LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


Settant’anni fa cadeva il Fascismo

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di Dario Lodi con Sergio Giardinella

Parte prima. Episodi della Guerra di Spagna

Alla fine di giugno del 1938 il comandante del Corpo di spedizione italiano in Spagna, generale Bastico, torna in aereo da Roma. Il Duce urla con lui per tre ore, vuole risultati: vuole città conquistate da portare agli incontri con le nazioni europee per far dimenticare la brutta pagina della campagna d'Abissinia. Mussolini vuole che i suoi generali preparino l'assalto a Barcellona o Madrid. Dà a Bastico un mese per un attacco dirompente contro le forze repubblicane.

Quest’ultimo convoca in fretta e furia i suoi generali e con loro prepara un piano d’azione. Si affida in particolare al generale Frusci, comandante la quarta divisione delle camicie nere: è la divisione motorizzata Littorio che ha avuto, nella zona del fiume Ebro sulla strada per Barcellona, piccoli scontri con truppe repubblicane formate da giovanissimi e anziani, a quanto pare poco pronti al combattimento. Il piano di sfondamento è tuttavia preparato dal generale Bergonzoli, capo della seconda divisione camicie nere Fiamme Nere.

Gli spagnoli vengono spostati dal fronte e nel frattempo vengono preparate quattro divisioni di camicie nere: Mussolini vuole che siano gli uomini della sua milizia nazionale a entrare per primi a Barcellona. Tutto questo movimento e il fatto che abitualmente le camicie nere arrivino sempre a battaglia finita, insospettisce il generale repubblicano Negrin. Informato delle manovre, il comandate in capo dell'esercito repubblicano, generale Mijaja, chiama il generale Lister che comanda i repubblicani sull'Ebro, e gli ordina di far muovere le Brigate Internazionali (esse, come si sa, erano formate da volontari di ogni parte del mondo, venuti in Spagna per difendere la Repubblica).

Queste brigate vanno a sostituire rapidamente i “repubblicani deboli” del generale Frusci sull'ansa dell'Ebro. Senza che i nazionalisti se ne rendano conto, nella mattinata del 25 luglio del 1938 quattro divisioni di camicie nere la "Littorio", la" Fiamme Nere", la" Penne Nere" e la " Dio lo vuole", appoggiate dal raggruppamento motorizzato 23 marzo, attraversano il fiume Ebro su alcuni ponti montati dai genieri dell'esercito italiano, senza appoggio dell'artiglieria per non avvisare il nemico. Il Generale Bergonzoli ha promesso a Bastico che in tre giorni sarebbe arrivato a Barcellona. La milizia attraversa il fiume nel punto difeso dalla Brigata Garibaldi delle Brigate Internazionali (essa è formata da italiani scappati dall’Italia perché antifascisti; molti erano stati torturati dall'Ovra la famigerata polizia del regime mussoliniano): i “garibaldini” aspettano che le camicie nere si raggruppino oltre il fiume e poi scatenano un inferno di fuoco.

E’ una terribile guerra fratricida. Nel pomeriggio i miliziani scappano a nuoto abbandonando scarponi e fucili; i generali Bergonzoli e Frusci cercano di invertire il flusso di camicie nere in fuga, i “garibaldini” dalle loro posizioni continuano a sparare fino a sera. Quella che doveva essere una battaglia rapida si trasformerà in una guerra di trincea che durerà fino al 16 novembre dello stesso anno e che terminerà a favore dei nazionalisti. Ma fin da settembre il governo repubblicano ha ritirato le Brigate Internazionali e nelle città è iniziata la guerra interna tra gli stalinisti da una parte e gli anarchici e i militanti del POUP dall'altra. Le camicie nere non saranno più in prima linea. In onore dei “garibaldini” viene inventato dalla Pasionaria spagnola Dolores Ibarrurri il termine NO PASARAN: essi, nel caldo catalano di fine luglio, hanno fermato la furia cieca e presuntuosa dei militi in camicia nera.

Parte seconda. Il Fascismo fra vergogna razziale e allucinazione bellica

Dopo la crudele e brutale conquista dell’Impero a spese dell’Etiopia, il Fascismo si macchiò dalle famigerate disposizioni per la difesa della razza. Furono annunciate il 18 settembre 1938 da un Mussolini festante, orgoglioso di sé, tronfio: il duce arringa la folla dal balcone del Municipio di Trieste (solita folla oceanica, in buona parte costretta). Gli italiani non avevano mai sentito parlare del giudaismo internazionale.

