LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


L'ANTISEMITISMO FASCISTA

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a cura di Rosa Castellaro

Il 1938: la nascita dell’antisemitismo di stato

L’antisemitismo di Mussolini si dichiarò in modo netto solo a partire dalla seconda metà del 1936. Nonostante le chiassose manifestazioni antisemite di alcune ali estreme del fascismo, fino a quell’anno la stessa possibilità che in Italia si determinasse un problema ebraico appariva agli occhi di tutti non solo remota, ma addirittura assurda, anche in considerazione della legge sulle Comunità israelitiche approvata nel 1931, che garantiva una sostanziale libertà di culto.

Secondo lo storico Renzo De Felice (in Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo), “Mussolini non può essere considerato per molti e molti anni un antisemita. Sino al 1937 l’idea di un antisemitismo di stato fu lontanissima da lui… Certo verso gli 'ebrei' Mussolini ebbe sempre una certa diffidenza, ma si trattava della diffidenza tipica di tutti i nazionalisti: era la diffidenza tipica del provinciale insofferente di tutto ciò che, in un modo o in un altro, costituiva un legame che non fosse quello meramente nazionale. L’alta banca e l’internazionale ebraica erano per lui una realtà, con la quale però non voleva scontrarsi e che, in ogni caso, non riteneva avesse in Italia agganci molto potenti… Un certo 'mito della razza' è riscontrabile nel suo pensiero e nella sua opera sin dai primi anni e dopo la marcia su Roma; esso non ebbe però mai nulla in comune con il razzismo nazista. Gli scopi e i limiti del 'razzismo' mussoliniano non andarono mai, sino alla conquista dell’Etiopia, oltre la realizzazione di una politica sanitaria, demografica ed eugenetica, e, più latamente, oltre l’aspirazione di sostituire negli italiani alla coscienza 'borghese' dell''Italietta' una coscienza 'imperiale' di Roma, non oltre – insomma – la vitalizzazione e il potenziamento fisico e morale degli italiani… [Intervenendo nella] relazione del 30 aprile [1929] alla Camera del ministro Rocco sull’esercizio dei culti ammessi … il duce aveva tra l’altro affermato: "Gli ebrei sono a Roma dal tempo dei Re; forse fornirono gli abiti dopo il ratto delle Sabine. Erano cinquantamila ai tempi di Augusto e chiesero di piangere sulla salma di Giulio Cesare. Rimarranno indisturbati". (op. cit., pp. 235-36).

La svolta dell’atteggiamento di Mussolini sulla questione della razza, e, in particolare su quella ebraica, risalente al 1936, se fu avviata da una serie di circostanze di varia natura (la presa di posizione antifascista di singoli ebrei e di organizzazioni ebraiche in occasione della guerra d’Etiopia e di quella di Spagna; la convinzione dell’esistenza di un'Internazionale ebraica alleata ai nemici del fascismo; le critiche alla politica economica mussoliniana mossa da alcuni industriali e uomini d’affari ebrei; il timore che, conquistata l’Etiopia, la razza italiana potesse contaminarsi attraverso un 'meticciato' di vasta scala; l’influenza di un entourage sempre più apertamente antisemita - soprattutto Farinacei e Preziosi -…), ebbe come sua vera causa la convinzione che per “rendere granitica” l’alleanza italo-tedesca fosse necessario allineare la politica dei due regimi in tutti i campi, compreso quello dell’antisemitismo.

La politica razziale messa a punto tra il 1937 e il 1938 e la conseguente legislazione del 1938 costituiscono dunque il “pegno” di Mussolini verso la Germania nazista. Se si considera il peso che l’antisemitismo aveva assunto nell’ideologia nazista, risulta evidente la necessità per un alleato, che volesse essere considerato veramente tale, di adeguarvicisi, senza cercare di aggirare vanamente la questione.

