RENE' DESCARTES - Cartesio

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RENE' DESCARTES (CARTESIO) (1596-1650)

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Cartesio, di Jan Baptist Weenix, 1647, Utrecht, Centraal Museum

ITER BIOGRAFICO E INTELLETTUALE

La formazione giovanile e la prima fase di ricerca

Descartes ha delineato le tappe della sua formazione intellettuale nel Discours de la méthode (1637), lungo un periodo di circa vent'anni, attraverso il quale è divenuto "cartesiano". Una visione retrospettiva non esente certo dal condizionamento della riflessione matura in un tempo in cui, in possesso di risultati ormai raggiunti, si cerca di definire una linea giustificativa di sviluppo e di approdo.

Dal confronto tra l'excursus autobiografico del Discours de la méthode (1637) e le altre fonti documentarie, risulta che l'attendibilità storica del primo soffre più di omissione e reticenza, che di ricostruzione ideale.

Le tappe rilevabili dalla ricostruzione autobiografica possono ridursi alle seguenti:

1) formazione al collegio di La Fléche;

2) periodo dei viaggi;

3) soggiorno definitivo in Olanda.

René Descartes (Cartesius) nasce a La Haye in Turenna da un consigliere al parlamento di Bretagna.

1) Formazione al collegio dei gesuiti di La Fleche(1606/7-1614/15).

Secondo la testimonianza di Descartes i suoi studi al collegio dei gesuiti si svolsero nell'arco di "quasi" nove anni, e nove anni in effetti duravano complessivamente i corsi: sei di umanità (grammatica e retorica) e tre di filosofia.

Il collegio di La Fléche era "una delle più celebri scuole d'Europa", come dice Cartesio stesso.

I corsi di filosofia (che comprendevano anche l'insegnamento della matematica e della fisica) seguivano in linea di massima Aristotele nella interpretazione tomistica. Cartesio non studiò mai la scolastica sui testi dei grandi autori, ma sempre sui manuali e i commenti.

Descartes include nel resoconto critico della sua formazione giovanile anche gli studi di diritto all'Università di Poitiers.

La rievocazione cartesiana ha un'impostazione critica e si svolge in due tempi, secondo lo schema premesso al brano autobiografico.

Prima passando in rassegna le singole discipline, D. ne rileva gli aspetti positivi che potevano giustificare il desiderio di apprenderle e l'interesse di applicarvisi. Poi riesaminandole nello stesso ordine, adduce le ragioni per cui il loro studio ingenerò invece insoddisfazione e delusione.

Le considerazioni critiche sono di ordine generale ed alludono ad un tipo di impostazione didattica che mira più a procurare una cultura nozionale (eruditio) che a formare un atteggiamento critico e soprattutto a promuovere l'iniziativa personale nella ricerca.

Queste sono le istanze che che C. sottolinea anche nel suo diario:

+ non solo sapere, ma trovare (invenire);

+ l'invenzione si oppone a erudizione;

+ esercitandosi a trovare da sé ci si accorge che certe regole dirigono lo spirito,, per cui la ricerca non introduce affatto casualità nella vita del pensiero.

Dalla formazione collegiale D. deriva soprattutto una buona formazione matematica, che deve presumersi anteriore alle iniziali ricerche fisico-matematiche nel primo soggiorno in Olanda (1618-19).

1616 Consegue i titoli accademici in diritto canonico e diritto civile all'Università di Poitiers.

2) Periodo dei viaggi (1618-28)

+ primo soggiorno in Olanda (1618-19): si arruola nell'esercito di Maurizio di Nassau nella guerra contro la Spagna e stringe amicizia con l'olandese Isaac Beeckman che avrà un ruolo di grande rilievo sia nella formazione del pensiero scientifico di D. sia più in generale nello sviluppo della ricerca nella prima metà del XVII sec..

Da questa amicizia nacque una intensa collaborazione nella discussione e nella ricerca, che per la sua impostazione si può ricondurre ad un orientamento di massima, ossia il ricorso alla matematica, che ha caratterizzato queste ricerche come "fisico-matematiche". D. volgerà di preferenza la sua attenzione alla matematica e alla sua utilizzazione, sia nella soluzione dei problemi fisici che in generale nell'esame delle questioni metodologiche ed epistemologiche.

Inverno 1619-20

Nell'excursus autobiografico Descartes ci riporta all'inverno 1619-20, che segnerebbe secondo la sua ricostruzione un momento decisivo nello sviluppo della ricerca e della riflessione filosofica.

E' a questo periodo che C. fa risalire la decisione di mettere in atto la revisione critica radicale delle sue opinioni. Tuttavia, prima volle dedicarsi "a fare il progetto dell'opera che intraprendeva e a cercare il vero metodo per pervenire alla conoscenza di tutte le cose di cui sarebbe stata capace la sua mente". Questo progetto doveva superare i limiti della matematica e della meccanica, di cui si era fin allora maggiormente, se non esclusivamente, interessato, per estendersi all'intero campo della filosofia.

All'inverno 1619-20 nell'excursus autobiografico si riporta anche la formulazione delle massime della morale provvisoria, formulazione che sembra modellarsi quanto alla ricostruzione storica cartesiana su quella dei precetti del metodo.

