogna metterle in rapporto al positivismo, al marxismo, al cattolicesimo e all'hegelismo.

  1. Il positivismo in Europa occidentale e negli Usa si presentava come l'ideologia dell'industrializzazione monopolistica e imperialistica nella seconda metà dell'Ottocento. In Italia, industrialmente ancora molto debole e priva di colonie significative, il primo positivismo s'era manifestato in Lombardia con Cattaneo e Ferrari, la cui linea politica di un'Italia federale era uscita sconfitta durante l'unificazione. Il tardo positivismo di Ardigò, Lombroso, Ferri... era troppo superficiale per vincere la battaglia col neoidealismo. Croce e Gentile consideravano la scienza del tutto subordinata alla filosofia.
  2. L'unico rappresentante significativo del marxismo italiano, prima di Gramsci, è stato Labriola (1843-1904), contro cui Croce, suo allievo, si scaglierà sin dalla sua prima pubblicazione, Materialismo storico ed economia marxistica (1900). Croce e Gentile rifiutano qualunque cosa significativa del marxismo: lo considerano una pseudo-scienza sul piano economico (viene negata validità alla teoria del plusvalore), una utopia politica e una non-filosofia (al massimo lo accettano come metodo di ricerca nella storia dell'economia).
  3. Riguardo al cattolicesimo, entrambi lo considerano inferiore alla filosofia idealistica e non amano alcuna forma di clericalismo politico, ma ritengono anche che un intellettuale non possa non essere cattolico, quindi rifiutano gli sviluppi ateistici della Sinistra hegeliana. Gentile ritiene addirittura che la più alta realizzazione degli ideali religiosi del cattolicesimo sia incarnata dallo Stato fascista.
  4. Riguardo all'hegelismo, la riforma che compiono mira a dare concretezza a una filosofia che a loro appare troppo astratta e metafisica. Di qui l'interesse di Croce per la storia, la letteratura e l'estetica, e l'interesse di Gentile per la politica e l'istruzione scolastica e universitaria.

A motivo di questa dura opposizione al positivismo e al socialismo, Croce e Gentile seppero creare un clima d'isolamento nel nostro paese, illudendo gli intellettuali che il loro neoidealismo fosse la migliore filosofia europea.

Quadro culturale-filosofico

a) La filosofia all'inizio del XIX secolo

Le dottrine filosofiche che in Italia hanno dominato nella prima metà del XIX sec. sono state quelle a sfondo religioso. Gli esponenti più importanti sono stati A. Rosmini (1797-1855) e V. Gioberti (1801-52). Essi capeggiarono il cd. movimento cattolico-liberale (o neoguelfismo). Nelle loro vedute politiche e nella loro attività (soprattutto in Gioberti) vi furono alcuni momenti positivi per le condizioni italiane di quel periodo (ad es. le tendenze antifeudali e quelle favorevoli al movimento di liberazione nazionale, la lotta antigesuitica ecc.), ma le loro concezioni filosofiche sono del tutto conservatrici, specie quando hanno per oggetto le riforme borghesi. Essi infatti tendevano a rafforzare l'influenza della filosofia cattolica (ovviamente in parte riveduta e aggiornata) contro il materialismo francese e la dialettica hegeliana. Nelle concezioni di Rosmini, in particolare, la linea platonico-agostiniana si univa con elementi kantiani (nesso filosofico, questo, che si ritrova nel fondatore dello spiritualismo cristiano, A. Carlini). Rosmini si sforzava anche di sottolineare la vicinanza delle concezioni agostiniane con le idee tomistiche (cosa che è caratteristica di un altro spiritualista cristiano contemporaneo, M. Sciacca). Rosmini non negava le classiche "cinque vie" di Tommaso per dimostrare l'esistenza di Dio, ma preferiva attribuire maggiore importanza al percorso del soggetto verso l'assoluto, sulla base di una sintesi della concezione agostiniana dell'"illuminazione" e le idee dell'apriorismo. L'idea dell'essere è a priori nel soggetto in quanto risultato dell'illuminazione divina.

L'influenza di Gioberti sul pensiero religioso dell'Italia contemporanea è inferiore a quella di Rosmini. Egli tuttavia merita d'essere ricordato perché ha cercato di reintrodurre il tema della dialettica nell'ambito della filosofia cattolica. Rifacendosi a Platone e alla filosofia cristiana medievale, Rosmini ha sostenuto due tesi: 1) una vera dialettica deve fondarsi sull'idea della creazione, sull'idea della causa; 2) una vera dialettica è la pacificazione dei contrari che scaturisce dall'atto della creazione. In pratica il tentativo di trasformare la dialettica in un'ancella della teologia escludeva dall'essere la lotta dei contrari e l'automovimento.

b) Il pensiero progressista nell'epoca del Risorgimento

Nel periodo 1830-60 la filosofia italiana e il pensiero politico ufficiale si evolse sotto l'influsso del movimento di liberazione nazionale. In questo periodo vi furono vari pensatori progressisti come Pisacane e i rappresentanti del primo positivismo italiano: C. Cattaneo (1801-90) e G. Ferrari (1811-76). Essi appartenevano all'ala repubblicano-democratica del suddetto movimento e avanzarono idee progressiste come ad es. la concezione della rivoluzione sociale, l'idea della natura sociale dell'uomo, il nesso tra lo sviluppo della civiltà e la struttura materiale della società, tra la produzione e i rapporti tra le classi. Inoltre manifestavano idee chiaramente antiteologiche, sulla scia del loro maestro G.D. Romagnosi, contro le dottrine di Rosmini e Gioberti. Sulle loro concezioni hanno esercitato un influsso significativo gli illuministi francesi, i sensisti francesi del XVIII sec. e inoltre Vico, Hegel, Saint-Simon.

c) L'hegelismo napoletano

L'indirizzo filosofico più significativo della metà del secolo scorso, che ha esercitato la maggiore influenza sul pensiero filosofico italiano del XX sec., è stato il cd. "hegelismo napoletano". Malgrado il suo moderatismo politico generale, malgrado il fatto che non sia diventata la concezione del movimento democratico italiano, questa corrente fu, in parte, una delle forme in cui si espressero le forze progressiste.

La scuola hegeliana è comparsa in Italia relativamente tardi (alla fine del 1830) e la sua fioritura va posta in quel periodo in cui in Germania l'hegelismo era già stato superato dal marxismo. L'hegelismo napoletano, quindi, non era una novità a livello europeo, ma nella sua "ala sinistra" diede contributi di notevole valore. Praticamente dalla sinistra hegeliana napoletana (F. De Sanctis, gli Spaventa, S. Tommasi e altri) è nato, da un lato, il pensiero progressista e marxista italiano, cominciato con A. Labriola, e dall'altro, è nato l'idealismo neohegeliano, di natura profondamente conservatrice.

Questa contraddittorietà negli sviluppi della scuola hegeliana napoletana è stata oggetto di accese controversie. Gli idealisti neohegeliani (Croce e Gentile) faranno di tutto per dimostrare d'essere gli unici eredi di questa sinistra, della quale però vorranno ignorare gli elementi più progressisti e materialisti (che dalla sinistra però erano stati elaborati in maniera assai poco sistematica). Elementi, questi, che invece vennero colti dai filosofi marxisti, i quali cercarono di dimostrare come il percorso più significativo del pensiero italiano non andasse da De Sanctis a Croce ma da De Sanctis a Gramsci.

La sinistra dell'hegelismo napoletano cercò di superare l'interpretazione dogmatica dell'hegelismo, collegando le costruzioni speculative con la vita. In pratica essa riproduceva il processo avvenuto in Germania: l'hegelismo diventava fruttuoso solo per coloro che lo superavano in direzione del materialismo. A dir il vero De Sanctis (1817-83), che è l'esponente di maggior spicco, si rifaceva di più al realismo filosofico e scientifico di Bacone, Locke, Hume e degli enciclopedisti, convinto, in tal modo, di potersi liberare dalle idee teologiche e retoriche. Tuttavia, nella sua critica dell'hegelismo egli ha espresso molte idee che lo avvicinano al marxismo (ad es. quella per cui l'hegelismo è volto al passato e non al futuro). La sua opera principale resta La Storia della letteratura italiana.

