Fichte: I Discorsi alla nazione tedesca

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Fichte: I DISCORSI ALLA NAZIONE TEDESCA

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Fichte

Giuseppe Bailone

A partire dal 13 dicembre 1807, a Berlino, occupata dalle truppe francesi, Fichte tiene, per quattordici domeniche consecutive, delle lezioni che aggiornano le sue posizioni etico-politiche espresse nelle lezioni del 1804-5 sull’età presente. Si tratta dei Discorsi alla nazione tedesca. Allora affidava allo Stato, in particolare a quello prussiano, la funzione di promuovere la progressiva realizzazione del fine dell’umanità; adesso si rivolge, invece, al popolo tedesco, individuato come nazione che può e deve educarsi per svolgere quel compito.

“Popolo e patria – sostiene nell’ottava lezione – in questo significato, come supporto e pegno dell’eternità terrena, e come ciò che quaggiù può essere eterno, si trovano molto al di là dello Stato nel senso comune della parola”. Questo, infatti, “è soltanto mezzo, condizione e sostegno di ciò che propriamente esige l’amor di patria, dello sbocciare dell’eterno e divino nel mondo, in modo sempre più puro, perfetto e adeguato all’infinito procedere. Proprio perciò questo amor di patria deve governare lo Stato stesso, come autorità assolutamente suprema, ultima e indipendente”.1

Fichte è convinto che la distruzione dello Stato prussiano, per mano di una potenza straniera, sia dovuto ai limiti egoistici della sua politica, tutta tesa alla difesa di gretti interessi particolari, che ne hanno fatto un “impero dell’egoismo”. S’impone un cambiamento radicale, la “formazione di un nuovo mondo”, attraverso il superamento della vecchia epoca dell’egoismo dominante, la terza, e l’apertura di una nuova epoca, la quarta. Bisogna superare la cultura illuministica, che ha sì emancipato la ragione dall’obbedienza ad autorità estranee, ma l’ha ridotta a “intelletto sensibile” e calcolante. Bisogna entrare nella quarta età, quella della ragione che si apre alla dimensione spirituale. E questo si può fare solo a partire dalla presa di coscienza della crisi che investe la Germania e l’Europa, e della sua irreversibilità temporale. Fichte intende promuovere questa presa di coscienza e orientare, come guida profetica, il popolo tedesco verso la propria rigenerazione culturale e metterlo in grado di guidare l’intera umanità verso la nuova epoca e il proprio miglioramento.

Il compito resta, in un orizzonte ancora cosmopolitico, il miglioramento morale e culturale dell’intera umanità, ma il soggetto destinato a realizzarlo non è più l’individuo della cultura individualistica illuministica, ma quello del patriottismo romantico, il membro di una comunità linguistica capace di rafforzare la propria cultura di appartenenza e di tenerla aperta agli interessi spirituali dell’intera umanità.

Perché proprio ai tedeschi spetta questo compito epocale?

Perché, dice Fichte, i tedeschi, il “popolo originariamente unico” in Europa, “non hanno avuto, negli ultimi secoli, una storia; ciò che ha conservato il loro carattere è quindi qualcosa di assolutamente originario”. A differenza di altri popoli di origine germanica, essi “sono rimasti nella corrente ininterrotta di una lingua originaria, che si continua a sviluppare dalla vita reale”; mentre gli altri “hanno recepito una lingua ad essi estranea, che è stata uccisa sotto il loro influsso”.2

È la storia della lingua, non il sangue né il suolo, che fa la differenza. E a questa fondamentale differenza Fichte dedica il quarto discorso.

