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Sviluppo e sottosviluppo
La questione nasce
ufficialmente all’epoca della conferenza di Bandung (Giava, 1955) che definì
paesi del Terzo Mondo quelli che non appartenevano né all’Occidente
industrializzato né al blocco orientale guidato dall’URSS.
Oggi il termine di
Terzo Mondo non corrisponde più alle esigenze di comprensione della situazione
mondiale. Le realtà sono infatti assai più complesse, in ogni continente e sub-continente.
Si preferisce così parlare di paesi sviluppati e di paesi sottosviluppati,
o in via di sviluppo. |
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L’idea di sviluppo è un’idea piuttosto recente ed è un’idea che è legata allo sviluppo del sistema
capitalistico, cioè al processo di industrializzazione che è venuta maturando in
Europa a partire dalla fine del Settecento. Tale idea è intrinseca a quella di
evoluzione, cioè alla concezione per cui la società si evolve attraverso una
serie di stadi.
La definizione di paese sottosviluppato è ovviamente relativa e si riferisce ad una vasta gamma di
caratteristiche economiche, demografiche, sociali e politiche che non possono
venire attribuite in egual misura a tutti i paesi in oggetto. Di norma le
misure che descrivono il sottosviluppo comprendono da un lato bassi indici di
industrializzazione, di reddito procapite e di speranza di vita, dall’altro
alti indici di mortalità infantile (congiunti a un forte incremento
demografico), di dipendenza dalle esportazioni di materie prime, di debito
estero, di analfabetismo, in un quadro di diffusa indigenza e malnutrizione.
Storicizzato, il sottosviluppo è la conseguenza del colonialismo e della colonizzazione e si forma quindi dopo
la seconda guerra mondiale. Un indicatore dello sviluppo molto usato è il Pil
(valore della produzione di un paese) nei settori agricolo, industriale e dei
servizi.
Nel 1990 l’ONU ha proposto di sostituire al Pil, o reddito pro capite, un nuovo indicatore dello sviluppo, lo
Human Development Index (HDI), che tiene conto del potere di acquisto
all’interno di ciascun paese, dei tassi di analfabetismo e della speranza di
vita. L’HDI tende a far risalire nella scala paesi come Cuba, Giamaica e Costa
Rica, e a far scendere i produttori di petrolio del Vicino Oriente.
Breve analisi dei diversi modi con i quali si è guardato al sottosviluppo e si è agito su di esso:
- anni 50-60: In questo periodo il
concetto di sottosviluppo si configura come problema essenzialmente
quantitativo, un problema di mancanza o scarsità di alcuni fattori di produzione
(capitali, tecnologie, organizzazioni) e di basso livello di alcuni indicatori
economici (singole produzioni, reddito procapite, pnl). Quale soluzione si
afferma che questi fattori e indicatori vanno incrementati e potenziati; ne
conseguirà un processo auto-sostenuto di crescita economica;
- anni 70: Reazione alla visione precedente da parte del mondo socialista e tentativo di avvio di una
crescita economica fondata sulla tecnologia di Stato e la costruzione di grandi
manufatti per l’elettrificazione (opere di idraulica nelle regioni aride di
Pakistan, Egitto, India, Irak, Cina). Ne sono seguiti dissesti idrogeologici;
- anni 80: La critica agli interventi tecnologici e l’attenzione all’aspetto ecologico prendono piede
sempre più. Soprattutto a seguito dell’incidente di Chernobil. Si afferma il
concetto di sviluppo sostenibile, ossia la tendenza a conciliare il
miglioramento della qualità della vita delle popolazioni sottosviluppate con la
conservazione delle risorse naturali dalle quali dipenderanno le generazioni
future. Si prende atto inoltre della grave crisi finanziaria (indebitamento
dovuto a shock petrolifero del 1973 e 1979)) dei paesi sottosviluppati. Si
propongono, quale soluzione, la riduzione dell’intervento pubblico in economia
(passaggio alla privatizzazione e rimozione dei vincoli posti al mercato) sia
all’interno dei singoli paesi (deregulation) sia in ambito internazionale
(flessibilità dei cambi e apertura delle frontiere) e soprattutto una riduzione
delle spese sociali da parte dello stato;
- posizione odierna: I paesi sottosviluppati presentano una situazione fortemente deteriorata e le
loro prospettive sono assolutamente drammatiche: il numero di coloro che vivono
in condizioni di povertà è sceso in percentuale dal 52% (1970) al 44% (1985) ma
è aumentato in valori assoluti da 944 a 1.156 milioni. Va inoltre considerata
l’enorme crescita demografica, gli scarsi progressi agricoli, la struttura
disuguale del commercio mondiale.