Il discorso mussoliniano è estremamente duro contro gli ebrei, puntigliosamente teutonico nella forma. Secondo gli storici questa iniziativa di Mussolini è un modo per farsi apprezzare da Hitler. Da questo discorso nasce il nefando articolo di legge 1024 del Regio Ordinamento un insieme di provvedimenti legislazioni e atti amministrativi cui seguono leggi ordinanze e circolari in cui, di fatto, viene sancito il divieto di matrimonio tra ebrei e cattolici, il divieto per gli ebrei di avere servitù di razza ariana, il divieto per gli ebrei di lavorare in banche e assicurazioni e di svolgere attività di notaio, giornalista, professore; fino al ridicolo divieto di possedere radio per tutti i non ariani.

Per i gerarchi fascisti è una lotta a dimostrare chi più è ariano dell’altro e persino l’entourage di papa Pio XII apprezza questa nuova inquisizione. La legge è particolarmente odiosa perché gli ebrei italiani non sono i finanzieri e industriali tedeschi che Hitler vuole destituire come cittadini tedeschi per non pagare i debiti che la Germania ha accumulato con la comunità ebraica dalla repubblica di Weimar in poi. In Italia la maggior parte degli ebrei sono professori e commercianti che vengono espropriati e ghettizzati, senza raggiungere, grazie al cielo, gli estremi dei pogrom tedeschi e dell’Est Europa. La legge in questione provoca notevoli ripercussioni negative.

Soprattutto nella scuola, la mancanza dei professori aumenterà l’imbarbarimento culturale in corso dall’inizio del ventennio anche perché i professori verranno sostituiti da colleghi in camicia nera, del tutto asserviti alle direttive del regime, con relativa demolizione di buona parte della serietà scolastica precedente. Saranno storia e letteratura a rimetterci maggiormente: ci vorranno anni per rimarginare la ferita culturale umanistica, fiore all’occhiello della scuola italiana.

Il 10 giugno 1940 il Duce annuncia da piazza Venezia all’Italia intera, tutta schierata e in camicia nera, l’entrata in guerra a fianco della Germania: la folla è in delirio, è il momento di massimo splendore per Mussolini. Hitler è soddisfatto, ma è al contempo allarmato: sa dei nostri limiti tecnico-tattici, tuttavia è pago della nostra entrata in guerra in quanto con essa si è assicurato un fronte amico, qualcosa comunque, poi, ne caverà. Galeazzo Ciano genero del Duce e fiero esponente del partito pro tedeschi capisce che i tedeschi considerano l’Italia un sotto-alleato: è ciò che fa diventare Ciano un oppositore dei tedeschi. D’altra parte, i tedeschi dimostrano di possedere un’efficienza spaventosa: la Francia è stata conquistata dai panzer in trenta giorni. Mussolini pensa a una guerra rapida a favore di Hitler e vuole in qualche modo condividere la vittoria: attacca la Francia dalle Alpi, ma l’esercito (mal equipaggiato e mal guidato) viene fronteggiato bene dai francesi.

Nello stesso tempo, questi ultimi bombardano Genova-Vado. Poco dopo, solo la decisione del governo francese di trattare una resa del fronte alpino, per evitare un secondo attacco da sud, toglie Mussolini da una possibile e sonora sconfitta. La situazione precipita rapidamente grazie ai tedeschi: il maresciallo Petain firma la resa della Francia. L’Italia vi partecipa insieme ai trionfatori germanici. Entriamo in guerra disorganizzati e impreparati sempre più convinti che duri poco e che a fianco dei tedeschi diventeremo una grande potenza, invece insieme con loro sarà il disastro.

Parte terza: Episodi della guerra sul mare e della guerra di spie

Il Fascismo entra in guerra con scarsa preparazione militare. Il fenomeno è dovuto a una certa approssimazione italiana, peggiorata dal regime per diffuso servilismo.

I generali avvertono sommessamente Mussolini che l’Italia non è pronta a una prova tanto severa. Mussolini risponde che gli basta qualche migliaio di morti per sedere al tavolo della pace e avanzare pretese territoriali per l’Italia. L’Italia ai suoi occhi è destinata a rinnovare l’impero romano: una follia determinata da un provincialismo che lo battezza grande stratega in quanto alleato delle possenti armi tedesche, ormai avviate a impadronirsi di quasi tutta l’Europa. L’Italia, intanto, deve cogliere l’occasione, fare il minimo per ottenere il massimo (è una costante della nostra storia). Per questo si entra in guerra con forze armate in condizioni misere.