Le tappe dell’antisemitismo di Mussolini coincidono quasi costantemente con un suo ulteriore avvicinamento al nazismo: dopo la visita di Mussolini in Germania (25–29 settembre 1937), viene affidato a Ciano il coordinamento della campagna antisemita; nei mesi antecedenti alla visita di Hitler in Italia (3–9 maggio 1938), la stampa italiana scatena una vasta campagna antisemita; il 14 luglio 1938 è pubblicato il “manifesto della razza”, seguito dal Comunicato del P.N.F. sulla razza (26 luglio); dopo l’incontro a Monaco (29–30 settembre 1938) tra Hitler e Mussolini, il Gran Consiglio decide la persecuzione contro gli ebrei (6 ottobre).

L’antisemitismo di stato diventa da questo momento una realtà concreta e attiva. E’ interessante tuttavia mettere in rilievo l’intenzione costantemente manifestata da Mussolini di mantenere all’intera legislazione “per la difesa della razza” una caratteristica “italiana” ben precisa, che la differenziasse da quella nazista. Specialmente in questo campo, Mussolini aborriva di apparire un imitatore di Hitler.

L’antisemitismo nei documenti ufficiali del 1938

Mentre già a partire dal 1936 si susseguono sempre più apertamente dichiarazioni, e azioni, di tono antisemita in vari ambienti vicini al governo, la prima manifestazione ufficiale del nuovo atteggiamento di Mussolini verso gli ebrei si colloca nel 1938. Si tratta dell’Informazione diplomatica n.14, redatta personalmente da Mussolini e pubblicata il 16 febbraio 1938.

A una prima parte di tono conciliante, in apparenza rivolta a fugare le apprensioni di chi temeva imminenti provvedimenti del governo contro gli ebrei (“Il Governo fascista non pensò mai, né pensa adesso, a prendere misure politiche, economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, salvo, beninteso, nel caso in cui si trattasse di elementi ostili al Regime”), segue una “precisazione” finale che lascia intravedere quale fosse in realtà l’intenzione del duce nei confronti degli ebrei: ”Il Governo fascista si riserva tuttavia di vegliare sull’attività degli ebrei di recente giunti nel nostro paese e di fare in maniera che la parte degli ebrei nella vita d’insieme della nostra Nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci individuali e all’importanza numerica della loro comunità”.

La cautela di questo documento ha varie motivazioni: da una parte la consapevolezza di Mussolini dell’ostilità, per il momento, dell’opinione pubblica italiana impreparata verso drastici provvedimenti contro gli ebrei, dall’altra la preoccupazione circa la risonanza che disposizioni più rigide avrebbero avuto all’estero e presso la Santa Sede. Poté non essere estraneo a questo atteggiamento prudente di Mussolini anche il timore di una fuga improvvisa dall’Italia di grossi capitali in mano agli ebrei.

Il secondo documento ufficiale è il Manifesto degli scienziati razzisti del 14 luglio, che fissa la posizione ufficiale del fascismo nei confronti dei problemi della razza. Il documento porta la firma di un gruppo di docenti universitari, tra i quali si trova Nicola Pende, ma a giudizio di Galeazzo Ciano fu scritto interamente da Mussolini.

Il Manifesto si compone di dieci capitoletti che portano i seguenti titoli: 1. Le razze umane esistono; 2. Esistono grandi e piccole razze; 3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico; 4. La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana; 5. E’ una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici; 6. Esiste ormai una pura razza ariana; 7. E’ tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti; 8. E’ necessario fare una netta distinzione fra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra; 9. Gli ebrei non appartengono alla razza ariana; 10. I caratteri fisici e psicologici degli italiani non debbono essere alterati in alcun modo.

Il tono del documento è chiaramente razzista, ma al suo interno solo il capitoletto 9° si occupa in modo esplicito degli ebrei: ”Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato al di fuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli Ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.”