Esistono tre teorie relative al sottosviluppo che propongono diverse soluzioni.
- Teoria della modernizzazione, sorta negli anni 50, sostiene che le principali cause del
mancato sviluppo dei paesi sottosviluppati siano interne ai paesi stessi e
siano rappresentate da inadeguatezze strutturali. Le classi sociali che
impediscono il processo di sviluppo sono le oligarchie del passato e la
burocrazia statale. Gli strumenti di intervento sono: progettazioni fondate
sulla convinzione della possibilità della crescita di questi paesi secondo le
tappe dei paesi occidentali, con un impegno dei paesi industrializzati per il
sostegno e l’ammodernamento delle economie dei paesi sottosviluppati. E’ implicito
l’assunto che l’esperienza storica dell’Occidente rappresenta un modello che i
paesi sottosviluppati non devono fare altro che seguire per arrivare alla
prosperità. Questo obiettivo va raggiunto attraverso lo sviluppo tecnologico,
l’adozione delle pratiche e delle idee occidentali, il commercio estero e gli
investimenti esteri.
- Teoria della dipendenza. Sorge negli anni 50-60. Condivide la convinzione che il tasso di crescita
economica può esser considerato una locomotrice che produce una dinamica in
tutta la società, da cui deriva automaticamente il pieno impiego della forza
lavoro e la sua integrazione sociale. Sostiene che le relazioni attuali fra
Occidente e Terzo Mondo affondano le radici nelle precedenti epoche del colonialismo,
quando le diverse regioni dei paesi del Terzo Mondo erano costrette a specializzarsi
nella produzione di beni primari destinati all’esportazione per soddisfare le necessità
delle potenze coloniali. Vengono chiamate in causa anche le élites di quei
paesi nei quali i centri urbani più ricchi operano come intermediari fra il
centro capitalista e la periferia sottosviluppata.
- Teoria sub-centrica. Si caratterizza e si distingue per essere più estremista e populista. I paesi
del Sud sono assorbiti e distorti da quelli del Nord, i quali sfruttano a loro
esclusivo vantaggio le loro risorse. I paesi ricchi rappresentano la principale
causa del sottosviluppo insieme alla classe dominante dei paesi poveri, in un
sistema centro-periferia. Per uscire dal sottosviluppo occorre rompere con il
centro e rifiutare i modelli libero-scambisti dell’Occidente. La teoria si
fonda sulla convinzione dell’inadeguatezza dei programmi basati sulla
tecnologia e sullo sviluppo industriale. E’ meglio ricorrere a programmi
limitati e basati sull’autogestione e sulle tecniche e organizzazioni locali
perché garantiscono uno sviluppo equo e un maggior rispetto per l’ambiente.
L’obiettivo prioritario dello sviluppo deve essere l’eliminazione della povertà
e il soddisfacimento dei bisogni primari (cibo e riparo, ossia abitazione,
riscaldamento), e in seguito assistenza sanitaria e scuole. Le strategie di
sviluppo devono partire dal basso, cioè devono tener conto delle tradizioni
economiche e sociali e delle vere necessità delle popolazioni dei paesi
sottosviluppati Si tratta di un principio opposto a quello che sta alla base
degli altri due (modernizzazione e dipendenza) che invece partono dall’alto.
Nel contempo si è creata una differenziazione strutturale nel vecchia concezione di Terzo Mondo. Un gruppetto
di paesi emergenti (tigri asiatiche, banda dei quattro, nic: Corea sud, Taiwan,
Singapore, Hong Kong), qualche paese dell’America latina, in particolare
Brasile, Venezuela, Ecuador, i paesi dell’OPEC (esportatori di petrolio) ha
compiuto una propria originale rivoluzione industriale fondata sul basso costo
della manodopera, o sulla valorizzazione delle materie prime (OPEC). Parte
dell’Africa subsahariana intanto è diventata Quarto Mondo.
Dal punto di vista delle cifre si ricorda infine che la popolazione dei paesi sottosviluppati equivale a circa
il 75% della popolazione, realizza 1/5 del reddito mondiale e il 10% delle
capacità industriali.
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