SPAZIO E TEMPO NELL'ENCICLOPEDIA HEGELIANA

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SPAZIO E TEMPO NELL'ENCICLOPEDIA HEGELIANA

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Premessa

Kant aveva parlato di spazio e tempo nell'ambito dell'Estetica trascendentale, che apriva la Critica della ragion pura. L'Estetica era "la scienza del sentire" (sensibile, non interiore), e l'intuizione sensibile era per lui l'unico modo di percepire in modo aprioristico (cioè indipendente da qualunque esperienza) le due realtà dello spazio e del tempo, poste a fondamento di ogni fenomeno.

Per Hegel invece l'intuizione rientra nella Psicologia, la quale, a sua volta, appartiene alla Filosofia dello spirito, come parte soggettiva (la prima forma dello spirito teoretico) di questa branca della filosofia. L'intuizione appartiene al singolo che sente (senziente), il quale però, in tale condizione, non è ancora in grado di distinguere la verità di un sentire (o di un sentimento) da un altro. L'intuizione è povera di contenuto, proprio perché di natura spontanea, immediata: essa sente in modo astratto, senza saper distinguere il vero dal falso sentire. Ed è quindi erronea la pretesa di poter percepire col sentire qualcosa di più autentico e genuino che non col pensiero.

La critica al soggettivismo astratto e superficiale di Kant è nettissima, anche se questi non viene citato. Parlando invece delle due realtà di spazio e tempo, Hagel fa capire che bisognava farle uscire dalla Psicologia dell'intuizione sensibile (perché in fondo di questo si tratta, leggendo l'estetica kantiana) e incorporarle nella Filosofia della natura, in particolar modo nella Meccanica.

Qui va detto però che per Kant lo spazio e il tempo non venivano affatto affrontati in maniera psicologica, bensì logica, e che dalla loro analisi si arrivava alla conclusione che solo la matematica (aritmetica + geometria) poteva essere considerata una scienza i cui giudizi sintetici a-priori erano apodittici.

Hegel rifiuta questa impostazione, in quanto non riteneva possibile usare lo strumento dell'intuizione per fare della logica, e poi perché non considerava la matematica una scienza filosofica e, dovendo comunque trattare delle due realtà dello spazio e del tempo, preferiva considerarle come pertinenti alla fisica. Il che - si badi bene - non vuol dire che la sua trattazione rientri nella maniera scientifica cui oggi siamo abituati. La vera scienza per Hegel resta la logica e quando viene trattato l'argomento della natura (in tal caso nell'ambito della Meccanica), egli ritiene di poterlo fare in maniera filosofica senza venir meno alle leggi della scienza.

Insomma le  due cose: negare valore conoscitivo fondante all'intuizione e trattare lo spazio e il tempo nell'ambito della Meccanica, sono strettamente correlate. Con la Meccanica Hegel non ha voluto sostituire l'Estetica trascendentale, poiché per compiere il superamento di quest'ultima gli bastava parlare di Psicologia. A noi della Meccanica interessano soltanto le determinazioni astratte della sua universalità, che sono appunto lo spazio e il tempo.

Questa premessa può essere chiusa dicendo che in Essere e tempo Heidegger scrisse che la trattazione hegeliana del tempo aveva raggiunto livelli di profondità rimasti ineguagliati, non tanto sul piano del rapporto Tempo-Esserci (su questo Heidegger voleva considerarsi superiore a Hegel), quanto su quello di Tempo-Essere. "Il concetto di tempo proposto da Hegel costituisce la più radicale e la meno studiata elaborazione concettuale della comprensione ordinaria del tempo"(p. 636 dell'edizione Longanesi, Milano 1970). Su queste osservazioni spenderemo alcune parole alla fine dell'articolo.

Lo spazio

Sull'argomento spazio-tempo, nella sua Enciclopedia delle scienze filosofiche, Hegel scrive molti meno enunciati di Kant e per la semplice ragione che non si pone il compito di usare quelle due categorie per dimostrare qualcosa di trascendentale per il soggetto. Spazio e Tempo lo sono in sé, a prescindere dalla percezione che ne può avere il soggetto. Anche perché se esse vengono viste sul piano meramente soggettivo-trascendentale, restano soltanto due mere astrazioni, prive di vero significato. Viceversa, spazio e tempo devono servire per costituire la materia, spiegandone il movimento. Sono due modi di vedere le cose, l'hegeliano e il kantiano, completamente diversi.

