Premessa sullo studio della lingua e della letteratura italiana

Premessa sullo studio della lingua e della letteratura italiana

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Finché non si risolve la questione del rapporto scuola-università-formazione noi rischiamo sempre di dirci parole vuote. Ancora oggi si può essere titolari di una cattedra di italiano e storia senza aver fatto lettere classiche né il ginnasio, senza basi di filologia, di greco o di latino...

Anche se qualcosa sta cambiando, visto che dopo la laurea, l’unico modo per ottenere l’abilitazione all’insegnamento è frequentare e superare l’esame di stato alla SSIS (Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario).

Alla SSIS si accede per esame, orale e scritto, essendo a numero chiuso, poi si devono seguire lezioni di varie materie per un totale di 1200 ore (la frequenza è obbligatoria!) e superare gli esami di ognuna; le materie si dividono in comuni e di indirizzo: le comuni si seguono in classi “miste” in cui cioè sono presenti specializzandi di vari indirizzi (p. es. lettere, matematica, artistica, ginnastica ecc.).

Le materie comuni sono: pedagogia generale (due corsi, uno per anno), didattica generale, pedagogia interculturale, psicologia, sociologia, antropologia culturale, informatica (due corsi, uno per anno) di ognuno bisogna superare un esame.

I corsi di indirizzo per lettere alle medie di primo grado sono: Didattica della storia (due corsi, uno per anno), Didattica della geografia (due corsi, uno per anno), Didattica dell’italiano (due corsi, uno per anno) e di ognuno bisogna superare un esame, poi c’è un accertamento della conoscenza di una lingua straniera e un sistema di “debito” per coloro che avendo lauree affini, tipo filosofia, ma vogliono l’abilitazione nella A043, se non hanno dato esami fondamentali come storia o italiano devono aggiungere esami specifici per “sdebitarsi”. (Ancora oggi sono tantissimi gli insegnanti di filosofia o pedagogia che fanno Italiano e storia, senza aver dato neppur un solo esame di italiano, essendo le cattedre di italiano le più numerose nelle scuole statali).

Superati tutti gli esami è necessario fare 40 ore di tirocinio in una scuola, seguiti da un tutor e presentare una tesi di tirocinio; quindi redigere una tesi di didattica in una materia a scelta con uno dei docenti dei corsi disciplinari, infine superare l’esame finale di stato. Il tutto dura due anni accademici. Quindi praticamente ci vogliono circa sei anni di università (quando tutto va bene) per prendere poi per tutta la vita uno stipendio che si aggira sui 1200-1400 euro (senza considerare che prima di entrare in ruolo la gavetta è lunghissima).

In pratica con questi due anni aggiuntivi il sistema universitario nazionale fa tacita ammissione di non essere in grado di preparare praticamente, all'insegnamento, i propri studenti universitari. Cioè ammette esplicitamente che tra teoria e pratica esiste un abisso.

Le facoltà letterarie, infatti, non solo non capiscono nulla di problemi scolastici, ma danno anche poco spazio a discipline che invece per un docente sarebbero molto importanti, come Storia della lingua italiana, Linguistica italiana, Grammatica italiana, Didattica dell'italiano, senza considerare che non riescono neppure a immaginare un rapporto tra letteratura italiana e letteratura straniera (per fare quest'ultima bisogna iscriversi a una facoltà di lingue) o tra letteratura e comunicazione (occorre iscriversi al Dams o, come oggi, a Scienze della Comunicazione, come se la letteratura non facesse parte della comunicazione sociale!).

Di conseguenza il docente di italiano ha una visione prettamente letteraria della propria disciplina, cioè non conosce la lingua vera e propria nella varietà delle sue espressioni comunicative, artistiche... Non sa nulla di psico- o socio-linguistica, di semiotica, ecc. Se un insegnante vuol proporre ai propri studenti lo studio della sceneggiatura di un film, anche da un punto di vista linguistico, lo fa a titolo personale, semplicemente perché ha un hobby da far valere.

Noi abbiamo fossilizzato i classici quando questi lo sono diventati proprio per aver operato contro la classicità. La Commedia o i Promessi sposi non furono forse delle opere di controtendenza?