Dal 1620 al 1628 Cartesio dimorò quasi sempre in Francia, spesso a Parigi, salvo il viaggio in Italia del 1623-24. In questi anni conobbe il P. Marino Mersenne, che diventerà suo amico fidatissimo e suo intermediario con i dotti francesi quando Cartesio si sarà ritirato in Olanda. Sotto le sue sollecitazioni, Cartesio, in questo periodo parigino si dedicò particolarmente all'ottica, ambito di ricerca al centro di interesse nei circoli culturali dell'epoca.

Nell'inverno 1627-8, ritiratosi in Bretagna, attese alla stesura delle Regulae ad directionem ingenii, che furono pubblicate postume nel 1701 e che rappresentano lo scritto più notevole tra quelli anteriori alla prima pubblicazione di D. con il Discours de la méthode e i tre Essais nel 1637.

Questo trattato si compone di 21 enunciati o regole, di cui solo le prime 18 sono commentate. Queste ultime vertono senz'altro e in prevalenza su argomenti metodologici, ma non esclusivamente: non sono di minor conto le numerose considerazioni che attengono più direttamente alla gnoseologia e alla epistemologia e certe impostazioni tematiche che implicano un orientamento filosofico più in generale.

3) Soggiorno definitivo in Olanda (marzo 1629).

Nel periodo che va dal 1630 al 1633 C. si dedicherà alla stesura della prima esposizione sistematica di filosofia naturalistica su basi meccanicistiche, dal titolo Il mondo o Trattato della luce e L'Uomo. La parte sull'uomo doveva entrare nel grande trattato sul mondo: il che vuol dire che C. si proponeva di scrivere un intero sistema del sapere. C. rinuncerà a proseguire e pubblicare quest'opera, nonostante l'attesa in particolare dell'ambiente culturale parigino, in seguito della notizia della condanna romana del 22 giugno 1633 del Dialogo sui due massimi sistemi di Galilei.

Infatti, nel Mondo anche C. sosteneva apertamente la teoria copernicana di un movimento della terra attorno al sole (sia Le Monde che L'Homme saranno pubblicati postumi).

Molto del materiale di quei trattati, tuttavia, con in più altre dottrine scientifiche che C. aveva elaborato in quegli anni, fu pubblicato nei Saggi del 1637: La Diottrica, Le Meteore e La Geometria, preceduti dal Discorso sul metodo per ben guidare la propria ragione e cercare la verità nelle scienze. Più la Diottrica, le Meteore e la Geometria che sono saggi di questo Metodo, che doveva servire come introduzione filosofica-metodologica. Quest'opera, che dona all'autore immediatamente un'enorme fama, suscita anche violente polemiche.

L'opera non reca sul frontespizio il nome dell'autore. Doveva originariamente portare questo titolo: Il progetto di una scienza universale che possa elevare la nostra natura al suo massimo grado di perfezione. Più la Diottrica, le Meteore e la Geometria, dove le materie più curiose che l'autore abbia potuto scegliere, per dar prova della scienza universale che egli propone, sono spiegate in modo tale che anche quelli che non hanno studiato possano intenderle.

Era, come si vede, un manifesto indirizzato non ai dotti, ma a chi si serve soltanto della propria ragione. E appunto per questo la lingua usata era il francese, non il latino.

La parola Discorso nel titolo, come lo stesso D. ebbe a spiegare, aveva lo steso valore di "Prefazione" o "Avviso", in quanto in questo scritto egli non aveva intenzione di insegnare tutto il Metodo, ma solo di parlarne. "Perché, come si può vedere da ciò che ne dico, esso consiste più in una pratica che in una teoria".

Come risulta dal titolo (che, in seguito diverrà il seguente: Discorso sul metodo, per ben guidare la propria ragione e cercare la verità nelle scienze), l'opera è una specie di preparazione a tre "saggi". Infatti C. dice al riguardo: "chiamo i trattati che seguono Saggi di questo metodo, perché credo che le cose che essi contengono non avrebbero potuto essere trovate senza di questo: si può conoscere per mezzo loro ciò che esso vale".

Il Discorso si divide in sei parti:

1) nella prima D. passa in rassegna le scienze e le arti che si insegnano al suo tempo, basate sulla filosofia scolastica. Esse non sono tali da poter assolvere al loro vero compito, quello di "distinguere il vero dal falso";

2) nella seconda parte si elencano le quattro regole fondamentali di un metodo che potrà permettere di superare i dubbi e le incertezze:

a) dubbio metodico
b) analisi
c) sintesi
d) enumerazione e controllo

3) nella terza parte D. affronta i problemi della morale, che egli definisce "provvisoria" perché deve immediatamente servire a dirigere le nostre azioni dall'istante stesso in cui, secondo la prima regola del metodo, porremo tutto in dubbio e andremo all ricerca della verità;

4) nella quarta parte , lo scrittore affronta finalmente la realtà con le leggi del suo metodo. A questo punto si concretizza l'impegno programmatico della ricerca di una prima certezza e delle altre che da essa logicamente conseguono, che possano rendere "vero" l'uomo e la realtà che lo circonda.

a) "Io penso, dunque sono"
b) Dio esiste
c) Il mondo esterno esiste.