Delle due astrazioni, quella dello spazio - al dire dell'oggettivista Hegel - è la più immediata, cioè la meno significativa. Invece per Kant non vi era differenza sostanziale tra spazio e tempo, anche se dovendo scegliere a chi concedere un "primato d'onore", avrebbe preferito lo spazio, essendo egli partito da studi scientifici (matematica, fisica, astronomia).

Il fatto è che lo spazio "metafisico" (cioè quello oltre la propria visibile fisicità) di cui parla Hegel non è vuoto (come quello kantiano), ma semplicemente assente, sicché il tempo ne è per forza una negazione positiva, che lo rende qualcosa. Hegel non riesce a concepire che si possa immaginare uno spazio senza oggetti (come faceva Kant): uno spazio o non è (nella propria astrattezza o indeterminatezza) oppure è, ma in questo secondo caso un semplice punto lo riempie e quindi ne contraddice la vuotezza, dopodiché la trasformazione del punto in linea è tutta "questione di tempo". Da notare comunque che anche per Hegel, come per Kant, lo spazio infinito non è un attributo specifico della divinità, ma semplicemente della natura.

Che caratteristiche abbia questa "natura" non è però dato sapere, poiché se lo spazio è "l'universalità astratta della sua esteriorità... priva di mediazione"(p. 229), e ci si vuole azzardare in ulteriori definizioni di questo livello, inevitabilmente si finisce nelle braccia del misticismo. Non è possibile infatti parlare di "natura" e insieme di uno "spazio" che non la contenga.

Hegel è consapevole del rischio, anche perché nella sua metafisica la filosofia della natura è soltanto un aspetto della filosofia dello spirito, sicché la natura non viene pensata in maniera propriamente "fisica" bensì "metafisica". La natura è un sottoprodotto dello spirito, il quale, a sua volta, è una forma laicizzata della divinità. Poste le cose in questi termini, può diventare fattibile che possa esistere una "natura" il cui spazio le sia "esterno" e "vuoto". Tuttavia Hegel si guarda bene dallo spiegare come il passaggio da uno spazio vuoto a uno pieno sia potuto avvenire (in nessun luogo parla di "creazione" alla maniera ebraico-cristiana). Nella sua trattazione non è neppur dato sapere se sia lo spazio a precedere la natura o viceversa: nel primo caso infatti lo spazio avrebbe bisogno del tempo, mentre nel secondo si rischia il misticismo. Si ha dunque l'impressione che per lui "natura" voglio proprio dire spazio e tempo indifferenziati, destinati a diventare qualcosa per un impulso interno alla natura stessa.

Quel che è certo, nella sua trattazione, è che se si vuole ragionare davvero in termini "metafisici", considerando la natura nella sua astrattezza, è impossibile pensare lo spazio come sua "prima" determinazione e il tempo come sua "seconda". Spazio e tempo paiono essere un unicum inscindibile, solo in virtù del quale esiste il cosiddetto "fenomeno". Il "prima" e il "dopo" sono soltanto una convenzione astratta, una semplice congettura per poter far partire l'argomentazione, ma sul piano trascendentale è impossibile immaginare l'esistenza dell'uno senza l'altro.

In effetti, persino il feto, dentro quello che a un certo gli apparirà lo stretto ventre materno, non può non essere condizionato dai tempi che la madre si dà per mangiare, dormire ecc. Se il senso dello spazio lo acquisisce col tatto, il senso del tempo lo acquisisce col riflesso condizionato dall'abitudine. E' solo a livello "percettivo" che si può distinguere un "prima spaziale" e un "dopo temporale": non si può farlo in maniera metafisica.

Tant'è che lo stesso Hegel, pur non avendo difficoltà ad ammettere, sulla scia di Kant, che lo spazio e il tempo possano essere oggetto di "intuizione sensibile", per non cadere nell'idealismo soggettivo, decide di fare una precisazione che difficilmente Kant avrebbe condiviso.

