BARUCH SPINOZA (1632-1677)

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BARUCH SPINOZA (1632-1677)

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BARUCH SPINOZA

QUADRO CULTURALE

La descrizione del contesto culturale in cui operò Spinoza passa inevitabilmente attraverso due quesiti di fondo:

1) che cosa rappresentò l'Olanda, per le nuove ondate filosofiche che nel Seicento passano sul vecchio volto dell'aristotelismo pressoché alla fine? E' solo un fatto economico, geografico, costituzionale il formarsi delle Province Unite, oppure è qualcosa che immette, quasi da un osservatorio privilegiato, nella visione panoramica del secolo, in quell'ambiente filosofico nordico, meraviglioso intreccio di tendenze innovatrici e di tenacissime remore conservatrici?

2) Com'era la cultura, quali i programmi e le idee del mondo accademico, se il linguaggio e l'ossessione polemica di Cartesio, di Spinoza, di Leibniz sono proprio quelli della tradizione aristotelico-scolastica?

E' certo che l'Olanda fu ricercata dai filosofi come una terra di libertà. Sia Cartesio che Spinoza la additano, parlando di Amsterdam, come una terra in cui regna la libertà e in cui il libero pensatore non rischia l'intolleranza altrui. Inoltre, nelle Province Unite trasmigrarono a masse gli Inglesi che fuggivano innanzi alle persecuzioni o del Cattolicesimo romano o dell'Episcopalismo anglicano o del Presbiterianesimo scozzese, tutti e tre ugualmente intolleranti. Locke fuggì in Olanda per mettersi al riparo dalla reazione di Giacomo II. Nascosto in Amsterdam, scrisse nel 1685 l'Epistola de tolerantia. Ultimo dei grandi ospiti di questo suolo in cerca di libertà e per sfuggire alla persecuzione, è Pierre Bayle, che tra il 1695 e il 1697, vi pubblica in due volumi, la sua opera principale, il Dizionario storico e critico, che è già in pieno clima illuministico.

Fino a che punto, in queste dichiarazioni e in questi fatti, la realtà si sottrae all'utopia? Oppure l'Olanda, pur con inflessioni proprie, rappresenta una situazione normale e risente della generale dinamica tra le resistenze della sclerotizzazione accademica e i nuovi suggerimenti del pensiero cartesiano?

Bisogna però dire che chi affonda l'occhio fino alla trama delle idee e al reticolato delle norme accademiche deve ancor più restringere quest'inno al costume libero. L'Olanda non sfugge al paradigma del secolo e non sfugge alla necessaria e quotidiana lotta per una rivendicazione di libertà e cittadinanza alle nuove idee.

L'aristotelismo è culturalmente e programmaticamente sovrano in tutte le università, che, da questo punto di vista, presentano una fisionomia quanto mai monotona. Su questa invadenza dell'aristotelismo che pigramente stagnava non solo nella facoltà filosofica, ma anche nelle altre tre - giuridica, medica, teologica - tra il terzo e il quarto decennio del secolo, passò la ventata cartesiana: arsero subito entusiasmi, e quindi contrasti, lotte, censure e dolorose espulsioni. Il duello durò per quasi mezzo secolo: se non vinse il cartesianesimo, come sistema, vinse il suo spirito innovatore, quello spirito che all'inizio fu quasi un'ubriacatura: tanto che se intorno all'ultimo ventennio del secolo non sopravvive più né l'aristotelismo né il sistema cartesiano, lo spirito di questo si è tramutato in quella nuova coscienza ein quel nuovo costume, che possiamo senz'altro chiamare preilluminismo. Dunque, in queste tre componenti fondamentali - aristotelica, cartesiana, preilluministica - ci pare sia dato cogliere il volto segreto del Seicento.

Sorprende, anzitutto, di ritrovare nelle università tedesche e nordiche, luterane e riformate, una ripresa della cultura e dell'insegnamento aristotelico. Lutero aveva scagliato fulmini contro le università "papiste" e in particolare contro la Sorbona; aveva, nel De servo arbitrio, rinnegato la filosofia come "dottrina strana e inutile ai cristiani", e apostrofato violentemente Erasmo. Nè da meno era stato Melantone. Eppure furono proprio Lutero e Melantone, sotto la spinta delle influenze umanistiche e per necessità di sistemazione dogmatica, che progressivamente reintrodussero Aristotele nelle Università, a cominciare da quella di Wittenberg, che era stata la roccaforte dell'iconoclasticismo scolastico.

Un altro elemento importante del quadro culturale olandese, in questo secolo, è la parte che viene assegnata alla filosofia nel corso degli studi universitari. Il fatto caratteristico è che la filosofia è considerata solo come disciplina preparatoria agli insegnamenti, così detti scientifici. La facoltà di filosofia deve quindi obbedire a compiti di introduzione terminologica e metodologica nei confronti delle altre facoltà.

ITER BIOGRAFICO E INTELLETTUALE

La nascita di una leggenda e di una disputa

Perché intorno alla figura di Spinoza è nata una leggenda? I motivi probabili furono certamente molti: la sua origine, la sua vicenda religiosa, la scarsità e l'incertezza dei dati biografici derivanti anche dall'estrema riservatezza del suo modo di vita; a ciò si aggiungono la particolarità di certe prese di posizione di Spinoza, l'esemplare indipendenza, il fatto infine che durante la sua vita egli pubblicò soltanto due libri, dei quali uno solo con il suo nome. Le sue idee però circolavano ed era noto che esistevano scritti nei quali tali idee erano esposte e dimostrate.

Ma perché la sua filosofia fu così combattuta? Le ragioni vanno individuate nell'alto potenziale di innovazione di cui essa era portatrice. Per più di un secolo dal loro primo diffondersi, le idee, con le quali a torto o a ragione fu identificato lo spinozismo, furono oggetto per un verso di distorsioni ed equivoci e per latro di polemiche violente. Nel nome di Spinoza furono scagliate le accuse più infamanti. Si mise ogni cura nel prendere distanze dalla sua teoria. Per quel tanto che si riteneva di conoscerne, essa infatti apparve immediatamente come uno scandalo, perché fu considerata materialista, atea e determinista. Alla condanna della dottrina si accompagnò tuttavia sempre l'ammirazione per l'uomo Spinoza. E il fatto che in lui si unissero ateismo e virtù creva anch'esso scandalo, poiché rompeva la tradizionale alleanza di religione e morale.

Nella comunità Talmud Tora

Spinoza è di famiglia ebraico-portoghese, di origine marrana, impiantatasi ad Amsterdam. Marrani (porci) venivano chiamati gli ebrei che, costretti dall'Inquisizione spagnola e portoghese a convertirsi al cattolicesimo, avevano conservato in privato il culto della loro fede. Il padre era commerciante, perfettamente inserito nella vita economica della città. Amsterdam era allora la città più ricca della Repubblica delle Province Unite o Repubblica d'Olanda, nata dalla separazione del Nord dai Paesi Bassi del Sud. Centro del commercio internazionale, in essa si assisteva alla piena espansione del capitalismo mercantile, mentre con l'aiuto del capitale finanziario, legato alle banche, cominciava a frsi strada pure il capitalismo industriale. La città aveva anche fama di straordinaria tolleranza in fatto di religione, sì che era diventata luogo di residenza di molti spiriti liberi.

La nascita di Spinoza cade proprio in uno dei momenti di massimo splendore di questo periodo del tutto eccezionale della storia d'Olanda, che appunto per questo viene definito il "secolo d'oro" dell'economia e della cultura olandese.

Il padre di Spinoza era un notabile della comunità ebraico-portoghese, detta Talmud Tora (cioè "lo studio della legge"). Il futuro filosofo seguì certamente la scuola della comunità Talmud Tora fino all'età di tredici o quattordici anni, studiando la lingua ebraica, le preghiere, la Bibbia, il Talmud, ossia i testi in cui si raccolgono le leggi proprie della comunità ebraiche.

