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Il riso: molti uomini per poca terra, poca terra per molti uomini

Originaria dell’Asia sud-orientale (Cina e Indocina), la coltura del riso è stata per millenni la più evoluta e la più diffusa. Meno antica di quella del grano, che risale a circa 5000 anni a. C., essa prese l’avvio intorno al 2000 a. C. e da allora è rimasta praticamente immutata sino agli anni Cinquanta del Novecento.

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 a) L’irrigazione

Caratteristica dell’agricoltura del riso è la ricostituzione della fertilità del terreno quasi esclusivamente attraverso un’irrigazione continua, ottenuta tramite la costruzione di una complessa e diffusa rete idraulica. La presenza di corsi d’acqua è fondamentale per l’agricoltura irrigua, poiché il limo trasportato dai fiumi, ricco di potassio, fosforo e argilla (come il loess cinese, che manca ai suoli europei), permette l’apporto costante sali e sostanze nutritive alle piante di riso. L’acqua piovana è molto più povera di sali minerali dell’acqua di fiume, e anche molto più scarsa.

Grazie all’irrigazione diventa così possibile effettuare una coltivazione continua, non soggetta a rotazione, sempre sullo stesso fondo, e, in molti casi, ottenere anche più di un raccolto all’anno. Il rendimento per ettaro diventa altissimo e consente di alimentare popolazioni molto dense.

Le radici del riso hanno bisogno di una grande quantità di ossigeno, del quale l’acqua stagnante le priverebbe: di conseguenza non esiste nessuna risaia in cui l’acqua non sia in movimento per rendere possibile l’ossigenazione. La tecnica idraulica non può dunque limitarsi a  provocare l’allagamento dei campi, ma deve funzionare in maniera molto più complessa, al fine di sospendere e alternativamente creare il movimento delle acque.

Un sistema di drenaggio adeguato deve inoltre consentire di eliminare rapidamente dai campi le acque eccedenti, nonché di prosciugare la risaia, soprattutto prima del raccolto.

In Cina l’irrigazione prese avvio nel IV sec a. C., in concomitanza con una politica governativa di deforestazione e di miglior sfruttamento della terra. Fu questa l’epoca in cui il Paese, rivolgendosi all’idraulica e alla produzione intensiva del riso, cominciò a dare forma al paesaggio classico della sua storia.

La costruzione delle opere di controllo delle acque fu fin dall’inizio un compito espletato essenzialmente dal potere pubblico: i canali di irrigazione, i bacini di raccolta, le vie d’acqua artificiali e le opere di drenaggio e di controllo delle inondazioni erano costruite dallo Stato con il duplice scopo di incrementare la produttività agricola e di consentire il trasporto del riso (con il quale i contadini pagavano il loro tributo allo Stato) verso le grandi città, sedi della burocrazia statale.

Di qui il riso veniva inviato all’esercito, senza il quale l’imperatore e i suoi funzionari non avrebbero potuto mantenere la loro posizione di comando. L’irrigazione fu dunque una condizione indispensabile per l’agricoltura intensiva del riso, sulla cui base la società agraria cinese si venne sviluppando, così come la società industriale del capitalismo moderno europeo ebbe a fondamento del suo progresso economico il carbone e l’acciaio.

La costruzione dei canali veniva generalmente promossa mediante editto imperiale e richiedeva lo sforzo di decine di migliaia di uomini, che lavoravano in regime di corvée sotto la supervisione di ufficiali incaricati dal potere centrale. In complesso, una immensa concentrazione di lavoro, che non avrebbe potuto funzionare se le grandi linee del sistema amministrativo non fossero state rigidamente controllate dall’alto. Le risaie, dice lo storico francese Fernand Braudel, hanno portato con sé forti discipline sociali.

b) Il lavoro dei campi

Le fatiche investite generazione dopo generazione non si limitarono tuttavia alla fabbricazione dell’immensa, capillare rete idraulica artificiale, che ancora oggi innerva larga parte del territorio cinese.

