L'UOMO E L'UNIVERSO

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


L'UOMO E L'UNIVERSO

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Oggi sappiamo d'essere nell'universo un pianeta tra tanti, eppure avvertiamo questo con una coscienza internazionale, come mai prima d'ora era successo: sono tutti gli uomini della terra che si sentono "piccoli" nell'universo, e questa consapevolezza mondiale ci fa sentire "grandi", ci fa sentire "stretto" l'universo, nonostante la sua immensità. Il destino degli uomini della terra sembra essere diventato unico, per cui non possiamo non chiederci che fine abbiano fatto le generazioni precedenti. Abbiamo sempre più consapevolezza che nell'universo nulla può andare perduto. Quanto più ci accorgiamo d'essere parte di un tutto (che ci sovrasta), tanto più desideriamo restare uniti e compatti. Quanto più ci scopriamo essere in periferia (e non più al centro), tanto più abbiamo bisogno di pensare che non siamo soli. Quanto più pensiamo d'essere il prodotto finale della natura e dello stesso universo, tanto meno riusciamo a rassegnarci all'idea di non poter confrontarci direttamente con le generazioni che ci hanno preceduto.

Note tecniche

La terra è il terzo pianeta per distanza dal sole: 8 minuti di anni-luce (150 milioni di km). I primi esseri viventi apparvero circa due miliardi e mezzo di anni fa (l'essere umano circa due milioni di anni fa). Il sole è una stella nana gialla. Attorno al sole la Terra viaggia a 30 km al secondo: un giro totale è di 365 giorni circa. Il sistema solare è parte della Galassia della Via Lattea (più di 100 miliardi di stelle). Vi sono 30 mila anni-luce dal nucleo centrale della Galassia, attorno al quale il sistema solare ha già compiuto una ventina di giri o rivoluzioni (uno ogni 200/220 milioni di anni, alla velocità di 300 km al sec.). In questo momento ci troviamo nel Braccio di Orione. La nostra Galassia è una fra tante (nel nostro gruppo locale dominano Andromeda e il Sole, estesi per un raggio di circa 3 milioni di anni-luce). L'Universo racchiude almeno 100 miliardi di galassie che si stanno allontanando da circa 18 miliardi di anni: lo dicono le stelle più vecchie e la velocità delle galassie, che è maggiore quanto più sono lontane. Il Big Bang sarebbe esploso a 500 miliardi di gradi.

VITA E MORTE NELL'UNIVERSO

Se diamo per scontato che ogni cosa che ha avuto un'origine è destinata ad avere anche una fine, dobbiamo dedurre che la morte è parte costitutiva della vita dell'universo.

In che modo però si può trarre la conclusione che, siccome anche l'universo ha avuto un'origine, anch'esso è destinato a finire? E' davvero possibile credere che la morte, pur essendo una legge dell'universo, lo sia al punto da minacciare la sopravvivenza dell'universo stesso?

Oppure dovremmo essere portati ad affermare il contrario, e cioè che l'attuale configurazione dell'universo è strettamente correlata alla conformazione della terra, per cui il destino dell'universo è analogo a quello della terra?

E' cioè possibile ipotizzare l'idea che, essendo la terra un prodotto "finale" dell'universo, la sua evoluzione è interdipendente, strettamente interconnessa, con quella dell'universo e che pertanto la morte dell'attuale conformazione del nostro pianeta coinciderà con la morte dell'attuale configurazione dell'universo?

In una parola: la morte inevitabile che attende l'intero universo comporterà la fine di ogni cosa o soltanto la sua trasformazione?

Se si ponessero l'essere e il nulla sullo stesso piano, non si avrebbe alcun vero inizio, a meno che non si volesse considerare il nulla come parte dell'essere: ma allora i due principi non sarebbero equivalenti.

Che il nulla sia parte dell'essere è una legge dell'universo; non c'è "essere puro" che non conosca la legge della trasformazione della materia. Cionondimeno bisogna affermare che l'essere ha una priorità ontologica sul nulla, nel senso che non c'è "nulla" in grado di distruggere l'essere. L'essere ha un primato che impedisce alla morte di essere la fine della vita.