L'uscita dalla comunità

Nel 1656 Spinoza fu espulso dalla comunità. Questo significa per Spinoza l'abbandono della religione dei padri e del bagaglio di rigide norme etiche che vi era connesso. Non abbiamo nessuna notizia certa sulle motivazioni di quella scomunica, ma la vera ragione può essere cercata solo nel contenuto dottrinale degli scritti spinoziani. Vi si trova il punto di arrivo di un processo di emancipazione e liberazione dagli stretti confini imposti dall'ortodossia ebraica, che certamente era iniziato durante gli anni di studio. E' incerto se dopo la scomunica abbia continuato ad avere rapporti con ebrei; risulta però che tra i suoi corrispondenti non figura nessun ebreo. La scomunica ebbe anche effetti economici, poiché Spinoza fu costretto ad abbandonare l'attività commerciale che svolgeva col fratello. Da questo momento, si dedicò alla politura (levigazione) di lenti per telescopio e microscopio, raggiungendo in tale tecnica grande perizia e fama.

Il trasferimento a Rijnsburg

Ancora prima di uscire dalla comunità Spinoza aveva cominciato a studiare il latino alla scuola di un ex-gesuita libero pensatore. L'apprendimento del latino consentì a Spinoza lo studio della filosofia scolastica, che si rifaceva alla tradizione medievale, e di quella cartesiana, che erano dominanti nelle università olandesi del tempo. Ma gli permise anche di accostarsi alle scienze fisiche e matematiche. Intanto, aveva cominciato a stringere rapporti con membri delle sette cristiane, che allora erano numerose in Olanda, in particolare con i Collegianti. Questi rifiutavano il clero e sostenevano il libero esame e la libera interpretazione della parola di Dio. Non erano legati ad alcun dogma, ad alcun principio assoluto. Questo rifiuto dei dogmi consentiva ai Collegianti di accogliere nella loro comunità chiunque si riconoscesse nel Cristo.

Tra gli appartenenti a questa setta e a quella affine dei Mennoniti figurano alcuni dei corrispondenti di Spinoza, colti mercanti che all'interesse per l'attività commerciale univano quello vivissimo per gli studi filosofici e teologici. Essi costituirono, insieme ad altri, il "circolo spinoziano", nel quale venivano letti, commentati e discussi i principi della filosofia spinoziana via via che l'autore li elaborava e li comunicava ai suoi amici.

Alcuni anni dopo la scomunica Spinoza si trasferisce a Rijnsburg presso Leyda, ove rimane fino al 1663. Questa città era la sede principale della setta dei Collegianti. E qui hanno inizio o si intensificano i rapporti di Spinoza con uomini appartenenti a tale setta, la cui amicizia e il cui affetto accompagneranno Spinoza per tutta la vita.

Risale a questi anni la stesura delle prime opere di Spinoza Da una lettera sappiamo che attorno al 1661-2, è già in fase di avanzata elaborazione la teoria che l'Etica, il suo scritto più sistematico e completo, dimostrerà secondo il metodo geometrico.

In questi anni, oltre a cominciare a scrivere l'Etica, lavoro che si concluderà solo con la conclusione stessa della sua vita, scrive:

+ verso il 1658: Trattato su Dio e su l'uomo e la sua felicità (noto ora come Breve trattato) che andò perduto e fu ritrovato e pubblicato per la prima volta nel 1862. Esso contiene, anche se meno rigorosamente espresse,le medesime dottrine fondamentali che si ritrovano nell'Etica. In questo scritto, inoltre, si possono già scorgere con chiarezza le due componenti della filosofia di Spinoza, la neoplatonica e la cartesiana; come pure l'interesse fondamentale di questa filosofia, che è diretto alla vita morale, politica e religiosa dell'uomo. La componente neoplatonica è evidente nel concetto di Dio come causa unica, diretta e necessaria di tutto ciò che è, la componente cartesiana è evidente nel concetto della sostanza e degli attributi; manca invece in quest'opera l'interpretazione della necessità naturale o divina come necessità geometrica.

+ 1661-2: Trattato sull'emendazione dell'intelletto, rimasto incompiuto e pubblicato nella raccolta delle Opere postume, lo stesso anno della morte del loro autore (1677). Quest'opera è considerata dai critici come una sorta di "discorso sul metodo" spinoziano, parallelo a quello di Cartesio.

+ 1663: Principi della filosofia cartesiana con in appendice i Pensieri metafisici. Questi due furono gli unici scritti mai pubblicati da Spinoza con il suo nome. Il primo era in origine un sommario dei Principi di filosofia di Cartesio, che Spinoza aveva composto per un suo scolaro. Su richiesta di alcuni suoi amici lo scritto fu pubblicato coll'appendice dei Pensieri metafisici, nei quali venivano accennate le divergenze dell'autore da Cartesio.

Gli anni dell'Aja

Nel 1663 Spinoza si trasferisce nei pressi dell'Aja, a Voorburg, dove stringe legami di amicizia con uomini politici, diplomatici, scienziati, filologi, mercanti, tra cui il Gran Pensionario (una delle più alte cariche nella Repubblica d'Olanda) Jan de Witt, che diviene suo discepolo e protettore.

+ 1670: è pubblicato anonimo il Trattato teologico-politico. E' la sua opera più direttamente polemica: contro ciò che chiama l'"odio teologico", contro un esercizio arbitrario del potere, in difesa della libertà di pensiero e parola, scritta allo scopo di dimostrare che tali libertà costituiscono i fondamenti di uno stato razionale. E'anche il libro nel quale, a distanza di tanti anni, chiarisce i motivi del suo distacco dall'ortodossia ebraica e pone le basi della critica biblica. E' un testo rivoluzionario, perché le teorie in esso contenute mettono in discussione numerose certezze del pensiero tradizionale. Il libro fu condannato dalle Chiese calviniste d'Olanda e anche dalle autorità civili, scatenando una lunga serie di confutazioni.

Nel 1671 si trasferisce definitivamente all'Aja. A quell'anno risale il primo contatto epistolare con Leibniz, che per primo si rivolge a Spinoza per discutere questioni di ottica. Nel rispondergli Spinoza gli offre una copia del Trattato teologico-politico, che Leibniz già conosceva - pur ignorandone l'autore, e che giudicava "insopportabilmente insolente". Tuttavia Leibniz, alcuni anni dopo cercherà di ottenere, tramite di amici di Spinoza, una copia dell'Etica. Ma Spinoza, che aveva affidato una copia di quel libro agli amici, a condizione che non la diffondessero senza il suo esplicito consenso, dichiara di non fidarsi abbastanza di Leibniz. Quest'ultimo, di ritorno da Parigi nel 1675, si reca a trovare Spinoza e i due discutono di questioni filosofiche, fisiche e politiche. In seguito, anche Leibniz, come il filosofo N. Malebranche (1638-1715), avrà cura di rendere esplicito e pubblico il suo dissenso dalle tesi più pericolose dello spinozismo.

Nel 1673 gli viene offerta una cattedra all'università di Heidelberg da parte dell'Elettore Palatino, ma Spinoza declinò l'invito.

Nel 1675 fa un tentativo di stampare l'Etica, l'opera a cui lavorava da quasi un ventennio, ma il progetto decade per le insidie dei teologi, che, diffusasi la voce dell'imminente pubblicazione di un libro in cui Spinoza dimostrava la non-esistenza di Dio, complottavano contro di lui.

