LA SCIENZA NEL SEICENTO

L'inizio della fine della natura

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Conclusione

Gli esseri umani vivono su un pianeta che hanno chiamato “Terra”, pur essendo esso prevalentemente composto di acqua (71%), un elemento praticamente introvabile o inutilizzabile negli altri pianeti, e senza il quale la vita è impossibile. La presenza dell'acqua sulla superficie terrestre è il prodotto della pressione atmosferica e di un'orbita stabile nella zona abitabile circumstellare del Sole, ma la sua provenienza rimane sconosciuta. Molti scienziati deducono che l'acqua liquida una volta copriva vaste aree di Marte e Venere, ma su questi pianeta la vita è letteralmente impossibile e non solo quella umana.1 Può essere casuale il fatto che solo sul nostro pianeta sia presente la vita in tutte le sue forme?

Viviamo un'esperienza simile a quella del feto nel ventre della madre, immersi nell'acqua, in cui navighiamo come fossimo sommozzatori. Non riusciamo a stare fermi. A volte ci muoviamo in maniera tale che il cordone ombelicale si attorciglia attorno al collo. Però ad un certo punto avvertiamo la necessità di uscire da uno spazio che ci è diventato troppo piccolo. Microcosmo e macrocosmo straordinariamente si somigliano. Si potrebbe addirittura dire che come la natura terrestre limitata sta alla materia cosmica illimitata, così l'essere umano mortale in quanto terreno sta all'essenza umana immortale in quanto universale.

I movimenti del feto, se sono pericolosi per la sua sopravvivenza (si pensi solo alla posizione podalica), vanno considerati del tutto casuali, ma noi umani, da quando siamo comparsi su questo pianeta, abbiamo preso a vivere, circa 6000 anni fa, in maniera innaturale e per nostra diretta responsabilità. L'uomo è l'unico essere animato del pianeta (e probabilmente dell'intero universo) che può compiere cose contronatura, cioè, in definitiva, contro se stesso. Che lo faccia per scelta consapevole o perché si sente talmente condizionato da ciò che lo circonda da non poter fare diversamente, non cambia la sostanza delle cose. Di fatto siamo esseri pericolosi, e la natura, la cui integrità è sempre più minacciata, sembra non avere più le risorse sufficienti per riprodursi secondo le proprie leggi. La desertificazione è forse l'unica strada che le resta per ridurre al minimo il nostro impatto nocivo?

Eppure l'uomo è anche l'unico essere vivente che, quando si comporta secondo natura, sa perché è giusto comportarsi così. È un animale che non vive solo di istinti, ma anche di razionalità, di intelligenza delle cose. E anche il fatto che sia l'unico non può essere considerato casuale. L'essere umano è un ente di natura che ha consapevolezza del perché la natura si comporta in un determinato modo. Ha una conoscenza sempre più precisa delle sue leggi, dei suoi meccanismi. In lui è grave soltanto il fatto che, pur avendo conoscenza delle “ragioni” della natura, non le rispetta come dovrebbe.

Tale atteggiamento, finché gli abitanti del pianeta erano pochi in grandi spazi geografici, con strumenti tecnologici poco impattanti sui processi naturali, poteva anche essere sopportato dalle forze della natura. Oggi però, con una crescita globale della popolazione umana pari a circa 75 milioni di individui ogni anno, tale sopportazione non è più possibile, anche perché i mezzi che usa una popolazione così numerosa, cresciuta in maniera spropositata negli ultimi due secoli (da 1 miliardo nel 1804 a 7 miliardi nel 2011), sono altamente pericolosi non solo per l'integrità della natura, ma anche per la sopravvivenza di qualunque essere vivente.

Circa 10.000 anni fa, con la nascita dell'agricoltura, abbiamo modificato enormemente il nostro modo tradizionale di vivere, ch'era quello del raccoglitore e del cacciatore. Circa 6000 anni fa abbiamo introdotto nella storia del genere umano la schiavitù, che si è evoluta in tre forme diverse di dipendenza: fisica, tributaria e salariata.