Un carattere più accademico ha invece la filosofia di B. Spaventa (1817-82), che per molto tempo si soffermò sull'immanentismo idealistico, poi sviluppato dal neo-idealismo di Croce e Gentile. Ma nell'ultimo periodo della sua vita, Spaventa accentuò motivi antropologici, naturalistici e materialistici, avvicinandosi alla filosofia di Feuerbach. Il suo rapporto col materialismo era abbastanza tradizionale, poiché ne conosceva solo la variante matafisica e meccanicistica. Tuttavia egli arrivò col rifiutare l'idea della priorità assoluta dello spirito e preferiva collegare indissolubilmente natura e spirito in un'unica sostanza, assegnando però all'aspetto materiale di questa sostanza un aspetto subordinato. Per lui insomma la dialettica dello spirito restava la forma superiore di dialettica, ma a condizione che essere e pensiero marciassero insieme, nell'ambito del pensiero. L'influenza di Fichte era evidente. Da questi elementi, tendenzialmente soggettivistici, prenderà poi le mosse la filosofia di Gentile, che sarà appunto una variante dell'immanentismo idealistico in chiave soggettivistica.

d) La linea marxista di A. Labriola

Chi meglio ereditò e sviluppò le concezioni della sinistra hegeliana napoletana sulla negazione dell'autonomia dello spirito dalla natura, sul collegamento della filosofia con i problemi concreti della vita, sul rifiuto d'interpretare il metodo dialettico come mero strumento per verificare l'esistente (e non anche per modificarlo), sulla conciliazione del pensiero colla realtà di fatto, sulla generale direzione illuministica, umanistica e anticlericale che andava data al pensiero filosofico italiano - fu A. Labriola (1843-1904), che è il maggior filosofo italiano della fine del XIX sec. inizio XX. Egli è stato il primo e per lungo tempo l'unico teorico del marxismo italiano. Quando i lavori di Marx ed Engels erano quasi sconosciuti al pubblico italiano e quando fu possibile averne una conoscenza, regolarmente solo di seconda mano, attraverso le trattazioni travisate dei suoi avversari (come ad es. Croce e Gentile), oppure attraverso le volgarizzazioni ancora peggiori delle idee marxiste da parte di A. Loria, E. Ferri e altri - solo le opere di Labriola seppero introdurre in modo coerente, nella vita intellettuale italiana, le idee del materialismo storico e del socialismo scientifico, tanto che tutti gli sviluppi ulteriori del pensiero borghese italiano non furono che una ininterrotta polemica contro queste idee. (Da notare che Labriola ebbe come allievo Croce).

e) L'egemonia del positivismo

Tuttavia la corrente che negli ultimi decenni del secolo scorso s'impose nella cultura italiana (e borghese) fu il positivismo. Si badi però: il tardo positivismo italiano non ha nulla a che vedere con il primo positivismo di Cattaneo e Ferrari, in quanto che esso preferisce ricollegarsi al positivismo francese e inglese (soprattutto a Spencer), nonché al materialismo meccanicistico di Moleschott. Il culto della scienza aveva preso ad unirsi al dilettantismo, il fenomenismo a costruzioni universali ingenue; ad una primitiva schematicità meccanicistica si accompagnava la feticizzazione del fatto particolare; all'idea del sistema compiuto della conoscenza scientifica faceva seguito una grossolana tendenza anticlericale. Inoltre questo positivismo univa motivi democratico-socialisti con l'opportunismo e un'interpretazione eclettica del marxismo.

Questa forma superficiale di positivismo, debole sul piano metodologico, non poteva reggere il confronto all'inizio del XX sec. con il neoidealismo di Croce e Gentile. Alla sua fine naturalmente contribuì anche la svolta reazionaria intrapresa dalla borghesia che da un lato si sentiva minacciata dal crescente proletariato e dall'altro voleva avventurarsi nella strada dell'imperialismo. La limitatezza di questo positivismo si manifestò anche nel fatto che alcuni esponenti passarono nelle file dell'idealismo e addirittura nel misticismo religioso (Tarozzi, Marchesini e altri).

Il rappresentante più significativo di questa corrente fu R. Ardigò (1828-1920) che unisce un'interpretazione soggettivo-idealistica del mondo (inteso come unica realtà psicofisica) con una rappresentazione meccanicistica della natura naturans (la natura autocreantesi all'infinito). Per Ardigò la natura procede in modo omogeneo e uniforme, assolutamente determinato, senza salti, dall'amorfo indifferenziato e semplice al differenziato e complesso, ove la varietà e la forma delle cose sono il risultato della semplice azione reciproca. Uomo, società e pensiero non sono che gradi naturali indispensabili dell'armonia meccanica del cosmo, senza alcuna vera specificità.

Accanto al meccanicismo fioriscono nel positivismo italiano (ma anche in quello europeo) diverse varianti di un biologismo volgare. Ad es. la teoria della predisposizione bioantropologica alla criminalità di C. Lombroso. La criminalità sarebbe determinata non da condizioni sociali, dall'influenza dell'ambiente, ecc, ma esclusivamente da un fattore ereditario contro cui il soggetto e l'ambiente sono impotenti.

Idee simili le formulò anche E. Ferri che fu uno dei dirigenti e teorici principali del partito socialista italiano all'inizio del secolo. Egli era un eclettico di tendenze positiviste che risentì fortemente l'influsso del materialismo volgare. Il marxismo, per lui, non era che un completamento sociologico dell'evoluzionismo di Darwin e Spencer (ad es. la lotta di classe non è che una forma di selezione naturale). Ferri in pratica riduceva le leggi storico-sociali a leggi naturali e interpretava quest'ultime in termini esclusivamente sociali. Il socialismo italiano, fino alla I guerra mondiale non ebbe alcun teorico marxista di rilievo, eccettuato Labriola. Dopo la morte di quest'ultimo esso cadde per più di un decennio sotto l'influenza di concezioni riformiste e anarco-sindacaliste (conseguenza del fatto che in filosofia s'era lasciato influenzare dal tardo positivismo).

f) L'ideologia religiosa all'inizio del XX secolo

La borghesia abbandonò il positivismo nel primo decennio del XX sec., diversamente da quanto stava accadendo nel resto dell'Europa. Di fronte a sé non aveva molte alternative: una di questa era la filosofia religiosa. Il positivismo infatti risultava del tutto inaccettabile ai vecchi gruppi politico-religiosi collegati colla chiesa cattolica. Inoltre il positivismo era stato accettato dal nascente socialismo italiano (se si esclude Labriola).

Tuttavia, il compromesso ideologico, all'inizio del secolo, non poté essere raggiunto neppure sulla base dell'ideologia cattolica, per via delle tradizioni anticlericali del Risorgimento, non ancora dimenticate dalla borghesia, abituata a considerare il Vaticano come un nemico dell'Unità e Indipendenza italiana. Questo però non impedirà alla borghesia di simpatizzare, già verso la fine del XIX sec., per le dottrine irrazionalistiche e mistiche in funzione antisocialista.

Dal canto loro, gli esponenti del movimento cattolico più lungimiranti tentarono di democratizzare la politica e l'ideologia ecclesiastiche per realizzare meglio il compromesso con la borghesia (si pensi alla nascita del movimento cattolico e più tardi del partito popolare). Ma la curia papale non vide mai di buon occhio questi tentativi (essa ad es. represse brutalmente il cd. movimento "modernista"). Solo a partire dall'enciclica di Leone XIII, Rerum novarum (la prima delle encicliche sociali), la chiesa, riconoscendo il tomismo come propria filosofia ufficiale e accostandosi per la prima volta alla questione operaia e alle libertà borghesi, iniziò a percorrere la strada del rinnovamento interno, anche se il neo-tomismo non ebbe influenza sensibile -nonostante il suo razionalismo e naturalismo- sulla filosofia italiana.

Sul piano della filosofia religiosa ebbero senz'altro maggiore importanza alcuni sistemi oggettivo-idealistici "non ortodossi", come quelli di B. Varisco e soprattutto P. Martinetti. Quest'ultimo, in particolare, propendeva per il panteismo idealistico, considerando Dio come "ragione infinita" o "principio universale unificatore del mondo" e inoltre, a differenza dell'altro, fu un fiero avversario del fascismo.