Questo clima di lotta religiosa potrebbe apparire senza alcun dubbio in contrasto con la fama di paese libero e tollerante che l'Olanda del tempo di Spinoza si era conquistata. Ma Spinoza non si proponeva come esponente di una delle sette cristiane che, pur muovendosi in un campo di eresia, condividevano la fede in un Dio persona. Egli, al contrario, teorizzava un dio che aveva perso gli attributi che la tradizione filosofica e teologica gli aveva sempre riconosciuto, mentre ne aveva acquisito uno (l'estensione o materia) che era stato sempre considerato indegno della sua natura. Spinoza si poneva, pertanto, nettamente al di fuori di ogni possibile ambito di discussione e confronto. Rispetto alla sua filosofia, l'unico atteggiamento possibile era quello della condanna e del rifiuto. Quindi l'Etica (terminata nel 1674) sarà pubblicata solo dopo la sua morte, nel 1677.

In questi anni Spinoza lavora al Trattato politico, che però rimarrà incompiuto, fermandosi agli inizi della parte che avrebbe dovuto trattare del governo democratico e della sua struttura organizzativa. Della democrazia Spinoza aveva enunciato i principi generali anche nel Trattato teologico-politico, rendendo espliciti i presupposti teorici della sua preferenza per tale forma politica. Spinoza muore a 44 anni, per tisi, nel febbraio del 1677.

ASPETTO ANALITICO E SISTEMATICO

Le fonti e il carattere del sistema

Nel pensiero di Spinoza - la cui tesi centrale è l'identificazione panteistica di Dio con la Natura - convergono temi e motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate. Fin dal secolo scorso, la critica ha individuato, come fonti principali, la teologia giudaico-cristiana, la filosofia neoplatonico-naturalistica del Rinascimento ed il razionalismo cartesiano. Tuttavia ogni tentativo di "ridurre" Spinoza alle sue fonti o di distinguere "fasi" evolutive del suo sistema si è mostrato, sinora, fallimentare.

A questa serie "aperta" di influenze, bisogna poi allegare la Rivoluzione scientifica, che pur non essendo una fonte in senso stretto, rappresenta il retroterra mentale e culturale senza di cui non si comprenderebbe il concetto spinoziano del Dio-Natura. Infatti, come verificheremo, la caratteristica di base del pensiero spinoziano è la sintesi, da esso realizzata, fra la tradizionale visione metafisico-teologica del mondo e gli esiti della nuova scienza. Il punto di questa originale fusione, l'idea che la rende possibile, è proprio il concetto di Dio come ordine geometrico del mondo, che da un lato, per quanto concerne le sue implicanze teologiche, riporta alle grandi metafisiche e teologie dell'Occidente e dall'altro, per quanto riguarda le sue valenze naturalistico-matematiche, richiama il nuovo modo scientifico di intendere il reale.

Un'altra caratteristica storica essenziale del pensiero di Spinoza è il suo rapporto con la civiltà cristiana europea. Con questo filosofo, mediante un'operazione mai prima avvenuta nella cultura "ufficiale", l'Occidente cessa, dopo tanti secoli, di essere soltanto cristiano. Infatti Spinoza è, al tempo stesso, il primo autore dell'età moderna con cui l'Occidente elabora un pensiero universale ed il primo filosofo con cui avviene l'esplicito rigetto della concezione biblico-cristiana di Dio, del mondo e dell'uomo, che sino allora era stata essenzialmente presupposta da tutti gli studiosi.

La filosofia come catarsi esistenziale ed intellettuale

Si è detto che il Trattato sull'emendazione dell'intelletto (1661) è il "Discorso sul metodo" di Spinoza e ciò sembra accettabile, vuoi per certe somiglianze esteriori, vuoi perché questo trattato contiene la metodologia dell'Etica; non perché il metodo di Spinoza sia quello di Cartesio. Le somiglianze esteriori sono: il modo autobiografico di esposizione, l'indicazione di regole per una morale provvisoria, la ricerca di un metodo per arrivare alla verità. M al verità che Spinoza cerca è una verità che dia significato alla vita, non una verità scientifica, e per questo Spinoza è più vicino a Pascal che a Cartesio. Infatti, in questo scritto, Spinoza rivela una concezione della filosofia come via verso la salvezza esistenziale, che va ben oltre le preoccupazioni metodologiche-gnoseologiche di Cartesio e che lo avvicina a certa tradizione filosofico-religiosa.

Come appare dall'introduzione al Trattato, lo spinozismo nasce da una delusione di fondo nei confronti dei comuni valori della vita e si alimenta della ricerca di un bene vero, capace di dare un significato all'esistenza e di colmare la sete umana di felicità.

Nonostante questa ricerca di un bene assoluto, Spinoza nega l'esistenza di un bene oggettivo: bene e male sono solo relativi, poiché tutto è come deve essere. E allora che senso ha la ricerca del sommo bene? Ognuno potrà cercare solo quello che è bene per lui. Tuttavia questa ricerca viene presentata da Spinoza in chiave comunitaria (e non individualistica) in quanto egli dichiara esplicitamente che "appartiene alla mia felicità fare in modo che gli altri comprendano le cose come le comprendo io" e che "risulta necessario formare una società qual è da desiderare affinché tutti facilmente e sicuramente raggiungano lo scopo". Spinoza quindi si figura un ideale di umanità superiore, che si realizza quando si arriva a conoscere l'unione del nostro spirito con la natura. Infatti, per lui l'infinito e l'eterno che l'uomo ricerca si identificano con il Cosmo (= panteismo) e la gioia suprema con la consapevolezza dell'unione con esso.

Metodo e verità

La conversione esistenziale dai beni finiti al bene infinito presuppone tuttavia, per Spinoza, un'analoga "purificazione" dell'intelletto, ossia una improrogabile necessità di "curare la mente". Infatti Spinoza è convinto che il progresso etico proceda parallelamente al progresso intellettuale e che l'elevazione dell'uomo, la sua progressiva catarsi esistenziale, sia teorica e pratica al tempo stesso. Per questa ragione il filosofo distingue alcuni gradi di conoscenza, attraverso cui avviene al progressiva ascesa della mente dalle forme conoscitive più basse a quelle più alte.

Individuate le vie fondamentali della conoscenza, che si concludono nell'intuizione metafisica, Spinoza, ponendosi il problema di "mostrare la via e il metodo", risponde che non esiste un modo preliminare, cioè un metodo, per giungere alla verità, in quanto solo la verità, già posseduta è via a se stessa. Infatti, se ciò non fosse, ogni metodo presupporrebbe un secondo metodo, che a sua volta ne presupporrebbe un altro e così via all'infinito. In questa concezione, si capisce che la metodologia non debba precedere la conoscenza della realtà. Come potrei sapere, infatti, se la metodologia è buona? Dovrei fare una metodologia della metodologia, e così all'infinito. Per Spinoza dobbiamo adoperare gli strumenti naturali che abbiamo per conoscere - ossia prima elaborare la scienza, e poi farne la metodologia. E gli strumenti naturali sono le vere idee.

Come la luce, manifestando sé medesima, manifesta nel contempo le tenebre e si distingue da esse, così la verità è "norma et index sui et falsi", cioè criterio e indice di sé e del falso,in quanto solo sulla sua base si possono stabilire i contrassegni della verità. Per cui, come non si potrebbe mai uscire dalle tenebre se non si scorgesse già un bagliore di luce, così non si potrebbe mai raggiungere il vero e distinguerlo dal falso se non si intuisse già, in qualche modo, la verità. "Il metodo... è il comprendere che cosa sia l'idea vera distinguendola da tutte le altre percezioni".

Ma dove risiede e in che cosa consiste la verità? Spinoza, conformemente al razionalismo di tutto il XVII secolo, risponde che essa si trova nelle idee innate e consiste nella loro chiarezza e distinzione, che ha già in sé, intrinseca, la propria certezza e la garanzia della propria conformità agli ideali, ovvero agli oggetti. Infatti non è possibile avere in sé un'idea chiara e distinta e nello stesso tempo dubitare che sia falsa, perché nessuno dubita, ad esempio, che 2 + 2 = 4 o che il tutto sia maggiore della parte e che tali idee trovino corrispondenza effettiva nella realtà. Ma l'idea vera per eccellenza, quella che ha in sé il massimo grado di certezza, è quella di Dio o di Sostanza, che rappresenta, al tempo stesso, il paradigma di ogni idea adeguata e il punto di partenza da cui deve muovere il sistema della scienza (= la metafisica), che Spinoza concepisce come un procedimento attraverso il quale, poste talune definizioni di base, ne seguono necessariamente determinate conseguenze.