La quarta parte del Discorso, dunque, dedicata all metafisica (e che tratta anche dell'immortalità dell'anima), ha un'importanza fondamentale nell'opera e in tutto lo sviluppo della filosofia cartesiana (Cartesio ritornerà ampiamente sulla materia nelle sue successive Meditazioni);

5) nella quinta parte D affronta alcuni problemi di applicazione del proprio metodo a questioni di fisica, in particolare al funzionamento del cuore e alla circolazione del sangue. Tutto il mondo materiale è retto da pure leggi meccaniche, che si svolgono parallelamente a quelle del pensiero, ma che sono completamente indipendenti da esso. Il corpo umano è, in questo senso, per Cartesio, una macchina;

6) nella sesta parte, infine, Cartesio spiega di non aver pubblicato una sua opera precedente (Il Mondo o Trattato sulla luce) per timore di provocare scandalo, mostrandosi favorevole alle teorie copernicane (come Galileo) e di avere esitato, per le medesime ragioni, nel pubblicare il Discorso.

Dopo la pubblicazione del Discorso, che già conteneva nella quarta parte una breve esposizione della metafisica, C. ne scrisse una più ampia esposizione nelle Meditazioni, da lui redatte tra il 1639 e il 1640, ma pubblicate solo nel 1641.

Quest'opera ha due parti ben distinte. La prima comprende il corpo vero e proprio dello scritto cartesiano e si intitola: Meditazioni riguardanti la Filosofia prima in cui si prova chiaramente l'esistenza di Dio e la distinzione reale fra l'anima e il corpo. La seconda parte comprende alcune "obiezioni", espressamente richieste dall'autore, raccolte dall'amico Marsenne e scritte da filosofi illustri e da scienziati dell'epoca, come l'Arnauld, il Gassendi, Hobbes ed altri (con le "risposte" che Cartesio fornisce, quale approfondimento e arricchimento del proprio pensiero filosofico). Essa si intitola: Obiezioni fatte da persone dottissime contro le precedenti meditazioni, con le risposte dell'autore.

Ma, mentre scriveva le Meditazioni e le risposte, C. continuava ad occuparsi di questioni scientifiche, come attestano le lettere, e nel 1644 pubblicò i Principi di filosofia che nella prima parte trattano di filosofia, ma nelle altre parti contengono la sua "fisica" e la sua biologia e fisiologia, ampliata poi nel Trattato delle Passioni, del 1649.

Accusato di ateismo dai teologi protestanti olandesi, viene allontanato dall'Università di Utrecht e condannato all'espulsione dal Consiglio municipale di quella città, che si proponeva anche di far bruciare tutti i suoi scritti. Viene salvato, unitamente alla sua opera, per l'intervento del principe d'Orange e dell'ambasciatore francese. Anche a Leyda, dove si trasferisce, viene duramente e pubblicamente attaccato.

Nel 1649, stanco di queste persecuzioni, decide di accettare l'invito della regina Cristina di Svezia e si reca a Stoccolma, per assumere a corte la carica di insegnante privato di filosofia. Ma nell'inverno del 1650 si ammala di una grave congestione polmonare e muore a soli 54 anni.

Occorre distinguere l'istanza di una morale provvisoria dalla formulazione di determinate norme, quali quelle che vengono presentate nella III parte del Discours.

C. quindi avanza ragionevoli norme di comportamento da proporsi "per non restare irrisoluto nelle azioni durante il tempo in cui la ragione l'avrebbe obbligato a esserlo nei suoi giudizi".

Essa è una "morale par provision" (una morale "di attesa") resa necessaria dalle esigenze della vita pratica, indilazionabili, in attesa dei risultati di una ricerca filosofica alla cui luce queste massime possono risultare fondatamente valide.

1) "La prima massima era di obbedire alle leggi e ai costumi del mio paese, continuando ad aderire saldamente alla religione nella quale Dio mi ha fatto la grazia di essere educato sin dalla mia infanzia, e orientandomi in ogni altra cosa secondo le opinioni più moderate e più lontane dall'eccesso, che fossero seguite in pratica dalle persone più sensibili fra quelle con cui avrei dovuto vivere";

2) La seconda massima prescrive di "essere il più fermo e il più risoluto possibile nelle azioni di seguire le azioni più dubbie, una volta determinatisi per esse, con non minore risolutezza che se fossero certe".

3) La terza massima, che risente chiaramente dell'influenza stoica, così recita: "cercare sempre di vincere me piuttosto che la fortuna e di mutare i miei desideri piuttosto che l'ordine del mondo, e in generale di abituarmi a credere che non vi è nulla che sia interamente in nostro potere oltre ai nostri pensieri, di modo che dopo aver fatto del nostro meglio riguardo alle cose a noi esterne, quanto non riusciamo a fare esorbita del tutto dalle nostre possibilità".

ASPETTO ANALITICO E SISTEMATICO

Il metodo cartesiano

Che cosa si intende con metodo cartesiano?

La tradizione critica ha stilizzato questa espressione modellandola sul criterio dell'"idea chiara e distinta" e sul normale procedimento deduttivo a partire dai primi principi di per sé evidenti in una connessione ininterrotta di ragioni o motivazioni.

D'altra parte non disponiamo di alcun testo in cui Cartesio abbia dato una esposizione sistematica e organica di un metodo che possa definirsi in base a connotazioni complete e inequivocabili come cartesiano.

Quanto poi al Discours de la méthode i quattro precetti sono piuttosto una decantazione di norme metodologiche e lo stesso Cartesio dichiarava apertamente i limiti di questo scritto.

Tuttavia, al di là di queste riserve, le Regulae ad directionem ingenii e la seconda parte del Discorso sono i testi più significativi per tracciare le linee portanti del pensiero metodologico cartesiano.