Per Kant infatti lo spazio e il tempo esistono solo in quanto esiste un soggetto in grado di percepirli. Tutti gli oggetti, incluse le condizioni perché essi siano, dipendono dal soggetto, altrimenti questi non avrebbe alcuna possibilità di conoscerli. Su questo primato assoluto del soggetto che pensa, per lui fondamentale, Kant non aveva dubbi di sorta.

Hegel invece è più sfumato, meno drastico, tant'è che afferma che, se è vero che lo spazio è "una mera forma, cioè un'astrazione, quella della esteriorità immediata"(p. 230), è anche vero che tale astrazione non può esser in alcun modo rappresentata, ma soltanto pensata come possibilità. Un qualunque "punto" si usi per definire lo spazio, eo ipso lo nega.

Insomma si ha la sensazione che lo spazio hegeliano sia ancora più metafisico di quello kantiano, proprio perché Hegel non vuole avvalersi di altra dimostrazione che dell'idea stessa di "spazio". "Lo spazio è pura quantità"(p. 230), in cui tutto resta indifferenziato: una sorta di "continuo" illimitato e, per natura, indefinibile. "La natura perciò comincia non col qualitativo ma col quantitativo"(ib.), cioè inizia con qualcosa che "non è" e "deve diventare" (nel senso che "non può non diventare", poiché la scissione, il diventare altro da sé è intrinseco all'essere). Essere e Non-essere coincidono - Hegel lo ha sempre detto. Una qualunque "dimostrazione" di ciò che non è, è semplicemente impossibile, almeno finché il Non-essere non diventa qualcosa.

L'unica cosa che il soggetto può fare è di prendere atto di uno spazio che si è già negato e, negandosi, ha prodotto la natura, che è lo spirito che si nega, e in questa negazione lo spazio e il tempo prendono progressivamente forma, smettono di essere un'astrazione e cominciano a riempire di contenuto la natura, anzi si fanno essi stessi "natura".

Lo spazio quindi non ha, prima di ogni cosa, una propria determinazione sul piano logico, come vuole Kant, che per dimostrarlo si serve della geometria, ma al massimo ne ha una sul piano metafisico, in forma però "immediata ed esteriore" (p. 230), la quale può soltanto essere supposta prima che essa diventi "mediata" come natura.

In tal senso Hegel si sente autorizzato ad ammettere che tra spazio e tempo non vi sono differenze sostanziali. Se ci si attiene alla astratta immediatezza, in cui l'io è semplicemente uguale a se stesso, spazio e tempo si equivalgono, poiché è solo nel loro estrinsecarsi che si distinguono. Per un dialettico come lui sarebbe stato impensabile non supporre che spazio e tempo nella sostanza coincidono perfettamente.

Anche da queste semplici osservazioni, preliminari a tutto il più generale discorso su spazio e tempo, si comprende facilmente come l'idealismo hegeliano si ponga a un livello più evoluto di quello kantiano, il quale al massimo mirava a rifondare i criteri della conoscenza in un soggetto che non aveva più bisogno di dirsi "cristiano". Hegel invece lascia chiaramente intendere che tutti i contenuti dogmatici della teologia andavano riformulati in chiave filosofica, in quanto la logica, la metafisica razionale (la quale non dà per scontata la verità dei propri contenuti), è l'unico vero modo per arrivare all'assoluto.

Hegel contesta a Kant la pretesa d'aver voluto dimostrare l'oggettività dello spazio dalle sue tre dimensioni rilevabili sul piano geometrico. Questo perché la geometria - fa notare Hegel - non è affatto una scienza filosofica, dovendo essa supporre lo spazio per poter sussistere, mentre sul piano trascendentale si deve poter dimostrare lo spazio supponendo soltanto se stesso.