Nell'ultima parte del Trattato, rimasto incompiuto, Spinoza delinea una teoria della definizione, essenziale per la sua concezione deduttivistica del sapere, chiarendo che "una definizione, per essere perfetta, deve esplicare l'intima essenza della cosa e deve badare a non mettere al posto dell'essenza qualche sua proprietà".

LA METAFISICA: IL PANTEISMO

Il metodo geometrico e il concetto di sostanza

Il capolavoro di Spinoza, l'Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico è una sorta di enciclopedia delle scienze filosofiche, ma con particolare riferimento all'etica. Il metodo che segue Spinoza, bene evidenziato dal titolo, è di tipo geometrico, in quanto egli, ispirandosi agli Elementi di Euclide di Alessandria (300 a.C. ca.), si serve di un procedimento espositivo che si scandisce secondo definizioni, assiomi, proposizioni (= teoremi), dimostrazioni, corollari e scolii (= delucidazioni). Le definizioni e gli assiomi fungono da principi della deduzione, che si svolge attraverso le proposizioni; gli scolii (= commenti) possono essere inseriti a chiarimento ulteriore di un concetto.

Gli studiosi si sono chiesti molte volte perché Spinoza abbia scelto questo metodo per trattare i massimi problemi della filosofia. Fra le molte risposte possibili le più plausibili sono probabilmente le seguenti:

a) Spinoza è influenzato dalla moda matematizzante dell'epoca, che perseguiva l'ideale di un sapere rigoroso e universalmente valido;

b) Spinoza è un ammiratore delle matematiche e vede nella trattazione geometrica, come in parte nel latino, una garanzia di precisione di sinteticità espositiva, nonché di distacco emotivo nei confronti dell'argomento trattato;

c) Spinoza è convinto che il reale costituisce una struttura necessaria, di tipo geometrico, in cui tutte le cose sono concatenate logicamente fra loro e quindi "deducibili" sistematicamente l'una dall'altra.

Il problema più importante, resta quello di determinare il valore da dare ad un tale sistema geometricamente dedotto, e questo è possibile solo stabilendo il valore delle definizioni, se siano cioè "nominali" o "reali". Questo stesso quesito se lo pose un discepolo di Spinoza, appunto in relazione alle definizioni dell'Etica e in una lettera di risposta Spinoza chiarisce distinguendo tra due tipi di definizione:

a) quella che "spiega la cosa quale essa è fuori dell'intelletto, e allora deve essere vera",

b) e quella che "spiega la cosa quale è o può essere da noi concepita", ma non dice a quale tipo appartengano le sue definizioni.

Nel primo caso le definizioni sono di puri termini; infatti la definizione nominale spiega solo il significato del nome sostituendo ad esso un sinonimo: tutto il sistema è allora un edificio formale che non può avere alcun rapporto con la realtà. Nel secondo caso, le definizioni sono di cose; la definizione reale spiega che cosa sia l'oggetto significato dal nome: il sistema è allora una struttura concettuale che rispecchia un mondo di cose organicamente in relazione tra loro.

Si è molto discusso sul valore che le definizioni hanno all'interno del metodo che Spinoza applica prima nei Principi della filosofia cartesiana e in un'appendice al Breve trattato, e poi in modo sistematico nell'Etica. Ma ogni dubbio viene superato se il metodo e le definizioni che sono i suoi principi si mettono in relazione, come si deve, con la teoria della verità.

La legittimità di tale interpretazione è convalidata dalla teoria della definizione che Spinoza imposta alla fine del Trattato sull'emendazione dell'intelletto. Per Spinoza l'idea vera è quella che concorda con il suo ideato, cioè con il suo oggetto, e la definizione di una cosa esistente, per essere vera, deve contenere la descrizione esatta della cosa definita. Il vero, quindi, per Spinoza implica sempre un riferimento al reale e le definizioni sono tutte reali. Perciò il metodo non è una veste puramente formale alla quale avrebbe potuto adattarsi qualunque contenuto, bensì lo schema della struttura della realtà.

Adottando questo metodo, Spinoza elabora definizioni che sono definizioni di cose e non di semplici nomi. A partire da qui, tira tutta la serie delle sue deduzioni e, aggiungendo pezzo a pezzo, costruisce l'intero edificio. Il metodo deduttivo è infatti sintetico: procede sommando nota a nota.

Questa preferenza per la deduzione è un tratto caratteristico di Spinoza, che lo distingue da Cartesio. Infatti Cartesio, nelle Risposte alle Seconde Obiezioni allegate alle Meditazioni, aveva distinto ordine geometrico da modo geometrico di dimostrare: il primo consiste nel non dare per dimostrato ciò che non è veramente tale, ossia ciò che non può essere inferito da verità immediatamente evidenti; il secondo è il "metodo sintetico": quello che parte da definizioni, assiomi e di qui deduce le verità da dimostrare. Nella Prefazione che L. Meyer premise all'edizione spinoziana dei Principi (riveduta dallo stesso S:), si dice che Cartesio preferì il "metodo analitico". Ma sebbene la certezza si ottenga per l'una e l'altra via, il procedimento analitico non giova a tutti, perché molti, non avvezzi al metodo matematico, non si rendono conto degli argomenti dimostrativi, quando sono presentati secondo il procedimento analitico. Ecco perché S ha preferito il procedimento sintetico, che Cartesio riteneva adatto solo alla esposizione della verità, ma non alla ricerca. Forse la preferenza di Spinoza per il metodo deduttivo dipende anche dal fatto che la sua metafisica non è che l'esplicitazione di una intuizione originaria, quindi esposizione più che ricerca.

Il concetto fondamentale da cui parte Spinoza per dedurre tutto il sistema del sapere metafisico è quello di sostanza. Nella tradizione greco-medievale per sostanza ssi intendeva sia la forma, ossia l'essenza necessaria di una cosa, sia il cosiddetto sinolo, cioè l'individuo concreto in cui essa è incarnata, e si considerava il mondo come un insieme di sostanze gerarchicamente ordinate. Cartesio, insistendo sull'autonomia della sostanza, e quindi sul fatto che essa, a differenza degli accidenti, esiste di per se stessa ("cosa che esiste in modo tale, da non avere bisogno di nient'altro per esistere") aveva finito per riferirla non più agli individui, bensì a Dio, realtà originaria ed autosufficiente per eccellenza, che essendo causa sui non riceve l'esistenza da qualcos'altro. Tuttavia Cartesio non era stato completamente fedele a se stesso, poiché accanto a Dio, Sostanza prima, aveva ammesso, come sostanze seconde, la res extensa e la res cogitans, intese come due realtà che per esistere hanno bisogno unicamente di Dio. L'ambiguità cartesiana era evidente, poiché da un lato la sostanza era ciò che per esistere non ha bisogno che di sé medesima (= Dio) e dall'altro lato era ciò che per esistere ha bisogno soltanto di Dio (= le creature).