In ogni caso, nessuna corrente della filosofia religiosa fu in grado di colmare il vuoto aperto dal crollo del positivismo. Così, altre correnti cercarono di inserirsi nel dibattito di quegli anni: quelle irrazionaliste e nazionaliste (che condurranno all'ideologia fascista), quella neokantiana e quelle soggettivo-idealistiche.

g) Il pragmatismo in Italia

Per un certo tempo ebbe un certo successo il pragmatismo, diviso in due tendenze abbastanza diverse. La prima, di G. Vailati e M. Calderoni, era vicina alle posizioni di Peirce, Berkeley e Mach, ed era caratterizzata da una spiegazione meramente strumentale delle leggi delle scienze naturali e sociali, che hanno un significato solo nella misura in cui sono efficaci come mezzo di previsione: cioè il significato di qualsiasi conoscenza, processo, ecc. del presente sta nella sua realizzabilità nel futuro.

In particolare Vailati (1863-1909) formulò idee che anticiperanno quelle del Circolo di Vienna. Egli infatti avanzava l'esigenza di verificare i significati dei concetti scientifici, cioè la loro fondatezza e quindi comprensibilità, e a tale scopo poneva il problema di come creare un linguaggio comune, che andasse aldilà di quello ordinario, spesso fuorviante ai fini della scienza. Senza analisi linguistica era per lui impossibile uno sviluppo del pensiero scientifico. Le sue idee però ebbero un'influenza del tutto insignificante, soprattutto dopo l'affermazione dell'idealismo neohegeliano.

L'altra tendenza pragmatista è collegata ai nomi di G. Papini e G. Prezzolini e alla rivista "Il Leonardo", da essi pubblicata nel 1903-7 (cui collaborarono anche Vailati e Calderoni). Si trattava di un indirizzo meno scientifico, più pseudorivoluzionario. Essi proclamavano la distruzione della vecchia filosofia e la costruzione di una "filosofia dell'azione", volta a trasformare il mondo. In realtà tale filosofia non faceva che anticipare, con la sua retorica e demagogia, le idee e la politica del fascismo.

Papini e Prezzolini divulgarono il pragmatismo anglo-americano. Le loro idee individualiste e irrazionaliste erano vicine alla filosofia di James e Schiller. Per loro il pragmatismo non era che un metodo di azione e di vita, compatibile con qualunque filosofia e religione. Essi infatti negavano qualunque posizione gnoseologica o etica, tranne lo strumentalismo utilitaristico (ogni teoria può essere trasformata, se questo è utile). Col tempo, Papini si volse alla religione e alla mistica; Prezzolini passò all'idealismo neohegeliano e al completo nichilismo.

Nel complesso il pragmatismo può essere considerato un fenomeno alquanto transitorio in Italia. Il carattere estremista, frammentario e superficiale delle concezioni di Papini e Prezzolini non poteva soddisfare l'intellighenzia borghese, alla ricerca di una forma sintetica di sistema ideologico. Mentre l'altra tendenza pragmatista era per la borghesia troppo accademica e astratta. Il pragmatismo tornerà di moda in Italia dopo la II guerra mondiale, con l'influenza delle idee di Dewey e naturalmente con la caduta del neohegelismo, che avverrà tra il 1940 e il 1950.

Il neoidealismo italiano

Le classi dirigenti italiane riuscirono a trovare il compromesso ideologico, all'inizio del secolo, nel neoidealismo hegeliano di Croce e Gentile. Si trattava di un sistema elaborato, sicuramente non banale, la cui sostanza consisteva in una lotta senza quartiere contro il materialismo e il marxismo, nella giustificazione del sistema sociale esistente, nell'unificazione di diversi indirizzi ideologici conservatori, nell'affermazione della cultura borghese laica ma non anticlericale.

Il neohegelismo sorse alla fine del secolo scorso in Inghilterra, ma solo in Italia manifesterà un'influenza così generale sulla cultura nazionale. Negli altri paesi fu soltanto uno degli indirizzi filosofici, spesso neppure quello fondamentale, mentre in Italia si trasformò, nel giro di pochi decenni, da fenomeno esclusivamente filosofico a "egemone" della cultura e dell'ideologia borghesi.

B. Croce (1866-1952) e G. Gentile (1875-1944) determinarono la struttura di tutta la scuola italiana, l'organizzazione delle facoltà universitarie, la fine del pensiero e della ricerca scientifici, hanno diretto influenti riviste di teoretica, esercitato una forte influenza sull'orientamento della stampa, sono stati a capo di alcune delle maggiori iniziative editoriali e culturali (si pensi all'Enciclopedia italiana o ai libri di filosofia pubblicati dalla Laterza).

Il neohegelismo seppe conciliare i sentimenti religiosi con l'anticlericalismo popolare, motivi positivistici e pragmatisti coll'idealismo; si pose a fondamento teorico-politico del liberalismo con Croce e del fascismo con Gentile, e dell'imperialismo della borghesia.

Croce e Gentile: unità e diversità

I punti di fondamentale contatto tra i due sono:

1) Alla destra di Hegel

Al suo nascere, il neohegelismo italiano appare subito consequenziale, battagliero, privo di compromessi. Persino l'idealismo di Hegel, per non parlare di quello kantiano, viene giudicato dualistico e incoerente (Hegel ad es. assegnava alla natura una parte dello spirito). Croce e Gentile si riproponevano di fondare una filosofia dello spirito puro e conseguente: il primo in forma oggettivo-idealistica, il secondo in forma soggettivo-idealistica. Lo "spirito assoluto" di Croce si differenzia poco dall'"Io universale" di Gentile. A dir il vero Gentile cercò di trasformare l'"Io assoluto" di Fichte nell'Io personale (il "mio io"), ma l'impresa non gli riuscì, temendo egli di cadere nel solipsismo.

Entrambi negavano risolutamente l'esistenza del mondo materiale. Lo spirito è tutto il reale e l'unica filosofia possibile è quella dello spirito -così Croce. Gentile identificava la realtà con l'Atto (donde "attualismo"). L'Atto è il "pensiero pensante", cioè processo creativo che avviene in ogni istante, mentre il reale è il "pensiero pensato", cioè esaurito, pietrificato. Il pensiero attuale pone tutto nel momento in cui pone se stesso, non ha nulla di antecedente, non è oggettivabile, è libero e indeterminabile. L'idealismo è negazione di ogni realtà che si opponga al pensiero come suo presupposto, ma è anche negazione dello stesso pensiero quale attività pensante, se concepita come realtà già costituita. L'idealismo è perenne creatività.

2) La critica delle cosiddette "filosofie trascendenti"

Dalla posizione di un simile immanentismo assoluto, l'idealismo neohegeliano attacca il materialismo (specie quello marxista) e la filosofia religiosa, sulla base della motivazione che entrambe ammettono l'esistenza di qualche cosa esterno allo spirito (la materia, Dio), per cui sono trascendenti. La realtà invece va affermata come spirito e lo spirito coincide col mondo.

Il tentativo di Croce e Gentile è dunque quello d'indirizzare contro il materialismo gli atteggiamenti anticlericali, associando il materialismo a una filosofia teologica. Tuttavia, se nei confronti del materialismo la loro ostilità è netta e sempre lo sarà, non si può dire lo stesso nei confronti della religione. In effetti, sia Croce che Gentile non hanno mai inteso negare Dio, l'anima o l'immortalità, ma solo la concezione tradizionale, ecclesiastica di questi concetti. Gentile era attirato dalla considerazione di un "Dio nel mondo", Croce da quella del "mondo in Dio". E' peraltro famoso l'articolo di Croce, Perché non possiamo non dirci cristiani.

I neohegeliani han sempre ritenuto la filosofia idealistica come l'autentica religione che libera il cristianesimo dal primitivo involucro fantastico-mitologico e ritualistico. Inoltre essi credevano che le religioni tradizionali fossero una tappa nel movimento dello spirito verso la vera religione. Infine essi predicavano che la religione negata dal filosofo, in quanto forma primitiva di coscienza sociale, è indispensabile al popolo. Malgrado molti loro libri venissero messi all'Indice dalla chiesa, i neohegeliani contribuirono a rafforzare le posizioni della religione nella società. Croce e Gentile introdussero, p.es., nelle scuole l'insegnamento obbligatorio della religione. E così, nonostante l'accanita polemica con la chiesa e la critica della religione ufficiale, il neohegelismo ha nel complesso predicato il passaggio del pensiero borghese dall'anticlericalismo volgare della fine del secolo scorso alle posizioni dell'ideologia religiosa. Non a caso la maggior parte dei rappresentanti dello spiritualismo cristiano sono stati in passato allievi di Gentile.