Il nostro esercito è male organizzato, sprovvisto di mezzi corazzati e di mezzi per il trasporto truppe; Mussolini ha trasformato le nostre divisioni da ternarie come quelle inglesi e tedesche (con tre brigate autonome) in binarie (con due brigate), ciò ha aumentato il numero di divisioni, ma ne ha ridotta la forza e si vede nei primi scontri nel deserto libico. La nostra aviazione, che era stata il fiore all’occhiello del ventennio, è diventata obsoleta e molti bravi piloti sono spariti perché sgraditi a Mussolini, come Italo Balbo, allontanato da Roma e nominato governatore della Libia perché inviso, dati i suoi successi e la sua popolarità.

Ma c’è di più: Balbo al ritorno da una riunione con il Duce viene abbattuto, nel cielo di Tobruk, dalla nostra contraerea che l’ha “stranamente” scambiato per un aereo inglese (curioso che l'ordine di sparare venga dallo stesso personaggio che autorizza l'atterraggio). Unica arma che può competere con gli avversari è la Marina, in quanto è la sola istituzione nella quale i gerarchi non sono riusciti a intrufolarsi. Abbiamo ottime navi e ottimi marinai, i nostri porti sono in posizioni ottimali e abbastanza bene attrezzati; abbiamo due sole mancanze, la mancanza del radar, che tutte le navi inglesi possiedono, e la mancanza di un aviazione navale come tedeschi inglesi francesi e americani per la ricognizione marina.

Le nostre navi si muovono praticamente al buio, ancora con l'avvistamento a vista, mentre gli inglesi con il radar sanno sempre dove siamo e cosa facciamo, anche a distanza: è grazie ai radar che veniamo battuti a Matapan, a capo Teulada e a Punta Stilo. E’ questa mancanza che ci costringe a subire disastro di Taranto: le nostre navi colpite nel porto e abbattute (ma certo qui vi furono anche gravi errori degli alti comandi).

I marinai italiani non sono certo timorosi: quattro di loro vanno a cavalcioni di due siluri a motore (chiamati volgarmente “maiali”) e attaccano la base inglese di Alessandria d'Egitto, tagliano le reti di protezioni e riescono a minare due corazzate e una petroliera che rimarranno fuori combattimento per tutta la guerra; riusciremo a ripetere l'azione a Suda e sul Mar Nero, falliremo invece a Malta, isoletta che resiste ai nostri attacchi, peraltro timidi, per tutta la guerra. La guerra delle spie viene vissuta nell'Italia fascista in maniera autarchica e dilettantistica.

Ci si occupa di oscurare le luci e di comunicare con linguaggio cifrato e poi si scoprirà, attraverso il controspionaggio tedesco, che gli inglesi ascoltano le nostre notizie, date dal nostro Comandante in capo della Marina addirittura alla moglie e all'amante ogni sera dal telefono dell'ufficio. Eppure la fantasia italiana a volte ci aiuta: vicino alla base inglese di Gibilterra, in Spagna, vi è una nave inglese semiaffondata: vi si nascondono marinai italiani che grazie ai soliti “maiali” distruggono diverse navi mercantili. E’ solo per la delazione di una contadina spagnola, abbandonata da un marinaio italiano, che gli inglesi scoprono il nascondiglio. A colpi di cannone, la marina inglese affonda definitivamente la nave negli abissi marini con tutti i nostri concittadini, ignari eroi di una guerra più grande di loro. 

Parte quarta: l’Italia in Africa

Va subito detto che l’Italia in Africa fu quasi abbandonata a se stessa, in balia di forze e di possibilità avversarie enormemente più grandi di lei. Che la tenuta italiana nel continente africano fosse possibile era una pura illusione: basti pensare alla politica fascista, del tutta incapace di prendere Malta, da cui gli inglesi attaccavano i nostri convogli annientandone la maggior parte con estrema facilità. A far cambiare un poco le cose furono gli alleati tedeschi che spedirono Rommel (la famosa Volpe del deserto) a prendere in mano l’iniziativa.

