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Dal Fascismo alla Seconda Guerra Mondiale

Le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano.
Alberto Moravia
Le mire coloniali ed imperialistiche del fascismo si erano mostrate già nel 1926. Il 7 aprile ci fu "la prima dichiarazione di guerra ideologica fatta da Mussolini capo del governo alla democrazia internazionale" (Salvatorelli / Mira [1]): "Noi rappresentiamo la netta, categorica, decisa antitesi a tutto il mondo della democrazia. Stando così le cose, non dobbiamo sorprenderci di trovare tutto il mondo degli immortali principî schierato contro di noi. Noi romperemo, se sarà necessario, il cerchio che ci stringe. L'Italia esiste e reclama il pieno diritto di esistere nel mondo."

Benito Mussolini

Questa dichiarazione fu fatta alla vigilia di un viaggio in Libia. Qualche giorno dopo, l'11, a Tripoli, Mussolini disse che il suo viaggio rappresentava "un'affermazione della forza e della potenza del popolo italiano. Il popolo italiano porta il trionfante e immortale Littorio di Roma sulle rive dell'Africa. Il Destino ci spinge verso quella terra. Nessuno oserebbe opporsi al Destino. Nessuno può piegare la nostra inesorabile volontà." (ivi: 130-131)

Dopo la crisi del 1929, con le conseguenti riduzione dei salari, disoccupazione, difficoltà economiche pure per i ceti medi, ma anche con il conseguente rafforzamento autoritario del regime, la spinta "verso quella terra" divenne ad un tempo la ripresa di vecchie velleità nazionaliste e colonialiste [2], lo sfogo della megalomania del regime, il mezzo per ottenere nuovo consenso di massa e per superare la crisi economica (soprattutto le industrie legate alla produzione bellica ne avrebbero beneficiato).

L'unico paese indipendente in "quella terra" era l'Etiopia, la quale però faceva parte della Società delle Nazioni [3]. Incurante di ciò, il governo italiano agì: nell'ottobre del 1935 fu dichiarata guerra all'imperatore d'Etiopia, Hailè Selassiè; nel maggio del 1936 Badoglio occupava Addis Abeba, e il 9 maggio Mussolini annunciava al popolo italiano e al mondo la "pace romana", la fondazione dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana.

La reazione della Società delle Nazioni fu patetica, e giovò al regime in due direzioni. Furono adottate sanzioni economiche, per le quali l'Italia non avrebbe potuto più importare materie prime e prodotti industriali, ma ciò rimase pura teoria. D'altra parte il regime seppe approfittare efficacemente di queste solo teoriche sanzioni: fu proclamata la "autarchia", fu attuata l'offerta dell'oro (medaglie, monete, anelli), fu esaltata la forza del fascismo che non si lasciava piegare da ben cinquantadue nazioni e soprattutto dalle potenze plutocratiche, decise ad impedire all'Italia di avere il suo "posto al sole".

Il 7 maggio 1936 il re conferì a Mussolini la Gran Croce dell'ordine militare di Savoia, così motivata: "Ministro delle Forze Armate preparò, condusse e vinse la più grande guerra coloniale che la storia ricordi, guerra che egli - capo del governo del re - intuí e volle per il prestigio, la vita, la grandezza della patria fascista. " (cit. in Salvatorelli/Mira [1972, vol. 2: p. 309]) Giustamente Salvatorelli e Mira sottolineano l'ultimo termine - patria fascista - "con cui senz'altro Sua Maestà annetteva definitivamente esercito e popolo italiano al fascismo." (ivi)

Comincia l'età del consenso al fascismo, e comincia anche una incredibile orgia di "stile imperiale", "responsabilità storiche", "costume fascista", "critica del costume borghese" (grottesca da parte di un regime che doveva la propria ragion d'essere alla borghesia), "romanità", "mistica fascista", "primato della fecondità", "giustificazione demografica, e quindi storica, dell'impero", ecc. ecc. [4]

Il 1° giugno 1937 il ministero della Stampa e Propaganda cambia nome e diventa il ministero della Cultura popolare: "il cambiamento del titolo non era cosa puramente esterna e formale. Non si trattava piú, semplicemente, di curare la disciplina dei giornali e ammannire alla nazione notizie e commenti ammaestrati: si trattava di fascistizzare a fondo la coltura nazionale, lo spirito del popolo. Come l'impresa non fosse tanto facile, lo mostrò l'abbreviazione satirica fatta ben presto del nome: 'Minculpop', dal suono esprimente efficacemente una costruzione strana e goffa." (Salvatorelli/Mira, ivi: p. 322)

Le teoriche sanzioni della Società delle Nazioni ebbero una conseguenza reale e funesta: l'avvicinamento dell'Italia alla Germania di Hitler. Nel 1936 Germania e Italia intervengono in Spagna a favore dell'insurrezione reazionaria di Franco, là dove si nota ancora l'incapacità (e la non volontà) delle democrazie (Francia e Inghilterra) che abbandonano la repubblica spagnola al suo destino (solo la Russia di Stalin e antifascisti volontari sono contro Franco).

