Walter Galli

voce recitante:  ANNA SIMONCINI

A vengh a stè

Lo e' chènta

E' tu vec

L'erbul (prima)

Renzo

Du vécc

Se dadbon adlà

E' sarà mo me

E po' la vita

I fiul

Va' pu a capì

I nòmar sgaf dla Valdóca

E' distèin

Pazinzia pri tuzun

I dé dla caristia

La Patria

Gigetto

L'erbul (seconda)

Gnafa, a m'aracmand

La rèzita


INTERVISTA AD ANNA SIMONCINI, MOGLIE DI WALTER GALLI
(1921-2002)

Sulla poesia dialettale

1. Perché Walter Galli scelse di scrivere le poesie in dialetto?
A dir il vero Galli cominciò con poesie in lingua italiana, pubblicate su giornali e riviste fin dal 1949 e sempre felicemente accolte. Il dialetto fu una scelta successiva.

2. Pensava che in dialetto avrebbe potuto esprimere meglio i suoi pensieri, perché questa era stata la sua lingua materna?
Ad un certo punto sentì proprio il richiamo della sua lingua materna e da allora non ha mai più abbandonato il dialetto. I pensieri e i sentimenti venivano fuori con più forza ed efficacia.

3. Ma è stata una scelta voluta dal proprio passato o da una convinzione interiore della superiorità del dialetto sull’italiano?
La scelta di scrivere in dialetto è stata certamente intenzionale, sotto la spinta emotiva dettata dalle sue origini. In casa nonni e genitori parlavano in dialetto, e anche nella sua contrada – la Valdoca – gli amici con cui giocava, le persone che incontrava, la gente comune, tutti parlavano il dialetto. Le sue emozioni poetiche, in quella lingua, si palesavano già pronte per essere messe sulla carta. E non è mai avvenuto che poesie pensate in italiano fossero poi tradotte in dialetto.

4. Per poterlo scrivere così bene, che studi fece? Chi furono i suoi maestri? O era forse autodidatta?
Galli purtroppo fu indirizzato verso studi di Agraria, mentre la sua strada avrebbe necessitato di un percorso liceale classico. Ma da quel momento in poi, sino agli ultimi giorni della sua vita, la sua seconda casa fu la Biblioteca Malatestiana. Su quei libri si fece, da autodidatta, una cultura profonda, consultando tanti testi, in particolare quelli che parlavano di regole e grafia del dialetto romagnolo, che non è certo facile.

5. Riteneva che la poesia dialettale avrebbe potuto avere un futuro per la Romagna, oppure si considerava uno degli ultimi poeti dialettali?
Galli non era molto ottimista sul futuro della poesia dialettale romagnola: riteneva che si sarebbe dovuto lottare molto per non disperdere un patrimonio linguistico e culturale così importante.

6. Si sentiva parte di un circolo di poeti dialettali o viaggiava per conto proprio?
Galli viaggiava sicuramente per conto suo, ma, essendo socievole, non disdegnava d’incontrarsi con gli amici per discutere di poesia. Con vari poeti si ritrovava in occasioni particolari: congressi di studi, presentazioni di libri o premiazioni.

Le sue raccolte

1. Walter Galli è nato nel 1921 e la sua prima raccolta, La pazìnzia, è del 1976, che raccoglie poesie scritte sin dal 1951: come mai c’è voluto così tanto tempo prima di pubblicare una raccolta di poesie?
Galli scriveva senza il pensiero di pubblicare dei libri. Per lui bastava inviare ogni tanto i suoi lavori a qualche rivista oppure partecipare a qualche concorso ed era soddisfatto quando otteneva positivi riscontri. La prima raccolta di poesia, La pazìnzia, pubblicata dall’edizione Girasole di Ravenna, nel 1976, gli era stata richiesta da più parti, poiché s’era capito il valore delle sue poesie dialettali.

2. Come venne accolto il primo libro dal pubblico, dalla critica e dagli altri poeti?
Il primo libro fu subito un successo. Tre grandi voci ne scrissero la prefazione: Pedrelli, Pedretti e Turci. Non ricordo un solo commento negativo. Ho tanto materiale in proposito.

3. La seconda raccolta, Una vita acsé, è del 1989. Non si può dire che Walter Galli sia stato un autore prolifico. Gli mancava l’ispirazione o era preso da altre cose?
E’ vero, ci mise molto tempo a scrivere il secondo libro, ma anche quella volta era valsa la pena attendere così tanto. La cittadinanza si ricordava della prima raccolta e accorse molto numerosa anche alla presentazione della seconda. Galli, d’altra parte, scriveva solo quando aveva qualcosa da dire.