Spinoza, quindi, elimina quello che a suo giudizio è un equivoco e una scappatoia di Cartesio: la molteplicità delle sostanze e si propone, andando oltre Cartesio, di sviluppare con la massima coerenza tutte le implicanze logiche della nozione di sostanza. Spinoza definisce la sostanza come "ciò che in sé e per sé si concepisce, ossia come ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un'altra cosa da cui debba essere formato". Con la prima parte della formula egli intende dire che la sostanza, essendo da sé (in sé = da sé), in quanto deve unicamente a se stessa la propria esistenza, rappresenta una realtà autosussistente ed autosufficiente, che er esistere non ha bisogno di altri esseri. Nella seconda parte della formula Spinoza intende dire che la nozione di sostanza, essendo concepibile soltanto per mezzo di sé medesima, rappresenta un pensiero che per essere pensato non abbisogna di altri pensieri. Come tale, la sostanza gode di una totale autonomia ontologica e concettuale, poiché si identifica con una realtà che non presuppone, ma è eventualmente presupposta, da ogni altra possibile realtà, e con un concetto che non presuppone, ma è eventualmente presupposto, da ogni altro possibile pensiero.

Le proprietà della sostanza e l'identificazione di Dio con la Natura

Da questa definizione di sostanza Spinoza deriva una serie di proprietà che la caratterizzano:

1) la Sostanza è increata, in quanto per esistere non ha bisogno di altro, essendo, per natura causa sui, cioè un ente la cui essenza implica l'esistenza;

2) la Sostanza è eterna perché essa possiede, come sua proprietà costitutiva, l'esistenza, che non riceve da altro;

3) la Sostanza è infinita, perché se fosse finita dipenderebbe da qualcos'altro (contraddicendo il primo punto), e perché la sua essenza non ha limiti;

4) la Sostanza è unica, poiché "nella natura non si possono dare due o più sostanze della medesima natura ossia del medesimo attributo".

Questa Sostanza increata, eterna, infinita ed unica non può essere che Dio o l'Assoluto di cui hanno parlato le filosofie e le religioni e di cui Spinoza è più certo di quanto lo sia di ogni altra realtà. Spinoza perviene a questo principio-chiave del suo pensiero fondandosi sull'unicità della Sostanza. Infatti se la Sostanza è unica essa sarà come una circonferenza infinita che ha tutto dentro di sé e nulla fuori di sé, per cui le cose del mondo saranno per forza o la Sostanza o la manifestazione in atto di tale Sostanza. "Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere concepita". Quindi, Spinoza ritiene che Dio e mondo non costituiscano due enti separati, ma uno stesso ente, poiché Dio non è al di fuori del mondo, ma nel mondo, e costituisce con esso, quell'unica realtà globale che è la Natura. "Deus sive natura" dice Spinoza: Dio, ovvero la Natura. Questo è il panteismo spinoziano.

Attributi e modi

Per esemplificare meglio il rapporto fra Dio e il mondo, Spinoza usa i concetti di "attributo" e "modo". Gli attributi sono "ciò che l'intelletto percepisce della sostanza come costitutivo della sua essenza", ossia le qualità essenziali o strutturali della Sostanza. Essendo quest'ultima infinita, in quanto la sua essenza è illimitata, infiniti saranno pure i suoi attributi. Tuttavia, degli infiniti attributi della Sostanza, e quindi degli infiniti volti della Natura, noi ne conosciamo soltanto due: l'estensione e il pensiero, ovvero la materia e la coscienza.

[Il concetto di attributo]

Anche sul rapporto tra sostanza e attributi hanno discusso molto gli studiosi di Spinoza, dividendosi in due schiere contrapposte. Da una parte vi sono sostenitori dell'orientamento "modalistico", secondo il quale gli attributi sono proprietà esterne della sostanza, proprietà che l'intelletto attribuisce alla sostanza, mentre questa, in sé, sarebbe indeterminata. Dall'altra vi sono coloro i quali sostengono invece che gli attributi sono costitutivi della sua essenza, sono cioè la sostanza stessa che è in sé qualitativamente determinata. I primi fanno leva sulla sulla prima parte della definizione dell'attributo: "ciò che l'intelletto percepisce della sostanza"; i secondi sull'ultima parte: "come costitutivo della sua essenza".

Nell'Etica Spinoza sostiene, in effetti, in modo esplicito che l'attributo è realtà e più volte stabilisce un'identità tra sostanza e attributi. Quindi gli attributi sono da considerarsi "principi ontologici", propri dell'essere della sostanza, costitutivi della sua realtà e anche principi della possibilità di comprenderla in quanto la fanno conoscere come essa è.

[Spinoza e Cartesio]

+ L'Etica muove da una definizione cartesiana della "sostanza"

+ Cartesio ammette tre sostanze: Dio è sostanza in senso stretto; l'estensione e il pensiero sono sostanze in senso ampio.

+ Spinoza prende invece il termine "sostanza" in senso forte, e quindi non ammette altra sostanza che Dio.

+ La natura è un'unica sostanza con Dio, per Spinoza

+ Già Cartesio aveva ridotto a una sola la sostanza materiale, di cui i corpi non sono che modificazioni.

+ Spinoza intende quella che per Cartesio era la "sostanza estesa" come un attributo dell'unica sostanza divina.

+ Spinoza fa del "pensiero" (l'altra sostanza cartesiana) un altro attributo della sostanza divina.

+ Quelle che per Cartesio erano le singole sostanze pensanti, cioè le diverse anime umane, per Spinoza diventano modificazioni momentanee dell'unica sostanza divina, considerata sotto l'attributo del pensiero.

I modi di cui parla Spinoza sono invece modi di essere, cioè le manifestazioni o le concretizzazioni particolari degli attributi e si identificano quindi con i singoli corpi e le singole idee, che non hanno sostanzialità, in quanto esistono e possono essere pensati soltanto in virtù della Sostanza e dei suoi attributi. Infatti se la Sostanza è "ciò che è in sé e per sé si concepisce" i modi saranno invece "ciò che è in altro e per quest'altro si concepisce". Spinoza distingue due tipi di modi: quelli infiniti e quelli finiti. I modi infiniti seguono direttamente o indirettamente da qualche attributo, di cui ne rappresentano proprietà strutturali. I modi finiti sono invece gli esseri particolari, questo corpo o quella idea, che derivano gli uni dagli altri secondo una catena infinita.

[Sommario]

La Sostanza di Spinoza è la Natura come realtà infinita ed eterna, che si manifesta in una infinità di dimensioni (= gli attributi) e che si concretizza in una infinità di maniere d'essere (= i modi).

I due problemi fondamentali dello spinozismo

Gli interrogativi di base che emergono dall'Etica sono essenzialmente due:

1) che cos'è, in definitiva, la Sostanza di Spinoza?

2) che rapporti esistono, precisamente, fra la sostanza e i suoi modi?

Per quanto riguarda la prima questione, la risposta è certo che la Sostanza è la Natura, ma per Spinoza la Natura non è una forza che "genera" le cose, ma un ordine da cui "seguono" i modi. Nell'Etica la Natura tende ad identificarsi con l'ordine necessario e razionale del Tutto. In altre parole, il Dio-Natura di Spinoza, in ultima istanza, è l'ordine geometrico dell'universo, cioè il Sistema o la Struttura globale delle leggi e delle relazioni necessarie fra le cose.

Per quanto riguarda il secondo problema, relativo ai rapporti fra la Sostanza e i modi, si deve dire che Spinoza ha scartato i due modelli tradizionali: la dottrina della creazione e la dottrina dell'emanazione.

Egli ha escluso formalmente la prima, in quanto si fonda sull'impossibile riduzione del modo d'agire della Sostanza al modo d'agire umano. La creazione supporrebbe intelletto, volontà, arbitrio, scelta, tutte cose che, secondo Spinoza, non hanno senso riferite al suo Dio-Natura.

Qual è il motivo per cui Spinoza non attribuisce a Dio l'intelletto, la volontà e l'amore? La ragione sta nel fatto che Dio è la sostanza, mentre intelletto, volontà e amore sono "modi" del pensiero assoluto (che è un "attributo"); essi appartengono al mondo.

D'altro canto in Spinoza non c'è traccia della seconda dottrina, quella dell'emanazione, che avrebbe fatto della sua teoria la ripetizione esatta di quella di Bruno, secondo cui la natura infinita, per la sua sovrabbondanza di potenza, genera infiniti mondi.