“La differenza tra il destino dei tedeschi e quello di altri ceppi provenienti dalla stessa radice, che si presenta all’osservazione immediatamente e prima di tutte le altre, è che i primi sono rimasti nelle sedi originarie del popolo di provenienza, mentre gli altri sono migrati in altri luoghi; i primi hanno conservato e formato ulteriormente la lingua originaria del popolo di provenienza, i secondi hanno accolto una lingua straniera e l’hanno trasformata gradualmente a modo loro. Le differenze subentrate successivamente possono essere spiegate solo da questa anteriore diversità, e non in ordine inverso: per esempio, il fatto che nella patria originaria, conformemente all’originario costume germanico, sia rimasta una federazione di Stati sotto un sovrano limitato, mentre nei territori stranieri, più sul precedente modello romano, la costituzione è sfociata in monarchie; e così via.

Tra i cambiamenti indicati, il primo, cioè il cambiamento di patria, è del tutto insignificante. L’uomo si ambienta facilmente sotto qualunque striscia di cielo, e la peculiarità del popolo, lungi dall’essere molto modificata dalla sede stanziale, al contrario domina quest’ultima e la modifica in conformità con sé. Anche la diversità degli influssi naturali non è molto grande sotto i cieli abitati da popolazioni germaniche. Altrettanto poco si può attribuire un peso alla circostanza che nei territori conquistati i popoli di provenienza germanica si siano mescolati con i precedenti abitanti; perché comunque furono soltanto i Germani a vincere, a dominare e a formare il nuovo popolo uscito dalla mescolanza. Inoltre, la stessa mescolanza che all’estero ebbe luogo con Galli, Cantabri, eccetera avvenne in misura certo non inferiore nella madrepatria con gli Slavi; cosicché nessuno dei popoli sorti dai Germani potrebbe dimostrare al giorno d’oggi una maggiore purezza della sua provenienza rispetto agli altri.

Più significativo, invece, e, come ho sostenuto, tale da fondare una perfetta opposizione tra i tedeschi e gli altri popoli di provenienza germanica, è il secondo cambiamento, quello della lingua; e qui non si tratta, lo voglio dichiarare con chiarezza fin da subito, né della costituzione particolare della lingua che è stata conservata da questo ceppo, né di quella dell’altra lingua che è stata assunta dall’altro ceppo, bensì esclusivamente del fatto che lì è stato conservato qualcosa di proprio, qui è stato assunto qualcosa di estraneo; né si tratta della provenienza anteriore di coloro che continuano a parlare una lingua originaria, bensì solo del fatto che si continui senza interruzione a parlare questa lingua, poiché gli uomini vengono formati dalla lingua molto più di quanto la lingua venga formata dagli uomini”.3

La lingua è il fattore fondamentale dell’identità di un popolo. E il mantenimento di questa identità nel corso dei secoli esige che la vita della lingua popolare non subisca fratture e mescolamenti traumatici come è capitato a quella dei Galli. Perché l’identità di un popolo è di natura spirituale è la lingua è la madre della cultura.

“Anzitutto – sostiene Fichte nel tredicesimo discorso – i confini primi, originari e veramente naturali sono senza dubbio i confini interni. Quelli che parlano la stessa lingua sono collegati tra loro da una molteplicità di legami invisibili mediante la semplice natura, ben prima che intervenga l’arte umana; sono capaci d’intendersi sempre più chiaramente, fanno parte di un tutto, e per natura sono Uno, e un unico e inseparabile intero. Essi non possono accogliere in sé e mescolare con sé un popolo di altra lingua e provenienza, senza confondere e disturbare violentemente il regolare procedere della loro formazione. La delimitazione esterna degli insediamenti risulta solo da questo limite interno, tracciato dalla natura spirituale dell’uomo stesso come sua conseguenza e, nella considerazione naturale delle cose, gli uomini che vivono all’interno di determinati monti e fiumi non sono affatto un popolo per questo, bensì al contrario gli uomini vivono insieme e, se così ha deciso la loro fortuna, sono protetti da fiumi e monti, perché essi erano un popolo già da prima, mediante una legge di natura di gran lunga superiore.