3) La critica della scienza

La negazione della realtà del mondo materiale e della natura ha portato logicamente alla negazione del valore teoretico delle scienze naturali, che vengono considerate, d'ora in avanti, su un piano meramente convenzionale, strumentale, pratico-utilitaristico. Sotto questo aspetto, il neoidealismo italiano ha ripreso le tradizioni del pragmatismo e si è inserito tra quei sistemi filosofici antiscientifici d'inizio secolo, come il bergsonismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lo spiritualismo cristiano... Per Croce e Gentile, Hegel avrebbe dovuto negare qualunque valore alle scienze naturali e alla matematica. La vera scienza è solo la filosofia idealistica.

In particolare, Gentile includeva la scienza ora in uno ora nell'altro dei due momenti inferiori della triade: arte-religione-filosofia; e la escludeva dalla sfera della conoscenza vera e propria, concreta, sintetica. Sia Gentile che Croce ritenevano la scienza un'elaborazione astratta, analitica, diretta a un oggetto irreale. La conoscenza vera è l'autocoscienza dell'io. La scienza produce solo "pseudo-concetti", aventi carattere pratico-mnemonico, utili strumenti per la generalizzazione di gruppi o classi di fatti empirici, ma senza alcun nesso con la realtà. In tal senso, il neoidealismo si serviva anche del convenzionalismo positivistico di Poincaré, Mach, Avenarius..., venendo incontro alle posizioni della religione.

4) La riforma della dialettica hegeliana

Base comune in Croce e Gentile di questa riforma era la critica mossa alla dialettica hegeliana d'essere astrattamente oggettiva, formalistica, non sufficientemente speculativa, estesa arbitrariamente all'inesistente mondo materiale e alla sfera delle scienze naturali.

[Croce] Croce accetta la coincidenza assoluta hegeliana di realtà e razionalità, di essere e dover essere. La realtà per Croce s'identifica colla storia, che è storia dello spirito (storicismo assoluto).

Nella struttura dello spirito Croce pone una distinzione essenziale tra momento pratico (economia ed etica) e momento teoretico (estetica e logica). La filosofia è sempre della conoscenza e dell'azione: quella della conoscenza si serve dell'intuizione (conoscenza individuale immediata che produce arte: il bello) e della logica (conoscenza universale che produce filosofia: il vero). La filosofia della pratica invece si serve del concetto di utile quando è individuale (economia) e del concetto di bene quando è universale (etica).

Croce dunque nega la triade hegeliana di idea, natura e spirito e afferma solo lo spirito, che è appunto distinto in una diade: pratica e teoretica. Negando la triade Croce nega anche la dialettica degli opposti, accettandola soltanto, in via del tutto formale, all'interno di una medesimo grado/forma dello spirito (ad es. un giudizio teorico può essere vero o falso), ma non l'accetta tra i diversi gradi/forme dello spirito (ad es. l'arte non è il contrario della filosofia). Peraltro l'opposizione all'interno di una medesima forma/grado implica il condizionamento reciproco dei due termini che si oppongono, non il superamento dell'uno nell'altro (ad es. non c'è bello senza brutto).

Non solo, ma i primi due gradi dello spirito (estetica e logica) sono indipendenti rispetto agli altri due (economia ed etica). E' piuttosto l'attività pratica che è condizionata dalla conoscenza che la illumina, e nell'attività pratica l'economia condiziona l'etica, mentre in quella teoretica l'arte fornisce alla filosofia il linguaggio, cioè il mezzo della sua espressione. L'indipendenza implica la diversità, la dipendenza implica l'unità (è la dialettica dei distinti).

In Croce la dialettica è una semplice manifestazione del rapporto circolare dalla diversità all'unità. Croce ha cercato la conciliazione degli opposti proprio per eliminare la funzione rivoluzionaria della dialettica. Lo sviluppo è per lui un eterno movimento circolare e non un progresso all'infinito. In tal modo le contraddizioni storico-sociali non appaiono più come tali, ma come parte di un processo circolare inevitabile.

[Gentile] Gentile elimina l'opposizione non nel rapporto tra le forme della filosofia ma all'interno dello stesso soggetto pensante. Il mondo reale per lui è l'unità assoluta dell'Io nell'Atto del pensiero. L'oggettività cioè non sta nel pensiero-pensato (che diviene così oggetto di contemplazione), ma nel pensiero-pensante (che può essere solo vissuto come autocoscienza del soggetto trascendentale o Io assoluto). L'Attualismo è la creatività perenne del pensiero che pone se stesso senza mai oggettivarsi, perché non vuole essere limitato da alcunché. L'Atto è autoposizione, autoctisi. Le distinzioni valgono solo per il pensiero-pensato e sono quindi relative. Assoluta invece è l'unità del pensiero-pensante. (Il ritorno a Fichte è evidente).

5) La prassi mistificata

Il neohegelismo italiano ha esordito criticando non Hegel ma Marx: Croce con Materialismo storico ed economia marxista (1900), Gentile con La filosofia di Marx (1899). Entrambi hanno ripreso il concetto marxiano di "prassi" e l'hanno rielaborato mostrando che la loro riforma, in realtà, aveva per oggetto la dialettica hegeliana. Tuttavia, prima di riformare la dialettica hegeliana, essi han dovuto rivedere la prassi marxista, che di quella dialettica pretendeva d'essere lo svolgimento più coerente.

Sia Croce che Gentile, in questo senso, comprendono perfettamente che la dialettica non può essere astratta e contemplativa (come finiva appunto col diventare in Hegel non volendo questi accettarne le conseguenze più rivoluzionarie). Filosofia e prassi per il neoidealismo vengono a coincidere. In Gentile ciò avviene nell'Atto di un pensiero che pensa se stesso; e in questa autoesaltazione mistica dell'Io, Gentile arriverà a sostenere il volontarismo irrazionalistico del fascismo (vedi il suo culto idolatrico per il duce e per gli istinti irrazionali delle masse).

In Croce la soluzione è meno semplicistica e più contraddittoria: egli accetta la categoria marxiana di "prassi" ma la riferisce esclusivamente all'attività economica (all'utile), non a quella politico-rivoluzionaria. La prassi non è che una delle manifestazioni dello spirito e in questo senso non è la filosofia che deve "inghiottire" la storia - dice Croce, riferendosi a Gentile -, ma il contrario. Per Croce il concetto di prassi si risolve nello storicismo assoluto, cioè la storia diventa il deus ex-machina in grado di risolvere ogni contraddizione (di qui la sua teoria del provvidenzialismo). Tuttavia, Croce ha sempre negato ogni importanza ai fattori materiali, produttivi, della storia.

6) Altri aspetti

6.1) La teoria dell'arte

[Croce] Il primo momento dello spirito universale è l'intuizione, ma questa è veramente estetica solo quando ha un principio vitale che l'anima: il sentimento. La vera intuizione non è sensazione/percezione ma espressione pura, profonda, senza predicazioni logiche o astratte. Il risultato è il prodotto artistico.

L'intuizione esclude la distinzione tra realtà e irrealtà. L'arte non ha nulla a che fare con l'utile, il piacere, il dolore, la morale, la buona volontà, la religione, il mito. Scopo dell'arte è la bellezza: essa è quindi assolutamente autonoma. L'arte è sempre intuizione lirica perché prodotto sintetico a priori di sentimento e immagine. Senza immagine il sentimento è cieco, senza sentimento l'immagine è vuota. L'arte non accoglie i sentimenti così come sono, ma li trasfigura in pura forma, cioè in immagini che rappresentano la liberazione dall'immediatezza e la catarsi della passionalità.

L'intuizione senza espressione è nulla. L'espressione tecnica non coincide di per sé con quella artistica. L'espressione prima e fondamentale è il linguaggio, che non è segno convenzionale delle cose, ma immagine significante spontaneamente prodotta dalla fantasia. Poesia e linguaggio si identificano. Naturalmente l'intuizione estetica ha un carattere di totalità e cosmicità. Il sentimento guarda l'universo sub specie intuitionis. Ciò che vi è di fondamentale nell'espressione poetica (che è la più alta forma intuitiva) è il ritmo.