La prima delle Regulae dice che il fine degli studi deve essere quello di orientare l'intelligenza a pronunciare giudizi solidi e veri. Ma i "veri e solidi giudizi" si ottengono non rivolgendosi alle diverse cose conoscibili, ma rafforzando lo strumento del conoscere, il lume della ragione. La metodologia deve precedere la conoscenza dell'oggetto. Quindi lo spirito (mens) deve rivolgersi innanzitutto verso se stesso: il metodo è la prima condizione per conoscere la verità.

Nelle Regulae ricorrono due definizioni di metodo, l'una impostata sul concetto di regola e norma, l'altra sul concetto di ordine.

1) "per metodo intendo delle regole certe e facili, osservando le quali fedelmente non si supporrà mai come vero ciò che è falso, e senza inutili sforzi da parte della mente, ma con graduale e continuo progresso della scienza si perverrà alla vera conoscenza di tutte le cose di cui si è capaci";

2) "tutto il metodo consiste nell'ordine e nella disposizione di quelle cose cui deve rivolgersi l'attenzione della mente per trovare qualche verità".

Le due definizioni si completano a vicenda: l'ordine prescritto nella seconda esplicita la natura del graduale procedere secondo regole della prima.

Questa insistenza sulla necessità di instaurare un nuovo metodo nasce, come in Bacone e Galileo, dalla constatazione della cattiva riuscita della filosofia. Nella Lettera al traduttore francese dei Principi di filosofia Cartesio chiarisce le ragioni del fallimento della filosofia: la verità di una scienza dipende dal valore dei principi sui quali essa si fonda; ora quelli che si chiamano filosofi si sono sforzati di trovare i veri principi, ma hanno in realtà assunto solo principi non evidenti e "tutte le conclusioni che si deducono da un principio non evidente non possono essere evidenti, ancorché dedotte correttamente".

I presupposti della metodologia cartesiana: l'indagine sulla natura della conoscenza umana parte dai due poli in essa implicati: il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto.

Per quanto riguarda il primo, "solo l'intelletto è capace di scienza"; e per il corrispettivo: le cose conosciute, esse "devono essere considerate solo in quanto vengono attinte dall'intelletto".

Il vero ed unico soggetto della conoscenza umana è quindi la mente nettamente distinta dai sensi. Da questa distinzione reale tra mens e corpus si svilupperà la distinzione reale tra res cogitans e res extensa.

La mente umana è per natura predisposta ad avviare il processo di conoscenza - "ha qualcosa di divino, in cui i primi semi di pensieri utili sono stati immessi in modo tale che spesso, per quanto trascurati e soffocati da applicazioni disordinate, producono messi spontanee".

Questo coincide con le osservazioni iniziali del Discorso sulla uguaglianza naturale del "bon sens ou raison" negli uomini e sulla esigenza del metodo per applicarlo rettamente; "non basta infatti essere dotati di ragioni; la cosa principale è applicarla bene".

Come abbiamo già detto in precedenza, due sono le fonti principali per un apprezzamento del pensiero metodologico cartesiano: le Regulae e l'excursus autobiografico della seconda parte del Discorso.

L'evidenza

Secondo l'excursus i risultati dell'indagine metodologica si riducevano alla formulazione dei seguenti quattro precetti.

1) "Il primo era quello di non accogliere mai alcuna cosa per vera, senza conoscerla con evidenza come tale, vale a dire di evitare accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e di non includere nei miei giudizi se non ciò che si presentasse alla mia mente con tale chiarezza e distinzione, da non avere motivo alcuno di metterlo in dubbio.

2) Il secondo, di dividere ogni problema da esaminare in tante parti possibili per meglio risolverlo.

3) Il terzo, di condurre con ordine i miei pensieri cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per salire poco a poco, come per gradi, fino alla conoscenza dei più complessi e supponendo un ordine anche tra quegli oggetti che non hanno alcun rapporto di dipendenza naturale.

4) E l'ultimo, di fare ovunque enumerazioni così complete e rassegne così generali, da essere sicuro di non aver omesso nulla".

La formulazione di questi precetti deve ritenersi senz'altro posteriore e la loro introduzione storica nel Discours è l'opera del filosofo di quarant'anni, tuttavia essa rispecchia piuttosto in sintesi le indicazioni metodologiche esperite nei primi anni di ricerca e sviluppate negli anni successivi. Cartesio tenterà di raccoglierle organicamente, utilizzando annotazioni ed abbozzi redazionali, nelle incompiute Regulae ad directionem ingenii.

Il primo precetto converge con la II Regola nella limitazione dell'ambito della conoscenza scientifica a quegli oggetti di cui possiamo avere una conoscenza "certa e indubitata". "Ogni scienza è conoscenza certa ed evidente".

Il primo criterio è quindi il criterio dell'evidenza, raggiunta attraverso il dubbio. Lo si potrebbe quindi anche definire come il criterio della resistenza al dubbio.

L'evidenza contrassegna la presenza intenzionale dell'oggetto nell'atto conoscitivo, la certezza, invece la consapevolezza soggettiva di tale presenza.

Sul criterio della resistenza al dubbio si baserà tutta l'impostazione del procedimento deduttivo della I meditazione, sotto la denominazione di dubbio metodico, ossia di procedimento intenzionalmente programmato e disposto ad arte alla ricerca dell'evidenza autentica.

