IMBRIANI - FIABA 2

VITTORIO IMBRIANI

Il Mondo sottoterra

G. De Chirico, Gladiatori nella stanza, part. (coll. privata)

Fabia Zanasi

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C'era una volta un omo che aveva tre figlioli. Si sa bene che più che vecchi non si campa; quest'omo, prima di morire, chiama i figlioli al letto e gli dice: "Sentite ragazzi. Vedete, io sono per morire: mi raccomando che voi stiate in pace. E questo po' di roba, fatene le parti uguali".

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Dunque questo viene a morte, e non se ne parla più; e rimane questi tre figlioli poeri. "Come si deve fare? - dicono - Si venderà questo po' di roba e ci si metterà in viaggio per vedere se si fa fortuna". Vendon la roba e poi vanno via. Quando sono per la strada camminan quanton posson camminare, e si mettono in un'osteria a mangiar qualcosa, perché avevan fame, sapete? Poi si rimettono in viaggio e cammina cammina si trovano sur una bella piazza. E si voltano e vedono una lapide che ci diceva: Il Mondo sottoterra.

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E questi ragazzi trovano una casa di un contadino e picchiano. Dice: "Ci dareste un corbello, una fune e un campanello? Or ora noi vi si riporta". Questi contadini gnene dànno e loro si mettono ad alzà questa lapide. L'alzano. Dice il maggiore: "Entrerò io in questo corbello. Quando sentite ch'io sòno tiratemi su; gli è segno che non trovo il fondo". Più che gli andava in giù, più bujo, più bujo. Sòna il campanello e vien su. Quell'altro fratello: "Ma perché? - dice - Ora, ora, che vado io!". Entra lui e va giù. Anche codesto, quando gli è a un dato punto, sòna e ritorna in su: gua' non trovava fondo!

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Dice il minore: "Anderò io. O che si mora di fame, o che si mora nell'andare giù, gli è la medesima: qualcosa sarà di me". E così entra nel corbello e va giù, giù, giù: sino in fondo. E vede un cortile. Guarda: di qui morti, di qua morti, tutti morti attaccati. In mentre gli è lì a guardare i morti, sente dire: "Che fai tu costi?". Dice, poerino: "Siamo venuti a cercar fortuna. Siamo tre figlioli che ci è morto il babbo. Siamo in estremo bisogno". "Ah poerino! - dice - tu non lo sai? Tu non vedi come sono questi morti? Come sei venuto te tu sarai come loro". "Perché?"

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"Ora ti dirò il perché. Abbi da sapere che ci è un gigante che tiene una Regina tutta incatenata. Se non ti riescisse d'ammazzarlo, tu l'avresti pur troppo la sorte. Tieni! - dice - Questo è un mazzo di chiavi e questa è una falce. Va avanti. Ci sono sette porte da aprire da questo gigante. Se tu sei bravo e lesto con questa falce di tagliargli la testa, tu sei un signore". E sparisce il vecchio.

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Questo povero giovane comincia ad aprire una porta, ne apre un'altra, infino a sei. Quando gli è all'ultima sente uno scatenio, un rumore d'armi: era il gigante, che sentendo avvicinare il nemico, arrotava le armi. E lui un timor pànico, non sapeva neppure cosa si fare. Si fa coraggio, apre l'uscio, e con la falce lo piglia così alla gola e il gigante casca a terra. Appena cascato a terra, un urlìo: "Eccolo il nostro salvatore! eccolo il nostro liberatore!".

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Va dietro alle voci e trova la porta in dove era incatenata la Regina. Apre e vede questa disgraziata poerina lì più morta che viva, piena di catene. Gli apre le catene, gli leva tutte quelle che vede. Dice: "Voi sarete il mio sposo, voi mi avete salvata la vita". Prendono tutte le ricchezze che c'eran lì: e mettono tanta roba nel corbello; sonano e i fratelli tiran su, e veggono questa gran ricchezza di quattrini, d'oro, di tutto. Ricalano il corbello: per quattro volte il corbello fu pieno di queste gran ricchezze.