Questo a prescindere dal fatto che gli stessi concetti di altezza larghezza profondità sono del tutto relativi. L'altezza p.es. ce la immaginiamo non in sé, ma "nella direzione verso il punto centrale della terra"(p. 231), e i concetti di lunghezza e larghezza si potrebbero confondere nello spazio con quello di profondità. La geometria - lascia capire Hegel - è soltanto uno sforzo di rappresentazione matematica dello spazio, ma è lontanissima dal poterlo definire in maniera metafisica. Le tre fondamentali dimensioni dello spazio, immediatamente, nella indifferenza del concetto di spazio, sono "del tutto indeterminate"(p. 230).

E quando si cerca di determinarle, il soggetto ha di fronte a sé non lo spazio ma il punto, che è la sua negazione. E' escluso quindi che il soggetto possa avere una intuizione o una percezione pura di ciò che non è (o che è solo indeterminato nella sua immediatezza). Il soggetto può avere una percezione adeguata solo del punto, che è la prima negazione dello spazio. E, a sua volta, il punto che nega se stesso, produce la linea (la sua antitesi), i quali punto e linea possono trovare la loro compiuta sintesi nella figura geometrica, che rappresenta una delimitazione fisica di spazio.

La superficie chiusa è il superamento della negazione dello spazio. E la prima figura rettilinea, che a tutte le altre permette di esistere, è il triangolo. Qui è strano che Hegel non dica che la figura più perfetta è il cerchio, il cui rapporto tra circonferenza e diametro esprime una grandezza irrazionale. E' vero che dai tre vertici di un triangolo si può disegnare un cerchio, ma è anche vero che, dato un cerchio, è possibile disegnare al suo interno qualunque figura piana i cui vertici tocchino la circonferenza (se poi il cerchio è una sfera si parla di qualunque figura solida). E' geometrico che su una superficie piana possa passare, tra due punti, solo una linea retta, ma è anche possibile costruirvi un cerchio. Peraltro a livello tridimensionale le linee curve che passano tra due punti sono praticamente illimitate, anche in considerazione del fatto che i punti nello spazio tenderebbero continuamente a muoversi e non necessariamente nella stessa direzione, o non nello stesso momento e neppure avrebbero la stessa forza centrifuga e centripeta. Anzi, nell'universo, a causa della forza gravitazionale, è più facile vedere cerchi ed ellissi che linee rette.

La linea retta - per usare un linguaggio hegeliano - è l'immediatezza che va mediata dall'attrazione reciproca dei corpi celesti. Nello spazio l'assenza di gravità, che potrebbe permettere una traiettoria rettilinea infinita, si scontra col fatto che esiste appunto la legge della gravitazione universale.

Il tempo

E ora passiamo ad analizzare cosa dice Hegel del tempo. Rendiamoci anzitutto conto che la metafisica oggi, per l'uomo comune, ma anche per lo studioso, non ha più alcun significato, in quanto che essa nel passato ha cercato di trovare delle risposte laico-razionali a domande che avevano ottenuto risposte soltanto religiose, che erano poi quelle della cultura dominante, sia che fossero accettate dalla chiesa, sia che non lo fossero. La metafisica è diventata irrilevante non perché le sue risposte laiche sono risultate insufficienti o superate, ma proprio perché oggi risultano insignificanti quelle domande religiose cui essa ha cercato di dare risposte alternative, non convenzionali. A quel tempo tuttavia essa svolse un ruolo progressivo ed è su questo che bisogna concentrare l'attenzione, per capire se davvero essa è riuscita a porre le basi di uno sviluppo del pensiero inerente al concetto di "umanesimo laico".

Parlando dello spazio Hegel non aveva citato neppure una volta la parola "dio", e non lo farà neppure parlando del tempo, ereditando in questo la lezione kantiana, di cui qui non vuol mettere in discussione l'ateismo quanto piuttosto il soggettivismo, poiché un individuo non può avere alcuna intuizione sensibile del tempo e dello spazio, se prima questi due elementi non si sono posti indipendentemente da qualunque percezione soggettiva, cosa che lo spazio e il tempo possono fare solo negandosi nella loro astratta immediatezza.

Kant usava l'intuizione per affermare; Hegel invece sostiene che in origine vi era solo immediatezza e astrazione, che non potevano certo essere percepite dal soggetto, almeno finché non si rese possibile, per motivi ignoti, la loro negazione.

