LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


IL FASCISMO ITALIANO ENTRA IN GUERRA

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L'intervento italiano in Spagna

La repubblica spagnola, guidata nel 1931-32 da una coalizione di repubblicani e socialisti e poi dal centro-destra, era sconvolta dalle agitazioni nazionaliste in Catalogna e dalla rivolta sociale nelle Asturie nell'ottobre 1934; a reprimerla fu inviato il generale Franco, che nel luglio 1936 promosse l'insurrezione dei generali contro il governo del Fronte Popolare di Azaña (formato da repubblicani, socialisti e comunisti), uscito vittorioso dalle elezioni del febbraio. Al fianco della Repubblica affluirono molti intellettuali e operai anche da Stati esteri, mentre a sostegno di Franco si schierarono il Vaticano e i regimi fascisti.

Il contributo italiano fu determinante fin dall'inizio delle ostilità: le aviazioni italiana e tedesca effettuarono un ponte aereo tra il Marocco e la Spagna, per dislocare in territorio spagnolo materiali e forze franchiste. A fianco della Repubblica si schierò l'Unione Sovietica, che inviò aiuti militari e organizzo le brigate internazionali.

L'Italia inviò ben 70.000 uomini dell'Esercito, 4.000 uomini dell'Aviazione e alcune unità della Marina; la Germania inviò la Legione Condor, il migliore squadrone da bombardamento aereo. Pur sconfitte a Guadalajara, le truppe italiane furono determinanti in molte operazioni militari, soprattutto nella riconquista del nord repubblicano, e nel bombardamento di Barcellona, che vite impegnate le Frecce Nere nel marzo 1938. Nel giugno 1939 furono rimpatriati gli ultimi soldati italiani, dopo che la parata militare ordinata da Franco per festeggiare la vittoria era stata aperta da un battaglione di camicie nere, e chiusa dai piloti della Legione Condor. Non era semplice gratitudine, ma l'ammissione che l'intervento italiano e tedesco era stato determinante.

L'Asse Roma-Berlino

Al termine della guerra di Spagna Italia e Germania erano ormai alleate, dopo che Mussolini aveva lasciato mano libera ad Hitler per l'annessione dell'Austria al Reich. Nell'ottobre 1936 i due paesi stipularono un'intesa che riconosceva il dominio italiano sull'Etiopia, ribadiva la lotta al bolscevismo e impegnava le due parti a collaborare economicamente sull'area danubiano-balcanica: era l'Asse Roma-Berlino. Un mese dopo, Mussolini annunciò la nascita dell'Asse, attorno al quale avrebbe dovuto ruotare la politica europea.

Nel 1937 l'Italia uscì dalla società delle Nazioni e aderì al patto anti-Comintern firmato da Germania e Giappone. Nel 1938, con l'Anschluss, la Germania annetteva a sé il territorio austriaco. In Italia furono introdotte le leggi razziali contro gli ebrei; la propaganda della nazione all'erta, pronta a combattere, era sempre più intensa, e si diresse particolarmente contro la Francia, rivendicando le naturali aspirazioni del popolo italiano su Corsica, Savoia e Nizza. Il 22 maggio 1939 fu firmato il Patto d'Acciaio, politico e militare, che avrebbe spazzato via il lassismo delle democrazie occidentali, definite come "plutocratiche, massoniche e giudaiche". Il patto impegnava ciascuno a schierarsi a fianco dell'altro in caso di guerra anche non preventivamente concordata.

I CONTRASTI ITALO-FRANCESI

L’Italia fascista, alleata con la Germania nazista, aveva cominciato a pretendere, da parte della Francia, alcuni territori ampiamente francesi, come la Corsica, Nizza e la Savoia.

Cercava altresì di ottenere dalla Francia concessioni in Africa, dove - dopo la recente annessione dell’Etiopia - aveva intenzione d’includere nel proprio impero coloniale la Tunisia, e se fosse stato possibile la Somalia francese. Gli imperialisti italiani cercavano di fare del porto di Gibuti uno dei propri punti d'appoggio sulla costa dell’Africa e d’impossessarsi della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, che apparteneva ai francesi.

Gli interessi dell’Italia e della Francia si urtavano anche nel mare Mediterraneo. La situazione qui si era estremamente deteriorata in relazione agli avvenimenti di Spagna, in cui il generale Franco aveva rovesciato la repubblica democratica, e in connessione coi piani aggressivi dell’Italia nell’Adriatico e nel Mediterraneo orientale. La realizzazione di tutte le intenzioni dei fascisti italiani li avrebbe trasformati in padroni del Mediterraneo, e avrebbe fatto di questo mare un lago interno italiano.