Connotazione fondamentale del conoscere scientifico non è l'apprendimento mnemonico di un ordine di conoscenza già costituito, ma il disimpegno consapevole del proprio potere conoscitivo a conseguire la verità come conquista personale.

Tra le discipline tradizionali considerate scienze, solo due verificano effettivamente la definizione data di scienza come conoscenza certa ed evidente: l'aritmetica e la geometria, perché solo queste scienze hanno a che fare con un oggetto così "puro e semplice" che non possono essere rese incerte dall'esperienza (commento alla II Regola). Quindi esse si pongono come paradigma, dalla cui analisi si può risalire agli elementi costitutivi e alle condizioni della scienza come tale.

Le suddette scienze, inoltre si svolgono con i soli due atti dell'intelletto "per mezzo dei quali possiamo pervenire alla conoscenza delle cose senza timore alcuno di sbagliare": l'intuizione e la deduzione.

La chiarezza e l'evidenza, dice la II Regola, si ha nelle proposizioni che sono oggetto di intuizione o di deduzione. Le attività che ci portano alla conoscenza sicura sono dunque solo due: intuitus e deductio.

L'intuizione è l'atto istantaneo e semplice con cui l'intelletto preso a sé nella sua natura di facoltà conoscitiva distinta dai sensi coglie qualcosa che è di per sé evidente.

In opposizione alla gnoseologia aristotelico-tomistica viene negata la continuità o derivazione della conoscenza intellettiva da quella sensitiva attraverso l'illuminazione dell'intelletto agente e dell'astrazione della forma intellegibile dai fantasmi o rappresentazioni dell'immaginazione.

La deduzione invece è l'atto con cui si conosce con certezza qualcosa, di per sé non immediatamente evidente, a partire da altre conoscenze.

Nella deduzione si intuisce non solo ciascuna delle conoscenze o proposizioni che si succedono nel processo, ma anche il nesso che lega l'una all'altra. Si direbbe che la deduzione è intuizione in movimento. Ciò spiega il duplice orientamento dell'analisi cartesiana: per un verso diretta a caratterizzare e distinguere la deduzione dall'intuizione, per l'altro a rilevare lo stretto rapporto e a suggerire espedienti metodologici atti a ridurre la deduzione all'intuizione. In fondo la differenza tra le due è solo di grado: si tratta sempre di un vedere, ma quando i passaggi sono molti, non si riesce ad averli tutti presenti e bisogna fidarsi della memoria. La deduzione dunque differisce dall'intuizione, perché implica un passaggio (motus) e una successione, mentre nell'intuito l'oggetto è tutto presente. Per C., in sostanza il sapere si riduce al vedere.

Analisi e sintesi

Se veniamo al secondo a terzo precetto del Discorso, vediamo che qui C. ci illustra che cosa egli intenda per analisi e sintesi.

Infatti, se confrontiamo il secondo e terzo precetto del metodo con quello che C. dice nelle Risposte alle Seconde Obiezioni mosse alle sue Meditazioni sull'analisi e sulla sintesi, vediamo che C. chiama sintesi il metodo dei "geometri antichi", cioè quello che parte dal semplice (definizioni, assiomi, postulati) per arrivare al complesso e analisi quello che risale dal complesso al semplice.

Il vero metodo per C., tuttavia, non è quello che parte dall'assioma per arrivare al teorema, che parte dal più semplice per arrivare al complesso (vedi gli Elementi di Euclide e i Secondi Analitici di Aristotele): è invece quello che, nella ricerca della soluzione di un problema complesso, scopre il principio più universale, la verità più semplice che permette di risolvere il problema.

Quando poi il principio maxime simplex è scoperto mediante l'analisi, allora, come dice il terzo precetto del Discorso, si può e si deve cercare quali ne siano tutte le possibili applicazioni.

La sintesi è l'ordine con cui ricostruiamo il processo, dopo che abbiamo scoperto una verità, ma non è l'ordine in cui si scopre effettivamente la verità.

L'analisi invece è quella che mostra la via per la quale la verità è stata effettivamente scoperta.

LA FILOSOFIA NATURALE. IL MECCANICISMO CARTESIANO

La concezione cartesiana della natura è una concezione meccanicistica, definibile essenzialmente nella duplice riduzione della materia ad estensione e dei fenomeni naturali a movimenti locali.

Essa si inquadra in un vasto orientamento di pensiero che si delinea e si sviluppa nella prima metà del XVII sec., nell'ambito di un diffuso atteggiamento critico-negativo nei riguardi della filosofia naturale della scolastica di ispirazione aristotelica. Ma la concezione meccanicistica cartesiana assume una sua fisionomia particolare, partendo non da motivi empirici ma da una rigida impostazione razionalistico-deduttiva e sulla base di tesi metafisiche, riassumibili nella "dottrina della creazione delle verità eterne". Inoltre si estende a tutti gli esseri e fenomeni che nella filosofia scolastica costituivano o caratterizzavano il mondo organico vegetale e animale, omologandoli nell'indistinta categoria di sostanza corporea estesa.

A una prima esposizione sistematica della sua filosofia naturale Cartesio attese tra il 1630 e il 1633 componendo il trattato Il Mondo o trattato della luce, trattato che lasciò incompleto.

D'altra parte anche i primi due Saggi allegati al Discorso trattavano argomenti che rientravano nel campo della filosofia naturale. Pure incompleta rimase l'esposizione più ampia e sistematica che rese pubblica nel 1644 con i Principia philosophiae.