4. L’ultima raccolta, La giostra, è stata inclusa in Tutte le poesie, pubblicate dal Ponte Vecchio. Se tu dovessi mettere a confronto le tre raccolte, che giudizio daresti?
La giostra
non è meno valida delle altre, anzi, potrei dire che ha un sentimento più raccolto una voglia di tirare i remi in barca che commuove. Ogni raccolta ha rappresentato al meglio i momenti salienti della sua vita. Se La pazìnzia appare come la più intensa delle raccolte, questo è dovuto al fatto che in essa sono presenti momenti drammatici come la guerra, il dopoguerra e la miseria che segnarono in profondità la sensibilità di Galli.

5. Davvero l’Antologia di Spoon River è stata tra le più significative fonti letterarie di Walter Galli? In particolare cosa gli piaceva di questa raccolta?
Sì è vero, quell’Antologia è stata una fonte significativa per Galli. I personaggi di Lee Masters che lui preferiva erano gli stessi delle sue poesie: i ricchi, i poveri, gli umili, i deboli, i violenti… Cioè tutti quelli che per troppa o per troppo poca passione risultavano dei falliti.

6. Come mai conosceva così bene e apprezzava così tanto alcuni poeti latini? Come mai cercò a più riprese di imitare lo stile di Marziale?
Alla Biblioteca Malatestiana il percorso da autodidatta lo aveva portato ad approfondire alcuni poeti latini, naturalmente tradotti in lingua italiana. Con Marziale fu un amore a prima vista.

7. L’epigramma è il modulo stilistico che gli è più congeniale, perché sintetico, lapidario, molto latino. Anche lui nella vita era di poche parole?
L’epigramma gli era assolutamente congeniale. Potersi esprimere con poche parole, dicendo l’indispensabile, fu per lui sempre una meta ben precisa da raggiungere a tutti i costi. Anche nella vita era coerente e di poche parole.

8. Nelle sue poesie Walter Galli appare spesso amaro, anche quando è ironico; appare sempre molto serio, come se sapesse bene che gran parte delle cose sono vane o illusorie e che la verità è molto diversa dall’apparenza. Anche nella vita era così?
L’ironia era predominante nel suo carattere. Consapevole che la vita non regala niente, diceva sempre che non bisogna farsi illusioni, altrimenti si soffre troppo quando queste cadono. Sì, era amaro, ma in certe occasioni sapeva essere anche molto allegro.

9. Il fatto d’aver vissuto nella Valdoca, il rione più popolare di Cesena, lo avvertiva come un peso per il successo delle sue poesie o come un’occasione fondamentale d’ispirazione?
Galli era innamorato della Valdoca, che è stata la sua principale fonte d’ispirazione. La casa, i suoi cari, la povera gente, gli amici, i fatti e i fattacci di allora, hanno costituito un bagaglio di esperienze che s’è portato dietro nella vita e nel lavoro.

10. Lo apprezzavano quelli del suo quartiere quando vedevano che nelle sue poesie parlava di loro, oppure i suoi personaggi o le loro azioni sono, almeno in parte, frutto della sua fantasia?
Nella sua contrada è stato molto apprezzato e ancora adesso c’è sempre qualcuno che mi ferma per parlarmene. Naturalmente molti nomi di persone vennero cambiati nelle poesie.

11. Scriveva le sue poesie per diletto o perché sperava di diventare un grande poeta romagnolo?
Scriveva perché sentiva la necessità di far conoscere ad altri questi suoi ricordi. All’inizio lo faceva solo per se stesso, ma quando arrivarono i primi riscontri positivi, aveva capito che doveva continuare. Sapeva già, secondo me, d’essere un poeta dialettale di valore, ma la sua innata modestia aveva bisogno di conferme esplicite.

12. Era consapevole di essere diventato il più grande poeta dialettale cesenate e uno dei più grandi della Romagna?
Io glielo dicevo sempre ch’era il più bravo. Lui però non avrebbe mai confessato di sentirsi il migliore, anche se, secondo me, lo sapeva.

13. Tra i poeti dialettali Walter Galli chi apprezzava di più?
Walter apprezzava tutti i suoi amici poeti, ma se dovessi metterne uno in cima, sceglierei il nome di Lello Baldini, che stimava molto anche come amico.