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Finalmente il fratello minore mette la sposa nel corbello, perché la tirin su. I fratelli che veggono tutta questa gran ricchezza e questa bella donna, che fanno? Buttan giù la lapide, vanno a riportare il corbello e la fune e si rimettono in viaggio con la Regina e i tesori. Il fratello minore sta lì ad aspettare il corbello per venir su: l'aspetta ancora. Sente l'istessa voce del vecchio che s'affaccia: "Vedi tu, se tu siei stato tradito? Ora tu siè' morto: che vuoi tu fare? Non c’è altro scampo - dice - ché alle dodici viene il drago. O senti: li vedi questi morti? Mettigline tre o quattro costì; ed empigli un bel bigotto d'acqua".

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Questo ragazzo obbedisce subito a quel che dice il vecchio. "E quando tu senti che gli ha mangiato tutti questi morti, e gli ha bevuto, lui s'addormenta. Vai adagio, adagio; attaccati al collo. Lui va via e ti porta via da questo posto". E questo vecchio si vole che fosse l'anima di suo padre, de' tre fratelli. Questo ragazzo gli fa tutta l'obbedienza; prepara tutta la roba come aveva detto e si mette da sparte d'un cantuccio, niscosto. Quando gli è le dodici, eccoti il drago, bruummatatapum! Si mette a mangiare tutti questi morti; beve; e poi si mette a dormire saporitamente. Questo ragazzo adagio adagio si attacca al collo, e il drago che sente e non sa che sia, via fori della buca. E lui, gli riesce di attaccarsi ad un albero.

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Dunque la mattina, sapete bene, i contadini vengon giù presto, all'alba; quando sono a questo posto, dice: "Oh c'è gente sopra quegli alberi". Dicono gli altri: "Eh, c'è davvero, io vo' a casa". E tornano tutti addietro. Vanno a casa; e prende la falce, prende la vanga: "Perché - dice - se è qualche traditore, in tanti si ammazza". Aspettan che si faccia lume e veggon che gli è un omo davvero: "Che fai costassù?". "Ahn! - dice - sono un povero disgraziato! Èramo tre fratelli: siamo venuti per far fortuna...", e gli fa tutta la spiegazione.

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Dicono: "Questo de' esser quello! Io ho inteso che avete trovata la ricchezza?". "Sì, appunto". Dicono: "O non sapete che a mezzogiorno uno dei vostri fratelli gli è sposo della Regina che voi avete liberata?". Gli metton delle funi, s'imbracá e vien giù questo poero disgraziato. "Noi - dicono i contadini - vi accompagneremo sino alla casa de' vostri fratelli, poerino!".

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Vanno alla casa e picchiano. I traditori s'affacciano e veggono che gliè il fratello. "Che nessuno apra! che nessuno apra!". Picchia picchia e nessuno apriva. Che ti fanno i contadini? Vanno alla giustizia e gli raccontano il caso. La giustizia picchia; e nessun risponde. E buttan giù la porta, oh lo credo, io! "Oh traditori iniqui - dice - ora per voi è finito il bene stare!".

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Li ammanettano, gli legano le braccia e li portano al bargello. "E voi sarete lo sposo - dice il giudice al fratello minore. E lo sposalizio seguirà a mezzogiorno con la vostra sposa". Ah potete credere la sposa quando lo vedde può immaginarsi! il suo liberatore! che gioja ch'ella ebbe. Segue lo sposalizio, com'era fissato; e all'ora del pranzo i fratelli furono impiccati tutti e due. Questo fu il pago che ebbero.

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E così loro, gli sposi, senza più paura e timore se ne vissero insieme in pace. E così questa novella è finita. O non è bella?

(Da La novelleja fiorentina, Rizzoli, Milano,1976)

La fiaba - Analisi testuale

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 25-04-2015