Croce contesta il romanticismo che insiste solo sul sentimento; il classicismo che insiste solo sull'immagine; il decadentismo che con la sua formula "l'arte per l'arte" è vuoto. Delle quattro espressioni possibili: sentimentale, prosastica, letteraria e poetica, Croce preferisce l'ultima, perché: quella sentimentale è priva di contenuto, non riuscendo a superare il sentimento (nell'espressione poetica il sentimento viene espresso insieme alla forma); quella prosastica è come quella filosofica, dando luogo a simboli o segni di concetti che non esprimono immagini o intuizioni; quella letteraria si limita ad armonizzare le espressioni poetiche con quelle non-poetiche (passionali, prosastiche, oratorie) in modo che quest'ultime non offendano le altre.

[Rilievo critico] La svalutazione dei fattori sociali, morali, politici, della comunicazione concreta, delle tecniche materiali nella comprensione del fenomeno artistico deriva dall'estetica crociana.

[Gentile] Gentile accetta la suddivisione hegeliana di arte-religione-filosofia per quanto concerne le manifestazioni dello spirito assoluto. L'arte per lui è il momento della soggettività, è il sentimento che l'Io trascendentale ha nella propria soggettività. In questo senso ogni prodotto artistico è una monade che non ha storia: non ha cioè senso una "storia dell'arte" poiché non esiste un inveramento temporale dell'arte. Ogni opera d'arte ha una storia irriducibile a un più ampio disegno storico.

La religione e la scienza sono invece il momento dell'oggettività, poiché annullano il soggetto nell'oggetto (Dio per l'una: dogmatismo; Natura per l'altra: naturalismo). Entrambe vengono superate dalla filosofia che è sapere assoluto, unica vera realtà autocosciente.

6.2) Teoria della storia

[Croce] Storia e filosofia coincidono: ogni racconto o episodio storico include il concetto filosofico; ogni sistema filosofico aiuta a comprendere la realtà storica. La filosofia è la metodologia della storia. Individuo e idea non possono essere presi separatamente. La filosofia tradizionale, per Croce, è morta, essa è risorta nella storiografia.

Nessuna distinzione è possibile tra fatti storici (significanti) e fatti non-storici (banali), in quanto non esiste un fattore determinante o prevalente su altri. Nessun fattore è fondamentale. La storia, come la poesia, la coscienza morale, il pensiero, non ha leggi, non ha necessità. Ogni ricerca delle cause dei fatti storici va abolita. Né ha senso una periodizzazione oggettiva del processo storico. Croce vuole escludere la possibilità della prevedibilità storica, nonché qualunque teoria scientifica dello sviluppo sociale. Il giudizio storico riguarda solo il passato. La storia è solo una serie di fenomeni singoli, individuali, irripetibili, una serie di atti creativi dello spirito universale. L'ordine e l'unità dei fatti storici sono introdotti dallo storico e pertanto hanno valore solo logico.

Naturalmente Croce non nega alla storia delle cause specifiche, dice però che tali cause ci sfuggono. Lo spirito universale è l'unico soggetto-oggetto della storia, esso ha un piano che può realizzarsi in persone eccezionali, secondo un criterio di provvidenzialità che ci resta ignoto, anche se l'uomo può sforzarsi di comprenderlo. Il processo storico, per Croce, è senza persone e senza fatti salienti che indichino una qualche direzione logica; oppure è un frammentarsi della storia in situazioni particolari e individuali.

[Gentile] Il concetto di storia in Croce è analogo a quello dell'Io trascendentale di Gentile. L'Io è l'unica realtà, assolutamente libera, non condizionata, e non ricade sotto leggi di qualsiasi natura. Gentile riconosce la realtà del solo momento presente e nega il passato.

6.3) Teoria dello Stato e del diritto

[Croce] Egli identifica diritto con utilità e forza. Riconosce l'esistenza di diritti immorali persino ad associazioni delittuose: il diritto di quest'ultime è subordinato a quello della società poiché la forza le costringe, ma il diritto resta.

Il diritto non è morale né immorale ma amorale, in quanto precede la vita morale e ne è indipendente. Esso è espressione della forza impiegata per raggiungere un utile. Esso è condizione della morale poiché questa, per esprimersi, si traduce in utilità e forza.

Lo Stato è l'applicazione del diritto. Esso si attua nel governo e non se ne distingue. Nello Stato il consenso è sempre forzato. Morale e politica sono al di là del bene e del male.

Tuttavia, l'esperienza del regime fascista e l'opposizione ad esso ha favorito la trasformazione in Croce del rapporto tra morale e politica. Egli cioè ha maturato la convinzione che la vita politica deve realizzare un impegno morale che al suo centro ha l'idea di libertà (religione della libertà). La stessa concezione della storia diventa quella di una storia della libertà (che diventa il vero soggetto creativo, ideale morale della storia).

La libertà però continua a restare solo quella giuridico-morale o formale, cui Croce non aggiunge mai quella socio-economica o sostanziale. Non a caso Croce ha sempre difeso la necessità dei rapporti feudali e semifeudali nel Meridione, ha sostenuto che nel capitalismo di allora si era raggiunto il massimo grado di libertà possibile per i lavoratori, ha sempre appoggiato il gerarchismo sociale (solo un'élite aristocratica può governare), la monarchia e l'uso statale della forza contro le rivendicazioni dei lavoratori.

[Gentile] Egli afferma l'identità di individuo e Stato, nel senso che il primo si realizza nel secondo, trovando in questo la sua ragion d'essere. Economia, diritto e vita politica sono risolti nell'eticità statuale. Gentile era convinto che con lo Stato fascista egli avrebbe potuto realizzare la propria filosofia. Come continuatore della Destra storica (che era caduta nel 1876), il fascismo -secondo Gentile- avrebbe dovuto compiere l'opera del Risorgimento spiritualista (giobertiano e mazziniano) che aveva sempre anteposto la patria -secondo lui- all'idolo della libertà (di qui la religione della patria).

La riforma della scuola fu uno degli impegni etico-politici più rilevanti di Gentile. La nuova scuola non doveva essere né confessionale (che educa all'intolleranza) né laica (che educa all'indifferenza), ma una scuola che offre un'educazione religiosa nelle elementari e un'educazione filosofica nei licei, che fosse quest'ultima portatrice di una religiosità immanente, superiore alla religione tradizionale. Il superamento veniva però riservato ai pochi che allora potevano frequentare i licei. Questo rapporto ancillare della religione nei confronti della filosofia deriva dal fatto che Gentile aveva accettato la posizione di Bruno.

Gentile sostiene anche una netta separazione tra lavoro intellettuale e manuale.

6.4) Il rapporto col fascismo

[Croce] Nonostante la decisione di passare all'opposizione, Croce può essere considerato, non meno di Gentile, un precursore del fascismo. L'apologia della violenza, delle guerre, del machiavellismo politico, contenuta negli scritti del periodo della I guerra mondiale rientrò nella dottrina fascista come un elemento fondamentale. Prima che Mussolini andasse al potere egli sosteneva la militarizzazione delle squadre fasciste (in funzione antisocialista), con Giolitti al governo preparò un progetto per la riforma scolastica (successivamente realizzato da Gentile) che Mussolini definì "profondamente fascista" nel suo spirito, votò più volte per Mussolini al senato (anche dopo l'assassinio di Matteotti) e via di seguito.

Se più tardi Croce superò le proprie illusioni nei confronti del fascismo, ciò non significa che la sua posizione divenne più progressista. Da un lato infatti la sua filosofia della "libertà" poteva garantire agli intellettuali l'ultimo spiraglio di opposizione al regime; dall'altro però la sua posizione attendista, cioè di astensione dalla lotta attiva contro il regime, la sua estraneazione nella filosofia astratta, nelle ricerche storiche particolari, nella speranza di una caduta automatica della dittatura, ostacolarono di fatto la lotta antifascista. Inoltre Croce fruì da parte del regime di una certa libertà proprio perché continuò per tutta la sua vita a polemizzare aspramente con le idee del socialismo.

L'antifascismo "escatologico" di Croce era, in questo senso, analogo a quello cattolico, secondo cui la non-adesione doveva servire per evitare che la crisi futura del fascismo coinvolgesse anche lo Stato monarchico. Si trattava di un antifascismo conservatore, per il quale il regime autoritario non era che un fenomeno "casuale" nella storia italiana, destinato a estinguersi da solo. Nell'analisi di Croce mancavano completamente i riferimenti alle cause storico-sociali che l'avevano generato. Egli in pratica non aveva aderito al fascismo più che altro per motivi personali, non ideologici.