Ben più chiaro risulta l’atteggiamento di Mussolini nel documento ufficiale successivo, l’Informazione diplomatica n. 18 del 5 agosto. Nella parte centrale del documento è scritto: “Occorre anche un forte sentimento, un forte orgoglio, una chiara onnipresente coscienza di razza. Discriminare non significa perseguitare. Questo va detto ai troppi ebrei d’Italia e di altri paesi, i quali ebrei lanciano al cielo inutili lamentazioni, passando con la nota rapidità dall'invadenza e dalla superbia all’abbattimento e al panico insensato. Come fu detto chiaramente nella nota n. 14 dell’Informazione diplomatica, e come si ripete oggi, il Governo fascista non ha alcun piano persecutorio contro gli ebrei in quanto tali. Si tratta di altro. Gli ebrei in Italia, nel territorio metropolitano, sono 44.000, secondo i dati statistici ebraici, che dovranno però essere confermati da un prossimo speciale censimento; la proporzione sarebbe quindi di un ebreo ogni mille abitanti. E’ chiaro che, d’ora innanzi, la partecipazione degli ebrei alla vita globale dello Stato dovrà essere, e sarà, adeguata a tale rapporto”.

Sulla basa di questa precisazione ufficiale, si mette subito in moto un apparato persecutorio nei confronti degli ebrei, che vede coinvolti tutti i Ministeri e in particolare quello dell’Educazione Nazionale. Già il 6 agosto il ministro Bottai invia ai Provveditorati italiani una circolare nella quale si raccomanda di creare nella scuola dell’infanzia “il clima adatto alla formazione di una prima, embrionale coscienza razzista, mentre nella scuola media il più elevato sviluppo mentale degli adolescenti, già a contatto con la tradizione umanistica attraverso la studio delle lingue classiche, della storia e della letteratura, consentirà di fissare i capisaldi della dottrina razzista, i suoi fini e i suoi limiti. La propagazione della dottrina continuerà, infine, nella scuola superiore, dove la gioventù studiosa, col sussidio degli cognizioni umanistiche e scientifiche già acquisite, potrà approfondirla e prepararsi ad esserne, a sua volta, divulgatrice e animatrice”.

Un ulteriore aggravamento delle condizioni di vita degli ebrei italiani fu determinato dal Decreto legge emanato dal Consiglio dei Ministri il 2 e 3 settembre 1938. In esso si vietava agli ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Regno, in Libia e nei possedimenti dell’Egeo. Tutte le concessioni di cittadinanza italiana fatte a stranieri ebrei in data posteriore al 1° gennaio 1919 erano revocate. Gli ebrei erano esclusi dall’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado e gli alunni di razza ebraica non erano ammessi alla frequenza delle scuole pubbliche.

Nel periodo che intercorre tra l’agosto e l’ottobre del 1938 furono fatti censimenti degli ebrei italiani e stranieri presenti nel Regno; fu iniziata l’elaborazione statistica e nominativa per categorie dei beni degli ebrei e delle loro istituzioni.

Altre iniziative collaterali furono rivolte a escludere la presenza “giudaica” in tutti i settori della vita nazionale, soprattutto in quello della cultura. Speciali disposizioni vietarono, ad es., l’esposizione nelle librerie di libri di autori “non ariani” o la trasmissione da parte dell’EIAR di musiche e testi di autori ebrei.

I provvedimenti più duri ed espliciti nei confronti degli ebrei furono quelli presi dal Gran Consiglio nella notte tra il 6 e il 7 ottobre. A quella data, Mussolini si era ormai convinto che l’antisemitismo era inoculato nel sangue degli italiani: ora avrebbe continuato da solo a circolare e a svilupparsi.

Dopo aver ricordato che “il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge un’attività positiva, diretta al miglioramento quantitativo e qualitativo della razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti”, il Gran Consiglio stabiliva:

“a) il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane;

b) il divieto per i dipendenti dello Stato e di Enti pubblici – personale civile e militare – di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza;

c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri anche di razze ariane dovrà avere il preventivo consenso del ministro dell’Interno;

d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell’Impero”.

