Una breve nota sulla confutazione della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto a opera di B. Croce

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Una breve nota sulla confutazione della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto a opera di B. Croce

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XEPEL

Benedetto Croce

Nel libro del 1921 Materialismo storico ed economia marxistica, Benedetto Croce, che aveva conosciuto il marxismo attraverso il suo maestro Antonio Labriola, prova a regolare i suoi personali conti con Marx. L'impostazione del filosofo napoletano è ovviamente molto diversa dal materialismo storico, e rende spesso difficile a Croce capire le argomentazioni originali di Marx. In questa nota esemplificheremo tale incapacità occupandoci di uno dei saggi che compongono il libro, quello concernente la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (Della caduta del saggio di profitto, 1889) di cui si occuparono già, tra gli altri, Plechanov e Gramsci1. Tale disamina ci permetterà di chiarire alcuni aspetti della teoria marxista dello sviluppo capitalistico2.

Il ragionamento del Croce è questo. Il progresso tecnico, ammette con Marx, si svolge accrescendo la composizione organica del capitale (dunque il peso degli investimenti in macchinari e tecnologie rispetto ai salari) di un settore economico che però, ecco l'ipotesi chiave del filosofo napoletano, complessivamente ha dimensioni stabili. Ne deriva che laddove Marx sosteneva che il capitale complessivo investito nel settore aumenta, per Croce l'effetto “necessario e immediato” dello sviluppo del settore è il calo del capitale investito (oltre a una sua ricomposizione con un calo della componente dei salari). Se le dimensioni di un settore economico sono fisse, e la produttività aumenta, va da sé che il settore impiegherà sempre meno persone. A parità di fatturato, avremo dunque minori costi (dato che la crescita del capitale costante sarà poca cosa, dovendo mantenere un output costante) e necessariamente maggiori profitti, il contrario della legge proposta da Marx.

Croce non adduce prove empiriche a sostegno della propria tesi. In realtà, nei primi anni (o anche decenni) di vita, un settore economico si ingrandisce e dunque si ingrandisce la forza-lavoro che occupa pur tenendo conto dello sviluppo tecnologico. Il nuovo bene (sia esso un prodotto o un processo) occupa all'inizio un mercato di nicchia (ridotte dimensioni, alti margini). Nel tempo, aumentano i clienti ma il saggio di profitto del settore cala. La massa dei profitti aumenta con ciò recuperando il calo della profittabilità dell'investimento. Quando il prodotto è di massa e raggiunge tutto il mercato, poche grandi aziende dominano il campo. Solo a questo punto, quando il settore è completamente maturo, inizia a perdere forza-lavoro anche in senso assoluto (sempre che non sopraggiungano nuovi mercati). Il caso dell'agricoltura che occupa nei paesi avanzati una proporzione minima della forza-lavoro, è eclatante in questo senso.

È logico che se non sorgono altri settori in cui la massa crescente di lavoratori resi superflui nei settori maturi possa reimpiegarsi, lo sviluppo del capitalismo implicherebbe non un andamento ciclico della disoccupazione, ma un suo aumento costante e il capitalismo sarebbe condannato ben presto al declino. Al contrario, Marx presuppone che il nuovo capitale costante impieghi i lavoratori progressivamente liberati dai settori a crescente composizione organica. Croce comunque è cauto nel porre la propria obiezione: “Esprimo tuttavia il mio pensiero sotto forma di obiezione e di dubbio, perché trattandosi di un pensatore del grado di Marx, bisogna proceder cauti, e ricordarsi (come io non me ne scordo) che parecchie volte errori a lui addebitati si sono chiariti equivoci degli avversari” (p. 154-155), il punto è comprendere la plausibilità dell'ipotesi da cui Croce parte. Il suo errore è confondere valore d'uso e valore di scambio e dunque presupporre che ai capitalisti interessi la quantità di beni che gli operai producono (che dunque non varia). È come se l'obiettivo dei capitalisti fosse produrre 100 tonnellate di grano. Con il procedere del progresso tecnologico, basteranno sempre meno addetti per seminare e raccogliere 100 tonnellate di grano pur tenendo conto dei mezzi di produzione di cui si servono. Aumenterà dunque la disoccupazione assieme ai profitti. Il fatto è che il capitalismo non è un sistema basato sulla produzione di valori d'uso: l'unico obiettivo della produzione capitalistica è generare più denaro da meno denaro, ossia il profitto.

