L'ARMENIA E IL SUO GENOCIDIO


DALLA I GUERRA MONDIALE AL GENOCIDIO ARMENO DEL 1915-1923

 


Talaat


Djemal


Enver


Mustafa Kemal detto Ataturk

Nel 1914 la situazione armena peggiora irrimediabilmente. In quell'anno infatti il governo turco, che ha messo il proprio paese in mano all'imperialismo tedesco, decide di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e subito si lancia alla conquista dei territori azeri "irredenti". La Terza Armata turca, impreparata, male equipaggiata, mandata allo sbaraglio in condizioni climatiche ostili, viene presto sbaragliata a Sarikamish nel gennaio 1915 dalle forze russe.

I capi dei Giovani Turchi sfruttano la guerra commercialmente, senza ritegno. L'esercito turco indica i responsabili della disfatta negli armeni che, allo scoppio della guerra avevano comunque assicurato il proprio sostegno all'impresa turca. Il clima si fa sempre più teso e, tra il dicembre del 1914 ed il febbraio del 1915, il comitato centrale del partito Unione e Progresso, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decide la soppressione totale degli armeni. Vengono creati speciali battaglioni irregolari, detti tchété, in cui militano molti detenuti comuni appositamente liberati; essi hanno addirittura autorità sui governi ed i prefetti locali e quindi godono di un potere pressoché assoluto.

Nel novembre 1914 Russia, Francia, Inghilterra e altri paesi dell'Intesa dichiararono guerra alla Turchia, che si era alleata alla Germania. Francia e Inghilterra presero a bombardare le fortezze turche sui Dardanelli; i russi entrarono nella regione armena della Turchia orientale.

Temendo che gli armeni potessero diventare un pericoloso nemico interno, alleato delle potenze dell'Intesa, già nel primo anno della guerra l'esercito regolare turco, insieme a bande armate curde, prese a sterminarli in maniera sistematica. Stessa sorte subiscono gli aissori, che vivevano in Turchia, e particolarmente oppresse sono anche le etnie di origine araba.

In quegli anni il governo ultra-nazionalista varò una politica di deportazione degli Armeni le cui aspirazioni all'indipendenza, sostenute dai paesi occidentali, minacciavano ulteriormente la coesione dell'Impero Ottomano già in piena disintegrazione. ''Lo stato ottomano è esclusivamente turco (...) la presenza di elementi stranieri è utilizzata dagli europei come pretesto per un intervento'', si legge in un documento del governo del 1915.

E ancora: ''Il diritto degli Armeni di vivere e di lavorare in Turchia è totalmente abolito''. Gli Armeni - denominati ''il pericolo interno'', perché sospettati di avere collaborato col nemico russo durante la prima guerra mondiale. E' il primo del XX secolo.

Il genocidio degli armeni può essere considerato il prototipo dei genocidi del XX secolo. La pianificazione avviene tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915 con l’aiuto di consiglieri tedeschi, alleati della Turchia all’interno del primo conflitto mondiale. L’obiettivo era di risolvere alla radice la questione degli armeni, popolazione cristiana che guardava all’occidente.

Il movente fondamentale è da ricercarsi all’interno dell’ideologia panturchista, che ispira l’azione di governo dei Giovani Turchi, determinati a riformare lo Stato su una base nazionalista, e quindi sull’omogeneità etnica e religiosa. La popolazione armena, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di autonomia avrebbe potuto costituire un ostacolo ed opporsi al progetto governativo.

La motivazione principale del genocidio è stata quindi di tipo politico. L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli armeni.

Le responsabilità maggiori dell’ideazione e dell’attuazione del progetto di sistematico genocidio vanno dunque individuate all’interno del partito dei Giovani Turchi, “Ittihad ve Terraki” (Unione e Progresso). L’ala più intransigente del comitato centrale del partito ha pianificato il genocidio attraverso una struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S.), diretta da due medici, Nazim e Chakir.

L’O.S. dipendeva dal Ministero della Guerra e attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell’Interno e la collaborazione del Ministero della Giustizia. I politici responsabili dell’esecuzione del genocidio furono: Talaat, Enver, Djemal. Mustafa Kemal, detto Ataturk, ha completato e avallato l’opera dei Giovani Turchi, sia con nuovi massacri, sia con la negazione delle responsabilità dei crimini commessi.

Il piano turco comincia a realizzarsi verso la prima metà del 1915, quando il governo prende provvedimenti anti-armeni anche fuori delle zone di guerra. Il 24 aprile, a Costantinopoli, nel corso di una gigantesca retata, circa 500 esponenti del Movimento Armeno vennero incarcerati e poi strangolati con filo di ferro nelle prigioni.