Per quanto riguardava i rapporti tra ebrei e Fascismo, il Gran Consiglio si esprimeva in questo modo:

“L’ebraismo mondiale – specie dopo l’abolizione della massoneria – è stato l’animatore dell’antifascismo in tutti i campi … L’ebraismo estero o italiano fuoruscito è stato – in taluni periodi culminanti come nel 1924–25 e durante la guerra etiopica – unanimemente ostile al Fascismo … Tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei; l’ebraismo mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevichi di Barcellona”.

Dopo aver affermato che “l’espulsione degli indesiderabili … è indispensabile”, il Gran Consiglio dettava i criteri per stabilire “l’appartenenza o meno alla razza ebraica”:

“a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;

b) è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da madre di nazionalità straniera;

c) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da un matrimonio misto, professa la religione ebraica;

d) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da un matrimonio misto, qualora professi altra religione all’infuori dell’ebraica, alla data del primo ottobre XVI”.

Nello stesso provvedimento erano elencate le categorie di ebrei che potevano essere “discriminate”, per particolari meriti, patriottici e di difesa della causa fascista, rispetto a quanto previsto dalle norme fissate; in nessun caso però agli ebrei era consentito l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado.

Per tutti gli altri ebrei venivano fissati i seguenti divieti:

“I cittadini italiani di razza ebraica, non appartenenti alle suddette categorie, nell’attesa di una nuova legge concernente l’acquisto della cittadinanza italiana, non potranno:

a) essere iscritti al Partito nazionale Fascista;

b) essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino cento o più persone;

c) essere possessori di cinquanta ettari di terreno;

d) prestare servizio militare in pace e in guerra.

L’esercizio delle professioni sarà oggetto di ulteriori provvedimenti”.

Il Gran Consiglio decise inoltre:

“1) che agli ebrei italiani allontanati degli impieghi pubblici sia riconosciuto il normale diritto di pensione;

2) che ogni forma di pressione sugli ebrei, per ottenere abiure, sia rigorosamente repressa;

3) che nulla si innovi per quanto riguarda il libero esercizio del culto e l’attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti;

4) che, insieme alle scuole elementari, si consenta l’istituzione di scuole medie per ebrei”.

Non veniva esclusa, nello stesso tempo, la possibilità di una “controllata immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell’Etiopia”.

Con il Decreto legge del 17 novembre 1938, le decisioni più importanti del Gran Consiglio furono trasformate in leggi dello Stato, con alcune modifiche e integrazioni. Tra esse citiamo quelle contenute negli articoli 11, 12, 13:

Art. 11. Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengano a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti ch'egli impartisca ad essi un’educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o a fini nazionali;

Art. 12. Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana.

Art. 13. Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica:

a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato;

b) il Partito Nazionale Fascista e le organizzazioni che ne dipendono o che ne sono controllate;

c) le Amministrazioni delle Province, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza e degli Enti, Istituti e Aziende, comprese quelle di trasporti in gestione diretta, amministrate o mantenute col concorso delle Province, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza, o dei loro Consorzi;

d) le Amministrazioni delle aziende municipalizzate;

e) le Amministrazioni degli Enti parastatali, comunque costituiti e denominati, delle Opere nazionali, delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali e, in genere, di tutti gli Enti ed Istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorra con contributi di carattere continuativo;

f) le Amministrazioni delle aziende annesse o direttamente dipendenti dagli Enti di cui alla precedente lettera a) o che attingano ad essi, in modo prevalente, i mezzi necessari per il raggiungimento dei propri fini, nonché delle società, il cui capitale sia costituito, almeno per metà del suo importo, con la partecipazione dello Stato;

g) le Amministrazioni delle banche d'interesse nazionale;

h) le Amministrazioni delle imprese private di assicurazione.