Le attività quotidiane dei campi richiedevano una quantità di lavoro non meno gravosa. L’agricoltura irrigua del riso si caratterizzò infatti, fino a tempi molto vicini a noi, per lo scarso uso sia di attrezzi agricoli, sia di animali da lavoro. Tutte le operazioni venivano svolte dall’uomo, con le sue sole energie e con pochi aiuti. Perfino la preparazione dei campi era effettuata dalla forza del contadino, che si avvaleva della zappa oppure trainava da sé, spesso senza l’ausilio dell’animale, un aratro rudimentale perlopiù costruito in legno e adatto ai suoli leggeri.

Il terreno così arato veniva quindi reso uniforme con un erpice, trascinato anch’esso dall’uomo. Seguiva l’allagamento dei campi, previa apertura degli argini dei canali, e l’immissione controllata dell’acqua per mezzo di una primitiva ruota idraulica azionata a mano o con i piedi, meglio nota con il nome di “macchina a schiena di drago”. Si passava quindi al trapianto dei germogli, fatti crescere in precedenza in piccoli vivai, abbondantemente concimati.

A questa fase di lavoro, che richiedeva un’immensa fatica, seguiva la liberazione del campo dai granchi e dalle erbe che infestavano le acque: un’operazione quest’ultima che, sebbene resa meno problematica nei terreni dove il riso era stato trapiantato rispetto a quelli dove era stato piantato direttamente, implicava tuttavia, ancora un a volta, un altissimo apporto di lavoro umano.

Le attività si concludevano con il prosciugamento dei campi, che avveniva tramite l’uso di pompe a pedale analoghe a quelle utilizzate per l’allagamento, e quindi con il raccolto, che si effettuava mediante il sussidio di falcetti e coltelli, e infine con la trebbiatura e la vagliatura, basate anch’esse, non meno degli altri processi lavorativi fin qui descritti, sull’assiduo contributo energetico del corpo umano.

c) L’assenza dell’animale

La complessità delle operazioni descritte e la necessità di costanti e attente cure da parte del contadino alle successive fasi delle attività campestri richiedevano, come di è visto, l’uso assiduo, quasi esclusivo, della mano dell’uomo e hanno pertanto reso difficile la sostituzione di essa sia con l’animale, sia con mezzi meccanici. Infatti quanto più complicato e multiforme è lo svolgersi dei compiti lavorativi, tanto più si pongono come insostituibili la versatilità e l’intelligenza dell’uomo, fino al punto da escludere la convenienza ad avvalersi di sussidi o di sostituti (animali da tiro e macchine).

Sembra dunque non essere un caso, come ha ripetutamente sostenuto lo storico italiano Paolo Malanima, che i processi lavorativi della coltivazione del riso siano stati meccanizzati soltanto in epoca molto recente.

L’assenza dell’animale dal ciclo produttivo della coltura irrigua del riso portò con sé una scarsissima disponibilità di carne e di latticini per l’alimentazione; e inoltre sospinse le risaie verso l’abitato, attirate dai rifiuti cittadini, dagli escrementi umani, e dal fango delle strade che fertilizzavano i vivai, dove crescevano i germogli di riso.

Di qui un incessante andirivieni di contadini, che si recavano in città per acquistare concime e vendere riso; di qui gli odori insopportabili che aleggiavano ovunque sui campi e sulle città cinesi. La simbiosi tra città e campagna, ricorda ancora Braudel, fu più forte in Asia che in Europa.

d) Rese unitarie, dimensione dei poderi e incremento demografico

L’irrigazione continua e la costante cura nel lavoro dei campi resero la produttività della terra coltivata a riso particolarmente elevata.

Un ettaro di terra a riso rendeva, prima dell’introduzione dei fertilizzanti chimici, circa 21 quintali di prodotto, contro i 5 quintali di un ettaro a grano; o anche, dal punto di vista energetico, sette milioni di calorie contro un milione e mezzo.

Queste cifre, da sole, ci dicono l’enorme superiorità della risaia. E inoltre ci spiegano come mai l’unità di coltura delle agricolture irrigue fondate sul riso fosse molto piccola. In Cina in età moderna una famiglia media poteva essere nutrita con il prodotto ricavato da un ettaro di terreno; in Europa erano necessari quasi dieci ettari. Qui il raccolto per superficie coltivata era basso, sia a causa della natura dei suoli non irrigui, sia a causa delle rese relativamente modeste del grano.