[Gentile] Viceversa, Gentile aderì immediatamente al fascismo e non ebbe mai ripensamenti (sarà ucciso dai partigiani di Firenze per la sua rinnovata adesione alla Repubblica di Salò). Nonostante ciò e nonostante ch'egli fosse stato anche ministro del governo di Mussolini e che la parte filosofica della voce "Fascismo" da lui scritta per l'Enciclopedia italiana (e pubblicata sotto la firma di Mussolini) fosse l'esposizione ufficiale più autorevole della dottrina filosofica del fascismo, Gentile non riuscì mai ad ottenere che le sue idee filosofiche fossero riconosciute come ufficiali dello Stato.

Queste idee infatti erano troppo raffinate, ricercate e anche troppo paradossali perché la loro influenza si estendesse al di là dei circoli intellettuali. D'altra parte il fascismo non ebbe mai una propria dottrina filosofica pienamente elaborata. Essa era composta da idee di vario genere, mutuate da diverse parti: mistico-religiose, irrazionalistiche, nazionaliste, positiviste, neohegeliane, sindacaliste, corporativiste, ecc. Gli immediati ispiratori dell'eclettica ideologia fascista vanno piuttosto cercati in Corradini, D'Annunzio, Marinetti, il sociologo V. Pareto e altri.

Il fascismo eserciterà maggiore influenza sulle masse come dottrina mistica e irrazionale, in cui l'uomo è visto nel suo immanente rapporto con una "legge superiore", una "volontà obiettiva". Siccome esso si oppose sempre alle correnti materialistiche dei secoli XVIII e XIX, la sua valorizzazione del pensiero scientifico fu poco significativa. Questo d'altra parte permise al fascismo d'ottenere l'appoggio delle correnti religiose neo-scolastiche e neo-tomiste (Gemelli, Olgiati, ecc) e spiritualiste cristiane (ad es. A. Carlini), nonché l'appoggio di quelle irrazionaliste, razziste, ecc.

La miseria ideologica del fascismo costituiva una delle cause che fece propendere molti intellettuali borghesi per l'idealismo neohegeliano. A causa inoltre del fatto che tale idealismo tendeva a isolare ideologicamente la nazione, preservandola dagli influssi stranieri, ritenuti nocivi in quanto già superati dal neohegelismo, quegli intellettuali erano convinti di trovarsi al centro di un grande movimento culturale (un movimento che aveva eliminato dal panorama culturale italiano intere branche delle scienze umane, come la sociologia, il marxismo, le indagini sulla logica ecc.). Il ruolo duplice e contraddittorio del neohegelismo italiano (che permetteva nel contempo d'essere pro e contro il fascismo) è stato insieme il suo limite e la ragione del suo successo. Con gli sforzi energici intrapresi per sprovincializzare il pensiero filosofico e la cultura italiana, il neoidealismo poté attirare nella sua orbita tantissimi intellettuali che credevano, pur in presenza del fascismo, di costituire una novità assoluta a livello europeo. Chi riuscì a comprendere il lato conservatore e passivo di questa filosofia, o passò all'opposizione antifascista vera e propria, o cercò di superare i limiti del neoidealismo.

Il dibattito sul neoidealismo in Italia

L'idealismo di Croce e Gentile dominò la scena filosofica tra le due guerre: Gentile conquistò soprattutto il pubblico filosofico, Croce risultò la figura dominante nel più vasto campo della cultura.

I movimenti filosofici di opposizione (più o meno forte) a questa corrente furono: lo spiritualismo di Carabellese, Martinetti e Varisco; il movimento neoscolastico di Gemelli, Olgiati, Bontadini, Vanni Rovighi (neotomismo); la fenomenologia di Paci (allievo di Banfi); l'epistemologia di Aliotta che da Napoli diffuse i temi del neorealismo anglosassone e del pragmatismo; Banfi da Milano diffuse lo storicismo tedesco, la fenomenologia e l'esistenzialismo; Pareyson e Abbagnano furono gli esponenti principali dell'esistenzialismo; tracce di anticrocianesimo si individuano nelle due riviste "La Voce" e "Leonardo" (Prezzolini, Papini, Serra, Borgese...); un anticrocianesimo programmatico nella rivista "Cronache letterarie". Ma lo sbocco privilegiato per molti pensatori di formazione idealistica, quando l'idealismo entrò in crisi, fu il marxismo di Gramsci, il cui pensiero cominciò ad essere diffuso dopo la fine della II guerra mondiale.

Tra i numerosi seguaci di Croce non ci sono figure di rilievo, anche se ancora oggi l'influenza metodologica delle sue dottrine si fa sentire nella storiografia, nella critica letteraria, nella storia dell'arte, nella linguistica. Le idee filosofiche di Gentile hanno invece continuato ad esercitare un certo influsso nell'ambito del pensiero filosofico borghese, specie in Gennaro che è approdato a posizioni solipsistiche, in U. Spirito e G. Calogero, che hanno rappresentato la sinistra gentiliana approdata al problematicismo e all'onnicentrismo. La sinistra in pratica trasformò l'idealismo da assolutistico a relativistico. Il neoidealismo continuò a sopravvivere nella filosofia religiosa di Del Noce, Olgiati, Fabro, Bontadini e altri. Lo scopo era quello di conservare l'anticomunismo del neoidealismo abbandonando invece le sue posizioni agnostiche, immanentistiche e panteiste.

BENEDETTO CROCE (1866-1952)

1. Nasce a Pescasseroli (Abruzzo) nel 1866, ma fece i primi studi a Napoli, in un collegio di barnabiti. Poi, a 17 anni, persi i genitori e la sorella nel terremoto di Casamicciola, si trasferisce a Roma presso il prozio Silvio Spaventa (fratello del filosofo Bertrando), dove seguì con scarso entusiasmo e senza terminarli i corsi di giurisprudenza, essendo molto più interessato alle lezioni di Labriola, cui si sentiva vicino anche politicamente.

2. Tornato a Napoli si dedica alla ricerca erudita. Egli ebbe una straordinaria vocazione da autodidatta. Si pose a confronto con tutta la grande cultura dell'idealismo tedesco, ma anche in assiduo dialogo epistolare con personaggi come Georges Sorel, il revisionista di sinistra, tendenzialmente bergsoniano oltre che marxista, teorico del sindacalismo rivoluzionario. Croce ebbe interessi in primo luogo estetico-letterari, poi filosofici e solo in terzo luogo storici e politici.

3. Croce si staccò assai presto dal Labriola, poiché subì fortemente l'influenza del revisionismo europeo antimarxista. Lo attesta uno dei suoi primi libri: Materialismo storico ed economia marxista (1900). Cercò di confutare soprattutto la teoria del plusvalore e di negare la dipendenza del piano ideale-culturale della storia da quello pratico-materiale. Il materialismo storico gli appariva valido solo come "canone empirico" per interpretare i fatti economici. E così, invece di cercare come Labriola un rapporto interdipendente tra struttura e sovrastruttura, Croce finì per considerare la prima subordinata alla seconda. (Sul suo anticomunismo si può leggere il saggio La morte del socialismo, apparso sulla "Voce" nel 1911.)

4. Alla lettura della Scienza Nuova del Vico si deve la nascita del suo primo interesse autenticamente filosofico, che lo indusse ad affrontare il problema dei rapporti tra arte e storia (La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte, 1893).

5. Negli ultimi anni del secolo entrò in stretta amicizia con G. Gentile, che collaborò per un ventennio alla rivista La Critica (1903-1944), fondata da Croce, e insieme a lui diresse la collana "I classici della filosofia moderna", stampati da Laterza, che fu la sua casa editrice preferita. Croce fu un formidabile organizzatore di cultura. Con Gentile egli può essere considerato il principale esponente della reazione al positivismo in Italia. Egli affermò l'autonomia della cultura, intesa come manifestazione creativa dell'uomo nella storia, irriducibile a tutto ciò che si pretende indipendente dal soggetto.

6. Divergenze prima filosofiche, quindi politiche (sull'adesione al fascismo), raffreddarono l'amicizia, che terminò nel 1924 con una rottura completa. All'avvento del fascismo assunse un atteggiamento di prudente e moderato consenso, che si mutò in esplicita opposizione in occasione del delitto Matteotti, in seguito al quale Croce si allontanò dalla vita politica attiva. Il regime fascista gli consentì di svolgere liberamente il proprio lavoro intellettuale (solo indirettamente politico), tollerandone la fronda, in quanto Croce era espressione di piccole élites liberali lontane dalle masse e anche perché era troppo noto in tutta Europa. Va detto tuttavia che, essendo l'unica voce libera di grande intellettuale estranea al regime, si trovò ad essere nel ventennio il punto di riferimento principale per gran parte delle forze culturali non succubi al fascismo (si veda il Manifesto degli intellettuali antifascisti del 1925).