Se essere e nulla coincidessero o si equivalessero, non si spiegherebbe l'origine dell'universo, poiché non vi sarebbe una ragione sufficiente (necessaria, non la "migliore possibile", come diceva Leibniz) che ne spieghi la nascita. Se invece il nulla è parte dell'essere, lo è solo nel senso che la morte è finalizzata alla conservazione o comunque alla trasformazione dell'essere.

Ma se la morte ha questo scopo, essa non può avere la caratteristica della permanenza eterna (invarianza). La morte va considerata come un processo transitorio, un fenomeno temporale, interno a una dimensione, i cui confini, per il momento, ci sfuggono (ancora infatti non conosciamo il momento esatto in cui l'attuale configurazione dell'universo è nata, né possiamo prevederne la fine).

Praticamente l'attuale esistenza in vita del pianeta terra rende irrilevante la morte dei singoli individui che fino ad oggi l'hanno abitato. Finché sussiste la condizione formale, estrinseca, che permette all'uomo di riprodursi o comunque di evolvere, la morte del singolo non ha un valore assoluto, nemmeno per chi l'ha vissuta, poiché fino a quando la terra sarà in vita, il significato della morte del singolo non potrà essere disgiunto dal significato del nostro pianeta o comunque dell'intero genere umano. La morte dei singoli non intacca l'evoluzione del genere umano.

Una morte potrebbe essere considerata assoluta, da tutti i punti di vista, se si distruggessero definitivamente le condizioni formali della sopravvivenza, cioè della riproduzione. L'uomo è in grado di fare questo nell'ambito della terra? Le leggi dell'universo glielo permetterebbero? E' forse possibile dimostrare la propria indipendenza da tali leggi, autodistruggendosi? Non è forse questa una contraddizione in termini?

In ogni caso, finché le condizioni della sopravvivenza restano inalterate, la morte di ogni singolo essere umano non può essere considerata che come una prefigurazione della futura morte e del pianeta terra e dell'universo attuale. La differenza sostanziale sta nel fatto che la morte del singolo essere umano non può mai avere quel carattere di assolutezza che può avere la morte del nostro pianeta e dell'attuale universo.

Finché moriranno solo i singoli noi saremo costretti a pensare che il significato della loro vita (e quindi della loro morte) rientra nel più generale significato dell'universo e del suo prodotto finale: la terra. Nel senso che la morte del singolo essere umano rientra nel destino complessivo, globale della terra e, di conseguenza, in quello dell'attuale universo.

L'universo pare abbia un progetto sulla terra, quello di portarla a distruzione (il che implica una trasformazione e non un annullamento). La realizzazione di questo progetto comporta però una retroazione sulla stessa attuale configurazione dell'universo, nel senso che anche l'universo subirà una corrispondente trasformazione.

La morte del nostro pianeta rientra dunque in un progetto che è sostanzialmente di vita. La morte, in senso stretto, non è che un passaggio, una transizione da una forma di vita a un'altra, in cui nulla del passato viene perduto. L'identità infatti sta nella memoria, oltre che nel desiderio.

Questo significa che all'origine dell'universo c'è l'essere, cioè la vita, non la morte. La morte è un processo della vita, che aiuta la vita a perfezionarsi. La morte è una sorta di trasformazione della materia che rende la materia più complessa, più perfetta.

Oggi riusciamo ad avere coscienza di una grande complessità delle cose. Ciò sta a significare che l'esperienza della morte dei singoli individui non c'impedisce di comprendere sempre meglio la complessità o comunque la vera essenza delle cose.

Praticamente il genere umano non muore mai come genere. Progredisce all'infinito, in forme e modi che per il momento non possiamo sapere. Il genere umano potrebbe progredire così tanto, potrebbe maturare una coscienza così grande da avvertire come troppo stretti, troppo angusti, i confini dell'attuale universo.