La schiavitù fisica negava qualunque tipo di diritto e lo schiavista poteva fare dello schiavo ciò che voleva. Nella servitù tributaria (quella feudale) il sottoposto aveva qualche diritto in più, ma certamente non la libertà. La libertà è invece conosciuta dall'operaio o dall'intellettuale salariato, il quale, essendo privo di proprietà, conosce solo una libertà formale o giuridica. La libertà vera, quella sostanziale, quella de jure e de facto, non si conosce più: per averla occorre una certa proprietà privata, un certo reddito.

In mezzo a queste tre forme di schiavitù vi sono ovviamente molte varianti, a seconda che lo schiavista sia una persona privata o un ente pubblico. L'ultima schiavitù, quella salariata, ha permesso la libertà giuridica perché, nel contempo, ha sviluppato, grazie alla scienza, un progresso tecnologico che permette di arricchirsi in una maniera spropositata. Questa tecnologia è la principale artefice della devastazione dell'ambiente naturale, e costituisce la principale minaccia all'esistenza della stessa specie umana.

Al momento attuale, per quanti sforzi scientifici e tecnologici si facciano di avventurarsi nello spazio cosmico, non siamo in grado di popolare l'universo con razionalità. Siamo diventati degli esseri inutili, proprio in quanto nocivi all'ambiente e a noi stessi. Sarebbe meglio che scomparissimo dalla faccia della Terra. Meglio ancora, naturalmente, sarebbe che gli elementi “sani” della nostra specie – se ancora ve ne sono – facessero una rivoluzione tale da riportare le cose com'erano nella fase della partenza, cioè al Paleolitico. Ma per farlo non basta una rivoluzione politica: occorre anche procedere a una riforestazione dell'intero pianeta. Dobbiamo riportarlo com'era in origine, poiché questa è la sola condizione per poterlo riprodurre nell'universo, dove gli spazi sono davvero infiniti.

Infatti, si può anche pensare che, uscendo da questo pianeta, le condizioni materiali della nostra esistenza, non saranno più esattamente identiche a quelle attuali, ma non possiamo pensare che saranno diverse le caratteristiche della nostra identità umana, che per poter vivere serenamente e dignitosamente ha bisogno di esercitare la libertà di coscienza e di conoscenza, di azione e di relazione. Non possiamo uscire da questa porzione di universo senza capire come eravamo quando ci siamo entrati. L'evoluzione che abbiamo vissuto non può farci dimenticare chi davvero siamo. Solo se sappiamo chi siamo, potremo vivere in maniera umana e naturale, in condizione ambientali diverse da quelle terrene.

L'essenza umana è qualcosa che ci precede nel tempo. Fa parte dell'universo, che è illimitato nello spazio ed eterno nel tempo. L'universo è il contenitore infinito di una coscienza altrettanto infinita. Ecco perché diciamo che l'essenza umana non è mai nata, e quindi è destinata a esistere. Si tratta soltanto di trovare il modo di farla esistere in maniera naturale, conformemente alle leggi necessarie dell'universo, la prima delle quali è la libertà di coscienza. Senza il rispetto integrale di questa libertà, ogni esistenza umana è impossibile. Se manca il rispetto di questa legge fondamentale, diventa impossibile il rispetto integrale di tutte le altre leggi.

Se dovessimo elaborare un modello matematico della libertà umana, dovremmo per forza concludere che il numero delle scelte possibili resta sempre superiore al numero degli oggetti possibili nel mondo fisico. La libertà infatti è oggetto di esperienza, non di logica, per cui praticamente non ha confini. La libertà è la possibilità sperimentale di scegliere tra tutto ciò che può essere oggetto di scelta, anche senza necessità che la scelta sia logicamente corretta. È una invariante insopprimibile, proprio perché il nulla non esiste.