Il 30 novembre 1938 alla Camera dei fasci e delle corporazioni, durante l’intervento del ministro degli esteri Ciano, i “deputati” lanciarono le grida di: “Tunisi, Corsica, Nizza!”, che furono riprese in tutta l’Italia in un’ondata di violente dimostrazioni antifrancesi. L’Italia chiedeva ora la concessione di privilegi economici e giuridici per i suoi cittadini residenti a Tunisi, la partecipazione all’amministrazione del canale di Suez, il controllo del porto di Gibuti nella Somalia francese, capolinea della linea ferroviaria, appartenente al capitale francese, che conduceva alla capitale dell’Etiopia Addis Abeba.

Dopo aver dichiarato decaduto l’accordo Mussolini-Laval del 7 gennaio 1935, il governo italiano giunse a minacciare apertamente la guerra contro la Francia. La Gran Bretagna e la Francia tuttavia non rinunciavano al tentativo di portare l’Italia dalla loro parte o, almeno, di ottenere la sua neutralità nel caso di una guerra mondiale, e continuavano a cercare una via per attenuare i dissensi franco-italiani.

Il 12 gennaio 1939 il premier britannico Chamberlain, nel corso di una visita ufficiale a Roma, suggerì a Mussolini di non intraprendere nulla che avesse potuto peggiorare la posizione del governo francese e che avrebbe consentito alla “sinistra” la possibilità di assumerne il controllo.

Il 2 febbraio l’esponente politico di destra francese Jean Baudouin, in un incontro col ministro degli esteri italiano Ciano, offrì a nome del suo governo importanti concessioni sulla questione di Gibuti, la modifica dello status dei cittadini italiani in Tunisia ecc. Mussolini, accettando la transazione così offerta, insistette però sulla richiesta che le proposte venissero ripetute ufficialmente attraverso l’ambasciatore di Francia a Roma.

Quando le notizie del ventilato accordo furono conosciute a Berlino, la diplomazia hitleriana, che aveva basato i propri calcoli su un ulteriore acutizzarsi dei rapporti italo-francesi, decise di ricorrere alla provocazione per impedire l’avvicinamento tra l’Italia e la Francia. Su ordine di Ribbentrop, la stampa tedesca pubblicò le notizie sulla missione Baudouin. L’indignazione dell'opinione pubblica francese per la disposizione del suo governo a sacrificare interessi vitali della Francia fu tale che le trattative vennero interrotte e non furono più riprese.

L'OCCUPAZIONE DELL'ALBANIA E LE SUE CONSEGUENZE

Incoraggiati dall’atteggiamento delle potenze occidentali, ch'era piuttosto passivo nei confronti dell'occupazione nazista dell'Austria e dei Sudeti cecoslovacchi, gli aggressori fascisti (Germania e Italia) nella primavera e nell’estate del 1939 passarono a nuovi atti di aggressione.

Il 7 aprile 1939 un esercito italiano di 40.000 uomini sbarcò nei porti albanesi di Durazzo, Valona, Shengjini (S. Giovanni di Medua) e Saranda. La resistenza contro gli invasori, sorta spontaneamente in varie località, non poté trattenere a lungo l’avanzata delle truppe fasciste.

L’8 aprile le truppe italiane occuparono Tirana e poche settimane dopo l’Albania fu annessa sulla base di una “unione personale” all’impero fascista italiano.

Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia e dell’Albania, l'alleanza italo-tedesca si consolidò. Il 22 maggio del 1939 i due paesi sottoscrissero un trattato di alleanza, battezzato pomposamente dai fascisti “patto d’acciaio”, che prevedeva il massimo ampliamento della collaborazione militare ed economica dei due paesi. Nel caso che una delle parti contraenti entrasse in guerra con uno o più Stati, l’altra parte s’impegnava a prestare aiuto immediato con tutte le sue forze di terra, di mare e dell’aria.

L’ENTRATA IN GUERRA DELL’ITALIA

All’inizio della seconda guerra mondiale la situazione interne dell’Italia fascista era motto difficile. Le avventure belliche in Etiopia e in Spagna (a sostegno del generale Franco) avevano dilapidato le sue risorse. L’esercito era male armato, aveva un numero trascurabile di armi moderne (carri armati pesanti e medi, armi automatiche ecc.). L'aviazione era formata principalmente da aeroplani di tipo antiquato. L’industria bellica non disponeva delle risorse necessarie di materie prime e dipendeva quasi interamente dalle importazioni.

