LA FAVOLA

LA FAVOLA

G. De Chirico, Il nuotatore misterioso, part. (Collez. privata)

Fabia Zanasi

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Si fa risalire il termine favola alla voce latina fabula, la quale, a sua volta, appartiene ad una famiglia di parole riconducibili al verbo fari, che significa pronunziare, profetare e, più genericamente, parlare. Fabula, nel mondo antico, riveste dunque un carattere di comunicazione orale, in un'accezione piuttosto ampia: dialogo, conversazione, racconto, leggenda, piccola storia e persino fandonia.

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L'oralità, contrassegno originario della parola, è peraltro ribadita dagli autori romani: Orazio denomina infatti i racconti popolari aniles fabellae, ossia favole delle vecchierelle, e Quintiliano fa riferimento alle fabulae nutricularum, ovvero storie delle balie.

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Prodotto dell'immaginario collettivo, partecipe di un fondo comune di conoscenze immediate, risalente probabilmente a un modello orientale, la favola si codifica in testi redatti sia in prosa sia in versi con finalità a carattere morale-didascalico, pertanto la sua trama non si esaurisce nella vicenda narrativa, ma vuole piuttosto evidenziare un messaggio di ordine etico, giacché assai spesso gli scrittori se ne valsero in rapporto a un contesto politico-sociale corrotto, da biasimare.

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Tale messaggio, che viene contraddistinto con l’espressione morale della favola, recupera valori basilari dell’esistenza dell'uomo, norme comportamentali talmente scontate, da apparire quasi ovvie, e regole di convivenza fondamentali per l’ordine sociale. Il contenuto, apparentemente banale e risaputo, è invece proposto mediante agenti inusitati: animali parlanti, che impersonano atteggiamenti, difetti e colpe degli uomini.

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La finalità didattica di tale tematica narrativa era sperimentata nelle scuole fin dall'antichità. Infatti Quintiliano ci informa che gli studenti dovevano addestrarsi a riproporre in prosa i versi delle favole e, in un secondo momento, a sostituire i vocaboli con una terminologia da loro scelta.

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L'espediente dell'animale parlante, emblema dei principali caratteri umani, ha una tradizione spettacolare collaudata nel mondo greco. Infatti nel V sec. a. C. gli attori delle commedie di Aristofane si presentavano sulla scena travestiti da vespe, per satireggiare le abitudini dei vecchi giudici ateniesi, oppure da uccelli o da rane, a seconda dei copioni, che recavano nel titolo esplicitamente i nomi degli animali simbolici.

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Contorni storicamente indefiniti ha Esopo, cui la tradizione greca attribuisce l'invenzione della favola esopica. Forse visse al tempo di Solone, a metà del VI sec. a. C., e la sua presupposta provenienza frigia avvalorerebbe l'ipotesi dell'origine orientale connessa alla produzione testuale da lui codificata.

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Una leggenda popolare racconta che lo scrittore ricevette la facoltà d'inventare favole dal dio Hermes e questo dato significativamente conferma quelle finalità pratiche, legate anche all'arte dell’eloquenza, che lo stesso Aristotele attribuisce alle favole, reputandole mezzi di dimostrazione oratoria.

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La tematica narrativa, attribuita a Esopo, si vale di due precipue modalità testuali: la sinteticità e l'epilogo a carattere moralistico, riconducibile a un principio di verità incontrovertibile. Fantasia e ragione sono tra loro conciliabili e paritarie, in quanto messe in rapporto per testimoniare un contenuto certo. Il narratore, onnisciente, è portavoce di una saggezza, che potremmo definire incentrata sul buon senso comune.

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La tipologia espositiva è essenziale e semplice, rappresentata da un'unica azione, vivacizzata da un dialogo che, mediante un numero limitato di battute, illustra il comportamento dei protagonisti, per ricavarne la morale espressa a guisa di consiglio o constatazione.

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Alla originale forma esopica si ispirò anche la favola latina, che reperì il suo più famoso autore, Fedro, nella prima metà del I sec. d. C.

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Nella tarda antichità furono redatte raccolte di favole greche e latine che continuarono ad essere divulgate anche presso un pubblico cristiano. Infatti persino in età medievale i commentatori delle Sacre Scritture, rivolgendosi alle folle dei credenti, erano soliti sollecitarne l'attenzione mediante l'illustrazione di massime etiche desunte dal repertorio favolistico.

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Tale ricorso alla morale esemplata dalle favole è d'altronde comprovato dalle immagini che ancora si possono ammirare nella porta della Pescheria (1130 c.) del Duomo di Modena o nella Fontana Maggiore di Perugia (1277-78), nelle raffigurazioni scolpite da Nicola Pisano, che rappresentano il lupo e la gru e il lupo e l'agnello.

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Reputata eccellente mezzo didattico, la favola conobbe grande fortuna anche in Francia, come attesta nel XII sec. il Roman de Renard, che ha come protagonisti Renoardus, la volpe, e Ysengrinus, il lupo.

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Attraverso una tradizione pressoché ininterrotta, propagata persino da insigni umanisti come Lorenzo Valla e da grandi maestri dell'arte figurativa quale Leonardo da Vinci, assurta a vasto successo di pubblico nella seconda metà del XVII sec. grazie a Jean de La Fontaine, la favola conosce il proprio momento d'auge in Europa durante il '700, per giungere fino al XX sec., rivisitata secondo finalità psicologiche o poetiche, come testimonia la produzione di Massimo Bontempelli o di Vincenzo Cardarelli, che nelle sue Favole della Genesi, pubblicate nel 1924, in realtà rielabora racconti biblici alla ricerca di miti originari appartenuti all'inconscio collettivo.

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Brevità e vivacità sono le caratteristiche della favola di ESOPO, Il leone invecchiato e la volpe. Il testo rappresenta una situazione che colpisce in maniera visiva l'immaginazione del lettore; si tratta quasi di uno spettacolo, che ha come teatro una caverna e per attori due animali. La simbologia è elementare, ma proprio per questo l'insegnamento morale viene memorizzato più facilmente.

Il sito di Jean La Fontaine

Il leone invecchiato e la volpe

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 25-04-2015