"Classicità" è un termine metaforico: non sta tanto a indicare supremazia del passato sul presente (se fosse così andrebbe anche bene perché non è detto che il presente debba per forza essere migliore del passato), ma sta a indicare la mancanza di creatività o innovazione, di rapporto col presente.

E' vero, la letteratura italiana attuale è più superficiale di quella "classica", però ci sono tanti altri aspetti interessanti da considerare:
1. una volta erano in pochi a leggere e a scrivere, oggi no;
2. una volta ci si esprimeva con pochi strumenti mediali, oggi no;
3. una volta si concentrava il valore del pensiero in poche forme espressive, oggi lo si diluisce in tante.

E' davvero importante che un testo letterario debba offrire contenuti profondi come un testo filosofico?
Il fatto che in Italia la letteratura abbia supplito alla mancanza di una profonda filosofia, va considerato come un parametro della vera letteratura?

Le proposte più significative son forse le seguenti, relativamente a una riforma della didattica dell'italiano.

  1. dal latino all'italiano
  • sviluppare lo studio dei post-classici latini (p.es. i vangeli o la letteratura medievale) per anticipare meglio dal punto di vista sintattico e lessicale le tendenze romanze;
  • illustrare punti nodali quali:
    - latino classico e volgare
    - formazione lingue romanze
    - differenze tipologiche tra latino e italiano
    - lineamenti di grammatica storica italiana
    - formazione del lessico italiano: parole dotte e popolari; l'ordine delle parole nelle due lingue; le famiglie di parole
    - rapporti tra latino e greco in funzione dell'italiano
    - influssi della lingua araba sul latino medievale e riscontro nell'italiano attuale
  1. produzione del testo scritto
  • approfondire competenza ortografica, interpuntoria, morfosintattica, l'ordinamento del testo (vedi p.es. il testo di Eco, Come fare una tesi di laurea)
  • strategie testuali per migliorare coerenza e coesione, rapporto tra tema e rema, ecc.
  • verifiche mirate (fine del classico tema, sì alle riformulazioni-riscritture di un testo secondo p.es. una lunghezza data (i giornalisti p.es. sanno di quante parole dovrà essere il loro articolo prima ancora di scriverlo: questo col Word è possibilissimo); testi creativi vincolati a determinati requisiti o tecniche di scrittura...
  1. Dalla lingua alla letteratura e viceversa, sempre e in ogni caso.
    Cioè saper approfittare dei nessi esistenti tra lingue (italiano, latino, greco, romanze, idiomi locali e regionali) e letteratura italiana, sia al biennio che al triennio, mostrando unitarietà-organicità dell'espressione comunicativa. La letteratura come spugna che assorbe espressioni linguistiche varie e mutevoli.
  2. La lingua e la letteratura da apprendere in realtà è quella europea (vedi i contributi di Eco). Cioè più che di letteratura italiano a fianco di altre letterature straniere, bisognerebbe parlare di "una" letteratura europea espressa in varie lingue. Questo significa che tra i docenti di lingua (italiana e straniera) i curricoli dovrebbero intersecarsi. Lingua e letteratura messe in rapporto con uno sviluppo storico riguardante tutta l'Europa, dell'est e dell'ovest.
  3. Niente storia della lingua senza la contestualizzazione della lingua nella storia e soprattutto della letteratura nella storia. (vedi gli studi gramsciani)
  4. Recupero dei dialetti e idiomi locali-regionali a confronto con l'italiano. (il Gadda, p.es.)
  5. Lingua e letteratura come parte della comunicazione sociale, quindi studio olistico della lingua. (vedi Chomsky e le scienze specifiche sociopsicolinguistiche).
  6. Gli influssi contemporanei delle lingue straniere sull'italiano. La questione dei neologismi. L'Associazione italiana di terminologia, fondata a Roma nel 1991, ha proposto di istituire un osservatorio dei neologismi terminologici. www.iliesi.cnr.it - www.cnr.it/commesse/Scheda_Commessa.html?co=946
  7. I codici di stile. Studiare i diversi modi dell'espressione linguistica a seconda del mezzo usato (tv, radio, cinema, teatro, web...). Vedi il Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche edito nel 1993 dal Dipartimento della funzione pubblica della presidenza del consiglio dei ministri (riedito nel 1997). Esiste tra l'altro un Servizio di Italiano Scritto (SIS) offerto agli studenti, per le tesi, presso le università di Venezia, Firenze, Catania.
  8. Proposta dell'Accademia della Crusca di introdurre in tutte le scuole un insegnamento istituzionale di lingua italiana non subordinato a quello della letteratura.
  9. Rendere obbligatori in università esami come Storia della lingua, Dialettologia italiana, Filologia italiana, Didattica dell'italiano.

