IL MODO DI PRODUZIONE ASIATICO (M.P.A.)
UNA CATEGORIA ECONOMICA


SVILUPPI PRIVATISTICI DELL'M.P.A.

Abbiamo fin qui caratterizzato M.P.O. e M.P.A. in netta contrapposizione tra loro, vedendo in quest'ultimo un assoluto dominio della sfera pubblica su quella delle attività individuali, con la conseguenza - secondo ciò che si è detto finora - che non esisterebbe in esso alcuna forma di appropriazione privata della ricchezza.

Una tale esposizione tuttavia rischia di essere eccessivamente unilaterale e, quindi, fuorviante!

Già i filosofi illuministi (ex. Locke) osservavano ad esempio, come sia del tutto naturale e istintivo che gli individui accampino dei diritti di proprietà nei confronti dei frutti del proprio lavoro e dei mezzi alla base di esso. Il fatto poi che in taluni contesti, la tendenza verso l'appropriazione privata sia più ostacolata che in altri dall'organizzazione produttiva vigente e dalle norme giuridiche che essa si è imposta, non implica che una tale tendenza possa essere sradicata completamente.

Analizzeremo qui avanti il modo nel quale, anche nell'M.P.A., emergano delle (seppur marginali) forme di appropriazione privata e di arricchimento personale, con il conseguente sviluppo di dislivelli sul piano della proprietà patrimoniale.

In seguito cercheremo di definire le ragioni per cui, negli Stati asiatici, tali forme rimangano comunque tutto sommato secondarie rispetto alle strutture sociali e politiche dominanti, di carattere appunto comunitario.

Il motivo essenziale di un tale sviluppo di carattere privatistico risiede senza dubbio nell'invenzione della moneta. Nata proprio in Asia (Lidia) al fine di favorire gli scambi dei prodotti soprattutto sulle lunghe distanze, essa portava difatti in sé delle potenzialità 'anarchiche', difficilmente controllabili dai poteri politici centrali.

In quanto valore di scambio e non direttamente d'uso, difatti, la moneta si prestava (e si presta) a una accumulazione di carattere privato, dal momento che rimane facilmente 'nascosta' alla stessa vigilanza delle istituzioni comunitarie.

E' difatti evidente che, mentre i prodotti del lavoro delle terre sono fondamentalmente tangibili e manifesti e quindi anche facilmente controllabili da parte dello Stato (che, come si è detto, nei sistemi comunitari asiatici si appropria di diritto delle loro eccedenze, in vista delle esigenze comunitarie), quelli del commercio e in generale delle attività che non producono beni di consumo immediato (e che, proprio per tale motivo, rimandano a un tipo di ricchezza essenzialmente monetaria) rimangono - in ragione appunto della loro maggiore volatilità e 'impalpabilità' - meno facilmente socializzabili.

Per tale ragione, i ceti mercantili (e in genere quelli le cui attività - artigianali, bancarie, ecc. - sono legate a quelle di questi ultimi) si trovano in una condizione tendenzialmente marginale e periferica rispetto alla catena produttiva principale, composta dalle varie categorie dei veri e propri funzionari statali (ex. i soldati, i sacerdoti, i contadini, ecc.), le cui attività sono invece più facilmente controllabili e amministrabili da parte dello Stato.

Mentre inoltre, i secondi dipendono direttamente dallo Stato anche per lo svolgimento delle proprie mansioni, i primi godono invece anche da questo punto di vista di un'autonomia molto maggiore.

Espressione e prodotto di questo stato di cose è, tra l'altro, la possibilità per questi ultimi di accumulare (tesaurizzare) ricchezze di carattere privato, frutto delle proprie attività commerciali, delle quali lo Stato potrà poi riappropriarsi - almeno in parte - attraverso ad esempio misure di carattere fiscale!

Anche negli stati asiatici, dunque, si sviluppano sin dai tempi più remoti delle attività - e delle conseguenti forme di ricchezza - di carattere privatistico, quantomeno nella misura in cui molte delle mansioni necessarie alla comunità stessa, si traducono non in prodotti di consumo diretto, bensì in attività che producono una ricchezza di tipo più 'teorico', cioè quella monetaria.

Resta da stabilire perché, in tali contesti, quantomeno in linea di massima, non si sviluppi una vera e propria economia capitalistica, o comunque privatistica, sul modello di quella occidentale.

La ragione di ciò va forse trovata nella prevalenza strutturale delle attività collettive (o, sarebbe forse meglio dire, di attività organizzate secondo criteri comunitari, cioè controllate dall'alto) su quelle di natura invece privatistica.

Nonostante dunque anche in Oriente esista e sia molto diffusa la categoria dei mercanti (e anzi, la tradizione mercantile si sviluppa storicamente prima nelle zone orientali che in quelle occidentali, la cui organizzazione produttiva tende inizialmente - come si vedrà meglio avanti - più all'autoconsumo che allo scambio), le attività di questi ultimi tendono comunque a rimanere imprigionate nelle maglie di una pregressa e più ampia organizzazione di carattere comunitario, strutturata in modo rigido e piramidale.

D'altronde, la saldezza e la radicatezza di quest'ultima rende relativamente facile allo Stato il compito di limitare e controllare anche le attività più peculiarmente privatistiche che si svolgono al suo interno!

Anche negli stati asiatici, quindi, sussistono attività e forme di ricchezza non propriamente collettiva, bensì privata; ciononostante, la sfera del collettivo resta comunque molto più forte di quella del privato - con la conseguenza che non si sviluppa all'interno di esse un'economia veramente privatistica quale quella occidentale (M.P.O.), né di conseguenza (quantomeno oltre un certo limite) quel tipo di strutture giuridiche che a essa tipicamente corrispondono.

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Adriano Torricelli - Homolaicus - Contatto - Sezione Economia


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Aggiornamento: 12/09/2014