Pascal come Hobbes?

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PASCAL come Hobbes?

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Pascal

Distanti per l’impostazione di fondo delle loro filosofie, Hobbes e Pascal sono molto vicini nel pensiero politico. Certo, Pascal non mette al centro del suo pensiero, come invece fa Hobbes, il problema politico, né gli dedica scritti tanto impegnativi e complessi. Nei suoi Pensieri, però, si ritrovano cose hobbesiane non di poco conto.

Pascal, la cui famiglia, nel maggio 1649, a causa dei disordini della Fronda, si allontana da Parigi fino al novembre 1650, manifesta la stessa insofferenza di Hobbes per il pensiero rivoluzionario o comunque teso alla trasformazione dell’ordine politico esistente, lo stesso pessimismo antropologico e sostiene lo stesso primato della forza sulla ragione.

Pessimismo antropologico

“Si son fondate sulla concupiscenza, e si son ricavate da essa norme mirabili di ordine civile, di morale e di giustizia; ma in realtà, questo laido fondo dell’uomo, questo "figmentum mali" è stato dissimulato, non già tolto via” (256).[1] “Tutti gli uomini si odiano per natura l’un l’altro. Si è cercato, meglio che si è potuto, di far servire la concupiscenza al bene comune. Ma è soltanto finzione, e una falsa immagine della carità: perché in fondo è sempre odio” (257).

In Pascal, giansenista, il pessimismo antropologico risente del pensiero agostiniano antipelagiano, che, attraverso il volontarismo tardomedievale, agisce anche su Hobbes.

L’abbandono del giusnaturalismo

“Ho trascorso molto tempo della mia vita credendo che ci fosse una giustizia; e non mi ingannavo, dacché ce n’è una, secondo a Dio piacque di rivelarcela. Ma non la intendevo così, e in ciò sbagliavo: perché credevo che la nostra giustizia fosse per essenza giusta e mi stimavo capace di conoscerla e di giudicarne. Sennonché mi sono trovato tante volte senza un retto criterio di giudizio che, alla fine, ho preso a diffidare di me e poi degli altri. Ho veduto tutti i paesi e gli uomini cambiare; e così, dopo molti cambiamenti di giudizio nei confronti della vera giustizia, mi sono convinto che la nostra natura non è se non continuo mutamento” (300).

Nel pensiero successivo, Pascal dice che ”ci sono, senza dubbio, leggi naturali, ma questa bella ragione corrotta ha corrotto ogni cosa”.

Come Agostino nella lunga polemica contro Pelagio abbandona il primitivo razionalismo giusnaturalistico, anche Pascal abbandona la sua primitiva fede nella ragione sui temi della giustizia, ma lo fa in modo anche più radicale: perde anche l’idea di legge naturale. In Hobbes, invece, non c’è conversione: è il giusnaturalismo stesso che sviluppandosi porta al positivismo giuridico.

Primato della forza sulla ragione

“La giustizia è quel che è stabilito. Così tutte le nostre leggi stabilite saranno di necessità stimate giuste senza essere esaminate, sol perché sono stabilite” (309).

Giustizia, forza. E’ giusto che quel ch’è giusto sia seguito, ed è necessario che quel che è più forte sia seguito. La giustizia scompagnata dalla forza è impotente, la forza scompagnata dalla giustizia è tirannica. La giustizia senza la forza viene contraddetta, perché ci sono sempre malvagi; la forza senza la giustizia viene riprovata. Bisogna, dunque, congiungere la giustizia e la forza, facendo in modo che quel che è giusto sia forte e quel che è forte sia giusto”.

Fin qui Pascal parla da giusnaturalista, ma lo stesso pensiero continua.

“La giustizia è soggetta a contestazione, la forza si fa riconoscere di primo acchito, e senza dispute. Perciò non si è potuto dare la forza alla giustizia, giacché la forza si è levata contro la giustizia, affermando che essa sola era giusta. E così, non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto” (310).

Anche il pensiero 312 conclude nello stesso senso.

“Certamente, l’eguaglianza dei beni è giusta; ma, non potendosi fare in modo che sia forza obbedire alla giustizia, si è fatto in modo che sia giusto obbedire alla forza; non essendosi potuto rendere forte la giustizia, si è giustificata la forza, affinché la giustizia e la forza possano andare congiunte e regni la pace, che è il supremo dei beni”.

Pascal parte, addirittura dall’idealismo giusnaturalistico egualitario, ma approda rapidamente al positivismo giuridico di Hobbes. Perché, come scrive nel pensiero 315, “regina del mondo è la forza”.

Sarebbe bello che la politica fosse una questione di ragione; essa però è una questione di forza. Ecco, allora, la conclusione.

“Ingiustizia. E’ pericoloso dire al popolo che le leggi non sono giuste, perché esso obbedisce loro solo perché le crede tali. Bisogna perciò dirgli in pari tempo che vanno rispettate perché sono leggi: così come bisogna obbedire ai superiori non perché sono giusti, ma perché sono i superiori. Se riusciremo a convincerlo di ciò, e di quel che è propriamente la definizione della giustizia, avremo prevenuto ogni pericolo di sedizione” (318).

Anche Pascal teme i centauri e non ammira affatto Antigone!

Sane opinioni del popolo. Le guerre civili sono il peggiore dei mali. Saranno inevitabili se si vorranno ricompensare i meriti, perché tutti ne vanteranno. I mali che si possono temere da un inetto, che succeda per diritto di nascita, non sono né tanto grandi né tanto sicuri” (330).

La meritocrazia è sovversiva!

Il merito, come la giustizia, deve cedere al potere.

“La potenza dei re è fondata sulla ragione e sulla follia del popolo, e molto più sulla follia. La cosa più grande ed importante del mondo ha come suo fondamento la debolezza. Ma è un fondamento ammirevolmente sicuro: dacché nulla c’è di più sicuro di questo, che il popolo sarà debole. Quel che si fonda sulla retta ragione è assai mal fondato, come la stima che si ha per la saggezza” (331).

Non ci si può fidare della ragione. Neanche della retta ragione. Sarebbe giusto averla al potere, ma essa scatena i centauri. Meglio avere al potere la forza, rafforzata dalla debolezza del popolo. Solo così c’è sicurezza.

Se la forza del sovrano, anche inetto, congiunta alla debolezza del popolo, tiene lontano il peggiore dei mali, la guerra civile, diventa ipso facto giusta.

Pascal è celebrato per aver detto che la ragione non capisce le “ragioni” del cuore, per aver cioè denunciato i limiti della ragione di fronte alla condizione umana. Questi passi di Pascal segnalano un altro limite della ragione, pesantissimo: non sa arrivare al potere con le sue sole forze, è impotente. Pertanto, pro bono pacis, è giusto che la “retta ragione” ceda alla forza e la legittimi.

Torino 28 maggio 2012

[1] Pascal, Pensieri, Giulio Einaudi editore, 1962. I numeri sono quelli indicati in questa edizione e ripresi nell’edizione Oscar Mondadori.

Giuseppe Bailone

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015