Nel 1938 l'Asse Roma-Berlino è una realtà: Hitler può annettersi l'Austria, in Italia cominciano le discriminazioni e le persecuzioni degli ebrei. Nel settembre dello stesso anno alla Conferenza di Monaco si mostra appieno l'incapacità, la miopia, il cinismo di Francia e Inghilterra: l'incontro dei quattro (Hitler, Mussolini, Chamberlain, Daladier) accontenta le pretese tedesche e abbandona al suo destino la Cecoslovacchia.

Nell'aprile del 1939 Mussolini occupa l'Albania, e nel maggio dello stesso anno Italia e Germania stipulano il "Patto d'acciaio" che prevede, in caso di guerra, l'intervento italiano a fianco della Germania.

Un altro patto, quello tedesco-sovietico, del 23 agosto, che determina sgomento in tutte le forze antifasciste (si veda Speranza, impegno, critica: 1942-1943), apre definitivamente la strada al secondo conflitto mondiale.

Mussolini esita, oscilla, proclama la "non belligeranza", da un lato prende atto della impreparazione dell'esercito italiano, dall'altro lato è colpito dai successi dell'esercito tedesco, teme, in caso di molto probabile e veloce vittoria tedesca, di essere escluso da ogni beneficio ("Sarà una guerra di breve durata e di sicuro esito. Ho bisogno di alcune centinaia di morti per sedermi al tavolo della pace", avrebbe detto con cinismo a Badoglio, cfr. Salvatorelli/Mira [op. cit. 1972, vol. 2: p. 469]), ed infine non sopporta l'idea che proprio il fascismo assuma una posizione pacifista.

Il 10 giugno 1940 dichiara guerra alla Francia e all'Inghilterra, e annuncia nella solita 'adunata oceanica': "Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l'esistenza del popolo italiano."


(1) Salvatorelli, Luigi / Mira, Giovanni, Storia d'Italia nel periodo fascista, Mondadori, Milano, 1972, vol. 2: p. 130 (prima edizione: Einaudi, Torino 1964). (torna su)
(2) La politica coloniale italiana era stata fermata dalla sconfitta di Adua che determinò la caduta del governo di Francesco Crispi (1896). (Si veda in proposito Per una storia del romanzo italiano dalla crisi del positivismo a "Solaria" , 2. Dalla "età di Giolitti" al fascismo) (torna su)
(3) "Dalla conferenza di Versailles uscì per volere di Wilson la Società delle Nazioni, con sede a Ginevra: un grande organismo internazionale, al quale si volle affidare il compito di regolare le controversie fra gli stati associati. Parve, quando sorse, la realizzazione di una delle aspirazioni più profonde degli uomini. Purtroppo la Società delle Nazioni era nata ad un cattivo parto, perché lo spirito che informava il Patto, e quello che aveva presieduto alla pace di Versailles erano tra loro inconciliabili. Del resto rimasero esclusi dalla Società numerosi stati, persino gli Stati Uniti, perché il Senato americano si rifiutò di ratificare la pace firmata in Europa. L'assenza di questi stati, e la mancanza di qualsiasi mezzo per poter imporre le proprie decisioni, impedì alla Società delle Nazioni di operare con efficacia." (Gianni, Angelo, Perché la storia, D'Anna, Messina-Firenze 1975, p. 185]) L'impresa coloniale italiana mostrerà bene tali contraddizioni e tale incapacità di operare conseguentemente. (torna su)
(4) Il 'maestro' fu naturalmente Mussolini, il quale il 20 agosto 1936 disse che occorreva "trasportare sul piano dell'impero tutta la vita nazionale"; Salvatorelli e Mira [op. cit. 1972, vol 2: p. 317] annotano: "Che cosa significasse precisamente questo 'trasporto imperiale', difficilmente Mussolini stesso avrebbe saputo dire; la frase, però, suonava bene." Una sintesi di tale retorica imperiale è in Salvatorelli/Mira (ivi: pp. 313-329, 346-356). (torna su)
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L'autore di questo ipertesto è Giovanni Lanza il cui sito è qui: www.giovanni-lanza.de/alberto moravia.htm
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Ultimo aggiornamento: 17-04-12.