La Sostanza spinoziana è piuttosto un Teorema o un Ordine cosmico, da cui le cose scaturiscono o "seguono" in modo necessario, esattamente come dalla definizione del triangolo "segue" che la somma dei suoi angoli interni è un angolo piatto. Quindi i singoli modi derivano dalla Sostanza esattamente come i singoli teoremi, corollari, scolii derivano dalla geometria e dai suoi principi.

La necessità, matematicamente pensata, diventa quindi, per Spinoza, la fondamentale categoria esplicativa della realtà.

Spinoza, filosofo dell'immanenza

Sebbene Spinoza risulti in difficoltà a "dedurre" per via puramente logica, cioè senza ricorrere all'esperienza, il passaggio Infinito-finito, Uno-molti è certo che per lui l'Infinito è la struttura dei finiti e l'Uno il sistema dei molti, in quanto l'unità della Sostanza, nell'ottica spinoziana, è la stessa connessione dei modi, così come la molteplicità dei modi è la realizzazione dell'ordine unitario della Sostanza.

In altre parole, Dio non è il primo anello della catena dei modi, ma la catena modale nella sua globalità, ossia il sistema complessivo delle cose. Per questo motivo, la filosofia di Spinoza è indubbiamente una forma rigorosa e consequenziale di panteismo e immanentismo. Il Dio spinoziano è l'ordine dell'insieme delle parti.

Il determinismo spinoziano

Per Spinoza, abbiamo visto, la sostanza è "causa di se stessa"; il modo invece deve essere prodotto, cioè determinato da una causa all'esistenza e all'azione; e la conoscenza vera, ossia scientifica, di esso implica la conoscenza della sua causa.

La definizione vera di una cosa finita è la definizione "genetica", quella cioè che individua e riproduce la causa della cosa stessa. La conoscenza del modo deve quindi essere dedotta dalla conoscenza della sua causa, come la sua esistenza è effetto di una causa.

Si è detto prima che il Di spinoziano non è creatore, ma si è detto anche che è causa. Quel che distingue l'atto creativo dalla causalità propria della sostanza spinoziana è che quella è "immanente". La causalità immanente, che Spinoza afferma come propria della sostanza o Dio, è un atto per cui l'effetto non si separa dalla causa, ma continua a sussistere (a "immanere"). La sostanza spinoziana produce i suoi modi producendo se stessa; è perciò causa di effetti che le sono interni e che esprimono essi stessi la sua infinita potenza.

Questa produzione avviene necessariamente, non è la conseguenza di una libera decisione della volontà divina, poiché il Dio spinoziano, come si è detto, non ha volontà né intelletto. Dio è potenza e causalità infinita per essenza, non può essere senza essere causa. La necessità del suo essere causa non toglie la libertà, infatti Dio è libero perché agisce soltanto per necessità della sua propria natura, senza condizioni esterne. Il modello dell'essenza divina è fisico matematico.

Il dio spinoziano non è al di sopra delle leggi naturali, ma lo segue, in quanto sono le leggi della sua propria natura. Tutto ciò che avviene, avviene dunque necessariamente; nulla e nessuno può sottrarsi all'ordine necessario che regola il reale. Niente può avvenire che sia contrario a tale ordine. Quelli che in linguaggio teologico si chiamano "decreti divini" non sono altro che le leggi universali della natura. Tutto è o accade necessariamente, non vi è nulla di "contingente", ossia casuale, che è ma avrebbe potuto non essere. Qualcosa ci appare contingente perché ignoriamo la causa che l'ha prodotta. Anche i "miracoli" sono soltanto fatti naturali, di cui ignoriamo la causa e che, perciò, ci appaiono tali da rompere l'ordine naturale. Il dio biblico produceva miracoli, il dio spinoziano è ed agisce secondo un modello matematico e in osservanza alle leggi fisiche.

Questo ordine necessario secondo il quale le cose sono prodotte ed esistono è quello della determinazione casuale. Il più rigido determinismo, la più rigida relazione fra cause ed effetti governa l'universo. Ogni singola cosa, sia essa modo dell'estensione o modo del pensiero, esiste ed agisce in quanto è determinata all'esistenza da un'altra cosa singola; e questa a sua volta è determinata da un'altra. La concatenazione causale regola i rapporti tra i modi all'interno di ciascuno degli attributi della sostanza e li regola secondo un ordine sempre identico.

Quindi, ciascuna cosa singola è determinata immediatamente da un'altra singola cosa. Il principio di tutto il processo di determinazione, la cusa prima di tutta la serie è, però, la sostanza: lo è non in quanto assoluta, ma in quanto si articola e si esprime nella infinita serie delle cose finite, ciascuna delle quali è la sostanza stessa in uno dei suoi particolari aspetti.

Critica alla visione finalistica del mondo e al Dio biblico

Dall'idea del determinismo come principio universale, segue con perfetta coerenza, la negazione del finalismo in natura (in questo Spinoza anticiperà la critica alla religione di Feuerbach e Marx).

Era comunemente diffusa e condivisa anche dalla filosofia scolastica del tempo la convinzione che tutte le cose della natura agirebbero in vista di un fine e Di stesso dirigerebbe tutto verso un fine determinato. Di qui, il concetto, appunto di finalismo. Secondo Spinoza, questo non è soltanto un pregiudizio (quindi un'idea falsa), ma anche tale da produrne altri che condizionano il comportamento umano. Questi altri pregiudizi si riferiscono ai concetti di : bene e male, merito e peccato, lode e biasimo, ordine e confusione, bellezza e bruttezza.

La concezione di Dio come ordine geometrico dell'universo pone Spinoza in antitesi a quella millenaria visione finalistica del mondo che si era espressa nella metafisica greca e nella dottrina ebraico-cristiana di un Dio che crea liberamente il mondo secondo progetti implicanti la subordinazione intenzionale delle cose all'uomo (= finalismo antropocentrico).

Per quanto riguarda la critica al finalismo, Spinoza va oltre gli esiti della scienza moderna e della filosofia meccanicistica cartesiana. Infatti, Galileo non aveva affatto escluso le cause finali, limitandosi a sostenere che noi non possiamo conoscerle. E Cartesio aveva incluso ul suo universo meccanicistico nei piani liberi e razionali del Creatore. Invece Spinoza, spostando la questione dal piano gnoseologico-metodologico a quello ontologico e procedendo oltre Cartesio, afferma risolutamente che le cause finali non esistono, né in natura, né in Dio.

Secondo Spinoza ammettere l'esistenza di cause finali è un pregiudizio dovuto alla costituzione dell'intelletto umano. Gli uomini ritengono tutti di agire in vista di un fine, cioè di un vantaggio o di un bene che desiderano conseguire e sono portati a considerare le cose naturali come mezzi per il raggiungimento dei loro fini, preparati per il loro uso da Dio. Nasce così il pregiudizio che la divinità produca e governi le cose per l'uso degli uomini, per legare gli uomini a sé e per essere onorata da essi e che i malanni della vita siano una punizione per i peccati.

Inoltre, di fronte all'eguale distribuzione di vantaggi e danni fra i pii e gli empi, gli uomini preferiscono ammettere che il giudizio divini superi di gran lungo l'intelletto umano.