Stratega coraggioso, anzi spregiudicato, Rommel ottenne notevoli vittorie, ma alla lunga dovette alzare bandiera bianca per la supremazia logistica degli inglesi. Questi ultimi non avevano problemi di rifornimento, mentre tedeschi e italiani ne soffrivano in maniera sempre più marcata. Rommel poteva vantare una maggiore capacità strategica, ma inglesi e americani erano in grado di mettere in campo forze più numerose e molto meglio equipaggiate per cui finirono con l’avere la meglio. Attori principali della scena bellica africana furono, quindi, il tedesco Rommel e l’inglese Montgomery.

Gli italiani furono delle comparse, nonostante le grandi prove di coraggio: fenomeni isolati, fra cui memorabile quella del generale Nasi a Gondar (il generale perse dopo una resistenza contro forze del tutto superiori). Figura tuttora assai celebrata è quella di Amedeo di Savoia-Aosta, vicerè dell’Abissinia, definito eroe dell’Amba Alagi. Per la grande storia, molto più importante l’impegno dei due contendenti principali, i tedeschi e gli inglesi affiancati dagli americani: Rommel, per molti versi, fece dei propri e veri miracoli e alla fine, richiamato in Germania, evitò anche la capitolazione ufficiale dell’Afrika Korps. La resa finale agli Alleati da parte delle forze dell’Asse avvenne nel maggio del 1943.

Essa fu una formalità, in quanto la partita africana era stata vinta da un pezzo da Inglesi e Americani. L’Italia perdeva definitivamente l’Africa. Tre gli eventi principali in una decina d’anni d’occupazione italiana: due orrendi (le stragi operate dal generale Graziani e l’uso dei gas sulla popolazione) e l’altro esemplare (l’eliminazione della schiavitù in Abissinia). Era stato l’intervento tedesco in Africa, concepito con l’intento di arrivare al petrolio mediorientale, a provocare la reazione massiccia della Gran Bretagna e degli USA. La Germania capì presto che, stando così le cose, la partita africana andava abbandonata per meglio condurre quella contro l’URSS e arrivare così al petrolio del Caucaso, impresa allora ritenuta più facile. A rimetterci, in Africa, furono soltanto le forze italiane, sacrificate per nulla.

Parte quinta: l’Italia in Russia

Si sa che Hitler attaccò la Russia (l’URSS) senza alcun preavviso, rompendo un trattato. Il dittatore tedesco era reduce dalla campagna della Grecia, un imprevisto causato dall’impreparazione dell’esercito italiano, scagliato contro con criminale leggerezza contro la nazione ellenica: un disastro specie per i nostri alpini (ben noto il triste commento dell’avventura italiana nella canzone dal titolo “Sul ponte di Perati”).

L’intervento della Wermacht fu risolutivo per la conquista della Grecia, ma ritardò l’invasione della Russia. Hitler fu costretto a rimandarla al 22 maggio 1941, un ritardo, rispetto al programma iniziale. Non soddisfatto della spedizione greca, Mussolini, senza avvertire l’alleato tedesco, ne pensò una in terra sovietica, inviando il 10 luglio un corpo di spedizione, CSIR, poi confluito in un’intera armata, ARMIR, su sollecitazione tedesca: questa seconda spedizione è risultata la più tragica della storia dell’esercito italiano.

Gli italiani, definitivamente sconfitti sul Don, dopo aver combattuto in situazioni estreme, addirittura con qualche successo, nonostante le risorse, furono costretti a ritirarsi e a percorrere centinaia e centinaia di chilometri a piedi nella neve e nel gelo (si legga il libro di Giulio Bedeschi, “Centomila gavette di ghiaccio”).

L’armata, di 230.000 soldati circa, fu quasi dimezzata, fra morti (il numero esatto è sconosciuto, ma si parla di oltre 80.000), feriti e dispersi. Una tragedia del tutto inutile, considerando che l’Italia non aveva nulla da guadagnare dall’eventuale conquista del cuore dell’URSS. Ben diverso era lo sforzo tedesco ed altrettanto diversa la reazione russa: presto si trattò dello scontro fra due colossi, con distruzioni ciclopiche e morti da ambo le parti (specie da parte russa) in numero elevatissimo, nell’ordine di milioni.

Si pensi alla sola battaglia di Stalingrado o a quella di Kursk, dove, nella seconda, avvenne il maggior scontro numerico di carri armati della storia. Hitler non arrivò al petrolio del Caucaso ed anzi le sue armate cominciarono a retrocedere inseguite da quelle russe. La Seconda guerra mondiale stava cominciando a girare a sfavore della Germania.