Quale delle due metafisiche è più vicina alla teologia dogmatica? Indubbiamente quella hegeliana, in quanto la kantiana poggia su basi fragilissime, e tuttavia, là dove Hegel si astiene dal far intervenire una "divinità" come causa prima del tempo e dello spazio, la sua metafisica resta per noi laicamente valida, in quanto più oggettiva di quella kantiana.

Le riflessioni che Hegel dedica al tempo sono incredibilmente complesse e bene faceva Heidegger a considerarle di livello eccelso. Semplificandole al massimo si potrebbe dire che nella sua visione delle cose il tempo nasce quando lo spazio si nega come punto. Il fatto ch'egli abbia messo lo spazio prima del tempo non va considerato casuale. Lo spazio può esistere senza il tempo, ma come unità astratta, indifferenziata: esso sembra acquistare la sua identità di spazio quando il tempo l'attraversa come punto. Il tempo è inafferrabile come lo spazio, ma nel momento in cui si congiungono possono essere percepiti.

A livello metafisico il tempo non può essere dedotto da un "prima" e da un "dopo", da un "già" e un "non ancora", proprio perché è esso stesso che crea, negandosi, queste determinazioni. Il tempo in realtà è una "unità negativa dell'esteriorità"(p. 233). L'esteriorità è quella dello spazio. Se Hegel parlasse di "interiorità positiva" finirebbe nelle braccia della teologia. Dicendo invece che spazio e tempo possono essere percepiti solo quando reciprocamente si negano, ha buon gioco nel rinunciare a una qualunque spiegazione religiosa.

Hegel non sta contestando a Kant l'idea che spazio e tempo possano essere "intuiti"; sta semplicemente negando che questa forma di ateismo possa avere basi solide.

Cerchiamo di capire bene questa differenza. Kant non voleva apparire come filosofo ufficiale dello Stato prussiano, Hegel invece sì. Kant si opponeva allo Stato confessionale e alla chiesa di stato, Hegel invece no. Si noti ora il paradosso: per poter criticare indisturbato la teologia, Kant ha dovuto ammettere la realtà del noumeno; Hegel invece, dando per scontata l'esistenza di dio, ha potuto tranquillamente non parlarne, soprattutto là dove più gli premeva. E la questione dello "spazio" e del "tempo", che è centrale a una determinazione della filosofia della natura, è senz'altro una di quelle. L'opportunismo hegeliano è ai massimi livelli, ma se alla sua filosofia si tolgono tutte le superfetazioni mistiche, resteranno delle argomentazioni laico-razionali di altissimo livello, quali mai s'erano viste prima di lui.

Il tempo non è suddivisibile in un "prima" e in un "dopo" se non in maniera estrinseca o convenzionale, con l'aiuto del calcolo, ma nella sua essenza interiore il tempo resta inafferrabile, è un divenire che al massimo può essere intuito, non rappresentato, poiché "il tempo è l'essere che, mentre è, non è, e mentre non è, è"(p. 233). Cioè mentre lo si pensa presente, è già passato, eppure, mentre è passato, è ancora presente.

Come materia ed energia, così spazio e tempo sono due grandi categorie dell'universo: è difficile se non impossibile dare una definizione del tempo, poiché più che altro sembra appartenere al regno delle intuizioni, che però restano "vaghe", non "sensibili", come quelle kantiane, proprio perché il tempo è "il sensibile insensibile"(ib.), è l'impalpabile e, proprio per questo, è assurdo sostenere - Hegel lo lascia solo intendere - che il tempo possa essere usato, al pari dello spazio, per stabilire i criteri cognitivi preliminari dell'intelletto.

Spazio e tempo sono pure astrazioni irrappresentabili, almeno finché restano nel regno delle mere astrazioni, in cui tutto resta indifferenziato, identico a se stesso. La continuità assoluta, di cui ognuno dei due è costituito, deve diventare differenza, dove il "relativo" (che è dunque relativo ad altro) permette finalmente la produzione del fenomeno e quindi l'umana conoscenza. Al di fuori di questo si resta soltanto nell'ambito della mera "intuizione", la quale però, checché ne dica Kant, non permette alcuna conoscenza oggettiva, essendo del tutto indeterminata. L'intuizione kantiana, se non fosse stata intrappolata da quel panegirico logico-razionale dell'Estetica trascendentale, sarebbe stata più che altro una semplice muta contemplazione.