Così, la nazione tedesca si insediò al centro dell’Europa, sufficientemente unita in se stessa da una lingua e da un modo di pensare comuni, e separata abbastanza nettamente dagli altri popoli, come un muro divisorio tra stirpi non affini. Essa era coraggiosa abbastanza per proteggere i propri confini contro ogni attacco straniero, lasciata a se stessa, poco incline per tutto il suo modo di pensare a occuparsi delle popolazioni vicine, a mescolarsi nelle loro faccende, e a provocare con agitazioni la loro inimicizia”.4

Aristotele ha sostenuto che l’uomo si differenzia dagli altri esseri viventi per la parola. Per Fichte, come emerge da questi passi, la vita spirituale dell’uomo comincia con l’uso della lingua. La vita della lingua, si potrebbe dire, stabilendo un rapporto un po’ ardito, ha per l’identità culturale di un popolo la stessa fondamentale importanza che la vita psichica infantile ha, nella psicanalisi freudiana, per la struttura della personalità di un individuo: traumi nella vita storica della lingua di un popolo hanno una funzione paralizzante analoga a quella dei traumi infantili. E l’imposizione violenta di una nuova lingua crea, nella vita spirituale, grovigli che ne inceppano lo sviluppo. Per questo, ad esempio, i Francesi non hanno la profondità culturale dei Tedeschi: sono brillanti ma superficiali. Il loro spirito non è libero.

La purezza linguistica e, quindi, culturale del popolo tedesco lo candida a guida del progresso dell’intera umanità, a promuovere il passaggio nella quarta età, quella della scienza della ragione.

Questo primato tedesco può apparire inquietante alla luce della storia successiva del nazionalismo tedesco, quando alla purezza della lingua subentrerà quella del sangue (che, come abbiamo visto, Fichte sostiene che non esiste) e il compito universalistico diventerà violentemente aggressivo. Ma, per quanto Fichte sia all’origine di questa vicenda storica del nazionalismo tedesco (come Mazzini lo è di quello italiano), il suo entusiasmo idealistico e il mai rinnegato universalismo illuministico immettono nel suo nazionalismo elementi che saranno presto travolti, ma, che oggi non possono non essere visti come importanti antidoti al nazionalismo nazista. Infatti, nel settimo discorso, dedicato alla “comprensione ancora più profonda del carattere originario e tedesco di un popolo”, Fichte, prima, identifica l’identità tedesca con lo spirito dell’idealismo e, poi, arriva a dichiarare tedesco chiunque, indipendentemente dalla nascita e dalla lingua, sia genuinamente idealista.

Alla purezza nazionale e linguista subentra quella dell’idealismo, della filosofia, dell’orientamento morale e razionale nei confronti della realtà data.

È l’atteggiamento morale e spirituale nei confronti della realtà esistente che segna l’appartenenza al popolo tedesco, così come determina la scelta filosofica tra idealismo e realismo dogmatico. Con questo netto riferimento al tipo morale di uomo, anche l’organicismo del patriottismo fichtiano si attenua e lascia riemergere l’originario individualismo illuministico: l’appartenenza ad un popolo dipende da quel che si è come uomo, indipendentemente dalla nascita e dalla lingua.

Ecco che cosa sostiene Fichte, avviandosi a concludere questo discorso.