Così, mentre il sistema agrario orientale si caratterizzò per una bassa intensità di terra e un’elevata intensità di lavoro, quello europeo si distinse per una bassa resa unitaria e per un conseguente utilizzo estensivo della superficie lavorata. In Europa, in altri termini, per alimentare una persona occorreva molta più terra. Le operazioni agricole, in particolare l’aratura, l’erpicatura e la trebbiatura, non potevano essere svolte con le sole forze del corpo umano: l’estensione da sottoporre a coltura era troppo vasta.

Ecco allora intervenire l’animale, capace di compiere i gravosi e iterativi lavori richiesti dall’agricoltura asciutta del grano, trainando l’aratro pesante dotato di ruote, indispensabile per penetrare in profondità i suoli pesanti dell’Europa continentale, e inoltre di fornire con i suoi escrementi l’energia chimica necessaria per rendere il suolo produttivo. Nell’Europa preindustriale fu l’animale e non l’acqua dei fiumi, come in Asia, il mezzo in grado di restituire al suolo i minerali necessari (fosforo, potassio e azoto).

Senza l’animale da lavoro la superficie asciutta coltivata a grano avrebbe dovuto essere inferiore, e ne sarebbe conseguita una più bassa produttività del sistema agricolo. Alimentare il contadino e la sua famiglia sarebbe stato estremamente problematico; del tutto impossibile far fronte al fabbisogno degli abitanti delle città. La civiltà agraria europea sfruttò su vasta scala il lavoro animale, investendo capitali per il mantenimento e l’utilizzo efficiente (innovazioni tecniche, ferratura, bardatura, ecc...) di buoi, cavalli, asini e muli.

Diversamente dal sistema irriguo asiatico fondato sulla coltura del riso, il sistema agrario europeo basato sulla coltura asciutta del grano si caratterizzò per l’alta intensità della superficie coltivata, la bassa intensità del lavoro svolto e l’alta intensità del capitale investito.

e) Densità demografica, costo del lavoro e condizioni tecniche

L’elevata produttività della terra costituì uno stimolo di rilievo in direzione di una forte densità demografica. Questa caratterizzò per secoli, e caratterizza tuttora, le grandi regioni asiatiche coltivate a riso: Giava, il delta del Tonchino, le province meridionali della Cina.

In tali zone l’incremento demografico portò come effetto ad un aumento dell’intensità di lavoro (più concime, maggior attenzione nei trapianti e nella liberazione delle acque dagli infestanti, ecc...), e al conseguente raggiungimento di una resa della terra ancora più elevata. In altri termini, in Oriente la coltura irrigua del riso richiese e nello stesso tempo consentì la presenza di un elevato numero di lavoratori. In Europa le scelte furono diverse: all’incremento demografico si fece fronte infatti con maggiori investimenti in terra (incremento della superficie a coltura attraverso deforestazione e dissodamento) e in capitale (utilizzo di animali e, a partire dall’Ottocento, di mezzi meccanici).

Il tradursi dell’elevata resa della risaia in un maggior numero di lavoratori, invece che in un miglioramento delle condizioni di vita, ebbe per conseguenza, da un lato il cosiddetto paradosso asiatico, ossia la possibilità di convivenza tra alta produttività per unità di superficie coltivata e denutrizione della popolazione, e dall’altro un’abbondante offerta di lavoro, cui si accompagnò un basso costo della manodopera.

All’interno di siffatta situazione gli incentivi in direzione del risparmio di lavoro mediante lo sfruttamento di animali o mezzi meccanici che integrassero le fatiche dell’uomo, non ebbero, diversamente da quanto accadde in Europa, alcun richiamo. Accanto a queste considerazioni è infine opportuno ricordare come lo scarso utilizzo di sussidi energetici nell’agricoltura irrigua sia da attribuire anche alle condizioni tecniche in cui si svolgeva la coltivazione del riso, che fino a tempi molto vicini a noi, ha richiesto, come si è accennato più sopra citando le tesi di Malanima, l’uso costante e insostituibile della mano dell’uomo.

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I contenuti di questo ipertesto sono della docente
Agnese Visconti - SILSIS - Università di Pavia
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Ultimo aggiornamento: 25-giu-2005