* * *

E ora veniamo a un punto davvero arduo da comprendere, incluso nel § 258. Hegel non era certo un tipo da prendere alla lettera i proverbi popolari; non si fidava neppure della metafisica greca, che giudicava troppo infantile rispetto a quella che si stava elaborando in Prussia. Pertanto quando usa l'espressione "tutto nasce e muore nel tempo"(p. 234), sa bene che se un filosofo si limitasse a questo, avrebbe ribadito la cosa più scontata del mondo.

Un filosofo deve andare oltre, anche perché non può non sapere che quel "tutto" di cui la gente comune parla, rappresenta già il contenuto del tempo, mentre, per quanto riguarda la filosofia della natura, bisogna anzitutto parlare del tempo come contenitore, a prescindere da qualunque suo contenuto. La metafisica è la scienza delle cose prime, cioè dell'immediatezza astratta che deve negarsi per rendersi intelligibile.

Sotto questo aspetto "non è già nel tempo che tutto nasce e muore", cioè non è solo questo, in quanto, in realtà, "il tempo stesso è questo divenire, nascere e morire"(ib.). Che significa questo? Significa che il divenire, la trasformazione delle cose non è solo una caratteristica che il tempo dà alle cose, come se le cose fossero temporali, mentre, dal canto suo, il tempo metafisico è eterno. In realtà la trasmutazione è proprio una caratteristica del tempo stesso, che in questa mutevolezza del fare e disfare esprime una sorta di atteggiamento, uno stato d'animo che Hegel descrive con una parola su cui si potrebbero versare fiumi d'inchiostro: irrequietezza.

All'origine dell'universo vi è dunque una certa insoddisfazione, come se il "non-essere" avesse ad un certo punto bisogno di "essere". E siccome il non-essere non è definibile (per definizione), il suo essere è eterna mutevolezza. L'essere del non-essere non è mai uguale a se stesso, e lo dimostra appunto la legge della perenne trasformazione della materia.

Qui tuttavia Hegel teme di essersi spinto troppo oltre, poiché se davvero Kronos è "produttore di tutto e divoratore dei suoi prodotti"(ib.), il rischio è che alla fine non rimanga nulla, nemmeno lo stesso Kronos, che finirebbe col divorare persino se stesso. L'universo non sarebbe un palloncino che si può gonfiare e sgonfiare ad libitum, ma un palloncino che, se gonfiato troppo, si può rompere e mai più ricomporre. Ecco perché egli ha urgenza a precisare che finite sono le cose nel tempo, ma l'idea di tempo è eterna. Il tempo non finisce al finire delle cose, proprio perché l'eternità gli è intrinseca. Hegel è come se dicesse che se anche tutte le cose sparissero dalla percezione umana, ne resterebbe in qualche modo il loro concetto, nell'idea appunto di tempo.

E qui diventa davvero ardua l'interpretazione: qualunque commento infatti ci farebbe ripiombare nel misticismo della dogmatica cristiana. L'unica cosa che forse si riesce a comprendere è che per Hegel le tre fondamentali dimensioni del tempo (presente, passato e futuro) sono relative alla stessa stregua delle tre dello spazio (altezza, larghezza e profondità), relative nel senso che tempo e spazio potrebbero esistere anche a prescindere da quelle dimensioni (cosa che difficilmente uno scienziato contemporaneo sarebbe disposto ad ammettere).

D'altra parte - e forse su questo Hegel si fa capire meglio - che noi si possa dire che il tempo esiste davvero, è solo frutto di mera convenzione, in quanto siamo stati noi ad attribuire al tempo il significato di quelle tre dimensioni. In realtà il tempo non ha tempo: tutto è concentrato nell'attimo, che è e non è. Nel tempo metafisico non ci s'invecchia mai e non si ha bisogno di ricordare alcunché, poiché si è sempre presenti a se stessi.