“E così, finalmente, emerge nella sua completa chiarezza ciò che nella nostra descrizione precedente abbiamo inteso per «tedeschi». Il fondamento vero e proprio della distinzione sta qui: se si crede in qualcosa di assolutamente primo e originale nell’uomo stesso, nella libertà, nella migliorabilità infinita, nell’eterno progredire della nostra specie; oppure se non si crede a nulla di tutto ciò, anzi erroneamente si ritiene d’intendere e di capire che è vero il contrario di tutto questo. Tutti coloro i quali o vivono in prima persona creativamente e producendo il nuovo, oppure, qualora ciò non sia loro toccato, perlomeno lasciano cadere decisamente ciò che non vale nulla, e vivono prestando attenzione all’eventualità che il flusso della vita originaria li afferri, oppure, qualora non siano progrediti neppure fin qui, hanno perlomeno il presentimento della libertà, e non la odiano né sono terrorizzati da essa, bensì la amano: tutti costoro sono uomini in senso originario; essi, considerati come un popolo, sono un popolo originario, il popolo in senso assoluto, tedeschi. Tutti coloro che si rassegnano a essere un che di secondario e di derivato, e si riconoscono e si comprendono manifestamente così, lo sono di fatto, e mediante questa fede lo diventano sempre più; essi sono un’appendice della vita, che si è destata per proprio impulso di fronte o accanto a loro, l’eco risonante dalla roccia di una voce già estinta; essi, considerati come popolo, sono fuori dal popolo originario, e per esso estranei, e stranieri. Nella nazione che a tutt’oggi si chiama il popolo in senso assoluto, cioè la nazione tedesca, in epoca moderna è venuto alla luce, perlomeno finora, qualcosa di originale, e si è rivelata una forza creatrice del nuovo. Ora, finalmente una filosofia divenuta chiara a se stessa tiene di fronte a questa nazione lo specchio, in cui essa può conoscere con la chiarezza del concetto ciò che finora è stata per natura senza coscienza manifesta, e ciò verso cui essa è destinata dalla natura. A essa viene fatta la proposta di fare di se stessa, in modo intero e completo, secondo quel concetto chiaro e con arte meditata e libera, ciò che essa dovrebbe essere, di rinnovare il patto, e chiudere il suo cerchio. Il principio secondo cui deve chiuderlo le sta proprio davanti: chiunque creda nella spiritualità e nella libertà di questa spiritualità, e voglia l’eterna e continua formazione di questa spiritualità mediante la libertà, costui, ovunque sia nato e qualunque lingua parli, è della nostra specie, ci appartiene e si unirà a noi. Chiunque creda nella stasi, nel regresso e nella danza circolare, o addirittura ponga al timone del governo del mondo una natura morta, costui, ovunque sia nato e qualunque lingua parli, non è un tedesco ed è per noi un estraneo, ed è auspicabile che si separi completamente da noi, quanto prima, tanto meglio”.5

Nazionalismo tedesco e filosofia idealistica fichtiana s’identificano. È tedesco chi si riconosce nella filosofia di Fichte. Una filosofia, non a caso, sorta in Germania, ed elaborata sempre più in polemica con quella francese.

“E – continua Fichte – così, in questa occasione, appoggiandoci a ciò che abbiamo detto prima sulla libertà, venga finalmente fuori a voce alta, e chi ha orecchie per intendere, intenda quali sono le vere intenzioni di quella filosofia che a buon diritto si dice tedesca; e qual è il punto in cui essa si oppone con rigore serio e inesorabile a ogni filosofia straniera che creda nella morte. Non lo diciamo perché ciò che è morto possa capirla, il che è impossibile, bensì perché per esso diventi più difficile distorcere le sue parole, e fingere che anch’esso voglia e in fondo intenda la stessa cosa”.

La “purezza” diventa qui quella della filosofia, tedesca naturalmente. E, tedesco e fichtiano diventano sinonimi di idealista, di colui che crede nella libertà e nella forza dello spirito sulle cose così come si presentano. E la scelta del primo Fichte, quella tra essere idealista o essere realista e dogmatico, si completa come scelta tra essere tedesco e partecipare all’ingresso dell’umanità nel quarto stadio della storia o essere straniero, cioè illuminista, francese, e fermarsi nello stadio della “completa peccaminosità”.

Torino 25 gennaio 2015

Note

1Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, a cura di G. Rametta, Laterza 2003, p. 116.

2 Ib. p. 63, inizio quinto discorso.

3 Ib., pp. 49-50, quarto discorso.

4 Ib., pp. 184-5.

5 Ib., pp. 106-7.

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

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Aggiornamento: 09-02-2016