Altri Decreti legge, contemporanei o successivi, furono rivolti a regolare particolari aspetti della questione ebraica (ad esempio il D.L. del 15 novembre, n. 1779), fissava precise disposizioni persecutorie nei confronti degli ebrei nell’ambito scolastico); un’incalcolabile quantità di circolari, talora contraddittorie, si faceva carico di rendere esplicita agli uffici pubblici la volontà del Duce nei confronti degli ebrei.

La partecipazione dei giornali italiani alla campagna antisemita

Il ruolo svolto dalla stampa nazionale nella campagna antisemita appare fondamentale, ancor più di quanto non lo sia stato nella preparazione della guerra etiopica. Come afferma Paolo Murialdi, “la rilevanza e la peculiarità del ruolo dei giornali deriva da due considerazioni. La prima è che un problema ebraico e, tanto meno, l’abominio razzista erano estranei ai sentimenti della stragrande maggioranza degli italiana; le tendenze antisemite, già affiorate prima del fascismo ma alimentate da capi fascisti fanatici, erano circoscritte a pochi e ristretti ambienti. E’ stata quindi la stampa, nei modi e nei diversi gradi che vedremo, ed esclusi alcuni fogli cattolici, a creare prima un problema ebraico e poi a tentare di convincere che la difesa della razza imponeva gli interventi persecutori contro gli ebrei.

La seconda constatazione è che l’opera d'inoculazione del veleno razzista, perseguita fin dai primi anni del fascismo dai giornali di Farinacci [direttore di "Cremona nuova" e de "Il regime fascista"], Interlandi [direttore de "Il Tevere" e successivamente de "La difesa della razza"] e Preziosi [direttore de "Il mezzogiorno", quotidiano di Napoli], trova altri giornali pronti a collaborare prima che Mussolini dia il via all’orchestrazione generale della campagna“. (ne La stampa del regime fascista, Laterza, Bari, 1986, p. 164).

Filippo Sacchi, ritornando con la memoria a quegli anni, afferma: ”Allora, uno che leggeva i giornali, anche solo i titoli, doveva pensare che ogni redazione fosse una specie di cittadella fascista, dove, incontrandosi nei corridoi, i redattori si scambiassero il saluto romano e ogni velina del Minculpop fosse accompagnata da un vigoroso alalà. Niente di meno vero. Il giornalismo italiano, chi c’era allora ha potuto constatarlo, non è mai stato così inerte, così pigro: ma era trascinato, dico trascinato proprio con la cavezza, dalla pattuglia di punta di quei quattro o cinque organi d’avanguardia, quelli che davano il la (“Il Popolo d’Italia”, “Cremona nuova”, “Il telegrafo”, “Il Tevere”, ecc.) e bisognava che gli altri, anche pompando a vuoto, tenessero il passo.” (F. Sacchi, Fascismo e antifascismo, Milano, Feltrinelli, 1962).

Per spiegare questa situazione, Oreste Del Buono osserva che “nonostante il livello di servilismo a cui si era ridotto, il giornalismo fu sempre una carriera ambita da vecchi e giovani sotto il fascismo. Alle leggi fascistissime che avevano strangolato ogni libertà di stampa, avevano fatto seguito l’ammodernamento tecnico dei giornali (servizi fotografici, trasmissioni di foto da lontano, più pagine, pagine speciali, caratteri nuovi, titoli a macchina, intercettazioni radio, colore, una corsa al progresso iniziata dalla “Gazzetta del Popolo” e subito proseguita in gara sempre più serrata da “La Stampa” e dal "Corriere della Sera" e da nuovi quotidiani appositamente fondati) e soprattutto il contratto giornalistico (il migliore del mondo, con alti stipendi, ferie abbondanti, assicurazioni, indennità).