Gli esseri umani sono figli di un intervento esterno al pianeta in cui vivono. Sono figli di un'inseminazione naturale. Sono figli di un'essenza che ha tutte le caratteristiche della nostra umanità. Questa essenza deve poter essere riconosciuta come tale, altrimenti non avrà alcun senso popolare l'universo. Non possiamo continuare a diffonderci così come stiamo facendo in questo momento. Per poterlo fare in maniera adeguata, dobbiamo essere “naturali”, non “alienati”, dobbiamo essere noi stessi e non qualcosa di diverso. Tra l'essere e il dover essere non deve esserci alcuna differenza. Non possiamo portarci dietro dei problemi irrisolti. Siamo entrati nudi in questo pianeta e nudi ne usciremo. Infatti nulla è più importante dello sviluppo della coscienza.

L'unica cosa che ci verrà chiesta è come abbiamo sviluppato la nostra coscienza in rapporto all'ambiente in cui abbiamo vissuto, in rapporto alle persone con cui ci siamo relazionati. In riferimento allo sviluppo di tale coscienza ci verranno assegnati dei compiti adeguati, corrispondenti al suo livello. Noi siamo destinati a crescere di continuo, ad assumerci responsabilità sempre più significative, di cui dobbiamo sempre rendere conto, poiché la responsabilità personale di ciò che si fa, è la condizione che ci permette di capire se facciamo cose giuste o sbagliate. La responsabilità personale non è qualcosa che uno possa vivere da solo, nell'intimo della propria coscienza. Un “io” isolato è un'astrazione priva di senso. L'identità umana è data dalla relazione sociale. Ora che abbiamo capito che nell'universo non esiste alcun dio ma soltanto l'essere umano, resta da compiere l'ultimo passo: come rendere umano l'uomo, cioè come renderlo conforme alle esigenze della materia.

E, per fare ciò, dovremmo partire dal presupposto che, per come siamo fatti, solo su questo pianeta possiamo vivere in maniera naturale. Non può interessarci sapere come vivere al di fuori della Terra, poiché, anche se vi riuscissimo, saremmo costretti a ricorrere a qualcosa di artificiale. Quindi la famosa frase del Baronio, citata spesso da Galilei: “La Bibbia ci dice come si va in cielo, non come va il cielo”, è, sul piano astratto, cioè a prescindere dal suo contenuto mistico, sostanzialmente giusta, anche sul piano scientifico. All'essere umano deve premere sapere come poter vivere, al meglio, qui e ora, perché solo così potrà essere sicuro di come poter vivere una volta uscito dal ventre terracqueo. E come al feto non interessa sapere come funziona il cordone ombelicale per la propria nutrizione, così a noi non deve interessare più di tanto sapere come funziona la natura. Nessuno dice al feto in che posizione deve mettersi per poter uscire dal sacco amniotico. Lasciamo quindi che la natura ci determini più di quanto fino ad oggi le abbiamo concesso.

*

La scienza moderna, nata nel XVII secolo, non va contestata perché contraria alla religione, ma perché contraria all'etica. Qualcuno potrà dire che, a quel tempo, religione e morale coincidevano, in quanto era la Chiesa a dire come ci si doveva comportare in ogni situazione della vita, e quindi anche in campo scientifico. E tuttavia l'etica della Chiesa, essendo appunto “religiosa”, non poteva essere laica, cioè aperta a soluzioni non dogmatiche.

Anche questa però può essere un'affermazione molto discutibile, in quanto l'etica religiosa della Chiesa romana conteneva molti aspetti di laicità, sin dalla riscoperta accademica dell'aristotelismo, che si poneva in antitesi alla tradizione platonico-agostiniana. Possiamo addirittura dire che il progresso verso il pensiero scientifico fu proprio una conseguenza, indiretta o involontaria, di quella distinzione che gli Scolastici cominciarono a fare tra funzioni della fede e funzioni della ragione. A forza di distinguere le due facoltà umane si arrivò, a un certo punto, a dire con la ragione cose molto diverse da quelle che per tradizione o secondo autorità si dicevano con la fede.