14. E tra quelli in lingua italiana?
L’ho sentito parlare di tanti poeti in lingua italiana, ma soprattutto di Pasolini.

15. Ha mai conosciuto Marino Moretti?
Sì l’ha conosciuto personalmente e si erano anche scambiati delle lettere. L’epistolario è stato donato alla “Casa Moretti”, in occasione di una ricorrenza della morte dello scrittore di Cesenatico. Nell’archivio di Galli conservo due scritti autografi di Moretti. Fanno parte di un volume di “Autografi di poeti contemporanei”, ricco di nomi celebri, che Walter raccolse per hobby nel corso della sua vita.

16. Cosa pensava di Renato Serra e del Pascoli?
Del Serra diceva che Renato Turci e Cino Pedrelli avevano già scritto così tanto che lui non avrebbe potuto aggiungere nulla di più. Del Pascoli posso invece dire che Galli era stato nominato “Accademico pascoliano della Fondazione Domus Pascoli”.

17. Ha mai scritto su riviste letterarie?
Galli ha pubblicato su varie riviste letterarie. Ne cito alcune a memoria: “Il lettore di provincia”, “Nuovo contrappunto”, “Hortus”, “Lengua”, “Tratti”, “La fiera letteraria”, “Diverse lingue”… Di lui hanno scritto troppi critici per poterseli ricordare: Franco Loi, Gianni D’Elia, Carlo Bo, Giorgio Barberi Squarotti, Dino Pieri, Gualtiero De Santi, Franco Brevini, Antonino Marabini, Marino Biondi, Gian Luigi Beccaria…

18. S’interessava di politica?
No, non si è mai interessato di politica, ma le sue preferenze andavano per la sinistra.

19. Essendo nato nel 1921, ha vissuto tutto il ventennio fascista: che giudizio ne dava?
Lui si sentiva nettamente antifascista.

20. Che giudizio ha dato della Resistenza, del boom economico degli anni ‘50 e ‘60?
Basta leggersi “L’estate del ‘44” per capire che giudizio dava della Resistenza. Nelle sue poesie c’è tutto lo scibile umano. Quanto al boom economico, Galli è sempre stato un grande lavoratore.

21. Walter Galli ha amato anche la pittura. Cosa può dire di questa sua passione?
Per tutta la sua vita ha scritto poesie e dipinto quadri, che chiamava in realtà “cartoline”. Anche con quelli sono arrivati dei premi. In alcuni quadri i dettagli erano così particolari che, essendo Galli monocolo, la gente si chiedeva come gli riuscisse così bene.

Sulla sua importanza

1. Secondo lei Walter Galli è oggi sufficientemente stimato dalla critica letteraria (locale, regionale, nazionale)?
La critica letteraria l’ha sempre stimato e ancora oggi riconosce il merito e il valore delle sue opere. Quando si parla di dialetto romagnolo, lui viene sempre citato.

2. Come giudica l’impegno profuso dalle istituzioni del Comune, della Provincia o della Regione per valorizzare un poeta come Walter Galli?
Secondo me non si è fatto abbastanza. Come pittore gli fu allestita una mostra nella Galleria del Cesuola, nel 2004. Ma come poeta solo piccole cose. Anche soltanto l’archivio di cui dispongo meriterebbe studi specialistici. Speriamo si riesca a fare qualcosa di significativo per il decennale della sua morte.

Walter Galli letto da Anna Simoncini

Omaggio a Walter Galli (pps) - Galli pittore (pps) - La Valdoca (pps)

Intervista a Walter Galli da parte di:

Gabriele Zani - Davide Argnani

Dialetto romagnolo - La vocazione satirica di Walter Galli (pdf)

WALTER GALLI POETA DIALETTALE ROMAGNOLO

Walter Galli può tranquillamente essere considerato il più grande poeta dialettale di Cesena e uno dei più grandi della Romagna, dove la poesia dialettale contemporanea è stata inaugurata da Tonino Guerra nel 1946, con I scarabocc.

Il suo unico difetto è di aver scritto poco. In un unico volume, intitolato appunto Tutte le poesie (ed. Il Ponte Vecchio, Cesena 1999) sono raccolte le liriche, gli epigrammi, gli epitaffi (perché così molte bisognerebbe chiamarle), scritti dal 1951 al 1995. Le ultime (edite sempre dal Ponte Vecchio) sono invece del 2004, scelte dalla moglie, a due anni dalla morte del poeta.