Già nelle Regulae (1627-8) la dottrina della conoscenza è orientata in senso meccanicistico. Tutti i sensi sono "parti del corpo" e le sensazioni modificazioni della loro forma esterna o "figura".

In un contesto ugualmente gnoseologico prende avvio il trattato Il Mondo, redatto qualche anno dopo la stesura definitiva delle Regulae. Cartesio non pone in dubbio l'esistenza di una realtà esterna al soggetto senziente, ma solo la corrispondenza "oggettiva" tra sensazione e realtà esterna: se la luce nella sua realtà è quale la vediamo. E dall'idea della luce passa senz'altro ad un ordine di considerazioni più generale: il problema della corrispondenza oggettiva si generalizza ed investe tutte le rappresentazioni sensoriali.

Cartesio si inserisce tra i primi, con Galilei e Hobbes, nella complessa questione della distinzione delle qualità sensoriali, che impegnerà filosofi e scienziati dalla prima metà del XVII sec.. In linea di massima si distingueranno le qualità che rispecchiano le proprietà oggettive della realtà corporea da quelle che sono semplici risultanze oggettive in seguito alla stimolazione degli organi sensoriali da parte degli oggetti esterni, secondo la terminologia adottata poi da Boyle e Locke le qualità primarie dalle qualità secondarie, salvo poi a identificare in concreto quali delle qualità sensoriali sono da riportare al primo e quali al secondo gruppo.

Per C. le sensazioni sono il linguaggio della natura, il mezzo con cui si comunica a noi agendo sugli organi sensoriali, ma, come le parole del linguaggio umano rispetto alle cose che significano, non sono in un rapporto di somiglianza con la natura e pertanto non ce la rappresentano quale è in se stessa; la natura quale è in sé non ci è manifestata dalle sensazioni - modificazioni soggettive a stimoli esterni -, ma dall'intuizione dell'intelletto, e nell'intelletto ci appare come pura estensione divisibile all'infinito e suscettibile di movimento locale nelle parti che ne risultano.

Per comprendere come Cartesio giunga a livello concettuale all'identificazione della materia con l'estensione, è necessario far riferimento alla discussione che fa dei concetti di sostanza, attributo e modo nei Principi di filosofia.

A proposito del rapporto tra sostanza e attributo C. al §53 sostiene che vi è una proprietà fondamentale - alla quale riserva il nome di attributo - che costituisce la natura e l'essenza di una sostanza, e questo è per i corpi l'estensione, per le sostanze spirituali il pensiero. Avendo detto che l'attributo costituisce l'essenza di una sostanza, egli lo ha già identificato con la sostanza stessa, ma ribadisce questa identificazione affermando che fra sostanza e attributo c'è solo una distinzione di ragione e che il pensiero è la sostanza pensante e l'estensione è la sostanza estesa. Galileo aveva detto "Il tentar l'essenza l'ho per impresa ... impossibile..." e aveva affermato che ci si doveva limitare a cogliere "alcune affezioni"; C. invece afferma che una di quelle che Galileo chiamava affezioni -l'estensione- costituisce l'essenza dei corpi, e di qui tenta di dedurre tutte le loro proprietà. C. fa non solo una fisica come scienza, ma una filosofia della natura, poiché si propone di stabilire qual è il costitutivo fondamentale della corporeità, e, facendo questo, si oppone non solo a determinate teorie della fisica aristotelica, ma anche alla teoria che caratterizza la concezione aristotelica del mondo corporeo: la teoria ilemorfica (della materia e della forma).

Secondo la teoria ilemorfica non c'è una eterogeneità radicale fra mondo corporeo e mondo spirituale, poiché in ogni ente c'è un principio di unità, di determinazione, di intellegibilità, che è la forma sostanziale. L'anima umana non è che una forma sostanziale più perfetta delle altre. Per C. invece il corpo è soltanto estensione, ed ogni principio di determinazione, di unità, di attività è spirituale e comincia solo là dove c'è spirito, dove c'è res cogitans.

[L'estensione come essenza dei corpi]

Poiché il mondo corporeo si riduce ad estensione, le qualità non gli appartengono, e quindi non possono neppure appartenere al "corpo sensitivo", come diceva Galileo, non possono neppure essere realtà fisiologiche: sono realtà psichiche, modi della res cogitans. Il motivo per cui C. nega realtà extramentale alle qualità è che noi non sappiamo che cosa siano, se "considerate come cose esistenti fuori della nostra mente". Non ne abbiamo una "notizia intrinseca", diceva Galileo, quindi eliminiamole dalla fisica. C. aggiunge: eliminiamole dal mondo corporeo, e siccome colori, suoni, ecc:, ci sono tuttavia presenti e non li possiamo eliminare del tutto, trasferiamoli nel mondo dello spirito.

La materia, quindi, non può essere se non lo stesso oggetto formale della geometria, ossia l'estensione a tre dimensioni, le cui parti sono tra loro impenetrabili. La materia intesa come pura e semplice estensione ha le stesse proprietà dell'estensione: di essere divisibile all'infinito e di conseguenza di assumere tutte le figure che si possono immaginare. Le parti che ne risultano, di per sé inerti, sono suscettibili di movimenti locali, ossia di disporsi diversamente tra loro nello spazio. Dalla divisione e dalla ricomposizione in atto delle parti estese solide si originano in natura i singoli corpi, i cui rapporti vengono a definirsi in base allo spazio e al luogo (interno ed esterno). Tra estensione, spazio e luogo non vi è distinzione reale, ma solo distinzione di ragione (vedi la II parte dei Principia philosophiae). Lo spazio infatti non è altro che l'idea generica dell'estensione e il luogo non è altro che lo spazio occupato dal corpo.