E la rottura fu inevitabile, non solo con Galilei, messo agli arresti domiciliari e obbligato all'abiura, ma anche con Machiavelli, le cui opere vennero messe tutte all'Indice, o con Giordano Bruno, messo sul rogo, o con Campanella, che passò 27 anni in carcere, e con tanti altri. La reazione della Chiesa fu durissima, poiché, essendo un soggetto eminentemente politico, temeva di perdere il proprio potere temporale. Di conseguenza, invece di considerare l'evoluzione del pensiero scientifico come necessariamente separato o distinto dalla riflessione teologica, lo interpretò come una minaccia alla propria stabilità.

Sbagliò in questo comportamento? Se si accetta l'idea che una Chiesa debba fare politica, certamente no. Ma la cosa sarebbe da discutere anche solo dal punto di vista etico. Infatti è sotto gli occhi di tutti che la scienza cosiddetta “sperimentale” o “induttiva”, nata con Bacone e Galilei, ha prodotto, a distanza di quattro secoli, immani disastri ambientali. E continua a farlo imperterrita, nonostante gli allarmi degli ecologisti.

Ovviamente le autorità ecclesiastiche non si opponevano ai princìpi della scienza sulla base di una salvaguardia della natura. E tuttavia ci si può chiedere se una difesa dei valori squisitamente religiosi avrebbe potuto in qualche modo favorire un maggior rispetto dell'ambiente.

Qui però bisognerebbe aprire una parentesi, ponendo in discussione il concetto stesso di “valori religiosi”, poiché, guardando quelli professati dal papato, vien da pensare che fossero più che altro dei valori politici rivestiti da un'ideologia di tipo religioso. Anzi, ci si può addirittura chiedere se non fosse stata proprio questa fondamentale incoerenza a favorire, nella classe borghese, l'esigenza di uno sviluppo del pensiero scientifico del tutto autonomo dalla fede, il quale pensiero, dando più peso alla ragione, voleva porsi in maniera più coerente. In tal senso dovremmo dire che, condannando la scienza, la Chiesa romana, in realtà, stava condannando se stessa, o comunque stava condannando un prodotto inevitabile di un proprio comportamento che di “religioso” aveva assai poco.

Problematiche del genere non si ponevano neppure nel Seicento. Tuttavia era forte la consapevolezza negli scienziati di voler “dominare” la natura, cioè di voler conoscere le sue leggi per meglio permettere alla borghesia di sfruttarla. Le scoperte scientifiche venivano incontro alle esigenze di una classe emergente, quella appunto borghese, che, a partire dalla nascita dei Comuni, aveva cominciato a farsi strada in Europa occidentale, e che, a partire dalla scoperta dell'America, aveva cominciato a dominare molti territori extraeuropei, e che, a partire dalla formazione delle monarchie assolutistiche, aveva cominciato a ridimensionare i poteri dell'aristocrazia, laica ed ecclesiastica.

Le suddette problematiche, quindi, non si ponevano perché non si aveva alcuna consapevolezza ambientale, ma anche perché i poteri che si contrapponevano erano entrambi autoritari: quello ecclesiastico perché di tipo feudale, quello borghese perché di tipo capitalistico. La Chiesa subordinava la natura a una concezione religiosa favorevole alla teocrazia; la borghesia subordinava la natura alle esigenze del profitto economico.

Quindi tra Chiesa romana e scienziati borghesi la contrapposizione era molto relativa, in quanto, in definitiva, essi rappresentavano le due facce di una stessa medaglia. Nessuno dei due contendenti stava difendendo un'etica davvero democratica e umanistica, e tanto meno un'etica ambientalistica.

È vero che la Chiesa non parlava di “dominare” la natura (nel Genesi l'Eden andava soltanto “custodito”), ma è anche vero che non le riconosceva alcuna autonomia: la natura veniva considerata un semplice strumento che Dio metteva a disposizione dell'uomo e che, in ultima istanza avrebbe sempre potuto riprendersi (p.es. nei confronti dell'idea di “fine del mondo” era implicito che Dio si sarebbe servito di imponenti fenomeni naturali).