"Nella natura, dove il tempo è l'istante", le tre dimensioni di passato presente futuro "sono necessarie soltanto nella rappresentazione soggettiva, nel ricordo o nel timore o nella speranza"(p. 235). La rappresentazione soggettiva è in fondo una personalizzazione del tempo, che così può uscire dal suo anonimato, dalla sua immediatezza indifferenziata. Il tempo dell'essere esiste per l'esserci.

Molto significativo è che Hegel dica che "il passato e il futuro del tempo, in quanto sono nella natura, sono lo spazio"(ib.). Lo spazio trova il contenuto di sé nel tempo, il cui contenitore è appunto lo spazio. Lo spazio riempito, "superato" nella sua vuotezza dal punto, diventa tempo. L'autoconsapevolezza dello spazio è il suo tempo, come l'identità del tempo è lo spazio in cui muoversi.

Tuttavia, secondo Hegel il tempo è ancora più astratto dello spazio, proprio perché non esiste una "scienza del tempo", non esiste una "geometria del tempo". Per comprendere le leggi visibili dello spazio basta la matematica (aritmetica + geometria), ma per comprendere le leggi del tempo ci vuole l'intelligenza dello spirito, la ragione autocosciente, che è invisibile.

Il luogo e il movimento

Quando Hegel inizia a parlare di "luogo" e di "movimento" raggiunge vette ancora oggi ineguagliate. Il § 260 è la sintesi di tutta la trattazione del tempo e dello spazio fatta sino a quel punto. Merita d'essere analizzata parola per parola.

"Lo spazio è in se stesso la contraddizione della esteriorità indifferente e della continuità indifferenziata, la pura negatività di se stesso e il trapasso, dapprima, nel tempo"(p. 238). Per Hegel, senza negatività, c'è solo il nulla, il quale però, e per fortuna, ha la negatività in sé e quindi la necessità di diventare "essere", cioè qualcosa. La negatività non va intesa in senso etico, quanto in senso ontologico, come se l'io, per potersi dire tale, avesse bisogno di un tu, che non è un raddoppiamento dell'io, ma proprio qualcosa di altro, l'altro da sé.

Spazio e tempo sono le prime manifestazioni di questo non-essere che diviene qualcosa. Comprendere il tempo e lo spazio in sé è impossibile: al massimo si può soltanto intuire che i due elementi si compenetrano.

"Egualmente il tempo - poiché i suoi momenti tenuti insieme ed opposti si negano l'un l'altro immediatamente - è il cadere immediato nell'indifferenza, nella esteriorità indifferenziata, ossia nello spazio"(ib.).

Hegel osserva le cose nella maniera più razionale possibile; non offre pretesti per fare discorsi esistenziali o pseudo-teologici. Anche perché ciò di cui parla rientra nella filosofia della natura e non in quella dello spirito. Se nell'universo c'è finalismo, è insito nella natura stessa, la quale, per poter "essere" deve "diventare", negandosi. Il superamento di sé sta nella propria negazione. Un'identità che non accettasse l'alterità, sarebbe poverissima di contenuto, sarebbe soltanto se stessa, un cadavere di sé.

Non solo il nulla, negandosi, produce lo spazio e il tempo, ma anche questi elementi, a loro volta, producono, insieme, il punto, e questo, negandosi, diventa linea, superficie, in una parola, luogo. Ogni oggetto, ogni forma materiale, ogni fenomeno naturale ha un proprio spazio e tempo, i quali diventano finalmente intelligibili.

E l'essenza, la caratteristica fondamentale dello spazio e del tempo, è il loro perenne movimento, che li determina in maniera reciproca. Non si può capire l'uno senza l'altro. Hegel sta parlando della Meccanica dell'universo, ma è come se avesse fondato una metodologia scientifica per analizzare i fatti storici, cioè è come se avesse detto che nessun fenomeno storico può essere adeguatamente compreso senza una previa interpretazione delle sue coordinate di spazio e di tempo, che sono preliminari a qualunque altra lettura.