Altra caratteristica fondamentale della concezione meccanicistica cartesiana è la negazione del vuoto, identificato con il nulla, il non-essere. Con questa assunzione critica Cartesio si pone in contrasto non più con la filosofia tradizionale di ispirazione aristotelica, ma con le nuove correnti di ispirazione democritea.

Infatti anche Aristotele negava il vuoto perché incompatibile con la sua concezione del cosmo e in particolare con la dinamica del movimento locale: nel vuoto non vi sono "luoghi naturali" e quindi "moti naturali" - i moti naturali si effettuerebbero con velocità infinita, sarebbero istantanei e quindi si annullerebbero (il vuoto viene quindi inteso come assenza di resistenza) - i "moti violenti" non potrebbero aver luogo, venendo meno l'ambiente circostante propulsore al cessare della causa motrice iniziale.

L'identificazione reale di sostanza corporea ed estensione , la cui proprietà principale è la divisibilità all'infinito, comportava il rifiuto dell'atomismo, altro aspetto fondamentale a differenziare il meccanicismo cartesiano. Per C., tuttavia, la divisibilità all'infinito della materia esclude gli atomi, ma non il darsi in atto di particelle corporee estremamente piccole, ulteriormente riducibili in seguito all'urto reciproco, prospettando così in definitiva una concezione "corpuscolare" (non atomistica) della natura materiale. Per questo aspetto corpuscolare il meccanicismo cartesiano non mancò di essere frainteso e confuso con l'atomismo democriteo.

[Il moto]

Esclusa dalla natura ogni determinazione qualitativa, si capisce che l'unico tipo di mutamento sia il moto locale, e questo si riduce ad una pura variazione di distanza, quindi a qualcosa di relativo.

Le parti della materia, quali che ne siano la forma e le dimensioni, sono suscettibili di movimento locale, e il movimento locale è l'unico cambiamento reale che si verifica in natura, oltre alle modificazioni di figura e dimensioni, derivanti dall'urto reciproco delle parti e dalla conseguente loro frantumazione. La materia è estensione e l'estensione è sempre omogenea a se stessa, anche se si frantuma in parti più minute. Non più quindi mutamenti sostanziali, quali la generatio e la corruptio, e modificazioni accidentali, quali le alterazioni qualitative della cosmologia scolastica.

Il movimento locale, "trasporto o traslazione di una parte della materia, o di un corpo, dalla vicinanza di quelli che lo toccano immediatamente, e che noi consideriamo in quiete, nella vicinanza di altri" e la quiete (assenza o cessazione di movimento) non sono che due diversi modi d'essere o stati della materia estesa. Ora, dato che non vi è spazio vuoto in natura, il movimento di una parte della materia comporta il movimento di altre parti, di quelle di cui viene ad occupare il luogo esterno o sito e di quelle che succedono nel posto che lascia. Quindi "in ogni movimento deve verificarsi un circolo, o anello, di corpi che si muovono insieme". Lo sviluppo di questa tesi darà origine alla teoria dei "vortici" o movimento in circolo di particelle della materia, che diverrà una caratteristica fondamentale della filosofia naturale cartesiana al punto di figurare nella stessa denominazione come "filosofia dei vortici".

La materia in quanto estensione è inerte: il movimento delle sue parti all'origine è dovuto all'atto creativo di Dio, che inoltre conserva nell'universo l'uguale quantità di moto che aveva all'istante della creazione. Questo sarebbe dovuto, per Cartesio, all'immutabilità della volontà divina.

Cartesio ha formulato tre leggi della natura, sia nel trattato Il Mondo che nei Principi di filosofia; le prime due contengono il principio di inerzia e la terza il principio di conservazione del moto:

1) "La prima è che ogni cosa in particolare continua ad essere, per quanto può, nello stesso stato e non lo cambia mai se non per l'incontro delle altre"; sia che si tratti di quiete che di moto: i due stati sono equivalenti da questo punto di vista. Il movimento di un corpo diminuisce e in definitiva cessa non per natura, come se tendesse alla quiete - "la quiete è infatti contraria al movimento, e nulla si porta per istinto della sua natura al suo contrario, o alla distruzione di se stesso" -, ma per l'attrito con gli altri corpi, anche se noi non ce ne avvediamo.

2) "La seconda legge che osservo nella natura è che ogni parte della materia presa singolarmente non tende mai a muoversi secondo linee curve, ma secondo linee rette, per quanto molte di queste parti siano spesso costrette a deviare, poiché ne incontrano altre nel loro cammino e poiché, quando un corpo si muove, si determina sempre un circolo o anello di tutta la materia che viene mossa insieme" (vedi la pietra liberata dal movimento forzato di una fionda, che tende a muoversi lungo la tangente).

3) "La terza legge che osservo nella natura è che un corpo che si muove e ne incontra un altro, se ha meno forza per continuare a muoversi in linea retta di quanta ne ha quest'altro per resistergli, perde la sua determinazione senza nulla perdere del suo movimento; se invece ha più forza, muove con sé quest'altro corpo e perde del suo movimento tanto quanto gliene dà". In questa terza legge rientrano tutte le cause particolari di natura corporea che determina mutamenti nei corpi.

