LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


il Fascismo NELLA STORIOGRAFIA DI DE FELICE

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Posizione di Renzo De Felice sul fascismo italiano (Le interpretazioni del fascismo)

1. Il fascismo non è dilatabile fuori d'Europa e fuori del periodo tra le due guerre mondiali: questo perché le sue radici sono da ritrovare nel processo di trasformazione della società europea determinato dalla prima guerra mondiale. [1]

Prendendo le mosse da tale processo:

a) è possibile distinguere all'interno del fascismo gli elementi vecchi conservatori, ereditati dal passato, e quelli nuovi, innovatori, tipici delle moderne società di massa;

b) è possibile azzardare una doppia tipologia di massima del fascismo:

  • Tipologia dei paesi. Il fascismo si affermò dove:
    • era più rapido e intenso il processo della mobilità sociale (verticale);
    • era predominante un'economia agrario-latifondista o comunque ve n'erano massicci residui non integrati nell'economia nazionale;
    • era in atto una crisi economica;
    • era in atto una crisi dei valori morali tradizionali;
    • era in atto una crisi del sistema parlamentare;
    • la guerra aveva aggravato problemi nazionali (irredentismo, presenza di minoranze di altra nazionalità) e coloniali, provocando una tensione nazionalista e il sorgere di tendenze revisionistiche rispetto all'assetto europeo.
  • Tipologia delle forme di potere. Il fascismo si affermò attraverso:
    • una concezione della vita di tipo mistico, fondata sul primato dell'attivismo irrazionale e sull'esaltazione della collettività nazionale e delle personalità straordinarie (mito del capo o culto della personalità);
    • un regime politico di massa (ovvero una mobilitazione continua delle masse e un rapporto diretto duce-masse senza intermediari), fondato sul sistema del partito unico, della milizia di partito e realizzato attraverso un regime di polizia;
    • un rivoluzionarismo verbale e un conservatorismo sostanziale, mitigato da concessioni sociali di tipo assistenziale;
    • un regime economico privatistico, caratterizzato: a) dal passaggio della direzione economica dai capitalisti agli alti funzionari dello Stato; b) dall'assunzione da parte dello Stato del ruolo di mediatore nelle controversie di lavoro (corporativismo); c) da un indirizzo autarchico.

2. Rapporto del fascismo col mondo politico ed economico italiano. Il problema del rapporto tra grande borghesia e fascismo va visto in due fasi diverse:

a) in un primo tempo il fascismo fu visto dai singoli capitalisti come mezzo per spezzare la resistenza delle organizzazioni proletarie, operaie e contadine;

b) in un secondo tempo, se l'appoggio al fascismo si fece più consistente, non per questo la grande borghesia pensò di cedergli totalmente il potere. Accettando cioè il fascismo al governo la grande borghesia finanziaria e industriale commise lo stesso errore di valutazione della classe politica liberal-democratica, credette cioè di poter risolvere la crisi politica e di normalizzare il fascismo stesso. Conseguenza di ciò fu che la grande borghesia perse il suo predominio di classe e dovette fare i conti con la logica della progressiva autonomizzazione del potere totalitario.

I grandi temi della storia del fascismo (Intervista sul fascismo)

I. Distinzione tra fascismo/movimento e fascismo/regime

a) Il fascismo/movimento è quel tanto di rivoluzionarismo che c'è nel fascismo stesso e che tende a costruire qualcosa di nuovo. È un insieme di elementi culturali e psicologici che in parte sono quelli del fascismo intransigente, precedente alla marcia su Roma, e in parte sono qualcosa di nuovo, che De Felice fa dipendere dalla volontà di riscatto dei ceti medi (o piccola-borghesia).

b) Il fascismo/regime è invece la politica di Mussolini, che tende a fare del fascismo solo la sovrastruttura di un potere personale, finalizzato a cercare il consenso dei grandi monopoli, per cui il primo a tradire il fascismo sarebbe stato proprio lui.