Questo cambiamento contribuirà seriamente a far cadere il Fascismo e a sterilizzare la pur debole forza italiana. Se ne renderanno ben conto gli Alleati, tanto da organizzare rapidamente uno sbarco in Italia, in Sicilia per giungere, infine, ad avere ragione della stessa Germania

Parte sesta e ultima

1. Lo sbarco in Sicilia

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia (Operazione Husky). Ci fu una resistenza molto inferiore alle attese. Di fatto l’esercito italiano si sfaldò soprattutto a causa di un comando farraginoso, da semplice parata. Specie Supermarina si distinse per inefficienza. I tedeschi soli opposero una difesa ordinata e convinta, ma non certo ostinata. Essi si resero conto definitivamente di due cose: che gli italiani erano inaffidabili e che gli Alleati erano ben organizzati e determinati. Per questo diedero la Sicilia per persa e organizzarono una impeccabile ritirata sul continente.

E’ nota la leggenda per cui la Mafia diede un aiuto significativo agli Alleati: nella realtà, i mafiosi s’inserirono da subito nella confusione e ne profittarono per ottenere vantaggi. Non dimentichiamo che la Mafia siciliana era stata ridimensionata da Mussolini attraverso il durissimo comportamento del prefetto Mori (che per un lustro ebbe pieni poteri nell’isola e li usò disinvoltamente, sovente in modo crudele): la Mafia attraversò l’oceano e andò a infettare gli USA.

Con la conquista alleata della Sicilia, il fenomeno mafioso ritornò ai vecchi fasti. Il 17 agosto tutto era finito e gli Alleati si apprestarono all’invasione dell’Italia intera. Il 3 settembre iniziavano l’operazione Baytown per la conquista della Calabria. Il disastro italiano è provato dal numero dei prigionieri fatti dagli Alleati, oltre 116mila su 195mila soldati circa. In totale, tedeschi e italiani, erano circa 260mila, gli avversari il doppio, ma i primi erano avvantaggiati dalla posizione difensiva, per quanto gli invasori fossero meglio armati.

La difesa mancò negli italiani, l’esercito finì allo sbando e tutto questo dimostrò la sconfitta del sistema fascista: la perdita della Sicilia, in quel modo, mise in chiaro il bluff mussoliniano.

2. L’ordine del giorno Grandi

Lo sbarco alleato sul suolo nazionale, provocò una incontenibile reazione di sgomento che si concretizzò con la stesura dell’”ordine del giorno Grandi”: si dovevano ridare le priorità al re così che sarebbe stato possibile fare cadere legalmente Mussolini. Non c’era l’idea di far cadere anche il Fascismo, tanto è vero che lo stesso Dino Grandi (uomo peraltro capace) nutriva ambizioni di successione. Invece, il 24 luglio, con 19 voti a favore, 8 contrari e un'astensione, Vittorio Emanuele III ottenne il via a un colpo di stato che si realizzò con l’arresto di Mussolini dopo che era stato invitato a Villa Savoia per un’analisi della situazione.

L’esito fu una farsa: il duce fu caricato su un’ambulanza e fatto sparire in tutta fretta per evitare, si disse, l’ira della folla per l’esito della guerra. Era il 25 aprile 1943: alle ore 22,45 la radio annunciò che il re aveva accettato le dimissioni di Mussolini e incaricato capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio. Di fatto, il re instaurava un governo militare sotto l’egida monarchica. Il fascismo cadeva senza colpo ferire: un unicum nella storia: la conclusione grottesca di un regime grottesco.

Poco dopo, l’8 settembre, veniva firmato l’armistizio di Cassibile: l’Italia rinunciava alla guerra. Nella realtà, seguiranno quasi due anni tremendi, durante i quali si vedranno i tedeschi opporsi agli Alleati, con non pochi successi ed anche con non poche brutalità nei confronti della popolazione italiana inerme.

Ultimo atto mussoliniano (per volontà tedesca) fu la successiva costituzione della Repubblica di Salò. Intanto prese a funzionare la lotta partigiana, spesso eroica (un eroe su tutti, Leone Ginzburg) per l’avvento di un’Italia che è ancora nei sogni.

Opere di Dario Lodi:


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 19/02/2015