Premessa ai Saggi danteschi

LETTURA DI DANTE

PREMESSA

L'idea religiosa del riscatto ultraterreno, se ci pensiamo, è ridicola. Per come la presente la chiesa romana, sembra una sorta di vendetta personale: "sulla terra ho sofferto io, ora soffrirai tu le pene dell'inferno o quanto meno del purgatorio".

In tal senso la Divina Commedia ha un che di puerile. Non si può mai essere contenti quando si vedono gli altri soffrire. E infatti lo stesso Dante ha molte volte dei ripensamenti, degli atteggiamenti morali in contrasto con la sua teologia.

Uno può aver sofferto mille ingiustizie in vita, ma questo non lo autorizza a desiderare una vendetta ultraterrena solo perché in questo mondo non è riuscito a liberarsi della propria sofferenza. Ci si deve liberare delle sofferenze, dei soprusi, per volere una giustizia uguale per tutti, in cui tutti, hic et nunc, possano vivere liberi, in pace con se stessi, in maniera autonoma, senza essere schiavizzati da nessuno. Non ha alcun senso etico far diventare poveri i ricchi o usare la legge del contrappasso, che è poi quella del taglione.

Gli sfruttatori d'ogni risma devono capire che tutti hanno diritto alla dignità umana, e se non lo capiscano con le parole, lo capiranno con la forza, anzitutto con quella dell'esempio ma anche con quella della resistenza armata, che è in fondo una legittima difesa alla violenza del più forte.

L'importante è capire che non ha senso far subire agli sfruttatori quel che loro facevano subire agli sfruttati. Questa non è giustizia, ma vendetta. La giustizia deve essere uguale per tutti. Anzi, la legge deve essere più tollerante con chi delinque perché ha avuto meno opportunità, con chi è partito svantaggiato, con chi era in uno stato di bisogno maggiore. Solo in una condizione di grande equità, di democrazia compiuta, si potrebbe dire che di fronte alla legge si è tutti uguali, ma in un caso del genere, la legge non esisterebbe neppure.

La vendetta è un sentimento che provano le persone che credono solo in se stessi, quindi persone isolate, individualistiche, che in fondo si sentono frustrate, impotenti, quelle che non si rendono conto che in tale maniera si fanno nascere nuovi risentimenti, odi secolari, faide interminabili.

In qualunque situazione uno deve cercare di essere se stesso, cioè umano. Questo non vuol dire ovviamente che si deve sempre essere capaci di perdonare il torto altrui. Si può perdonare a condizione che chi l'ha subìto, smetta di subirlo. Essere "umani" non può voler dire essere "buonisti ad oltranza", rassegnati al male, irrimediabilmente ingenui. La propria umanità va tutelata contro chiunque tenti di offenderla, usando mezzi che non ne contraddicano l'essenza.

Mai si possono avere reazioni sproporzionate al torto subìto, perché così si finisce col mettersi in una posizione peggiore. E in ogni caso sarebbe molto importante che chi ha subìto un grave torto, venisse messo in grado di coinvolgere altre persone che, come lui, hanno subìto un torto analogo, in modo che possano sentirsi importanti, utili alla collettività, insegnando p.es. a capire le condizioni in cui quei torti possono non ripetersi o essere affrontati efficacemente anche sul piano etico-sociale.

Le risorse umane sono infinite. Chi ha sbagliato può ravvedersi (per nessuna colpa può essere dato un inferno eterno, ovvero l'ergastolo o la pena di morte) e chi ha subìto un torto altrui può evitare d'incupirsi, di disperarsi, di rassegnarsi a un'esistenza ingiusta, dove solo i più forti o più astuti hanno la meglio.

La pena deve essere rieducativa, non solo per chi ha compiuto un reato o un crimine, ma anche per chi l'ha subìto, Tutti devono essere educati a capire, proprio perché si vive insieme, che le responsabilità sono sempre collettive, benché nell'intensità, nel grado, possano essere personali. Anche chi pensa di non aver fatto nulla per meritarsi un determinato torto, è pure lui responsabile di qualcosa, foss'anche in minima parte. Anche l'indifferenza verso i torti altrui, è parte in causa quando si finisce col subire personalmente quegli stessi torti (o torti che in qualche modo sono correlati).

Una volta l'indifferenza veniva chiamata "peccato d'omissione", ed era giusto, proprio perché nessuno ha il diritto di dire: "Io non ho fatto nulla". Proprio il fatto di non aver fatto nulla, ci condanna. Inutile dire, da questo punto di vista, che la legge è del tutto impotente. Un qualunque intervento rieducativo deve riguardare la morale personale, l'etica sociale e la psico-pedagogia. Solo che quando si vuole imporre - come ai tempi di Dante - una determinata ideologia sull'intera collettività, tutto diventa incredibilmente più difficile.

Fonti

SitiWeb


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 10-02-2019