STORIA ROMANA


I RITI DEL CIBO NELL'ANTICA ROMA
Simbologia del banchetto

  • Banchetto quale imago mundi: a tutti gli effetti, i riti della tavola nel mondo antico ci appaiono come rispecchiamento di una personale rappresentazione del mondo. Anche il numero degli invitati è sottoposto ad una intenzionale euritmia: non meno delle Grazie, non più delle Muse, vale a dire da tre a nove.

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  • Il gesto più ovvio della sussistenza discopre gradatamente pretestuose complicanze e si rivela codice simbolico incentrato su prestabiliti ritmi, cifre, superstizioni e soprattutto angosce.
  • Le abitudini conviviali dei romani fanno parte di quel quotidiano perduto che effonde radici nel meraviglioso, perciò una ricostruzione dei riti legati al cibo, oltre ad essere territorio della storia sociale, si configura come contributo della storia della mentalità.
  • A tavola, ciascuno continua ad essere più che mai ciò che è: le sollecitazioni aspre, piccanti, dolci o salate, offerte al palato, sembrano confacenti agli umori del corpo, tanto da esaltarne i temperamenti.

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  • Nessuna sospensione delle personali convinzioni filosofiche da parte di certi commensali, pertanto, come attesta Gellio, l’aristotelico pervicace non perderà nemmeno a tavola l’occasione di professare la propria dottrina, comprovando, mediante le parole dell’autorevole maestro, il danno arrecato al fisico dall’acqua gelata.

  • D’altra parte la mensa e l’assunzione del cibo sono ascrivibili alla sfera del sacro; poiché ogni pasto è una cerimonia, nulla deve profanare o interrompere il suo svolgersi.
  • Anche i discorsi negativi devono essere evitati o almeno prontamente esorcizzati: "Incendia inter epulas nominata aquis sub mensam profusis abominamur" (Plinio, Naturalis historiae libri, XXVIII, 26) Così l’aver parlato di incendi, può essere scongiurato versando acqua sotto il tavolo. Senza contare i pessimi auguri determinati dal fatto di spazzare il pavimento, quando qualcuno si allontana dal banchetto, o di togliere il portavivande, mentre un commensale sta bevendo: "Recedente aliquo ab epulis simul verri solum aut bibente conviva mensam vel repositorium tolli inauspicatissimum iudicatur". (Plinio, ibidem).
  • Nel contesto della mensa alcuni oggetti assumono valenze magiche, perciò, prima di accostarsi alla tavola, vige l’usanza di togliersi anelli e cinture, che simboleggiano i cerchi magici a delimitazione degli spazi posseduti dalle presenze demoniache. Le lucerne non devono essere spente a conclusione del pasto, per non disperdere la sacralità del fuoco. Scopae è strumento bivalente: purifica, ma allo stesso tempo rischia di allontanare i geni protettori della casa. Oltre tutto gli avanzi servono da nutrimento alle anime dei morti e nei tempi più antichi i resti del cibo erano portati in offerta sulle tombe. Nella dimensione simbolica del dono si spiega dunque la rappresentazione musiva pavimentale di certe nature morte, che effigiano proprio gli avanzi.
  • Molte delle credenze romane affondano le loro radici in paure talmente profonde, ma inconsciamente condivisibili da parte dell’animo umano, da essere tramandate anche a distanza di secoli. Ad esempio, l’avvertenza di sminuzzare sempre i gusci delle uova, dopo averle consumate, ha un singolare rispecchiamento in un timore superstizioso diffuso in alcuni paesi dell’Italia: agli inizi del XX sec., si attribuiva alle "streghe" il sinistro potere di compiere malie proprio con i gusci delle uova.
  • Ogni gesto dell’uomo romano aspira a stabilire una perfetta armonia con le forze del cosmo, pertanto le sale tricliniari devono essere ubicate in modo da seguire un corretto orientamento rispetto al sole: esposte ad ovest d’inverno, per sfruttare la luce pomeridiana; rivolte ad est in primavera e autunno, per catturare i raggi diretti del sole nascente e risultare perciò temperate al momento del pranzo; posizionate a nord in estate, allo scopo di offrire frescura e piacevolezza ai commensali. "Triclinia verna et autumnalia ad orientem; tum enim praetenta luminibus adversus solis impetus progrediens ad occidentem efficit ea temperata ad id tempus, quo opus solitum est uti. Aestiva ad septentrionem, quod ea regio, non ut reliquae per solstitium propter calorem efficiuntur aestuosae, ea quod est aversa a solis cursu, semper refrigerata et salubritatem et voluptatem in usu praestat" (Vitruvio, De architectura, VI, 4, 2).
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Fonti latine - Un regista chiamato cuoco - Come si cucina il cinghiale - Salatura dei cosci
 Fabia Zanasi

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014