Prendere contatti con ASLI: associazione per la storia della lingua italiana.

Nota di metodo

L'unica storia della letteratura che bisognerebbe far studiare ai ragazzi delle superiori (magistrali, liceo scientifico e istituti tecnici; quelli professionali fanno "cultura generale", che è quanto di meglio si possa desiderare, se non fosse per il basso livello culturale generale di queste scuole) è la letteratura che parte dal Foscolo e arriva sino ai giorni nostri. In particolare, bisognerebbe far loro studiare il Novecento, mentre il resto andrebbe lasciato al liceo classico e agli specialisti delle scienze umanistiche.

E tuttavia, anche esaminando il Foscolo, il Leopardi, il Manzoni..., non ci si dovrebbe soffermare più di tanto sulle loro poesie, che ai nostri ragazzi spesso risultano così astruse da doverle praticamente tradurre, come fossero scritte in una lingua straniera. Sarà sufficiente delineare il loro pensiero, puntando molto sulla coerenza tra gli ideali e la vita pratica. Occorrerà dunque, senza nulla togliere al valore universale delle maggiori opere letterarie, che in un certo senso va al di là della sua specifica, concreta attualizzazione, dare il giusto peso al contesto storico-sociale dell'epoca e alla biografia dell'autore, nonché alle sue opere giovanili, che sono poi quelle, generalmente, in cui sbocciano le migliori idee, le quali poi, nella maturità, vengono o sviluppate o tralasciate. Bisogna cioè continuare e approfondire i lavori intrapresi da Asor Rosa, Guglielmino, Salinari-Ricci, Petronio...

Al giovane non interessa molto il valore estetico, stilistico o linguistico delle opere letterarie: non è in grado di apprezzarlo e non comprende il motivo per cui nei manuali di letteratura lo si debba così tanto sottolineare. Peraltro, sulla base di questo criterio puramente "formale", molti manuali e gli stessi programmi ministeriali scartano, p.es., opere risorgimentali che, quanto a ideali politici e valori etici, non hanno nulla da invidiare ai Sepolcri del Foscolo o allo Zibaldone del Leopardi.

Non si può ridurre la letteratura a un esercizio accademico di pochi eletti. Questo demoralizza terribilmente il giovane, il quale così non riesce a provare il gusto di abbozzare una poesia, di scrivere un diario, di farsi un proprio "zibaldone"...

Peraltro, non è assurdo che negli istituti tecnici si continui a fare Dante (con le sue tre Cantiche), Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso...: forse qualche studente è in grado di capirli a partire dai loro testi, anche usando le note esplicative in calce? Al massimo i ragazzi sanno fare un riassunto della vita d'un poeta, sanno dire due parole sulla sua "ideologia" (termine, questo, obsoleto in letteratura), mentre sulla poetica il silenzio è quasi totale.

La mania enciclopedica dei programmi ministeriali e quindi dei manuali ha davvero dell'incredibile: fra cento anni i nostri figli quanta letteratura dovranno sorbirsi? Oppure arriveremo al paradosso che sarà molto di più, infinitamente di più, la letteratura che non riusciranno a fare? Già oggi con grandissima fatica, per mancanza letterale di tempo, si arriva all'ermetismo... Senza considerare il fatto che in una visione strutturata delle cose, la letteratura andrebbe studiata di concerto con altre forme espressive e artistiche, quali il teatro, il cinema, la pittura, la fotografia, ecc. Non solo perché così diventa più agevole la sua comprensione (la "metafisica" di De Chirico, p.es., aiuta indubbiamente a delineare lo "sfondo" in cui vanno collocate le opere di Svevo e Pirandello), ma anche perché i moderni letterati, spesso e volentieri, sono poliedrici nella loro attività: si pensi, solo per fare un esempio, a quel genio versatile che fu Pasolini.