7. Nominato senatore nel 1910, partecipò al governo nel 1920-21 come ministro della Pubblica Istruzione (poi di nuovo nel 1943-44). Solo alla fine della guerra riprese per qualche anno l'attività politica, dedicandosi alla ricostruzione del Partito Liberale (ne fu il primo presidente). Tuttavia, con l'avvento della democrazia e con l'affermarsi della cultura marxista, la sua centralità andò progressivamente declinando. Nel 1947 fondò a Napoli l'Istituto Italiano di Studi Storici.

8. Fu ministro e membro della Costituente, ma nel 1948 si dedicò di nuovo agli studi, che proseguì fino alla morte, avvenuta nel 1952.

PENSIERO

9. Croce definì il proprio sistema "filosofia dello spirito", intendendo per spirito tutta la realtà che viene posta e si sviluppa in quattro forme distinte di attività: la conoscenza dell'individuale nell'intuizione (arte) e la conoscenza dell'universale nel concetto (pensiero), che sono le due forme dell'attività teoretica o conoscitiva; la volizione del particolare (economia) e la volizione dell'universale (etica), che sono le due forme dell'attività pratica. Il sistema è compiutamente esposto nei tre libri Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902), Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro (1909) e Filosofia della pratica. Economia ed etica (1909).

10. La prima forma dello spirito è l'arte come conoscenza delle cose singole nell'intuizione, che è differente sia dalla percezione, in quanto può riferirsi indifferentemente a una cosa reale o immaginaria, che dalla mera sensazione perché questa è soltanto passiva, mentre l'arte, intuendo, esprime, sicché si può dire che intuizione ed espressione s'identificano. Non esiste conoscenza reale che non sia compiutamente espressa: s'illude chi crede di aver molte cose da dire, ma di non saperle esprimere, sia pure solo tacitamente. Infatti l'estrinsecazione fisica dell'intuizione in suoni, colori, movimenti, e via dicendo, non è necessaria; l'oggetto fisico (il quadro, la frase pronunciata) non è che uno stimolo per riprodurre l'intuizione (immagine, proposizione) nata nella mente dell'autore. Questa è l'effettiva opera d'arte, e per coglierla bisogna porsi di fronte alla sua estrinsecazione fisica, ricostruendo in noi le stesse condizioni dell'autore nel momento della creazione. Quando ciò avviene, riproduciamo necessariamente, mediante il gusto, l'opera d'arte. La diversità dei giudizi critici è dovuta all'imperfetta esecuzione del procedimento, all'impossibilità soggettiva di ricostruire le condizioni dell'autore.

11. Croce sviluppò successivamente la propria estetica nei saggi raccolti in Problemi di estetica (1910), dove l'espressione artistica è riconosciuta come espressione di sentimento e il suo carattere discriminante nei confronti delle espressioni comuni viene scorto nella purezza da interferenze intellettuali o pratiche (cfr. il saggio su L'intuizione e il carattere lirico dell'arte), quindi nel Breviario di estetica, compreso in Nuovi saggi di estetica (1920), nell'Aesthetica in nuce del 1928 (raccolta negli Ultimi saggi, 1935), e infine in La poesia (1936) dove accanto all'espressione poetica vengono teorizzate le espressioni non poetiche che possono assumere valore artistico come "letteratura".

12. La seconda forma dell'attività dello spirito è la conoscenza dell'universale nel concetto, in cui s'identificano espressività, universalità e concretezza. Croce distingue dal concetto gli "pseudoconcetti empirici" (come cavallo, casa), che sono concreti ma non universali, e gli "pseudoconcetti astratti" (come triangolo), che non sono concreti. Gli uni e gli altri sono finzioni concettuali che hanno una finalità esclusivamente pratica. Tali sono tutte le nozioni che costituiscono le scienze naturali (pseudoconcetti empirici) e le matematiche (pseudoconcetti astratti). Mentre gli pseudoconcetti sono molteplici, il concetto, in quanto universale e concreto, deve essere contemporaneamente unico e distinto; di qui l'unità, nella distinzione, delle quattro forme dell'attività dello spirito. L'opposizione interna in ognuna delle forme (bello-brutto, vero-falso, utile-dannoso, bene-male) si risolve pertanto nel nesso dei distinti: non esiste un momento negativo reale in una forma di attività, ma solo l'interferenza di un'altra forma di attività, che, in sé positiva, diventa negativa quando viene colta per quello che non è. Così, p. es., il brutto non è che l'interferenza, nell'arte, del pensiero o dell'attività pratica, in sé positivi, e negativi solo in quanto vengono valutati nell'ambito estetico.

Croce fu un grande estimatore dell'idealismo hegeliano, proprio perché Hegel faceva dipendere dal pensiero (considerato in sé infinito) l'esistenza e la spiegazione di tutta la realtà. La differenza fondamentale tra i due grandi idealisti stava nel diverso modo di considerare la contraddizione, che per Hegel costituiva un'antitesi vera e propria da superare, mentre per Croce (che in questo assomigliava a Shelling) era solo un aspetto distinto da tenere in considerazione.

Croce fu anche un grande avversario del positivismo e della scienza in generale. Egli riteneva che i concetti scientifici fossero dei "pseudoconcetti", perché il pensiero che "scompare" nelle cose, che si "oggettiva" in un ragionamento quantitativo ed esperienziale, muore. La scienza può avere un valore pratico ma non teorico. Questa sottovalutazione delle scienze esatte e sperimentali comporterà gravi ritardi nella cultura italiana e nella didattica scolastica.

13. L'attività pratica consiste nella volizione che è libera nella misura in cui non è arbitraria o contraddittoria. Immorale è unicamente l'azione, che, essendo economica (volizione del particolare), pretende di essere etica (volizione dell'universale). In sé l'azione economica non potrà mai essere morale o immorale: è sempre assolutamente amorale. L'uomo lotta per il proprio particolare, ma il gioco delle azioni umane ha un senso sovrapersonale che sublima ed anzi strumentalizza l'utilitarismo (economicismo) realizzando idealità e libertà sempre più avanzate.

14. Sul piano politico, va detto che col concetto di liberalismo egli non intendeva una precisa dottrina politica volta a rivendicare le sfere di autonomia del singolo dal potere statuale, onde evitare gli arbitri di chi governa, ma intendeva una sorta di "metapolitica", cioè l'idea che la storia è storia della libertà umana, contro e attraverso le limitazioni che lo spirito umano pone e scopre in se stesso e con cui deve misurarsi per superarle.

15. Sul piano dell'economia politica, polemizzò con Einaudi, negando che il liberalismo dovesse necessariamente essere legato al liberismo, ossia all'economia della massima esaltazione della libera concorrenza tra privati. Per lui il libero mercato senza limiti era solo una delle politiche possibili del liberalismo.

16. Lo Stato per lui era considerato come un grande Leviatano, continuamente teso a sbranare altri Stati. La sua indipendenza dalla chiesa doveva essere assoluta, benché non fosse compito dello Stato stabilire il bene e il male (come senatore votò contro il Concordato del 1929). Ciò che del fascismo non apprezzò mai fu l'idea di diventare Stato autoritario, regime a partito unico.

17. Avendo nettamente separato lo studio dei fatti economici da quelli ideologici (privilegiando quest'ultimi), Croce non poté dare un'analisi storica criticamente adeguata della genesi del fascismo. Per lui il fascismo fu una semplice parentesi, un'eccezione che conferma la regola, una deviazione temporanea nel corso della storia come processo irreversibile della libertà. Non vide mai il fascismo come prodotto che a certe condizioni diventa necessario nel capitalismo.

18. Il sistema crociano si conclude con le riflessioni sul problema della storia da cui si era inizialmente sviluppato. Al problema Croce dedicò la Teoria e storia della storiografia (1917) e La storia come pensiero e come azione (1938). Riprendendo le riflessioni della Logica, la storia (che nell'Estetica era teorizzata come "arte") viene identificata con il pensiero, e la filosofia appare come "il momento metodologico" della storiografia che tratta sempre la storia insieme particolare e universale, perché le attività dello spirito sono appunto distinte ma non separate. Mentre nei confronti del passato è impossibile pronunciare giudizi di valore, e lo storico non può che valorizzare positivamente ogni fatto cogliendolo nella sua necessità (di qui l'ottimismo storico crociano), il presente richiede la valutazione e la scelta degli avvenimenti in atto, che non devono essere accettati passivamente. Croce viene definito come esponente della corrente storiografica "etico-politica".

