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Hobbes: quando vincono i centauri

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Hobbes, Leviatano

Hobbes scrive nel De cive: “Quelli che si sottomettono a un altro per paura, si sottomettono o a chi fa loro paura, o a qualcun altro da cui hanno fiducia d’essere protetti. Il primo modo è quello seguito dai vinti in guerra, che così fanno per non essere uccisi; il secondo, da quelli che non sono ancora vinti, per non diventarlo in seguito. Il primo modo ha origine dalla potenza naturale, e in questo caso si può parlare di origine naturale dello Stato; il secondo dall’intento e dalla decisione di quelli che si uniscono, onde si può parlare di origine convenzionale dello Stato. Da ciò proviene l’esistenza di due specie di stati: lo Stato naturale, quale è lo Stato paterno e quello dispotico; lo Stato convenzionale, che si può anche dire politico. Nel primo, il sovrano si acquista i cittadini con la propria volontà; nel secondo, i cittadini di loro spontanea volontà impongono a sé stessi una autorità munita di sovranità, sia essa di un solo individuo, sia di una assemblea”.[1]

Questa distinzione, che nel De cive chiude il capitolo V “Cause e origine dello Stato”, ritorna nel Leviatano e apre il capitolo ventesimo su dominio “paterno” e dominio “dispotico”.

“Uno Stato per acquisizione è quello nel quale il potere sovrano è acquisito con la forza; ed è acquisito con la forza quando gli uomini, ad uno ad uno o molti insieme a maggioranza, autorizzano, per paura della morte o di vincoli, tutte le azioni di quell’uomo, o di quell’assemblea, che ha in proprio potere le loro vite e la loro libertà.

Questa specie di dominio o di sovranità differisce dalla sovranità per istituzione solo in ciò, che gli uomini che scelgono il loro sovrano lo fanno per paura l’uno dell’altro e non di colui che istituiscono [sovrano]; mentre in questo caso si sottomettono a colui di cui hanno timore”.[2]

Ripetuta la distinzione del De cive, nel Leviatano Hobbes aggiunge un “ma” molto importante.

“Ma i diritti della sovranità e le proprietà che ne derivano sono gli stessi in entrambi i tipi di Stato. [Anche] il potere del sovrano [di uno Stato per acquisizione] non può, senza il suo consenso, essere trasferito a un altro. Il sovrano non può esserne privato [a titolo di penalizzazione]. Non può essere accusato di torto da nessuno dei suoi sudditi. Non può essere punito da loro. E’ giudice di ciò che è necessario per la pace; nonché giudice delle dottrine. E’ il solo legislatore, il giudice supremo delle liti e dei tempi opportuni per fare la guerra o la pace. A lui spetta scegliere magistrati, consiglieri, comandanti e tutti gli altri funzionari e ministri; e di determinare ricompense, punizioni, titoli onorifici e ordini. Le ragioni di tutto ciò sono le medesime addotte nel capitolo precedente per gli stessi diritti della sovranità per istituzione”.[3]

Hobbes scrive il De cive per dimostrare con rigore geometrico la necessità per i suoi concittadini di accettare l’assolutismo monarchico. Prospetta lo spettro della guerra civile e dimostra con calcolo razionale che la pace sociale è di gran lunga preferibile ad ogni altro bene. Fa leva sull’egoismo e sulla paura dell’uomo-lupo. Pensa che quelle tendenze naturali possano essere la forza motrice dello Stato-orologio che ha in mente. Cambia il suo piano di lavoro e passa subito a costruire la geometria dell’obbedienza politica, convinto di rendere un grande servizio al suo paese.

Si propone di dissolvere con “ragionamenti saldissimi” le nubi di Issione, ma sa che i centauri sono molto più difficili da piegare all’obbedienza dei lupi.

Idealisti e gagliardi, entusiasti e fanatici, i centauri non temono la morte violenta. In loro viene meno l’elemento naturale su cui far leva per frenarli. Sono però molto meno numerosi dei lupi e li si potrebbe fermare uccidendoli prima che diventino devastanti.

Hobbes deve averci pensato a lungo. E, vent’anni dopo il Leviatano, scrive, ormai vecchio, Behemoth: la storia delle cause delle guerre civili d’Inghilterra e le conseguenze e gli artifici con cui furono portate avanti dal 1640 al 1662.

“Il nostro ultimo re – scrive in quell’opera – fu ucciso, dopo essere stato perseguitato dalla guerra, su incitamento dei ministri presbiteriani, che sono quindi responsabili della morte di tutti quelli che caddero in quella guerra, e che furono, io credo, in Inghilterra, Scozia ed Irlanda, circa 100.000 persone. Non sarebbe stato meglio che questi ministri sediziosi, che non erano forse più di mille, fossero stati uccisi prima che cominciassero a predicare? Sarebbe stato, lo riconosco, un grande massacro; ma l’uccisione di 100.000 persone è un massacro ancora più grande”.[4]

Il problema si sarebbe potuto risolvere con l’aritmetica. Quel calcolo, però, non è stato fatto in tempo e i centauri hanno vinto la guerra civile.

La matematica, che il teorico dell’assolutismo usa per costruire la predica dell’obbedienza, avrebbe potuto rendere un buon servizio anche al potere monarchico quando cercava d’imporsi come potere assoluto, legittimandogli un massacro preventivo e necessario.

Quando scrive il De cive, nel tentativo di fermare la guerra civile, lo Stato a pieno titolo è per Hobbes solo quello assolutista di origine contrattuale, che sta teorizzando con necessità geometrica.

Quando, invece, scrive il Leviatano, Cromwell ha già vinto e ucciso il re: Hobbes deve quindi considerare Stato a pieno titolo anche quello acquisito a forza, se vuole la fine della guerra civile, male estremo per lui.    

I centauri hanno vinto. Possono e, quindi, devono esercitare quel potere che il re non ha saputo usare in tempo utile contro di loro. La ragion matematica, la nuova fonte di legittimazione politica, è con loro!

Il filomonarchico Hobbes accetta, pertanto, il potere di Issione-Cromwell e pubblica a Londra il Leviatano per spingere i compatrioti a obbedirgli, anche a costo di essere considerato traditore dagli aristocratici con lui in esilio in Francia.[5] Anche il suo contrattualismo si piega al vincitore: non è il contratto sociale che crea il potere assoluto, come da lui teorizzato con geometrico rigore, è il potere che impone il suo contratto con la forza delle armi.

E Hobbes accetta il fatto compiuto ed equipara, in fatto di legittimità, lo Stato “naturale” di Cromwell a quello “politico” che ha cercato di promuovere per il re prima della sua disfatta.

La Giustizia è “sorella e sposa” di Giove, ma, se Issione lo vince, diventa lui il suo sposo e fratello.

Torino 7 maggio 2012

NOTE


[1] Hobbes, De cive, in Opere politiche 1, Utet 1959, pp. 151-152.

[2] Hobbes, Leviatano, Laterza 2011, p. 166.

[3] Ib., pp.166-167.

[4] Citato da Bobbio a p. 231 del De cive, in nota 2 , all’inizio del cap. XII sulle cause che possono disgregare dall’interno uno Stato.

[5] “Il ritorno a Londra alla fine del 1651 e la pubblicazione del Leviatano con la dedica a Cromwell producono la rottura con gli aristocratici esiliati in Francia, che considerano Hobbes un traditore della causa realista”. (Fulvia de Luise, Giuseppe Farinetti, Lezioni di storia della filosofia B, Dall’Umanesimo al Romanticismo, Zanichelli 2010, p. 218).

Giuseppe Bailone

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015