Lo sterminio prosegue con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, e il 25 aprile, 2.345 armeni (intellettuali, sacerdoti, dirigenti politici, professionisti) vengono arrestati e uccisi, mentre tra il maggio e il luglio del 1915 vengono sterminati gli armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput. Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell'esercito russo. Quanto più i russi penetravano nel territorio turco, tanto più i turchi infierivano sugli armeni. (1)

Nelle città, a maggio, viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena della Turchia orientale di prepararsi per essere deportata in campi di concentramento nel sud del paese, a centinaia di chilometri di distanza dalle loro abitazioni (in Siria e in Mesopotamia). Gli armeni avevano pochissimi giorni di tempo per vendere tutti i loro beni e prepararsi alla partenza. Sia il decreto provvisorio di deportazione sia quello di conquista dei beni non sono mai stati ratificati dal parlamento turco.

Stando ad un rapporto ufficiale del console statunitense ad Ankara, nel luglio 1915, duemila soldati di etnia armena, reduci dalla campagna del Caucaso, vennero improvvisamente disarmati dai turchi e spediti in catene nella regione della città di Kharput con il pretesto di utilizzarli nella costruzione di una strada. Ma giunti in una vallata, i militari armeni vennero circondati da un battaglione della polizia turca e massacrati a colpi di moschetto. Tutti i cadaveri vennero poi scaraventati in una profonda grotta.

Identico destino toccò ad altri 2.500 militari armeni, anch'essi condotti nei pressi di una cava di pietra, in località Diyarbakir, e lì trucidati da un grosso reparto misto formato da soldati e miliziani curdi. Sempre secondo i resoconti dei diplomatici statunitensi, i corpi delle vittime vennero seviziati, spogliati e lasciati a marcire nella cava.

Nel giugno 1916, dopo aver eliminato circa 150.000 militari di origine armena, i turchi decisero di fare fuori anche un terzo degli operai armeni impiegati nella costruzione e manutenzione dell'importante linea ferroviaria Berlino-Costantinopoli-Baghdad. Ma a questo punto, gli alleati tedeschi e austriaci, che da tempo avevano palesato il loro disappunto per le orrende carneficine, denunciarono finalmente, e in maniera ufficiale, le atrocità turche. L'ambasciatore tedesco a Costantinopoli, il conte von Wolff-Metternich, si precipitò alla Sublime Porta, accusando direttamente Taalat Pascià e il Ministro degli Esteri Halil Pascià "di inutili crudeltà e persino di atti di sabotaggio". Tuttavia, le vibranti proteste dell'ambasciatore lasciarono impassibili i capi ottomani. Tutti i soldati armeni ("Battaglioni operai") che prestavano servizio militare regolare nell'esercito turco (cosa resa possibile da quando i Giovani Turchi era saliti al potere) furono eliminati di nascosto.

Molti ufficiali e sottufficiali armeni, scampati ai massacri, tentarono di organizzare sui monti la resistenza. Nell'aprile 1915, nella città di Van, alcune migliaia di civili armeni riuscirono a disarmare la locale guarnigione turca, barricandosi nel nucleo urbano dove resistettero per molti giorni alla controffensiva ottomana e curda; fino all'arrivo, provvidenziale, di una divisione di cavalleria russa che nel mese maggio liberò dall'assedio quei disperati.

Eguale successo ebbe poi la famosa resistenza del massiccio montuoso del Musa Dagh, nei pressi di Antiochia (Golfo di Alessandretta). Su questo acrocoro non meno di 4.000 armeni resistettero per ben quaranta giorni agli attacchi dei reparti regolari dell'esercito ottomano e dei "volontari" civili turchi, segnando una delle pagine più eroiche della storia del popolo armeno. Alla fine, proprio quando la resistenza sembrava dover cedere di fronte alle preponderanza dell'avversario, i reduci vennero salvati dal provvidenziale arrivo nel Golfo di Alessandretta di una squadra navale francese che riuscì in gran parte a trarli in salvo (l'epopea del Musa Dagh venne in seguito narrata da Franz Werfel nel suo celebre romanzo storico "I quaranta giorni di Musa Dah").

Altri tentativi di resistenza non ebbero la medesima fortuna, come accadde ad Urfa. Qui, tutta la guarnigione armena, composta di ex-militari e civili, dovette soccombere alle soverchianti forze ottomane che, a battaglia conclusa, massacrarono tutti i difensori ancora in vita, compresi i feriti.