"Il luogo è il porsi dell'identità dello spazio e del tempo"(p. 238). Può apparire incredibile che Hegel parli di "identità" in rapporto allo spazio e al tempo, ma lo fa semplicemente per dire che non se ne può parlare finché non si esce dall'indifferenziato; senza poi considerare che fino a quando egli non parlerà di gravità, di movimento della materia, di fisica ecc., si ha sempre l'impressione di restare nell'indeterminato. Il punto, la linea, la superficie, il luogo... sono sì negazioni dello spazio e del tempo vuoti, ma restano pur sempre delle astrazioni concettuali.

Hegel vuol semplicemente dire che senza materia in perenne movimento, lo spazio e il tempo sarebbero incomprensibili. Anzi, dice di più: il trapasso "dallo spazio e dal tempo alla realtà, che appare come materia, è incomprensibile per l'intelletto"(p. 238). Cioè il motivo per cui dall'eternità e infinità di spazio e tempo nasca una materia altrettanto eterna e infinita, resta ignoto. Hegel aveva perfettamente intuito che questa materia ha una propria logica, caratterizzata da determinate leggi, da cui non si può in alcun modo prescindere (come p.es. quella della gravitazione universale).

L'identità di tempo e spazio è l'essenza della materia. Hegel quindi escludeva che potesse esistere un "puro spirito" privo di materialità. Se esiste, non appartiene all'universo.

Nota su Heidegger

Riprendiamo ora quanto si diceva a proposito dell'Heidegger di Sein und Zeit, inevitabile commentatore di Hegel nella parte relativa al tempo.

Anzitutto ci pare una forzatura dire che per Hegel "il tempo è la verità dello spazio"(Essere e tempo, ed. Longanesi & C., Milano 1970, p. 637). Non è affatto così esplicito, anche perché non essendoci tempo senza spazio, la proposizione non sarebbe meno vera se rovesciata. Tempo e spazio nella filosofia hegeliana viaggiano in parallelo, anzi si compenetrano in maniera che non è sempre facile distinguerli, proprio perché esiste una reciproca dipendenza. I due concetti vengono guardati in maniera molto rigorosa e a nessuno dei due viene assegnato un primato d'onore sull'altro, anche perché egli si rende conto d'avere a che fare con due dimensioni che non possono essere colte a prescindere dagli oggetti che le riempiono, se non molto astrattamente.

Viceversa per Heidegger il tempo è visto a partire dall'esserci, più alla maniera kantiana, ma aggiungendo, a questa, che voleva essere strettamente gnoseologica, tutta una serie di questioni di natura esistenziale, psicologica, psico-sociale, linguistico-comunicativa ecc. Riducendo tutto a "tempo", lo spazio, nella metafisica heideggeriana, è ridotto a un nulla e, di conseguenza, il soggetto è soltanto posto di fronte al tempo che ha da vivere, a prescindere dall'importanza dello spazio, che invece è non meno fondamentale per caratterizzare l'identità di un soggetto. Se vogliamo, anzi, la riflessione che può fare il soggetto nei confronti del tempo è molto più astratta di quella che può fare nei confronti dello spazio e quindi facilmente sottoponibile al rischio di non poter trovare, alle proprie domande di senso, se non risposte filosofiche.

Heidegger, se voleva proseguire sulla scia di Hegel, doveva semplicemente limitarsi a dire, sul piano metafisico, che l'esserci è uno spazio limitato per un tempo limitato, relativamente alla dimensione terrena: un piccolo luogo in uno spazio immenso, il cui tempo ci resta incalcolabile. Poi avrebbe potuto aggiungere, volendo fare della metafisica esistenziale, che il nostro destino è quello di vivere le coordinate di spazio-tempo non soltanto come fossero al di fuori di noi, ma proprio come fossero interne alla nostra coscienza, in grado di riprodurre in noi le eterne leggi dell'universo. Siamo destinati a diventare non tanto stelle che brillano nel buio, quanto piuttosto stelle a noi stessi, in cui il buio, se c'è, è soltanto ciò che ci rende oscuri.

Nota: si fa riferimento al testo della Laterza del 1975.

Cfr il saggio di Tony Smith


Testi di Hegel


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 04-12-2016