La critica spinoziana al finalismo si accompagna ad un deciso rifiuto di ogni riduzione di Dio nei limiti dell'umano e quindi nel rigetto di ogni antropomorfismo religioso. Per Spinoza, la visione biblica di Dio è soltanto il prodotto dell'immaginazione superstiziosa degli individui. Il Dio di Spinoza perde tutte le proprietà che gli erano state attribuite: anzitutto non è persona, né puro spirito, né creatore del mondo. Dio è pensiero, ma anche materia. Questa semplice affermazione, che la materia appartiene alla natura di Dio, contrastava con secoli di tradizione filosofica e religiosa. Questo fu, e a ragione, un motivo di scandalo; suscitò orrore per la teoria e per il suo autore, ne decretò la condanna. Quando i teologi calvinisti diffondevano la voce che Spinoza aveva in preparazione un'opera nella quale si affermava che Dio non esiste, vedevano certamente giusto: il Dio di cui tratta l'Etica non è il lor Dio, quello della tradizione giudaico-cristiana. Il Dio spinoziano non è Dio, ma la sua negazione; e Spinoza è un ateo e lo spinozismo ateismo. Ma perché Spinoza ha mantenuto il nome di Dio, così carico di significati che invece nel suo concetto non ci sono più? La domanda è certo legittima. In via di ipotesi, si possono indicare almeno tre motivi. Il primo motivo è, se si vuole, il più banale e di ordine pratico: la cautela. Il secondo motivo è di ordine funzionale. Spinoza si rivolge a interlocutori che hanno familiarità con il termine dio e con un certo concetto ad esso corrispondente. L'uso di quel termine è uno strumento di comunicazione per sviluppare un ragionamento che svuota del vecchio significato il termine. Il terzo motivo è più decisivo. La sostanza o Natura è per Spinoza Dio, se per Dio si intende l'Essere nella sua totalità, che ha in sé stesso la ragione della propria esistenza e dell'esistenza di tutto quanto è.

Pensiero ed estensione: il parallelismo

Il determinismo che per Spinoza vale per tutti i modi della sostanza, non vale nel rapporto tra modi di attributi diversi: il corpo non determina la mente, né la mente il corpo.

Muovendo da Cartesio, Spinoza ritiene che pensiero ed estensione siano due realtà qualitativamente eterogenee, in quanto lo spirito non può mai essere materiale e la materia non può mai essere spirituale. Come tali, esse non possono influenzarsi a vicenda. Tant'è vero che la causa di un'idea è sempre un'altra idea, come la causa di un corpo è sempre un'altro corpo. Come si spiega, allora, la connessione, che pure esiste, fra pensiero ed estensione, mente e corpo?

Spinoza ritiene che pur non influenzandosi a vicenda, ossia pur non trovandosi mai in un rapporto di causalità, le serie dei corpi e delle idee convengano necessariamente fra di loro, quasi come in una sorta di corrispondenza biunivoca in senso matematico, nella quale ad ogni mutamento corporeo corrisponde un'idea del mutamento stesso e viceversa, nulla potendo accadere al corpo "che non sia percepito dalla mente". Ciò accade in quanto il corpo è nient'altro che l'aspetto esteriore della mente, così come la mente è nient'altro che l'aspetto interiore del corpo.

Questo parallelismo psico-fisico costituisce un nuovo modo filosofico di rappresentare i rapporti corpo-psiche, che si differenzia sia da quello cartesiano della ghiandola pineale, sia da quello materialistico di Hobbes, sia da quello occasionalistico, sia dal sistema leibniziano dell'armonia prestabilita.

Il parallelismo psico-fisico di Spinoza trova la sua ultima giustificazione nel parallelismo metafisico , ovvero nella dottrina secondo cui pensiero ed estensione non sono due sostanze, ma due attributi distinti di una medesima sostanza, e quindi due traduzioni diverse e simultanee della stessa realtà di fondo. Il parallelismo metafisico giustifica anche, in Spinoza, il parallelismo gnoseologico di soggetto-oggetto, ossia la convinzione che la struttura del pensiero riflette fedelmente la struttura dell'essere (=realismo). Per cui, nello spinozismo, il rapporto idea-realtà cessa di essere un problema, poiché se "l'ordine e la connessione delle idee si identificano con l'ordine e la connessione delle cose", resta garantita la validità della nostra conoscenza. Ovviamente non di qualunque conoscenza, ma soltanto di quella che Spinoza chiama conoscenza adeguata, cioè della conoscenza che sa riprodurre esattamente, tramite l'intelletto, l'ordine oggettivo delle cose.

[La critica dell'anima sostanziale]

Con la sua concezione del rapporto mente-corpo Spinoza rovescia un'intera tradizione di pensiero. Intendiamo la concezione dell'anima quale sostanza indipendente dal corpo e da esso separabile, dotata di immortalità a differenza del corpo, principio di vita e sede della spiritualità: una dottrina sostenuta da tutta la tradizione filosofica occidentale, non soltanto cristiana, fino a Cartesio. Anzitutto, l'anima non è sostanza, ma modo della sostanza come tutte le altre cose finite. Non è principio di vita a preferenza del corpo, poiché sono entrambi mossi da quello che Spinoza definisce il conatus (sforzo, tentativo) ossia la tendenza a perseverare nel proprio essere. Non è quindi immortale, cioè non sopravvive al corpo dopo la morte di questo, ma soltanto gode di una certa qual forma di eternità, in quanto la sua essenza si identifica con un'idea vera, che è pur sempre idea di un corpo. La portata innovatrice di questo concetto spinoziano risiede nell'annullamento della subordinazione dell'elemento materiale rispetto a quello spirituale. Entrambi vengono collocati qui sullo stesso piano come uguali espressioni della sostanza. Quella di Spinoza è dunque una rivalutazione, un riscatto del corporeo, rispetto ai cui bisogni quindi è insano ogni atteggiamento moralistico e repressivo.

I gradi della conoscenza

Secondo Spinoza le forme del conoscere sono tre, cioè l'uomo si fa un'idea delle cose in tre forme diverse.

1) Il primo è quello di accettare senza verifica le conoscenze altrui ("per sentito dire") o di acquisire conoscenze sensibili frammentarie ("esperienza vaga"): questo modo di conoscenza viene denominato nell'Etica "conoscenza di primo genere", "opinione" o "immaginazione".

2) Il secondo consiste nella conoscenza razionale e discorsiva: da un effetto risaliamo alla causa e conosciamo adeguatamente le proprietà comuni delle cose, mediante le nozioni comuni, che sono i fondamenti stessi della ragione e fonte della conoscenza di Dio. Questo modo è denominato dall'Etica "conoscenza di secondo grado" o "ragione".

3) Il terzo modo, che Spinoza indica sempre come il più alto genere di conoscenza, consiste nella intuizione dell'essenza della sostanza in quanto estensione e pensiero e nella deduzione da essa dell'essenza delle cose. Nell'Etica questo terzo modo è denominato "scienza intuitiva". Abbiamo parlato di "immaginazione", "ragione", "intelletto". Va precisato che non si tratta di facoltà distinte, bensì soltanto di generi diversi di conoscenza. Spinoza nega l'esistenza di facoltà, così come la separazione tra volontà e intelletto, riducendo la volontà al momento dell'affermazione che è presente in ogni idea; e nega anche la sostanzialità della mente, giacché la intende come puro e semplice susseguirsi di conoscenze.

"La conoscenza del primo genere è l'unica causa della falsità, mentre quella del secondo e del terzo genere è necessariamente vera"; inoltre "la conoscenza del secondo e terzo genere, e non già quella del primo c'insegna a distinguere il vero dal falso".

In quanto conoscenza inadeguata, frammentaria e parziale, il primo genere di conoscenza, l'immaginazione, considera le cose come contingenti. Al contrario, il secondo e terzo genere, che sono una conoscenza adeguata e vera, considerano le cose come necessarie. In altri termini, l'immaginazione vede le cose come frammentarie e tra loro senza nesso; la ragione e l'intelletto colgono i rapporti e la struttura nella quale esse sono inserite.

Le cose sono necessarie, perché derivano necessariamente dalla necessità della natura divina. Son perciò percepite dalla ragione "sotto una certa specie di eternità". Ma che cosa significa percepire sotto una specie di eternità le cose, la cui esistenza ha una durata nel tempo? Come si concilia l'essere nel tempo con l'eternità? L'apparente contraddizione cade se si fa ricorso al concetto di cosa particolare e finita come modo o modificazione della sostanza; l'essere totale di questa rimane identico comprendendo in sé ed esprimendosi nella infinita pluralità dei suoi modi, ciascuno dei quali muta nella forma, ma permane come momento della potenza infinita della sostanza.