Verso l'autunno del 1915, una volta eliminata la parte più giovane e combattiva della nazione armena, il Ministero degli Interni ottomano iniziò a pianificare lo sterminio di tutti gli adulti di età superiore ai 45 anni, che fino ad allora erano stati risparmiati perché ritenuti necessari al lavoro delle campagne, e degli ultimi prelati. Come testimonia questo brano tratto da un dispaccio inviato dal Ministro Taalat Pascià al governatore turco di Aleppo il 15 settembre 1915. "Siete già stato informato del fatto che il governo, su ordine del partito (Unione e Progresso), ha deciso di sterminare l'intera popolazione armena… Occorre la vostra massima collaborazione… Non sia usata pietà per nessuno, tanto meno per le donne, i bambini, gli invalidi… Per quanto tragici possano sembrare i metodi di questo sterminio, occorre agire senza alcuno scrupolo di coscienza e con la massima celerità ed efficienza. Coloro i quali si oppongono a questo ordine non possono continuare a rimanere negli organici dell'amministrazione dell'impero".

In effetti in certi casi alcuni governatori (i vali) turchi, (come quello di Angora, città nella quale vivevano 20.000 armeni), mostrarono pietà nei confronti degli armeni, arrivando anche a disubbidire alle direttive del governo. Tanto che, nel luglio del '15, il governatore di Ankara - che si era opposto agli stermini - venne subito rimosso e sostituito con un funzionario più zelante.

Per risparmiare denaro e per razionalizzare al massimo l'operazione, la giunta dei Giovani Turchi avviò una deportazione di massa (dalla quale talvolta vennero però risparmiati i medici o i tecnici utili al governo, come accadde nella città di Kayseri) in modo da concentrare in pochi siti isolati tutti gli armeni ancora in vita. Una delle destinazioni prescelte fu la desolata e poverissima regione siriana di Deir al-Zor, dove, dopo una marcia a piedi di centinaia di chilometri, intere famiglie armene vennero ammassate e trucidate nei modi più raccapriccianti, tanto da sollevare le inutili proteste di un gruppo di ufficiali tedeschi e austriaci che assistette a quei tragici eventi. Queste deportazioni vennero architettate anche per facilitare l'esproprio dei beni immobili armeni. Abbandonata la precedente prassi della distruzione dei villaggi, molti dirigenti del partito dei Giovani Turchi e moltissimi funzionari di polizia e comandanti delle famigerate bande a cavallo curde ebbero modo di arricchirsi proprio in virtù di questi lasciti forzati.

Taalat Pascià, divenuto Gran Visir, arrivò addirittura addirittura a chiedere all'ambasciatore americano Morgenthau "l'elenco delle assicurazioni sulla vita che gli armeni più ricchi (deceduti nei campi di sterminio) avevano precedentemente stipulato con compagnie americane, in modo da consentire al Governo di incassare gli utili delle polizze".

Nell'inverno del '15 il rappresentante tedesco a Costantinopoli, conte Wolff-Metternich denunciò, in una missiva inviata a Berlino, questa "orribile prassi", accusando nuovamente i Giovani Turchi di "tradimento nei confronti della comune causa tedesco-ottomana". L'ambasciatore tedesco agì in maniera talmente diretta da indurre Enver Pascià e Taalat Pascià a chiederne a Berlino la sua sostituzione, cosa che in effetti avvenne nel 1916. A testimonianza delle dimensioni del fenomeno "espropriazioni", dopo la fine della guerra, nel 1919, lo scrittore e storico tedesco J. Lepsius nel suo Deutschland und Armenien stimò che nel 1916 "i profitti derivati all'oligarchia dei Giovani Turchi e ai suoi lacché dai beni rapinati agli armeni fossero arrivati a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi".

Dunque, gli uomini non più giovani, le donne e i bambini furono selvaggiamente depredati, rapiti o uccisi o islamizzati a forza o, nel caso delle donne più giovani, inviate negli harem da militari turchi e bande curde lungo il tragitto. Le carovane dei deportati venivano sistematicamente assalite anche da bande di malfattori fatte uscire appositamente dal carcere per costituire la cosiddetta "Teskilate maksuse" (Organizzazione Speciale), il cui compito era proprio quello di sterminare gli armeni, la stragrande maggioranza dei quali infatti non riuscì neppure ad arrivare nei campi di concentramento.

Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia, anche perché scoppiarono terribili epidemie di tifo e vaiolo. D'altra parte per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto o bruciati vivi, rinchiusi in caverne o annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero. A queste atrocità scamperanno solo i pochi armeni di Costantinopoli vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman von Sanders, gli armeni del Libano e quelli palestinesi.