19. Accanto all'attività filosofica Croce sviluppò un'intensa produzione storiografica i cui risultati più importanti sono la Storia del Regno di Napoli (1925), la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dell'età barocca in Italia (1929) e, infine, la Storia d'Europa nel secolo XIX (1932).

20. Definendosi "idealista desanctisiano" in estetica, Croce rivendica i diritti della fantasia contro i positivisti e mette in ridicolo la scuola storico-erudita con la sua aneddotica, volta a indagare elementi insignificanti della vita del poeta. Ma il ritorno a De Sanctis non era privo di motivi di dissenso: Croce rimproverava al De Sanctis il suo eccessivo hegelismo che lo aveva spinto a costruire dialetticamente una storia della letteratura.

21. A differenza del metodo desanctisiano e tenendo conto del carattere individualizzante che, in sede estetica, aveva rilevato nell'espressione artistica, Croce concepisce la storia della letteratura e dell'arte al di fuori di schemi astratti, come una serie di monografie rivolte unicamente a mettere in luce il valore poetico di ogni singola opera. Si dissolvono pertanto i "generi" letterari: come l'arte è nello stesso tempo pittura, architettura, poesia, musica e scultura, così la poesia è sempre lirica ed epica, comica e tragica, e il romanzo è poesia allo stesso titolo di un'opera in versi.

22. Per quanto concerne la critica letteraria, Croce ritiene che il critico non sia artifex additus artifici, ma philosophus additus artifici: la sua funzione, cioè, è quella di distinguere la poesia dalla non-poesia e la parte poetica di un capolavoro dalla sua parte strutturale, la quale è però legata alla precedente da un nesso dialettico. Dal 1903 al 1914 compaiono su "La Critica" le Note sulla letteratura italiana della seconda metà del secolo XIX, raccolte poi sotto il titolo La letteratura della nuova Italia (6 vol., 1914-40). Soprattutto agli scritti apparsi su "La Critica" è legato il nome di Croce come polemista brillante e scrittore limpido ed elegante. Già nel 1903 vedono la luce i saggi su Carducci, Fogazzaro, De Amicis, Verga, Serao, Di Giacomo; seguono i saggi sugli scapigliati, su D'Annunzio, Zanella, ecc.

23. La ricerca concreta su tanti poeti e scrittori diversi porterà Croce a ripensare i principi etico-politici e la sua concezione estetica. La letteratura contemporanea non è però il solo interesse: nel 1911 compaiono i Saggi sulla letteratura italiana del Seicento. Nello stesso anno Croce esprime il desiderio di dar vita a "qualche monografia che risponda meglio... al mio ideale di critica e sia dedicata a un soggetto più importante che non i letterati italiani dell'ultimo mezzo secolo". Da questa esigenza nascerà il saggio su Goethe, scritto quando ancora infuriava la guerra contro la Germania (1917), per quel bisogno di equilibrio e di rispetto per i valori ideali eterni che non possono venir toccati dalle passioni transeunti: un saggio che è un modello di organicità e di sintesi espositiva. A questo fanno seguito i saggi su Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920) e La poesia di Dante (1921), che è forse uno dei suoi libri più discussi e influenti. Con Poesia e non poesia (1923) si conclude questa fase della critica crociana.

24. Seguiranno altri studi, con proposte nuove e approfondimento dell'antico. Nascono così i volumi che vanno sotto i titoli di Conversazioni critiche (5 vol. 1918-39), Poesia popolare e poesia d'arte (1933), Poesia antica e moderna (1941), in cui si chiarisce e approfondisce lo stretto rapporto fra pensiero estetico e valutazione delle singole opere. Del periodo estremo si ricordano i Saggi sulla letteratura italiana del Settecento (1949), quelli, in tre volumi, sul Rinascimento (Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, 1945-52), le Letture di poeti (1950) e le postume Terze pagine sparse (1955): ultimi contributi di un'attività straordinariamente ampia che ha fatto di Croce la figura di maggior risalto nel panorama della cultura italiana del primo Novecento. A cura della figlia Lidia sono state pubblicate nel 1975 le Lettere di Antonio Labriola a Benedetto Croce (1885-1904).

Altre osservazioni critiche

Teoricamente la filosofia crociana era priva di valori. Dicendo p.es. che tutto è storia o che lo spirito è la storicità, arrivava a giustificare qualunque cosa. Non a caso egli poneva il valore della storia nella forza, non nel diritto, il quale, anzi, è esso stesso sottoposto al criterio della forza e dell'utile. Croce fa intervenire la libertà soltanto quando la forza diventa esagerata ed evita accuratamente di parlare di "Stato etico". Di qui la sua differenza da Gentile, ma è semplicemente la differenza tra un soggettivista e un oggettivista, benché nella loro filosofia appaia esattamente il contrario, e cioè che lo storicismo crociano sembra rientrare nell'oggettivismo hegeliano (in maniera diciamo "liquida"), mentre il pensiero pensante di Gentile rientra nell'io assoluto di origine fichtiana (in maniera diciamo "indotta").

Ciò spiega facilmente il motivo per cui Croce rifiutasse la dialettica degli opposti. Quando non si vogliono affermare dei valori, non possono esserci dei conflitti irriducibili, i cui elementi devono essere superati entrambi in una sintesi. Esistono soltanto dei distinguo o dei distinti, che vanno salvaguardati entrambi, ognuno dei quali rispecchia una certa posizione di forza. La stessa etica è condizionata dalla forza che si esprime nell'economia e che lui chiama col concetto di utile.

La sua filosofia è non meno irrazionalistica di quella di Gentile: la differenza sta nel fatto che l'uno faceva coincidere immediatamente il singolo con lo Stato, per cui annullava la filosofia nella politica; l'altro invece aveva una posizione più astratta e faceva coincidere filosofia e storia dal punto di vista della storia, poiché questa è storia della libertà che diviene necessità.

Ma se prendiamo p. es. la sua teoria dell'arte o la sua concezione dell'estetica, vediamo che egli fa di tutto per tenerla separata dall'etica. L'artista è sempre moralmente incolpevole. E' sufficiente che abbia l'intuizione sensibile o lirica, il sentimento del bello, senza preoccuparsi se ciò che esprime sia vero, reale o no. Non occorre una passione sfrenata, una concezione molto intellettuale della realtà, né un obiettivo specifico (p.es. l'utile, il vero, il bene, il piacere) per fare un'ottima arte. L'unico fine dell'arte è la bellezza, che Croce considera in maniera astratta e formale, avulsa dal suo contesto, che pur va analizzato con gli strumenti della critica filologica.

Croce dà un'infinita importanza al sentire interiore, che deve però esprimersi secondo un linguaggio specifico. Di tutti i linguaggi quello poetico è per lui il più significativo: infatti nella prosa non vi sono immagini plastiche o simbolico-evocative, mentre nell'oratoria non vi sono parole significative ma solo suoni articolati. Per lui l'anima dell'espressione poetica è il ritmo. La poesia quindi è strettamente legata a un sentimento che si esprime seguendo le regole ritmiche di un proprio linguaggio. Forse si potrebbe dire che quello che Gentile diceva a proposito del "pensiero pensante", irriducibile a qualunque fissazione, Croce lo diceva a proposito dell'arte, che è identità di intuizione ed espressione, cioè linguaggio primordiale.

Per quanto riguarda la storia, è questa che domina e dà senso alla sua filosofia, e non tanto la storia in generale o una qualunque storia, ma la storia che va studiata per un'esigenza sentita nel presente. Quindi la storia è sempre storia contemporanea. Quando la si studia, essa perde la sua passionalità e diventa necessaria. La storia, per lui, è sempre un progresso, perché, anche se vi sono elementi irrazionali, questi, col tempo, diventano razionali, grazie a quella sorta di "provvidenza" che alla fine aggiusta tutto. Ecco perché definisce il fascismo una semplice parentesi irrazionale. Il vero soggetto della storia è lo spirito infinito e nella storia si risolve sempre ogni problema.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 13-09-2016