L'eternità della mente

La mente umana permette una conoscenza vera della realtà, e quindi conosce le cose come necessarie ed eterne. Perciò la mente gode essa stessa di una specie di eternità: non perisce col corpo, ma di essa rimane qualcosa che è eterno. Lo stesso perire del corpo deve intendersi come mutamento e non distruzione. Infatti, secondo Spinoza, nessun modo della sostanza potrebbe essere annientato, senza che ne derivasse l'annientamento della sostanza stessa, il che è assurdo. E la Natura fisica è "un solo Individuo, le cui parti, cioè tutti i corpi, variano in modi infiniti, senz'alcun cangiamento dell'Individuo totale".

L'eternità della mente non va però confusa con l'immortalità, intesa come durata dopo la morte del corpo, che si basa sul presupposto della separabilità della mente dal corpo. La concezione spinoziana della mente, come idea del corpo, tiene fermo invece il principio della unione essenziale tra mente e corpo, anche in riferimento al concetto di eternità della mente.

In quanto conoscenza vera la mente umana è detta anche "modo eterno del pensare". Insieme a tutte le altre menti o modi eterni del pensare essa costituisce quello che nell'ultima parte dell'Etica Spinoza chiama "l'intelletto terno e infinito di Dio". Coerentemente ed esplicitamente la teoria spinoziana della sostanza nega l'attribuzione a Dio di un intelletto. Quindi, per "intelletto eterno ed infinito di Dio" non può intendersi altro che l'insieme delle menti umane in quanto conoscenza vera ed adeguata, ossia il patrimonio scientifico dell'umanità.

L'etica

L'analisi geometrica dell'uomo

Il presupposto di base del discorso morale di Spinoza, che discende coerentemente dalla sua ontologia, è la tesi della naturalità dell'uomo. Contro l'antropologia tradizionale dei filosofi, che hanno considerato l'uomo come una sorta di eccezione, Spinoza afferma che la nostra specie costituisce una formazione naturale come tutte le altre, sottoposta alle comuni leggi dell'universo. L'uomo, come ogni altro essere finito, esprime la sostanza sotto una forma certa e determinata. Certa vuol dire che è quella forma e non un'altra; determinata che è il prodotto di un'azione causale, che è sottoposta a condizionamento lungo tutto l'arco della sua esistenza, infine cha ha qualità differenti dagli altri modi, anche se ne condivide la condizione ontologica. Come ogni altra cosa l'uomo è sottoposto alla legge della determinazione causale: è così che va spiegata anche la sua vita affettiva, intellettuale, etica.

Essendo nient'altro che casi particolari di leggi universali, le azioni umane obbediscono a regole fisse, come quelle della geometria, per cui possono essere studiate con analoga "matematica", obiettività. "Considererò i comportamenti umani e gli umani appetiti - dice Spinoza - come se si trattasse di linee, di piani e di corpi.

Sulla base di questi presupposti, Spinoza costruisce la sua geometria delle emozioni, proponendosi:

1) di individuare le leggi e le forze basilari che reggono la condotta pratica degli individui;
2) di studiare la schiavitù e la libertà umana, considerando la potenza delle passioni sull'uomo e la potenza dell'uomo sulle passioni.

Fin dal Trattato sull'emendazione dell'intelletto Spinoza aveva rilevato come il progresso conoscitivo proceda parallelamente al progresso morale e che la vita mentale e pratica formino un tutt'uno. L'uomo è soggetto alle passioni quando ha una conoscenza inadeguata di sé, delle cose e dei loro rapporti; la liberazione dalle passioni è la necessaria conseguenza del passaggio a una conoscenza adeguata. Un'idea chiara della struttura della realtà è il presupposto necessario di un comportamento razionale. Per qiusto Spinoza è profondamente convinto del valore sociale della sua dottrina. Insegnando che tutto ciò che è, è nella natura divina e da essa segue necessariamente, Spinoza dimostra la assoluta vanità di comportamenti conflittuali e antagonistici. Questi infatti si basano sull'erroneo presupposto della possibilità di modificare tale ordine o della imputabilità del soggetto individuale.

Per Spinoza "l'uomo è sempre necessariamente sottoposto alle passioni"; sembra quindi che non vi sia alcuna speranza di uscire dalla "schiavitù", ossia dalla soggezione alle passioni. In realtà, quel che Spinoza nega, anche in questo caso esplicitamente contro Cartesio, è che l'uomo possa avere un dominio assoluto sulle passioni.

E' impossibile che l'uomo sia esente o immune dagli affetti:vediamo perché.

+ I corpi sono tra loro in un rapporto che è regolato dalle leggi del movimento e della quiete e il corpo umano è composto di moltissimi individui e per conservarsi ha bisogno di moltissimi altri corpi dai quali è continuamente modificato e che continuamente modifica.

+ D'altra parte, nulla avviene nel corpo di cui la mente umana, in quanto sua idea per essenza, non sia consapevole. Ecco dunque perché l'uomo è di continuo toccato dagli affetti.

Vi sono pertanto nell'affetto una componente corporea, che consiste nella modificazione del corpo che determina l'affezione, e una componente mentale, che consiste nell'idea di questa affezione.

L'"affetto" o "passione" è definito come un'affezione del corpo che accresce o diminuisce, favorisce od ostacola la potenza di agire del corpo, unita all'idea dell'affetto o passione stessa.

Agire vuol dire essere causa totale di qualcosa, patire vuol dire esserne solo una causa parziale. Ora lo spirito umano agisce in quanto ha idee adeguate, patisce in quanto ha idee inadeguate. Le idee adeguate infatti sono quelle che derivano dalla sola natura dello spirito umano, inadeguate invece sono quelle che lo spirito umano mutua dalle affezioni del corpo. Dunque, solo quando ha idee adeguate lo spirito umano è attivo, e poiché le passioni sono la coscienza di una modificazione del corpo, quindi conoscenza inadeguata, si capisce che esse siano un patire. La mente è tanto più soggetta alle passioni quanto più numerose sono le idee inadeguate che ha. Fin qui il concetto di passione si presenta come quello di una conoscenza confusa.

Tuttavia, in Spinoza rileviamo una oscillazione fra il modo cartesiano di considerare la passione come conoscenza confusa e il concetto scolastico della passione come tendenza, impulso sensitivo. Infatti Spinoza dice che ogni cosa tende a perseverare nel suo essere, e questa tendenza si identifica con l'essenza stessa della cosa. Quindi anche lo spirito umano ha questa tendenza fondamentale, che si chiama volontà quando è riferita solo allo spirito, si chiama impulso (appetitus) quando è riferita allo spirito e al corpo insieme. Il desiderio non è altro che l'impulso, unito alla coscienza di esso. L'impulso è dunque una conseguenza della natura del soggetto, non della bontà dell'oggetto, e perciò buono è ciò che soddisfa l'impulso, non l'impulso che tende al bene.

Poiché lo spirito umano è l'idea del corpo, esso non può tendere a perseverare nell'essere senza insieme tendere a conservare il proprio corpo; perciò la coscienza di ciò che favorisce e potenzia il corpo potenzia anche la mens, e viceversa la coscienza di ciò che indebolisce il corpo indebolisce anche la potenza della mens. Tutte le passioni nascono dalla coscienza di questo potenziamento e depotenziamento: la gioia è la coscienza di un potenziamento nell'essere, il dolore la coscienza di un depotenziamento; e queste due, col desiderio sono le passioni fondamentali, dalle quali derivano tutte le altre.

Angelo Papi - Contatto

Fonte: Abbagnano-Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, vol. II, Paravia

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015