E' probabile, sotto questo aspetto, che lo scopo dell'universo sia quello di far prendere coscienza all'uomo della propria infinità. C'è dunque nell'universo un finalismo che solo dal punto di vista dell'uomo possiamo comprendere. Microcosmo e macrocosmo si equivalgono.

Non dobbiamo quindi dimenticarci che quanto più ci avviciniamo alla comprensione di tale finalismo, tanto più avvertiamo l'universo come troppo piccolo per la nostra coscienza. Esiste quindi una responsabilità cui non possiamo sottrarci: l'umanità ha il compito di evolvere verso l'autocoscienza. Qui forse sta il senso della irreversibilità del tempo.

* * *

Gli scienziati dicono che le comete sono gli spermatozoi dell'Universo... La terra allora che cos'è: un ovulo fecondato? E gli esseri umani? Il feto dentro il ventre dell'Universo? E a chi appartengono questi spermatozoi? Avevano forse ragione gli antichi quando parlavano di "logos spermatikos"? Il "Big Bang" è forse un altro modo di dire che all'inizio di tutto c'è stato un rapporto di sesso e amore? Dobbiamo uscire dal ventre dell'universo per sapere chi è questo "logos spermatikos" o possiamo saperlo sin da adesso? Nel ventre dell'Universo ci resteremo fino a quando non lo sentiremo troppo stretto? Cosa significa che "Tutta la creazione soffre le doglie del parto"? L'universo è in fase di espansione perché il feto umano sta crescendo? E sarà in fase di contrazione quando il feto umano starà per nascere? Ma è possibile che l'Universo sia così strettamente legato al feto umano? Il nostro destino è il destino dell'Universo?

UNIVERSO MATERICO ED ENERGETICO

I

Il big bang non ha solo dato inizio all'universo, ma lo ha anche reso eterno, poiché sarebbe assolutamente privo di senso uno spreco così enorme di energia per uno scopo limitato quale può essere il fatto che ogni cosa ha un inizio e una fine. Per cui è difficile credere alla teoria della contrazione che porterà al collasso.

Che senso ha che esista un altro universo ancora, quando di questo non sappiamo al momento quasi nulla? Per quale motivo dobbiamo supporre l'esistenza di un universo più consono a quella sostanza che i credenti chiamano "anima"? Una delle più grandi religioni del mondo: l'ebraismo, non ha mai ritenuto che gli aspetti spirituali dell'essere umano possano essere separati da quelli materiali. Sono stati i cristiani, influenzati da correnti gnostiche, a parlare di un aldilà esclusivamente per l'anima, salvo poi rettificare questa assurdità introducendo il concetto di resurrezione dei corpi alla fine dei tempi.

Noi siamo destinati a vivere in eterno in questo universo, ci piaccia o no: è la nostra dimensione, materiale e spirituale. Il che non significa che la terra non debba avere una fine materiale (secondo le leggi dell'evoluzione) o che non debba averla il nostro sistema solare.

Semplicemente andrebbe detto che una fine comporta sempre un nuovo inizio, come da tempo sostiene la dialettica hegeliana, che anche tutto il socialismo scientifico ha accettato.

L'universo è la dimostrazione che esiste una trasformazione eterna della materia, coincidente con l'energia, la cui sintesi più autoconsapevole è l'essere umano. Noi siamo fatti dentro e fuori di materia ed energia: l'unica cosa che non sappiamo fare è trasformare la materia in energia senza dissipazione e ritrasformare l'energia in materia ottenendo qualcosa di identico a quello che si aveva al punto di partenza. Ogni trasformazione ha un prezzo da pagare in termini non solo di inquinamento ma anche di indebolimento della forza iniziale.

Probabilmente è proprio un limite della terra il fatto che ogni impiego di energia implica un impoverimento delle stesse fonti energetiche, una diminuzione progressiva di potenza che si accompagna a un accumulo di scorie difficilmente smaltibili. E noi non sappiamo se questo limite appartenga all'intero universo, in ogni sua parte (stando ai cosiddetti "buchi neri" parrebbe di sì). Se così fosse, il genere umano, che pur potrebbe vivere nell'universo miliardi e miliardi di anni, ad un certo punto dovrebbe scomparire del tutto, in maniera irreversibile, riportando le cose a prima dello scoppio primordiale, quando ancora non esisteva alcun universo.