In un quadro concettuale complessivamente errato, un'osservazione di Croce è però interessante. Quando infatti sostiene che un capitale costante che ha meno valore di scambio di prima può conservarne il valore d'uso sta in sintesi sottolineando il tema della svalorizzazione degli investimenti, una delle controtendenze al calo del saggio di profitto individuate da Marx; tale svalorizzazione avviene però in un contesto di crescita complessiva delle forze produttive. È logico che se si presuppone, come fa Croce, che non ci sia sviluppo, l'aumento della composizione organica del capitale produce solo una crescente disoccupazione.

Ad ogni modo, all'obiezione che il capitale non utilizzato in quel settore verrebbe utilizzato in altri, Croce risponde che questo nuovo investimento non produce un progresso tecnico necessariamente labour-saving e che comunque ipotizzare questi nuovi settori è come una spiegazione non endogena della dinamica del capitalismo. Ovviamente si tratta di una profonda incomprensione del funzionamento del capitalismo. Già nel Manifesto Marx ed Engels sottolineano che il capitalismo non può sopravvivere senza rivoluzionare continuamente le forze produttive. La nascita di nuovi processi, nuovi prodotti, nuovi settori economici è una conseguenza inevitabile dello sviluppo capitalistico. I nuovi settori hanno tipicamente una composizione organica del capitale inferiore alla media, ma la aumentano col passare del tempo. L'ingresso di un nuovo settore può dunque ridurre leggermente la composizione organica media, che però comincia a risalire con il maturare del settore.

Croce, Infine, accenna al fatto che il III volume del Capitale era solo una bozza e Marx lo avrebbe probabilmente molto cambiato rivedendolo per la pubblicazione. Sicuramente Marx lo avrebbe rivisto, ma bisogna sempre ricordare che Marx ha prima scritto tutti i volumi del Capitale e poi ha rimesso mano al primo per la pubblicazione3. Vi possono dunque essere contraddizioni secondarie e aspetti che avrebbe modificato, ma non nei punti chiave. Questo vale particolarmente per la legge della caduta del saggio di profitto di cui Marx si guarda bene dall'attribuirsi la scoperta. Il punto è che per gli economisti classici, Smith e Ricardo in testa, la legge della caduta del saggio di profitto era ovvia (lo stesso Croce ne accenna confusamente). Marx non vuole dunque esporla come qualcosa di nuovo. Vuole semplicemente spiegarla in modo approfondito. Smith lega infatti la caduta del saggio di profitto alla “concorrenza”(della teoria di Ricardo, legata alla messa a coltura di terre sempre meno redditizie, non tratteremo qui). Smith ha ragione: la concorrenza incide, essa però non è la causa della caduta ma ne è lo strumento. Il punto chiave per comprendere la caduta del saggio di profitto è comprendere la dialettica tra saggio settoriale e saggio medio del profitto4. È proprio la caduta della redditività di un mercato ormai maturo che spinge i capitalisti a innovare (prodotto e processo) per risollevare le sorti dei profitti. Mano a mano che l'innovazione si generalizza (e il settore cresce di dimensioni), la maggiore redditività ritorna verso il saggio medio. All'inizio è proprio il differenziale della profittabilità ad attirare gli investimenti che, per inciso, possono anche comportare una svalutazione del capitale già investito, che è l'ipotesi di Croce, senza che ciò comporti però un calo degli investimenti complessivi. La crescita del settore, lo abbiamo accennato prima, conduce a un calo della profittabilità delle aziende che vanno concentrandosi, rimediando con le dimensioni al calo della capacità di remunerare gli investimenti effettuati.

In sintesi, le obiezioni di Croce alla legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto si basano su ipotesi che mal si conciliano con la dinamica reale di sviluppo del capitalismo.

Note

1Sul pensiero di Gramsci concernente la legge vedasi: https://quadernidelcarcere.wordpress.com/tag/caduta-tendenziale-del-saggio-di-profitto/.

2Sul tema della caduta del saggio di profitto la letteratura anche recente è sterminata. Mi permetto di rimandare alla sintesi che provo a farne in Valore crisi transizione (pp. 230 e seguenti, https://xepel.files.wordpress.com/2015/03/valore-crisi-transizione.pdf).

3Si veda, ad esempio, l'importante lavoro di Rosdolsky a riguardo (http://ouleft.org/wp-content/uploads/rosdolsky-the-making-of-marxs-capital_cs.pdf).

4In questo articolo si spiega bene il tutto http://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/2250-luca-lombardi-crisi-banche-e-saggio-di-profitto.html


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 13-09-2016