Una posizione, questa di De Felice, volta a recuperare una valenza positiva del fascismo, al fine di dimostrare che non esiste solo il socialismo come alternativa al capitalismo. Il fascismo, in sé e per sé, non sarebbe una dittatura del capitale, bensì una dittatura personale.

c) A dir il vero De Felice non ritiene che Mussolini sia stato un "traditore" del fascismo/movimento (un giudizio storico del genere gli pare fuori luogo), ma ritiene che in quel particolare momento storico fu questa tipologia di fascismo che non seppe trovare un'alternativa convincente al duce. Lo dimostra il fatto che Mussolini poté andare al potere soltanto compiendo un compromesso tra il suo fascismo e la classe dirigente tradizionale, per la quale il fascismo avrebbe dovuto rinnovare ben poco del sistema liberale. Lo dimostra anche il fatto che nella prima fase del suo governo vi fu una netta contrapposizione tra intransigenti (coloro che volevano un trionfo del fascismo/movimento) e fiancheggiatori, che volevano invece la sua normalizzazione. Tale contrasto finì per salvare Mussolini, dato che in occasione della crisi Matteotti il vecchio intransigentismo fu la sola forza reale che gli rimase fedele e che con la sua presenza contribuì a indurre gran parte della classe dirigente a continuare sulla strada del compromesso, nel senso cioè che nel 1925 i fiancheggiatori scelsero Mussolini pur di evitare il pericolo di un salto nel buio. Con la crisi del 1925 il sistema liberale era convinto, decidendo di riconfermare il governo a Mussolini, di poterlo in qualche modo fagocitare.

d) Il regime fascista - secondo De Felice - non ha nulla in comune coi regimi conservatori esistiti prima: sia perché tende alla mobilitazione delle masse, sia perché tende alla creazione di un nuovo tipo d'uomo e, in questo, si differenzia dal nazismo, che, pur volendo costruire una nuova società, lo fa con dei valori tradizionali, immutabili.

II. Lo sbocco del fascismo non era inevitabile

a) Nel 1922 tutte le condizioni che avevano favorito l'affermazione del fascismo erano ormai in declino: la situazione economica era in miglioramento; la minaccia di una presa del potere da parte delle sinistre era sfumata; la possibilità che i socialisti riformisti guidati da Turati e Matteotti potessero far parte di un governo democratico-borghese era molto forte.

b) La classe dirigente italiana ripiegò sulla soluzione che in quel momento sembrava più semplice e più conforme alla tradizione: costituzionalizzare il fascismo. Tuttavia proprio in queste operazioni di vertice sta il fallimento del trasformismo e del giolittismo, incapaci d'integrare le masse nella gestione dello Stato.

c) Gli aiuti economici al fascismo provenivano essenzialmente dagli industriali medi e piccoli, non da quelli grandi, i quali, come il mondo politico, pensavano di costituzionalizzare il fascismo, senza dargli il potere in prima persona (o comunque senza darglielo tutto).

III. Il consenso al regime fascista

a) Una parte d'italiani pensava di più ai danni che il fascismo aveva scongiurato che al problema di stabilire se avesse portato veri e propri benefici.

b) Il fascismo all'estero era considerato come lo strumento per evitare al paese delle difficoltà sul piano internazionale, tant'è che nei rapporti con le grandi potenze il fascismo si presentava come un regime pacifico, che appariva persino contrario al nazismo quando questo andò al potere. Il consenso infatti si fa sempre più debole dopo l'intervento in Spagna e soprattutto dopo l'alleanza con la Germania, quando appare chiaro che l'Italia voleva entrare in guerra.

