MARX E WEBER SULL’EVOLUZIONE
DELLE FORME ECONOMICHE E SOCIALI


Marx

Weber

"Questioni di metodo":
l’approccio economicistico di Marx e quello plurifattoriale di Weber

parte prima

Nel discorso marxista (usiamo questo termine in riferimento, innanzitutto, al pensiero di Marx ed Engels) ogni stadio evolutivo dell’umanità è caratterizzato in primo luogo da una peculiare forma di organizzazione economica e in secondo luogo da una particolare forma di organizzazione sociale, riflesso della prima.

L’economia – intesa come un modo determinato di organizzare il lavoro sociale, sia nelle forme direttamente, che in quelle non direttamente produttive, mediante la divisione dei ruoli e delle mansioni tra i membri della comunità – è quindi la base ed il fondamento ultimo della società nelle sue strutture gerarchiche, ovvero nei rapporti sociali vigenti.

D’altronde, secondo la filosofia marxista, ogni forma di organizzazione sociale ha un’intrinseca (anche se più o meno marcata, a seconda dei casi) tendenza a evolvere in una forma successiva. Questa seconda forma contraddice molti aspetti di quella precendente, e nel trapasso dall’una all’altra si invera quella dialettica storica che già Hegel aveva lucidamente individuato ed enucleato, seppure su basi (idealistiche o spiritualistiche) molto diverse da Marx.

Anche se è semplicistico affermare che, secondo Marx ed Engels, le cause del cambiamento storico debbano essere sempre di un medesimo tipo, a prescindere dai luoghi e dalle circostanze in cui questo cambiamento si verifica, è comunque evidente la loro predilezione per l’individuazione di cause di carattere sociale ed economico.

Fattori di mutamento non economici possono essere, ad esempio, la scoperta di nuove tecniche (spesso comunque indotta o favorita dalle circostanze materiali, quindi anche economiche e sociali). Tali tecniche infatti, possono modificare fino a stravolgerli i rapporti sociali vigenti, qualora la loro instaurazione richieda un diverso tipo di organizzazione a livello produttivo (si pensi, a tale proposito, a quello che fu il passaggio dalla vita nomade dei cacciatori, a quella stanziale, dovuta all’invenzione dell’agricoltura). Anche eventi catastrofici come terremoti, maremoti o invasioni di popoli esterni possono poi scatenare delle profonde modificazioni all’interno delle società, quando non addirittura decretarne la fine.

Ciò detto, rimane tuttavia evidente la predilezione di Marx e Engels per fattori di cambiamento ‘intrinseci’ alla società stessa, ovvero alla sua organizzazione socio-economica: per quei fattori cioè che – secondo un motivo tipicamente dialettico – facendosi col tempo sempre più pressanti e influenti, arrivano in ultimo a scardinare l’ordine esistente e a generarne uno nuovo.

Un esempio di tale discorso possiamo trovarlo nella spiegazione marxista del trapasso della società antica in quella feudale. Tale fenomeno ebbe, secondo Marx, come causa essenziale l’evoluzione graduale ma costante dei rapporti di proprietà della terra da forme di carattere ancora egualitario (un egualitarismo su base etnica o di stirpe) a forme sempre più elitarie e ristrette (quali appunto quelle del periodo tardo-imperiale romano e, successivamente, di quello feudale).

Dal momento infatti che i capi e le classi aristocratiche (ovvero quelle che detenevano nella società un ruolo dirigistico) avevano maggiore facilità rispetto a quelle basse nell’appropriarsi delle ricchezze sottratte attraverso le guerre ai nemici, ovvero nell’incrementare il numero dei propri schiavi e delle proprie terre, si determinò col tempo uno squilibrio sempre più profondo tra classi alte e classi inferiori (la plebe).