Nelle alte sfere politiche e militari, poi, non vi era identità di vedute sul problema dell’ingresso in guerra. Come nel 1914-15, tra i generali, la corte, la grande finanza e la borghesia industriale, vi erano non pochi esponenti legati strettamente all’Inghilterra, che non si attendevano nulla di buono dalla partecipazione alla guerra a fianco della Germania.

Ciò costrinse il governo fascista, nel momento dello scoppio della seconda guerra mondiale, a dichiarare l’Italia “parte non belligerante”. Tuttavia Mussolini riteneva che al primo momento favorevole bisognava rinunciare alla posizione di attesa e accettare il rischio della guerra, per garantire all’Italia una posizione di primo piano accanto alla Germania nella soluzione delle questioni postbelliche e nella ridistribuzione del mondo.

Il 18 marzo del 1940 Mussolini s'incontrò con Hitler. La Germania s'impegnò a fornire all’Italia 12 milioni di tonnellate di carbone all’anno e ad offrire altri aiuti economici. Alla fine di marzo Mussolini prese la decisione di schierare l’Italia in guerra, anche se il problema della data venne lasciato per il momento in sospeso. Mussolini considerava che il periodo più opportuno fosse l’autunno 1940, o la primavera 1941, per completare i preparativi più indispensabili.

Ma le vittorie di maggio delle truppe hitleriane gli fecero venire le vertigini. Mutarono gli stati d’animo anche tra gli elementi antitedeschi del campo governativo. Tutte le forte reazionarie dell’Italia finirono sulla piattaforma della guerra. Alla fine di maggio Mussolini comunicò a Hitler che l’Italia sarebbe entrata nei prossimi giorni in guerra. Il 10 giugno, parlando alla folla dal balcone di palazzo Venezia, Mussolini dichiarò che l’Italia entrava in guerra allo scopo di risolvere i problemi delle proprie frontiere. Per la guerra contro la Francia, l’Italia concentrò 32 divisioni. Sul fronte alpino essa aveva contro di sé solo 6 divisioni francesi. Nonostante tale superiorità numerica, l’offensiva delle truppe italiane non ebbe successo. Le divisioni francesi non solo tennero il fronte, ma misero in serie difficoltà il loro avversario.

LA GUERRA NELL’AFRICA SETTENTRIONALE E ORIENTALE (GIUGNO 1940-GIUGNO 1941)

L’Italia, una volta entrata in guerra, aprì le operazioni belliche non solo sul teatro europeo, ma anche in Africa orientale. Nel luglio 1940 le truppe italiane riuscirono a occupare una parte del Kenya, una serie di punti importanti nel Sudan anglo-egiziano, e, in agosto, la Somalia britannica.

Gli sforzi principali delle truppe italiane (che contavano 215 mila uomini in Libia e circa 200 mila uomini in Etiopia) erano rivolti alla conquista dell’Egitto e del canale di Suez. In seguito si progettò di conquistare anche il dominio sul Medio Oriente. Le forze inglesi in questa zona contavano all’inizio delle operazioni circa 66.000 uomini.

Il 13 settembre 1940 l’esercito del maresciallo Graziani iniziò l’offensiva nell’Africa settentrionale muovendosi dalla Libia verso l’Egitto. Esso avanzò per 90 km all’interno dell’Egitto e il 16 settembre occupò Sidi el-Barrani. A causa della mancanza di rifornimenti e per la lontananza dalle retrovie, le truppe italiane dovettero fermarsi qui.

Il governo inglese, profondamente allarmato dalla minaccia al canale di Suez, inviò d’urgenza in Egitto dei rinforzi. Il 9 dicembre 1940 l’armata inglese “Nilo” comandata dal generale Wavell passò al contrattacco e alla fine di dicembre ripulì completamente il territorio egiziano. Continuando l’inseguimento le truppe inglesi penetrarono agli inizi di gennaio 1941 in Cirenaica, si impossessarono delle città fortificate di Bardia e di Tobruk e il 6 febbraio entrarono nella zona di El-Agheila sulla frontiera occidentale della Cirenaica. In due mesi le truppe di Wavell avevano sconfitto l’esercito di Graziani, facendo oltre 130 mila prigionieri e catturando inoltre 1.240 cannoni e 400 carri armati. Solo pochi resti dell’esercito italiano trovarono scampo in Tripolitania.