Tuttavia è difficile sostenere che da una eiaculazione cosmica (logos spermatikos), che è andata a fecondare un pianeta-ovulo, si sia generato un processo destinato prima o poi a concludersi senza soluzione di continuità. Noi non riusciamo neppure ad accettare l'idea di dover dimenticare i sentimenti provati per una persona cara improvvisamente scomparsa dalla nostra vita.

In ogni caso ormai dovrebbe essere assodato che il vero uso non dissipatore dell'energia è soltanto quello naturale, cioè quello che di artificiale non ha nulla, com'era nell'epoca primitiva. Il fatto è però che l'uomo avverte dentro di sé d'essere superiore all'ambiente naturale, per cui non riesce ad adattarsi a vivere "secondo natura". Tale contraddizione si poteva risolvere se invece di sviluppare la scienza (per poterci sentire superiori alla natura), avessimo sviluppato la sola coscienza. Ma la nostra cultura occidentale è lontanissima da questa ipotesi di lavoro (che è su noi stessi e non al di fuori di noi).

II

Le migliori menti ecologiste chiedono di essere il più possibile naturali usando delle tecnologie in grado di riciclare il mondo. Ma quanto più usiamo le tecnologie tanto meno siamo naturali.

Tutte le tecnologie che usiamo oggi per l'eolico, il solare ecc. tra 50 anni saranno del tutto obsolete e probabilmente non sapremo neppure come riciclarle. Come non sappiamo oggi riciclare i lettori VHS o le vecchie macchine fotografiche o i pc col windows 95-98.

Il rapporto biunivoco di materia/energia sembra non possa essere affatto risolto da alcun tipo di scienza. L'unica cosa che non degrada in maniera irreparabile, anche se col tempo può degenerare a causa di determinate esperienze negative, è la coscienza. La coscienza è l'unica cosa che può ritrovare se stessa in maniera integra dopo essersi perduta.

Quindi probabilmente è solo attraverso la coscienza che possiamo gestire in maniera equilibrata o se vogliamo naturale il rapporto materia/energia. Questa cosa la percepiva di più e meglio l'uomo primitivo, il cui contatto con la natura era essenziale alla propria sopravvivenza quotidiana. Noi andiamo a cercare un rapporto con la natura soltanto quando siamo stressati.

I teologi bizantini erano arrivati a capire questa cosa dal loro punto di vista religioso (inevitabilmente limitato per una posizione ateistica) verso il XIV secolo, con l'ultima sintesi da loro approvata, quella palamitica, là dove si faceva differenza tra "essenza" ed "energia". Per loro la coscienza partecipa dell'energia dell'essenza, la quale ultima resta inattingibile, inafferrabile.

Cioè avevano capito che dietro l'energia, il cui prodotto materico più significativo resta l'uomo (autoconsapevolezza dell'universo), si cela qualcosa che le assicura la perennità, l'indistruttibilità e quindi l'assoluta alterità rispetto a qualunque rappresentazione che l'uomo se ne possa fare. Essendo un prodotto derivato, l'uomo non può partecipare al 100% a questa essenza ma può farlo nei confronti dell'energia. E l'esperienza più significativa per loro stava nella trasfigurazione, cioè nella luce che esce dal corpo, che trasforma lo sguardo.

Che cosa volessero dire possiamo intuirlo guardando due innamorati che si amano, poiché se leggiamo il racconto della trasfigurazione taboritica dei vangeli, appare evidente che si tratta di un semplice artificio letterario, senza alcuna attinenza alla realtà. Tuttavia se riteniamo la Sindone un reperto autentico, dobbiamo ricrederci, perché lì indubbiamente s'è verificata un'esplosione di luce, un qualcosa di bio-radiante, che nella loro ignoranza gli apostoli definirono col termine di "resurrezione".

Percorso Terra


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018