Le prime assunsero dunque gradualmente un ruolo egemonico sempre più marcato sia nella vita economica che in quella politica (riflesso in gran parte della prima), determinando in sostanza la scomparsa della piccola proprietà e delle classi medie, sia agrarie sia cittadine. Da ciò la nascita delle grandi villae tardo-antiche (organismi economicamente autosufficienti) che costituirono l’antecedente dei feudi medievali, e che furono alla base della disgregazione dell’enorme apparato statale dell’impero romano, soprattutto nelle zone occidentali. Quest’analisi mostra dunque come, secondo Marx, l’instaurarsi e il diffondersi dello "schiavismo" come forma di produzione e organizzazione basilare della società antica comportasse necessariamente la scomparsa di essa e la nascita della società feudale (ci torneremo).

Altro elemento caratteristico della visione marxista della storia è quello inerente il rapporto tra strutture e sovrastrutture all’interno della società: ovvero tra fattori economici e fattori extra-economici.

Se l’organizzazione economica (ovvero l’organizzazione sociale o 'di classe') è la scaturigine più profonda dei diversi caratteri della società, solo un cambiamento di tale organizzazione (a prescindere dal tipo di causa che vi è a base: sociale ed economica, tecnologica, bellica, catastrofica, ecc.) potrà provocare un mutamento strutturale nella società stessa. Detto diversamente: dal momento che la sfera extraeconomica (quella cioè inerente non solo la politica e il diritto, ma anche la sfera culturale e valoriale) è un mero riflesso di quella economica, ne deriva che essa non potrà avere un peso sostanziale nel processo di trasformazione della società.

È certamente vero che i fattori sovrastrutturali assolvono al compito cruciale di dare una veste legale (nei loro aspetti politici e giuridici) e valoriale (cioè ideale ed assoluta, nei loro aspetti culturali) ai rapporti sociali vigenti, e che consolidano dunque la società nel suo funzionamento interno e ne favoriscono la perpetuazione. E tuttavia, le strutture extraeconomiche sono pur sempre, secondo Marx, un 'riverbero' di quelle economiche, primarie e fondamentali.

Tuttavia, una tale affermazione sembra essere contraddetta da quella, cui si è già accennato, secondo la quale alla base dei cambiamenti economici possono esservi anche elementi estrinseci all’economia stessa. Non esiste infatti logicamente ragione per escludere che i fattori di carattere non propriamente economico possano porsi all’origine di mutamenti strutturali della società, o comunque concorrere ad essi non meno di quelli economici.

La ragione per la quale Marx ed Engels non si soffermarono mai approfonditamente su questo aspetto del loro stesso pensiero sta forse, oltre che nei limiti di tempo e di energia che condizionano ogni opera umana, nel fatto che la loro analisi si pose sin dall’inizio in netta contrapposizione a quella, idealistica, hegeliana. Marx e Engels avrebbero infatti cercato di portare avanti un discorso diametralmente opposto a quello hegeliano, prediligendo fattori di cambiamento economici, o comunque concreti, a quelli 'spirituali' attorno ai quali appunto, ruotava l’analisi di Hegel.

Un’altra ragione potrebbe risiedere nel fatto che, concedendo uno spazio eccessivo a fattori legati alla libertà e alla volontà degli individui (intesi sia singolarmente, sia collettivamente), essi avrebbero attenuato la propria impostazione deterministica e storicistica, indebolendo così l’idea stessa di un necessario progresso dell’umanità dagli stadi primitivi fino all’instaurazione del comunismo, inteso come compimento ultimo della storia.

Quello marxista è dunque – anche nei suoi esponenti più tardi – un pensiero rigorosamente materialistico, che come tale conferisce ai fattori materiali (in specie economici) una preminenza netta, se non assoluta, su quelli "sovrastrutturali" (visti come riflesso e sostegno, seppure indispensabile, dei primi) nella dinamica delle società.

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - Sintesi in pdf-zip

Adriano Torricelli - Homolaicus - Contatto - Sezione Economia


Web Homolaicus

 - Stampa pagina
Aggiornamento: 12/09/2014