Tra Dio, Natura e Uomo vi era lo stesso rapporto che il mondo feudale esprimeva tra sovrano, terra (o feudo) e vassallo. Il feudo non veniva dato in “proprietà” (anche se, a partire dall'877, per i grandi vassalli, cominciò a esserlo), ma solo in “usufrutto”, e in teoria poteva essere revocato in qualunque momento. Il fatto che i vassalli insistessero per averlo in proprietà (e nel 1037 vi riuscirono anche i minori), sta proprio a indicare che nel feudalesimo dell'Europa occidentale le esigenze di tipo individualistico sono sempre state molto forti.

Questo per dire che se in epoca feudale la Chiesa si trovò a essere meno invasiva nei confronti della natura, fu solo perché disponeva di mezzi tecnologici di molto inferiori a quelli che si diede la classe borghese. Da un lato quindi la Chiesa romana considerava la natura uno strumento nelle mani di Dio (al pari del tempo2); dall'altro però non si sarebbe fatta scrupolo di sottomettere la natura alle esigenze umane di dominio, o comunque non sarebbe stata capace di trovare nella propria ideologia valide motivazioni per impedirlo.3

Quando la Chiesa si opponeva allo sviluppo scientifico, non era tanto per tutelare le esigenze riproduttive della natura, quanto piuttosto perché in quello sviluppo scorgeva degli aspetti che mettevano in discussione le fondamenta del proprio potere politico. È infatti evidente che se una propria autorità politica si basa anche sul fatto che tutti devono credere nel geocentrismo, quando qualcuno parla di eliocentrismo, fosse anche un esponente del clero in tutta la sua buona fede (come lo fu p.es. Copernico), non è possibile non sospettarlo di “eresia”.

Al papato ci sono voluti 400 anni prima di ammettere che nei confronti di Galilei ci si era sbagliati. Tuttavia papa Wojtyla, facendolo, non si era reso conto che contro quella scienza antiecologica è invece venuto il momento di dire qualcosa che sia davvero umanistico e naturalistico. Paradossalmente quindi la Chiesa romana nei confronti di Galilei ha sbagliato due volte.

*

Insomma, in origine deve esserci stata una coppia in grado di riprodursi. Deve averlo fatto sulla Terra, e noi non possiamo sapere se l'aveva già fatto altrove. Sappiamo però che sulla Terra si è riprodotta umanamente. La provenienza degli esseri umani dagli animali è esclusa a priori. Probabilmente è vero il contrario: gli animali sono, in qualche maniera, un prodotto umano. Infatti non c'è nessuna proprietà animale che noi non possiamo riprodurre. Questo vuol dire che l'elemento terreno è stato fondamentale per riprodursi umanamente. Se quella coppia si è riprodotta altrove, il prodotto non era esattamente umano come noi.

Ma cos'è che ci rende umani? Due cose qualificano la nostra umanità: la prima è che siamo fatti di materialità, cioè siamo enti di natura; la seconda è che esiste in noi un elemento immateriale o spirituale, la libertà di coscienza, che in natura nessun altro conosce.

La coppia che ha originato gli esseri umani sulla Terra, distinti per genere, è per noi un prototipo, un modello originario. Fare l'uomo vuol dire fare la specie umana divisa per genere sessuale, in grado di riprodursi da sola, senza bisogno di un aiuto esterno. È stato creato un genere umano del tutto autosufficiente, dipendente solo dalla natura. Siamo fatti a immagine e somiglianza di una coppia ancestrale, che ci precede nel tempo, ma che nella sostanza è fatta come noi, incapace di sottrarsi ai vincoli della materia cosmica, ma dotata di una autoconsapevolezza che la materia non possiede. E la materia cosmica non coincide esattamente con la materia terrestre, cioè con la natura, in quanto è infinitamente più complessa, essendo originaria, non derivata.