D’altra parte Mussolini attribuiva una fondamentale importanza all’organizzazione del consenso operata dai giornalisti, come si può rilevare da questo passo di un suo discorso del 1933, rivolto ai dirigenti del Sindacato dei giornalisti: ”I giornalisti italiani devono considerarsi militi comandati a guardare il settore più avanzato e più delicato del fronte fascista e a manovrare l’arma più potente e pericolosa di ogni battaglia. Il duce si è servito di questa arma per le prime conquiste, se ne serve ancora per colpire alto, lontano e vicino. Oggi tutta la nazione è blocco e scudo: e tutti i giornali formano una sola bandiera. Pensiero e azione sono nel commento e nella notizia più fusi che mai.”

L’istituzione, nel 1935, del Ministero per la Stampa e la Propaganda, affidato a Galeazzo Ciano, conferma la volontà di Mussolini di un assoluto controllo su tutti gli organi di stampa. Nel 1937 questo Ministero assumerà il nome di Ministero della Cultura Popolare, presto denominato Minculpop.

Si deve considerare che la diffusione della stampa quotidiana, negli anni immediatamente precedenti la guerra, è abbastanza alta; nel 1939 il "Corriere" ha una tiratura media di 597.000 copie giornaliere (compresa l’edizione del pomeriggio); "La Stampa" e la "Gazzetta del Popolo" hanno più o meno la stessa tiratura, intorno alle 300.000 copie; tra i quotidiani romani, "Il Giornale d’Italia" è fisso sulle 250.000 copie, "Il messaggero" sulle 200.000 (si veda P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso - Fascismo e mass media, Laterza, Roma – Bari, 1975).

Se si analizza il quadro generale dei giornali italiani del periodo fascista, antecedentemente al 1938, si possono individuare tre momenti di specifica offensiva razzista: la prima metà del 1934, il settembre 1936 e la primavera del 1937. Nel 1934 l’antisemitismo è ancora strettamente collegato all’antifascismo e all’antitalianità; nel 1936 si insiste in particolare sull’origine giudaica del bolscevismo (anche in collegamento con la guerra civile spagnola); nel 1937 l’occasione per la ripresa degli attacchi razzisti da parte della stampa è data dalla pubblicazione del libro di Paolo Orano Gli ebrei in Italia, violentemente antisemita, recensito in modo favorevole dai più importanti quotidiani italiani.

Nel 1938 la campagna antisemita muta decisamente di tono; in conformità al “nuovo corso” voluto da Mussolini nei confronti degli ebrei, i quotidiani italiani, a partire dai primi mesi di quell’anno, accentuano i toni della precedente campagna razzista e antisemita.

E’ interessante rilevare la gradualità di questa operazione; inizialmente l’argomento “ebrei” viene presentato per così dire di scorcio, cioè attraverso una serie di articoli tendenti a sottolineare tanto i problemi determinati in tutto il mondo dall’invadenza degli ebrei, quanto le iniziative intraprese da molti Stati europei per difendersi dalla loro odiosa presenza. Solo a partire dal 15 luglio il “problema della razza” viene affrontato direttamente, sia attraverso l’illustrazione del Manifesto degli scienziati razzisti, sia attraverso la pubblicazione di numerosi articoli di carattere scientifico, rivolti a chiarire il concetto di razza e a sottolineare la necessità di difenderne la purezza. Il 31 luglio tutti i quotidiani riportano a grandi lettere il monito di Mussolini: “Anche nella questione della razza noi tireremo diritto”.

Da questo momento il linguaggio antisemita dei quotidiani si fa più aspro; le “necessità biologiche dell’impero italiano” di difendere la razza sono poste in primo piano; a chiare lettere i quotidiani riconoscono che in Italia il clima è maturo per il razzismo italiano, “patrimonio spirituale del nostro popolo, base fondamentale del nostro Stato, elemento di sicurezza per il nostro impero”, e danno ampio spazio alle considerazioni di Mussolini sulla “stirpe italiana”.

In agosto giunge ai giornali la nota di servizio che li sollecita a svolgere con continuità la propaganda razziale, completata dall’ingiunzione di usare l’espressione “giudaismo” e antigiudaismo” anziché “ebraismo e antiebraismo” (si veda F. Flora, Stampa dell’era fascista – Le note di servizio, Milano, Mondatori, 1945).