Praticamente i programmi d'italiano più interessanti sono quelli del biennio, dove l'insegnante può affrontare, attraverso le opere di tantissimi autori moderni e contemporanei, nazionali e stranieri, vari problemi sociali, esistenziali e di attualità (l'handicap è che i ragazzi al biennio sono ancora immaturi). In questo senso il triennio rappresenta un regresso, in quanto si ricomincia da Dante e, a parte qualche fugace accenno durante l'ultimo anno, si resta rigorosamente entro i limiti della letteratura "nazionale", nonostante che l'Italia manifesti -forse più di ogni altra nazione- una coscienza "europeista" da quasi mezzo secolo.

La letteratura, per renderla "viva", va collegata con quei fatti di attualità e con quei problemi che il giovane può avvertire vicini a sé: o perché consoni alla sua psicologia in evoluzione, o perché emergenti nel contesto (locale, regionale e nazionale) in cui egli vive. Si pensi ad es. al fatto che il giovane non conosce praticamente nulla della sua letteratura regionale o locale, per non parlare della musica classica o delle commedie dialettali, oppure si pensi al fatto ch'egli studia "letteratura nazionale", pur senza leggere un quotidiano non sportivo o delle riviste culturali e scientifiche, pur senza sapere com'è fatta la redazione d'un giornale o di una televisione, pur senza conoscere il lavoro di una tipografia o di una casa editrice, pur senza saper decodificare gli spot pubblicitari... Il bello è che neppure l'insegnante è tenuto a sapere o a fare queste cose, in quanto nessun programma gliele richiede, per cui egli se decide di preventivarle in qualche programmazione, lo fa solo a titolo personale, senza verifiche collegiali, più che altro per sopportare meglio la frustrazione dei programmi ministeriali.

Questa astrattezza nello studio della letteratura italiana riflette, più in generale, la separazione della scuola dalla vita e dal mondo del lavoro, nonché la separazione fra attività politica e attività intellettuale, fra poesia e impegno civile. I ragazzi si difendono dall'alienazione rinunciando ad imparare o facendo finta di sapere; i docenti che se ne accorgono non sanno comunque quale soluzione proporre: in attesa, garantiscono la promozione se in cambio ottengono il minimo (e per "minimo" essi intendono anche solo la "buona volontà").

Cosa vuol dire "fare letteratura"?

La letteratura dovrebbe ricavare dalla realtà la propria ispirazione, ma da quale realtà? Un letterato chiuso tra i muri di una biblioteca o di un'aula scolastica, non è un letterato ma, in genere, un intellettuale pedante, un chiosatore di ispirazioni altrui.

La realtà ispira davvero quando coglie le istanze umane più sentite. Ma anche questa è costatazione astratta, se non si entra nei dettagli di tali istanze.

Qui, inevitabilmente, il discorso, prima d'essere letterario, si pone in maniera storica, in cui le analisi politiche ed economiche della realtà risultano prioritarie.

Un letterato può non essere un politico (anche se molti in Italia l'hanno preteso) o un economista o uno storico, ma se vuole fare letteratura "utile" (secondo il dettame manzoniano) non può prescindere da un'interpretazione della realtà economica e politica.

Un letterato infatti deve anzitutto collocare se stesso nella realtà del suo tempo, interpretarsi in rapporto al contesto socioculturale in cui vive. In tal senso più egli ha consapevolezza dei limiti, dei problemi, delle contraddizioni della sua realtà, più sarà un "grande" letterato, anche se sul piano formale-stilistico potrà essere un artista mediocre.

La maggiore difficoltà infatti non è tanto quella di saper scrivere (oggi invero è anche questa), quanto quella di essere aderenti alla realtà. E la realtà oggetto d'interesse di un letterato deve essere quella frutto della contraddizione antagonistica tra ceti dominanti, proprietari dei mezzi produttivi, e ceti subalterni, proprietari della sola forza-lavoro.

Tale contraddizione nasce con la nascita delle civiltà. Non tenerne conto significa limitarsi nella propria capacità d'incidenza sul reale, nella propria capacità interpretativa, ovvero limitarsi a produrre una letteratura estetica, formale, in cui, al massimo, si valorizzano sentimenti umani decontestualizzati o intimistici, strettamente legati alla sfera privata, nei cui confronti il poeta o il prosatore si sforzerà di renderli universalmente validi o noti, condivisibili.