Nell'autunno del 1918, quando le forze inglesi del generale Edmund Allenby dopo avere sconfitto i turco-tedeschi a Megiddo, occuparono la Palestina e la Siria, trovarono ancora in vita nei bordelli alcune decine di ragazze armene, tutte marchiate a fuoco dagli stenti e dalle malattie veneree. Sorte ancora peggiore toccò ai bambini armeni rinchiusi nei campi siriani. Gran parte di questi vennero infatti sottratti alle madri e inviati anch'essi in bordelli per omosessuali o in speciali orfanotrofi per essere rieducati come turchi musulmani da Halidé Edib Adivart, una mostruosa virago alla quale il governatore della Siria aveva affidato il compito di "raddrizzare la schiena alla ribelle gioventù armena".

Nelle regioni orientali e settentrionali dell'Impero Ottomano, la situazione delle comunità armene che erano riuscite a trovare rifugio nelle valli del Caucaso si fece improvvisamente drammatica. In seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, l'esercito russo aveva infatti iniziato a ritirarsi dall'Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia, abbandonando gli armeni al loro destino. Rioccupata l'importante città-fortezza di Kars, le forze ottomane, ormai libere di agire, iniziarono una meticolosa caccia all'uomo, arrivando a sopprimere circa 19.000 persone in poche settimane. Identica sorte che toccò a quei profughi cristiani che, rifugiatisi preventivamente in Transcaucasia, soprattutto in Georgia e nella regione caspica di Baku, vennero massacrati dalle locali minoranze mussulmane tartare e cecene. Nel settembre del '18, nella sola area di Baku furono eliminati 30.000 armeni.

La comunità armena contava circa 1.800.000 persone: solo 600.000 riuscirono a salvarsi, o perché scapparono in Russia, o perché vivevano nella parte occidentale della Turchia. In pratica i 2/3 della popolazione armena residente nell'impero ottomano è stata soppressa, e regioni per millenni abitate da armeni non vedranno più in futuro nemmeno uno di essi. Circa 100.000 bambini vennero prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati, smarrendo così la propria fede e la propria lingua. Nel 1927 il primo censimento della Repubblica turca indicò che la popolazione armena ammontava a sole 123.602 persone.

L'intervento del Vaticano, tramite il papa Benedetto XV, non produsse alcun effetto, in funzione anche del fatto che i turchi avevano proclamato la guerra santa.

Successivamente, approfittando degli sconvolgimenti in corso in Russia a causa della rivoluzione, gli armeni sotto il controllo dell'impero zarista si ribellarono e il 28 maggio 1918 dichiararono la propria indipendenza.

In seguito, dopo la presa di alcuni territori nell'Armenia turca, verrà proclamata la nascita della Repubblica Armena. Durante i lavori del Trattato di Sevrès venne perfino riconosciuta l'indipendenza al popolo armeno e la sua sovranità su gran parte dei territori dell'Armenia storica ma, come altre volte in futuro, tutto resterà solo sulla carta. Infatti il successivo Trattato di Losanna (1923) annullerà il precedente, negando al popolo armeno persino il riconoscimento della sua stessa esistenza.

La caduta del regime turco alla fine del conflitto mondiale e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 e il 1922, con l'attacco alla Cilicia armena ed il massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio.

I PROCESSI

La disfatta ottomana nella grande guerra spinse i principali responsabili del genocidio ad abbandonare il paese e molti di essi fuggirono in Germania. Quando, nell'ottobre 1918, la Turchia si arrese alle forze dell'Intesa, i principali dirigenti e responsabili del partito dei Giovani Turchi e del Comitato di Unione e Progresso vennero arrestati dagli inglesi e internati per un breve periodo a Malta. Successivamente, un tribunale militare turco condannò a morte, in contumacia, Enver Pascià, Ahmed Gemal e Nazim, accusati di avere architettato e portato a compimento, tra il 1914 e il 1918, l'olocausto armeno.

A loro carico venne intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la direzione di Damad Ferid Pascià. Lo scopo non era evidentemente quello di rendere giustizia al martoriato popolo armeno, ma di addossare le colpe dell'accaduto sulle spalle dei Giovani Turchi, discolpando al tempo stesso la nazione turca in quanto tale.

Il risvolto pratico del processo fu minimo, in quanto, nei confronti dei condannati, non vennero mai presentate richieste di estradizione e successivamente i verdetti della corte vennero annullati. L'importanza del procedimento sta comunque nel fatto che, durante il suo svolgimento, vennero raccolte molte testimonianze che descrivevano le varie fasi del genocidio, a partire proprio dalle dichiarazioni di chi ne era stato artefice.