Dal gennaio 1941 le truppe inglesi passarono all’offensiva nell’Africa orientale. In maggio, con l’aiuto attivo dei reparti partigiani locali, venne occupata l'Etiopia, e verso la metà di maggio vennero occupate le colonie italiane dell’Eritrea e della Somalia.

Gli insuccessi militari dell’Italia fascista in Africa suscitarono profondo allarme a Berlino. Nel febbraio 1941 vennero trasferiti in Libia il “corpo africane” (Afrikakorps) tedesco al comando del generale Rommel, e i reparti del X corpo di aviazione. Il 31 marzo Rommel con le forze di due divisioni tedesche e di due divisioni italiane, riuscì a infliggere un duro colpo alle truppe inglesi dalla zona a est di El-Agheila. Il 1° aprile le truppe inglesi vennero respinte sulla frontiera libico-egiziana.

Il primo anno di guerra terminò per l’Italia fascista con la perdita di tutte le colonie dell’Africa orientale. Nonostante la superiorità delle forze, la flotta italiana non ottenne successi di rilievo nel mare Mediterraneo. La causa principale delle sconfitte militari dell’Italia va ricercata nella mediocre preparazione militare, nella arretratezza tecnica delle sue forze armate, nell’ostilità dei soldati e dei marinai italiani nei confronti della guerra.

L’AGGRESSIONE DELL’ITALIA ALLA GRECIA

I paesi dell’Europa sud-orientale erano stati ancor prima della guerra oggetto delle mire imperialistiche della Germania e dell’Italia. I successi della Germania nell’Europa occidentale nel 1940 suscitarono un certo allarme a Roma. I capi del fascismo italiano temevano che la Germania avrebbe instaurato il proprio domino nella penisola balcanica ai danni dell’Italia, che considerava i Balcani come una sfera dei propri interessi. Mussolini decise di precorrere gli avvenimenti e di occupare la Grecia.

In Grecia il potere era nelle mani del dittatore Metaxàs. Economicamente il regime poggiava sull’Inghilterra, mentre dal punto di vista ideologico appariva legato maggiormente agli Stati fascisti, alla Germania e all’Italia. Questa duplice natura della reazione greca trovò la sua espressione nella politica di “neutralità”, che serviva a un tempo gli interessi sia degli uomini di Monaco che degli aggressori.

Il 28 ottobre 1940 l’Italia fascista, senza avvertirne la Germania, lanciò un ultimatum alla Grecia. Il governo Metaxàs, considerando i sentimenti antifascisti del popolo greco e la posizione dell’Inghilterra, lo respinse. Lo stesso giorno l’Italia aggredì la Grecia.

A Roma non c’erano dubbi sul successo: contro la Grecia venne lanciata una armata scelta di 200 mila uomini. Sfruttando la propria superiorità di uomini e mezzi e la mancanza di preparativi militari da parte greca, le truppe italiane si spinsero verso l’interno della Grecia, raggiungendo località a 50 chilometri dalla frontiera.

Ma le speranze degli invasori di una rapida conquista del paese non si avverarono. L’esercito e la popolazione greca opposero una eroica resistenza. Il Partito comunista di Grecia chiamò il popolo a respingere gli aggressori. Nella prima metà di novembre le truppe greche, con l’appoggio dell’intera popolazione delle regioni montane del Pindo, fermarono il nemico. Il comando greco, tuttavia, non sfruttò l’occasione per infliggere una dura lezione agli aggressori, mutando in tal mode la situazione nei Balcani. Non credendo nella vittoria, esso non aveva elaborato in tempo un piano per l’offensiva.

L’offensiva dell’esercito greco, che cacciò gli invasori dal territorio del paese, fu compiuta alla fine del dicembre 1940 in Albania, presso la zona del lago Ochrida e del monte Tomor. Nel novembre 1940 truppe inglesi vennero sbarcate in Grecia e parteciparono alle azioni belliche. Il fronte attivo nei Balcani era indispensabile all’Inghilterra per mantenersi sul continente europeo e per allentare la pressione delle potenze dell’Asse nell’Africa settentrionale.

Il tentativo dell’esercito italiano di passare nuovamente all’offensiva agli inizi del 1941 non ebbe successo. Dopo di ciò la guerra assunse un carattere di posizione. La sconfitta dell’Italia sul fronte greco indebolì in certa misura il prestigio delle potenze dell’Asse, anche se il 1° giugno le truppe tedesche e italiane riuscirono a completare l’occupazione della Grecia.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 19/02/2015