Appunto "si sforzerà", invece di far emergere spontaneamente la letteratura dalle contraddizioni sociali, attraverso l'intelligenza dei nessi che le caratterizzano, che ad esse danno un significato intellegibile.

Una letteratura che prescinda da tutto ciò è destinata all'obsolescenza, anche se il persistere delle contraddizioni antagonistiche farà sì che i poteri dominanti tendano pervicacemente a emarginare o censurare tutte quelle espressioni letterarie che più meriterebbero d'essere valorizzate.

CUI PRODEST? HA ANCORA SENSO UNA STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA?

La letteratura italiana è nata nel Duecento ed è morta nel Novecento. E' nata come fenomeno intellettuale della borghesia, che in quel momento era in ascesa, ed è morta come fenomeno intellettuale della stessa borghesia, entrata in un declino irreversibile.

La borghesia ha svolto una funzione progressiva contro il clero e la nobiltà, ma ha distrutto la classe contadina e artigianale, trasformando tutti in operai salariati, ivi inclusi gli intellettuali.

Tutta la letteratura borghese è rimasta ottimistica finché le contraddizioni sociali non sono esplose, dopodiché è diventata decadente, in quanto la borghesia non solo è incapace di risolvere i propri problemi, ma non ha neppure alcun interesse a farlo.

La domanda che oggi dobbiamo porci è la seguente: che tipo di letteratura possiamo fare senza ricalcare gli stili di vita borghese? Le classi marginali non sembrano essere in grado di fare una letteratura di pari livello, perché non ne hanno le capacità; forse non sono in grado di fare alcun tipo di letteratura, almeno non secondo i canoni tradizionali, e se anche riescono a fare qualcosa di significativo, sul piano letterario, non hanno poi i mezzi per divulgarla. Se un intellettuale fa letteratura "per" le classi marginali, la fa da "borghese", per cui la sua produzione è viziata in partenza. Se, di tanto in tanto, emerge qualche scrittore pregevole dalle classi subalterne, è assai raro ch'egli non voglia diventare un intellettuale borghese.

E' proprio la separazione di teoria e prassi, di lavoro intellettuale e manuale che rende l'odierna letteratura una cosa del tutto inutile per i ceti marginali. Ecco perché diciamo che la letteratura italiana (e forse europea o addirittura occidentale), davanti agli orrori del Novecento prodotti dalla borghesia, è morta, in quanto non ha saputo creare alcuna valida alternativa.

La borghesia ha soltanto avuto un momento di contrizione, di pentimento, s'è leccata le ferite e poi ha ricominciato a comportarsi come prima, differenziando la propria attività solo negli aspetti formali, oggi dominati dal globalismo e dall'infotelematica.

Una qualunque letteratura borghese oggi è falsa per definizione. E di fronte a un qualunque tipo di letteratura, la prima da cosa da chiedersi è: a chi giova?

Noi dovremmo ripensare completamente il concetto di "letteratura", poiché quello che abbiamo non serve a farci uscire dalla crisi, e star lì a pensare di dover scrivere qualcosa che in definitiva è solo fine a se stesso, è un lusso che non possiamo permetterci. La situazione è diventata troppo grave.

La letteratura non può più essere un semplice romanzo: "semplice" non perché il romanzo non possa essere qualcosa di molto complesso, ma perché la vita non può più essere "romanzata". La vita sta diventando troppo dura da vivere.

Noi dobbiamo scrivere qualcosa che serva per uscire da questo tormento. E siccome da questo tormento non si può uscire da soli, ci vorrebbe, prima di scrivere qualunque cosa, una sorta di esperienza comune, di cui la letteratura possa diventare il riflesso.

Questa cosa andrebbe fatta subito, perché non è possibile aspettare un'ennesima tragedia nazionale o europea prima di veder emergere una nuova buona letteratura. Dobbiamo uscire da quel maledetto circolo vizioso dei corsi e ricorsi.

Il testo - L'interpretazione del testo narrativo - Scrittori e Scritture - Il racconto poliziesco - L'autobiografia


Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019