Galli era un amante degli epigrammi latini, soprattutto di Marziale, perché voleva essere conciso, assolutamente essenziale, e in questo rifuggiva come la peste la retorica, le smancerie, le affettazioni. La vita, secondo lui, offriva poco da ridere. La vita è soltanto un dramma che va vissuto sino in fondo, con coraggio, senza farsi illusioni. Questa filosofia è una costante in tutte le sue liriche, che sono di un'amarezza venata d'ironia, un'ironia che si avvale di paradossi, di esagerazioni.

Chi riesce a guardare con distacco, metabolizzandole, le assurdità, i non-sense della vita, merita di vivere: questa la sua etica esistenziale. Che è quanto mai latina, come lo è, da duemila anni, la Romagna (anzi, considerando l'importanza che ha avuto Ravenna, greco-latina).

L'altro stile che piaceva a Galli era quello degli epitaffi alla Spoon River. Sono molti i personaggi di cui parla nelle sue liriche, certamente non di fantasia: gli bastava osservarli attentamente nel luogo in cui era nato e vissuto: la Valdoca, il rione più popolare di Cesena, a dimostrazione che per scrivere grandi poesie non serve affatto una grande città. Lo avevamo già visto in Leopardi, che pur detestava a morte la sua Recanati. Con la differenza che Galli, come Pascoli, non ha mai visto la natura come "matrigna", ma, semmai, come un eden perduto per sempre; né la morte è vista come una nemica, ma, semmai, come una liberazione dal male, al pari dell'Adelchi manzoniano.

Dopo aver sopportato tutto il ventennio fascista, Galli non riuscì a trovare quell'ingenuo ottimismo all'americana che doveva servire per dimenticare i drammi e le tragedie. Le ferite erano troppo profonde per rimarginarsi così in fretta. Cesena non era una città di riviera, dove, con la ripresa del turismo, sembrava non fosse successo nulla. Rimini era stata la città più bombardata d'Italia dopo Montecassino, ma nel dopoguerra i migliori turisti erano gli stessi tedeschi di qualche anno prima.

La sua Cesena invece sembrava essere uscita dalla guerra con un carico immenso di miserie morali e materiali e una superficialità del genere non avrebbe potuto sopportarla. Walter Galli non poté chiudere gli occhi e far finta che non fosse successo nulla. A lui non facevano ribrezzo soltanto i concetti fascisti di patria, onore, senso del dovere, ma anche quelli di sfruttamento industriale, consumismo e persino le illusioni religiose che mistificano la realtà.

Galli voleva essere un realista o un verista: alcune sue poesie avrebbero potuto essere scritte dal Verga in forma novellistica. Galli detestava il pretume e i padroni e, nei confronti dello Stato, nutriva atteggiamenti anarchici, non essendo un uomo politicamente impegnato. Sferzava tutti con la sua satira pungente, col suo sarcasmo.

A volte rischiava anche la volgarità, ma solo perché aveva la percezione che al male di vivere non vi fosse alternativa: erano debolezze di un uomo disilluso, che si sentiva sconfitto e che però si faceva carico delle sconfitte altrui.

In definitiva la grandezza di Galli non sta tanto in ciò che ha detto, ma nell'averlo saputo dire, magistralmente, in dialetto, avendo di questa lingua un'assoluta padronanza.

Ha voluto e ha saputo esprimere una filosofia di vita che non era solo sua, ma di buona parte della Romagna contadina (benché egli fosse sempre vissuto in città), e in una lingua che ormai sempre meno i suoi abitanti sono in grado di parlare, tanto meno di leggere o di scrivere. Questo è stato il suo più grande merito culturale: l'aver cercato una coerenza linguistica ed esistenziale tra forma e contenuto, pur nella consapevolezza di compiere un'impresa disperata.

Per i testi e le traduzioni in lingua italiana delle poesie rimandiamo al volume recentemente pubblicato:

Walter Galli, TUTTE LE POESIE, Soc. Ed. "Il Ponte Vecchio"

Walter Galli, Le ultime, 2004, Il Ponte Vecchio

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Walter Galli

Walter Galli

Anna Simoncini

Anna Simoncini

Ilario Sirri legge le poesie di Galli

Video dedicati a Galli

Commento alle poesie di Galli:

La pazìnzia

La felicità

L'amstir (prostituta)

La vója

E' rompacaz

Galòz e' barbir


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 01-03-2014