IV. La politica di fascistizzazione

a) Mussolini capiva la precarietà del consenso, per cui si sentiva in dovere di amministrare gli italiani con delle periodiche iniziative di tipo demagogico, nella speranza di poter formare, illuministicamente, una nuova generazione, una nuova classe dirigente (di qui l'uso particolarmente intenso dell'educazione, dello sport, del dopolavoro e, in generale, della funzione etica e sociale dello Stato). Tuttavia i risultati restavano insoddisfacenti.

b) Nella tecnica del potere fascista vi è una concezione delle masse che il duce ereditò da Gustave Le Bon, per cui riteneva indispensabile un continuo contatto diretto col popolo nelle piazze (cosa che p. es. non era ritenuta indispensabile da Hitler). In particolare il punto massimo della tecnica del potere del fascismo era rappresentato dal controllo degli strumenti d'informazione di massa: stampa, cinema, radio e scuola. Tutto doveva servire per realizzare nuovi modelli di comportamento, che rendessero inutile il ricorso alla coercizione e ai compromessi col sistema liberale e cattolico.

c) Il fallimento della politica di fascistizzazione fu dovuto al fatto che non vi erano uomini sufficientemente preparati per utilizzare gli strumenti messi a disposizione, cioè non vi erano quadri di cultura e di formazione umanistica (al massimo il fascismo ha avuto dei buoni tecnici, cioè degli esecutori estremamente fattivi del regime).

V. La politica estera

a) Fallito il tentativo di fascistizzare il popolo italiano negli anni '20 e nei primi anni '30, Mussolini tentò di rendere progressivamente più totalitario il regime e di bruciare i tempi del processo di fascistizzazione delle masse, ricorrendo alla molla della politica estera. Di qui l'alleanza col nazismo, col quale in comune avevano solo due nemici: il comunismo e la democrazia borghese.

b) L'alleanza con Hitler divenne inevitabile dopo la guerra d'Africa. In Francia era andato al potere il Fronte popolare, che poneva fine alla possibilità di un accordo tra Roma e Parigi. Anche la guerra di Spagna avvicinò Mussolini a Hitler. Tuttavia, poiché in lui rimaneva una certa diffidenza per l'aggressività tedesca, decise di non entrare in guerra nel 1939.

c) Mussolini entra in guerra soltanto quando, nel 1940, sembra scontata la vittoria militare della Germania. Probabilmente lo fece perché temeva che una vittoria schiacciante della Germania avrebbe reso l'Italia molto debole.

d) La seconda guerra mondiale, nella sua fase iniziale, non fu affatto ideologica, tant'è che lo divenne solo dopo l'aggressione alla Russia (se fosse stata immediatamente di carattere ideologico i governi inglese e francese non avrebbero condotto delle trattative segrete, nel 1939, per una composizione del conflitto).

In sintesi: il fascismo va circoscritto cronologicamente (tra le due guerre mondiali), geograficamente (nell'Europa occidentale) e socialmente (fenomeno dei ceti medi). Sia il fascismo che il nazismo arrivarono al potere in circostanze che si potrebbero definire di "normalità", cioè per "merito".

P.S. De Felice fece inoltre notare che se una certa storiografia di sinistra ha voluto presentare una certa discontinuità tra Italia fascista e Italia repubblicana, di fatto, a livello dei ceti medi, non è cambiato niente: i medici, gli avvocati, che prima erano fascisti, con la caduta della dittatura, sono diventati repubblicani. C’è stata una sorta di patteggiamento.

NOTE

(1) Strano che dica questo, visto che in quasi tutti i paesi sudamericani nacquero movimenti parafascisti negli anni '30: il Movimento nazional-socialista del Cile, la Falange Socialista Boliviana, la Falange Cubana. In Brasile si ispirò al fascismo l'Azione Integralista Brasiliana, ma anche in Argentina ci fu la Lega Repubblicana, e lo stesso Peron, in qualche modo, si ispirò a quanto aveva visto in Italia da addetto militare, sebbene la sua ideologia non può essere definita fascista. In nord America fu attiva l'Unione Canadese dei Fascisti e la Legione d'Argento d'America (USA) mentre in centro America vi erano le camicie dorate messicane. Lo stesso regime militarista nipponico era sostanzialmente fascista. Ma anche nel mondo arabo furono attivi, nello stesso periodo, vari partiti d'ispirazione nazionalista e fascista, come il Partito del Giovane Egitto, Nadi al-Muthanna in Iraq e il Partito Nazionalista Sociale in Siria.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 19/02/2015