Queste tre leggi naturali sono state istituite da Dio stesso come cause seconde dei movimenti particolari.

LA "MACCHINA DEL CORPO UMANO" E LO STUDIO DELLA MEDICINA

Cartesio mostrò interesse per la medicina sin dagli anni giovanili della sua formazione. Un suo giudizio valutativo sulla medicina già ricorre nel resoconto autobiografico del Discours. Alle dissezioni anatomiche attese, secondo la sua stessa testimonianza, sin dal suo stabilirsi definitivamente in Olanda e la sua corrispondenza è ricca delle osservazioni e dei risultati raggiunti in questo campo di ricerche, che utilizzerà non solo nelle opere maggiori, ma anche in scritti specifici.

Alla base delle sue considerazioni vi è la tesi tradizionale - ma al di fuori dell'impostazione di forme sostanziali e accidentali - della composizione unitaria di anima e corpo, pur realmente distinti nella diversa natura. Quanto al corpo l'uomo fa parte della realtà materiale intesa come estensione. Il corpo umano è una macchina come tutti i corpi organizzati dell'universo, anche se macchina più complessa e più perfetta, e coma tale ha funzioni proprie, distinte dalle operazioni dell'anima razionale, e le svolge indipendentemente da questa e da ogni forma sostanziale, come l'anima vegetativa e l'anima sensitiva della psicologia scolastica. Le operazioni o funzioni del corpo umano, di cui alcune possono essere determinate anche dall'anima razionale con un atto volontario, si svolgono in virtù della conformazione e disposizione degli organi secondo le leggi della natura, come ogni altro fenomeno naturale.

Come in tutta la filosofia naturale cartesiana anche nella spiegazione dei fenomeni della vita animale l'"agitazione" delle particelle svolge un ruolo di primaria importanza. Ma la sua dinamica assume una configurazione particolare per la rilevanza primaria del principio di ogni movimento: il calore. Per dare vita al corpo umano Dio non ha dovuto aggiungergli un'anima vegetativa o sensitiva, ma semplicemente provocare all'interno del cuore questo calore che è all'origine di tutte le funzioni del corpo umano.

Nella concezione meccanicistica cartesiana la distinzione tra vita vegetativa e sensitiva perde ogni carattere di specificità che implichi una distinzione di valore in correlazione a due principi formali, l'uno subordinato all'altro: una sensazione o una passione, a parte l'esserne coscienti che comporta l'unione dell'anima razionale, si spiega con gli stessi principi meccanici che rendono ragione della fisiologia.

Se l'uomo per la componente del corpo rientra nell'ambito della natura materiale, ne è una parte e soggiace alle stesse leggi meccaniche, tuttavia il suo comportamento è irriducibile al comportamento degli animali, anche di quelli più perfetti, mostrandosi non limitato e condizionato come questo dalla conformazione degli organi. Vi è in esso un aspetto innovatore che trascende i quadri di ogni predeterminazione meccanica. Se si costruisse un automa che riproducesse le stesse fattezze e la stessa struttura di una scimmia e ne imitasse le stesse operazioni, non avremmo alcun modo per distinguere l'animale dalla macchina che lo imita. Non così invece per un automa che fosse imitazione, per quanto perfetta, di un essere umano. Avremmo sempre due criteri per riconoscere che non siamo in presenza di un vero essere umano.

Il primo criterio è il linguaggio umano, non costretto nei limiti di una rispondenza fissa fra segni articolati e stimoli esterni o stati fisiologici, senza possibilità di adattamento a situazioni nuove non previste, ma volto a significare atteggiamenti che si adeguano di volta in volta al mutare delle circostanze.

Il secondo criterio è l'agire umano in cui si riscontra la stessa varietà e disponibilità del linguaggio al variare delle situazioni. Il linguaggio e in generale il comportamento umano suppongono un principio di azione non meccanico, di cui gli animali mostrano di essere privi, ossia la ragione.

Riducendo l'essere animale ad una macchina Cartesio venne a trovarsi suo malgrado in una situazione paradossale. L'immaterialità dell'anima è una delle tesi fondamentali del suo pensiero filosofico e come tale costituì un argomento costante delle sue riflessioni metafisiche, a partire dal "piccolo trattato" del 1629. Questo interesse, unitamente a quello per la dimostrazione dell'esistenza di Dio, conferiva per altro al suo sistema - tenuto anche conto dello stretto legame delle due tesi: immaterialità e immortalità - una valenza apologetica e in più di un'occasione venne esplicitamente sollecitato il suo intervento, quando non fu lui a prendere l'iniziativa, a rispondere a libelli che screditavano o negavano punti fondamentali della dottrina cristiana come questi. Ma la sua concezione meccanicistica sembrava aprire un varco alle posizioni divulgate dai "libertini": Cartesio rischiava l'accusa di favorire l'ateismo o il sospetto di essere lui stesso ateo per il fatto di mettere in evidenza argomentazioni contrarie alle tesi in questione senza poi darne una valida confutazione.

Le prime contestazioni si presenteranno in forma amichevole a breve distanza dalla pubblicazione del Discours de la méthode, ma le obiezioni assumeranno un tono violento e astioso qualche anno dopo da parte di alcuni teologi calvinisti delle università olandesi, in difesa dei fondamenti della filosofia scolastica che vedevano sovvertiti dalla "nuova filosofia".

Angelo Papi


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 20-10-2015