Quindi come “esseri umani” siamo stati generati sulla Terra, ma come “essenza umana” siamo enti cosmici e universali, eterni come la materia. Noi abbiamo una libertà di coscienza la cui profondità e vastità è paragonabile solo a quella spazio-temporale ed energetica della materia cosmica. L'essere non coincide esattamente con l'essenza. Questa è più complessa di quello, poiché può esistere indipendentemente dalle caratteristiche terrene. Cioè la materialità dell'essenza umana è più complessa di quella dell'essere umano: solo nell'aspetto della libertà di coscienza è identica. Nel cosmo infatti non abbiamo a che fare con la gravitazione universale, coi limiti dello spazio e del tempo, e possiamo viaggiare alla velocità della luce. Nel cosmo l'energia prevale sulla materia. Se la materia si consuma, l'energia non si consuma mai. Non ne sappiamo la ragione e non ne conosciamo il modo, anche se Max Planck arrivò a dire che tutta la materia non esiste che in virtù di una forza che fa vibrare le particelle e mantiene in vita il minuscolo sistema solare dell'atomo. Quindi sappiamo con sicurezza che nel cosmo l'energia trasforma la materia di continuo, conservandone le proprietà fondamentali e associandole in maniera tale da ottenerne di nuove.

Sulla Terra dobbiamo affrontare il problema dell'invecchiamento, della malattia, della morte: tutto ciò provoca dolore. Nel cosmo l'unico dolore è provocato dall'uso sbagliato della libertà di coscienza. Sulla Terra l'uso sbagliato di tale libertà termina, individualmente, con la morte. Nel cosmo può non terminare mai. Collettivamente, nella forma generazionale, anche sulla Terra può non terminare mai. Ma questo uso sbagliato della libertà di coscienza è un fenomeno innaturale, che, come tale, viene continuamente combattuto. La lotta contro l'abuso della libertà è una costante sulla Terra (almeno sin da quando è nato lo schiavismo) e, come tale, può essere una costante anche nel cosmo, poiché nessuno può obbligare l'uomo a essere umano e naturale. L'unica cosa che nel cosmo si può fare, essendoci spazi infiniti, è permettere a chiunque lo voglia, d'essere se stesso, conforme a natura. Sulla Terra, invece, essendo gli spazi limitati, i condizionamenti negativi sono molto più forti, per cui la lotta è più intensa e dolorosa.

Noi abbiamo bisogno d'imparare a essere umani e naturali, per continuare a esserlo, in forme diverse, anche nel cosmo. Ci attendono forme potenziate, di molto superiori a quelle che sperimentiamo adesso. Tuttavia non saranno così superiori da minacciare l'inviolabilità della libertà di coscienza, né l'integrità della natura. L'importante per noi è sapere che non possiamo anticipare su questo pianeta ciò che dovremo vivere nel cosmo. Dobbiamo rispettare i limiti entro cui siamo stati posti. La libertà è tale sempre all'interno di limiti di cui possiamo prendere coscienza. Nel cosmo non avremo gli stessi limiti terreni, ma uno sarà assolutamente identico: la libertà di coscienza resterà inviolabile. Alla coscienza della libertà ci si deve arrivare spontaneamente, senza costrizione da parte di nessuno. La verità non può essere imposta, senza contraddirla immediatamente: infatti essa coincide con la libertà. Solo i limiti entro cui la verità e la libertà sono se stesse, possono essere imposti. Ma questi limiti vengono decisi dalla materia cosmica: quella materia di cui noi tutti siamo parte organica, da sempre.

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Albert Einstein stabilì l'uguaglianza di materia ed energia che sta alla base della bomba atomica, ma quando cercò una teoria unitaria sulla luce, la materia e la gravitazione, non riuscì a trovarla. Eppure se avesse considerato la cosa dal punto di vista non scientifico ma etico, non sarebbe stato difficile. La coscienza infatti supera la scienza.

In virtù della coscienza la gravità potrà essere vinta in qualunque momento, e accettata anche in qualunque momento, come una forma di impegno personale, una sorta di autolimitazione. Si potrà viaggiare alla velocità della luce, senza poter anticipare i pensieri altrui: avremo la percezione dell'infinità dell'universo e dell'impossibilità di poterne violare le leggi. L'energia che produrremo sarà praticamente illimitata, e il mezzo materiale con cui la trasmetteremo non si consumerà mai, almeno non così presto da metterci in affanno, anche se solo nei problemi da risolvere ci realizzeremo, poiché la contraddizione non è un limite ma una risorsa.