Il 5 agosto esce il quindicinale "La difesa della razza", diretto da Telesio Interlandi; la sua diffusione nelle scuole italiane di ogni ordine e grado e nell'università è raccomandata dal Ministro dell’Educazione Nazionale, Bottai.

Da questo momento scompaiono le residue differenze tra i giornali cosiddetti “nazionali” e la stampa fascista, vero strumento politico del regime; crescono contemporaneamente gli scambi con giornali e agenzie tedesche, anche in seguito a specifici accordi italo–tedeschi sulla funzione della stampa voluti da Goebbels.

Solo alcuni fogli cattolici riescono a mantenere una certa indipendenza nei confronti dell’antisemitismo; come afferma Renzo De Felice “non vi fu giornale che non si lanciasse contro gli ebrei in generale e non si affrettasse a chiedere a gran voce l’adozione di provvedimenti contro di essi. Su un piano generale, gli attacchi erano di vario tipo: oltre alle solite elucubrazioni sulle 'caratteristiche giudaiche', sull’antifascismo degli ebrei (per fare un esempio, molti giornali pubblicano l’elenco degli ebrei che a suo tempo avevano firmato il 'Manifesto Croce'), sul sionismo e sull’internazionale ebraica, molta attenzione venne data ai commenti stranieri favorevoli al nuovo orientamento italiano e alle prese di posizione e ai provvedimenti presi in altri paesi contro gli ebrei e contro la loro immigrazione. Ampio rilievo fu dato pure ai reati comuni commessi da ebrei in Italia e all’estero… Su un piano più particolare, gli attacchi ebbero soprattutto due direttrici principali: da un lato contro lo 'strapotere ebraico' in Italia, dall’altro contro il 'pietismo', contro coloro cioè che – ed era la stragrande maggioranza degli italiani – non capivano la politica della razza… Si può dire che non ci fu giornale, nazionale o locale, che non fece la sua brava inchiesta sugli ebrei, stranieri ed italiani, denunciando quanti erano, quanto possedevano, che cariche ricoprivano, che attività economiche esercitavano” (R. De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, cit. pp. 263-64).

Col mese di settembre, i quotidiani italiani, anticipati come sempre da "Il popolo d’Italia", passarono dalla semplice elencazione degli ebrei residenti nelle varie città agli attacchi personali contro tutti quegli ebrei che ricoprivano un ruolo importante in una qualsiasi attività, dall’industria, alle più varie professioni, allo sport.

Di tutti costoro veniva chiesto non solo l’allontanamento dalle cariche esercitate, ma addirittura l’espulsione dai confini nazionali (si veda l’articolo Pietismo fuori posto, su "La Stampa" di Torino del 10 settembre 1938. Una posizione critica nei confronti della persecuzione antisemita fu mantenuta invece dai giornali cattolici "L’Italia" di Milano e "L’avvenire d’Italia" di Bologna).

Quando i deliberati del Gran Consiglio furono trasformati in leggi dello Stato (ottobre–novembre 1938), la stampa fu direttamente sollecitata a dare il massimo rilievo al problema giudaico e a condannare qualsiasi forma di opposizione alla politica della razza voluta da Mussolini. Come sempre i quotidiani italiani risposero con entusiasmo a questo invito del duce.

Fonti

  • Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1972
  • Oreste Del Buono, Eia, Eia, Eia, Alalà - La stampa italiana sotto il fascismo 1919/1943, Milano, Feltrinelli, 1971
  • Levi Fabio, L’ebreo in oggetto, Zamorani, Torino, 1991
  • Paolo Murialdi, La stampa del regime fascista, Laterza, Bari, 1986
  • Scarlatti Michele, Gli orientamenti antisemiti di Mussolini nel 1938, Zamorani, Torino, 1994

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 19/02/2015