Altri processi vennero tenuti a riguardo di specifiche situazioni. A seguito di quello per i massacri del convoglio di Yozgat venne condannato il vice-governatore Kemal. Nel processo di Trebisonda si ammise la responsabilità del governatore e si descrisse il modo in cui venivano perpetrati gli annegamenti di donne e bambini. Nel processo per il massacro nella città di Karput venne giudicato in contumacia Behaeddin Chakir e si descrisse dettagliatamente il ruolo dell'Organizzazione Speciale.

A seguito però della riluttanza delle autorità turche ed alleate ad eseguire le sentenze da loro stesse emesse, il partito Dashnag creò un'organizzazione di giustizieri armeni che si incaricò di eliminare alcuni tra i principali responsabili del genocidio. Vennero così freddati Behaeddin Chakir, Djemal Azmi (il boia di Trebisonda), Djemal Pascià (componente del triumvirato dirigente dei Giovani Turchi) e l'ex Ministro degli Interni Talaat, ucciso per le strade di Berlino il 15 marzo del 1921 da Solomon Tehlirian. In quest'ultimo caso le colpe a carico di Talaat emerse durante il processo furono talmente terrificanti da far assolvere Tehlirian per l'omicidio da lui compiuto.

Enver Pascià, il più intelligente e "idealista" dei Giovani Turchi, il propugnatore fanatico e determinato del Pan-Turanismo, si rifugiò tra le tribù turche della remota regione asiatica centrale di Bukhara, dove pensava di portare a compimento la realizzazione del suo sogno, cioè la creazione di una Grande Nazione Turca.

Agli inizi degli anni Venti Enver si mise a capo di una rivolta turco-mussulmana contro il potere sovietico. Ma il 4 luglio 1922, egli venne circondato con il suo piccolo esercito da un grosso reparto bolscevico (combinazione guidato da un ufficiale armeno) e ucciso. Con la morte di Enver tramontava per sempre il progetto revanchista, di chiara matrice nazionalista e razzista, che non soltanto aveva trascinato la Turchia nel disastro del Primo Conflitto, ma che aveva contribuito a riaccendere l'atavico e mai sopito odio della popolazione turca nei confronti della minoranza armena cristiana.

Oggi, a distanza di tanti anni, quell'impetuoso rigurgito di intolleranza etnico-religiosa che scatenò la persecuzione contro gli armeni, sta - paradossalmente - interessando un'altra minoranza, quella curda, che da colpevole fiancheggiatrice di una strage si è trasformata a sua volta in vittima di una logica di persecuzione spietata.

Nel 1991 a seguito della dissoluzione dell'URSS è nata la Repubblica Armena sulle ceneri dell'ex Repubblica Sovietica Armena. Il 90% dell'Armenia storica, comunque rimane sotto il controllo della Turchia che, oltre a non voler ammettere alcuna responsabilità riguardo al genocidio, rifiuta categoricamente la restituzione anche parziale dei territori da loro occupati.

Nel 1989 è scoppiata la guerra con il vicino Azerbaigian per il controllo dell'Artzak (Nagorno-Karabach) l'enclave armena in territorio azero, conclusosi con la conquista dell'indipendenza della provincia armena. Recentemente i rapporti tra curdi ed armeni sono migliorati in seguito alle persecuzioni turche che hanno colpito entrambi i popoli, ma il governo di Ankara si ostina ancora a non voler riaprire la frontiera kurdo-armena.

Inoltre i rapporti tra l'Armenia e l'Azerbajan turcofono sono tuttora tesi a causa delle rivendicazioni azere sul territorio del neonato stato di Artzak e per le rivendicazioni armene sul Nakitcevan, provincia affidata all'Azerbajan dal trattato russo-turco del 1921, area che taglia i rapporti diretti tra lo Stato di Armenia e la provincia armena di Tabriz in territorio iraniano.

Nota

(1) Tra i perseguitati vi erano anche intellettuali e scrittori (come Daniel Varujan, la cui opera poetica, recentemente tradotta anche in italiano, ha riscosso notevoli consensi), giornalisti e sacerdoti. Tra gli uomini di chiesa il monaco Komitas, padre della etnomusicologia armena. Komitas sopravvisse alla prigionia e alla guerra, ma in seguito agli orrori patiti impazzì, finendo i suoi giorni in un manicomio di Parigi.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia contemporanea
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Aggiornamento: 23/08/2013