La trasparenza sarà il criterio della felicità interiore. La verità ci renderà liberi perché saremo veri nella libertà. L'impegno di ognuno di noi sarà quello di ricostruire da zero il paradiso terrestre che abbiamo distrutto, per il quale ci sono voluti miliardi di anni. Ciò al fine di capire la complessità e la delicatezza delle cose, il necessario equilibrio per farle funzionare, tutte le incredibili leggi della dialettica degli opposti che si attraggono e si respingono, per distinguersi e per completarsi. Nulla di positivo di quanto abbiamo vissuto sulla Terra andrà perduto. Tutto quello che di positivo avremmo voluto concludere, senza riuscirvi, sarà concluso, se lo riterremo di fondamentale importanza e se sarà compatibile con le nuove condizioni in cui andremo a vivere. Nessuno potrà cancellare dalla nostra mente la memoria delle cose belle che abbiamo vissuto, anche se dovremo avere la forza di perdonarci per le cose che ci hanno fatto soffrire.

Noi saremo quel che vogliamo essere nel rispetto della libertà e della volontà altrui. Se vorremo far del male a qualcuno, potremo farlo solo a noi stessi, poiché nessuno sarà obbligato ad accettare qualcosa contro la propria volontà. Non esisterà alcun ente esterno a noi, cui dovremo dipendere contro la nostra volontà.

Il tempo e lo spazio saranno assolutamente relativi alla nostra percezione. Il tempo sarà eterno e lo spazio quello in cui noi decideremo di vivere finché vorremo. Non ci sarà nessun limite alle relazioni sociali né all'apprendimento. La libertà di coscienza sarà la principale legge dell'universo e avrà come unico fine la coscienza della libertà, personale e collettiva. In ogni angolo dell'universo sarà scolpito a caratteri cubitali il principio “L'identità è data dalla diversità”, che in altre parole vuol dire: “In principio vi è il due”.

La riproduzione sarà un'altra legge fondamentale dell'universo, ma quella della specie umana non avverrà nelle stesse forme terrene, proprio perché sulla Terra è strettamente legata all'esperienza dell'invecchiamento e della morte. Nessuno potrà impedire l'attrazione tra generi diversi, ma la sessualità è finalizzata alla riproduzione fisica. Nel cosmo l'energia avrà una prevalenza sulla materia. L'energia sarà materia reduplicata all'ennesima potenza. Così come l'energia solare, composta di idrogeno ed elio, ha prodotto la materia terrena, senza subire modifiche eccessive. L'energia umana più potente sarà quella dell'amore reciproco.


1Oggi le ricerche sono andate molto oltre nell'individuazione di acqua nel sistema solare. Gli scienziati concordano, p.es., sul fatto che sotto la superficie di Europa (la luna di Giove) esista uno strato d'acqua liquida. Anche Encelado, una luna di Saturno, ha rivelato dei geyser d'acqua. Si ipotizza l'esistenza di un oceano salino subsuperficiale su Ganimede, una luna di Giove. L'asteroide Cerere sembra essere differenziato in un nucleo roccioso e un mantello ghiacciato, e potrebbe avere un oceano liquido di acqua residuo sotto lo strato di ghiaccio. I “giganti ghiacciati”, come i pianeti Urano e Nettuno, si pensa abbiano un oceano d'acqua “supercritico” sotto le loro nuvole.

2Il tempo era considerato uno strumento nelle mani di Dio, al punto che si vietava il prestito a interesse, anche se poi, con la nascita dei Comuni, la teologia scolastica cominciò a tollerarlo a condizione che l'interesse non fosse eccessivo. Dopodiché la Chiesa fu costretta a inventarsi i monti di pietà per venire incontro alle esigenze di quei cristiani che non erano in grado di pagare eccessivi interessi. La storia dell'usura, sotto questo aspetto, sembra anticipare quello che sarebbe avvenuto nell'evoluzione del pensiero scientifico.

3 Né le trova oggi: basta vedere come inquina l'ambiente con le onde elettromagnetiche di Radio Vaticana.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza
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