LA GUERRA SOTTERRANEA
Le ragioni del matriarcato


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MATRIARCATO E COMUNISMO PRIMITIVO

In Europa il patriarcato esiste da più di due millenni: Platone e soprattutto Aristotele lo sostenevano a spada tratta. Il pater familias aveva diritti di vita e di morte su moglie, figli e schiavi. Le famiglie patriarcali costituivano la società divisa in classi e questa lo Stato: la triade era così completa. La chiesa cristiana non fece che ereditare questa concezione, aggiungendo che "davanti a dio" si è tutti uguali.

La situazione, sul piano degli studi, mutò verso la metà del XIX secolo, allorché due opere antropologiche ed etnologiche cominciarono a parlare di un primato storico del matriarcato. Si trattava di Das Mütterecht (1861) dello svizzero J. J. Bachofen e di Ancient Society (1877) dell'americano L. H. Morgan.

Il primo cercò di dimostrare che nella storia più antica l'umanità aveva conosciuto un sistema di parentela e di eredità secondo la linea materna; il secondo affermò che la società primitiva era organizzata come un clan collettivistico e che il clan matrilineare costituiva l'antecedente di quello patrilineare.

Entrambi conclusero che nel matriarcato le donne dominavano gli uomini. F. Engels apprezzò notevolmente queste tesi, rielaborandole nella sua opera L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884).

Alla fine del XIX secolo, l'etnografo inglese E. B. Tylor confermò che l'etnografia conosceva molti esempi di transizione dal clan matrilineare a quello patrilineare, ma neanche un esempio di transizione inversa. 

A partire dagli anni '50 del secolo scorso, le pubblicazioni etnostoriche marxiste misero in discussione l'identificazione dell'organizzazione clanica matrilineare col matriarcato, ovvero arrivarono ad affermare che la realtà del matriarcato, inteso come "dominio delle donne sugli uomini", non è mai esistita e che i corifei di tale dottrina (Bachofen e Morgan) si erano lasciati condizionare troppo dal bisogno di reagire allo stile di vita della società patriarcale.

Da allora quasi più nessuno crede nell'esistenza di un matriarcato avente le caratteristiche socio-politiche e organizzative di un patriarcato "rovesciato". Si pensa anzi che nella comunità primitiva il ruolo della donna fosse tenuto in alta considerazione semplicemente perché esisteva un'ampia democrazia.

Probabilmente gli uomini primitivi s'erano accorti che per "pareggiare" le conseguenze naturali dovute al bimorfismo sessuale, bisognava riconoscere alla donna maggiori prerogative sociali (specie in considerazione del fatto che il ciclo riproduttivo le privava di tempo e di forze che l'uomo poteva utilizzare in altro modo).

In questo senso, ad es., il fatto che in numerose società primitive gli uomini avessero i loro riti, i loro culti e persino i loro linguaggi segreti, e le donne i propri, non deve essere visto in maniera negativa, anche perché tale separazione dei sessi non veniva messa in rapporto con una rigida divisione del lavoro.

Il comunismo primitivo non ha mai conosciuto alcun dominio di un clan sull'altro o di una tribù sull'altra o di un genere sessuale sull'altro, e neppure alcun dominio degli esseri umani sulla natura. Se non è mai esistito un matriarcato inteso come dominio del sesso femminile, il motivo sta nel fatto che nella fase del comunismo primitivo risultava estraneo il concetto stesso di "dominio", che non a caso è stato elaborato quando è venuto emergendo il patriarcato.

Le principali strutture della società primordiale erano due: il clan e la comunità. Il clan era composto da persone imparentate tra loro, secondo una discendenza materna o paterna, in maniera indifferente: l'unico obbligo era quello di non sposarsi tra membri appartenenti allo stesso clan, evidentemente perché ci si era accorti che l'endogamia impoveriva geneticamente il clan, oppure lo isolava socialmente.

La comunità era praticamente il clan allargato, in quanto includeva gli elementi che, attraverso i matrimoni, erano stati acquisiti da altri clan. Nel Paleolitico (40.000 - 14.000) e nel Mesolitico (14.000 - 4.000) qualunque bene materiale apparteneva al clan, ma di fatto era a disposizione di tutta la comunità, senza distinzioni di sorta.

La divisione del lavoro tra i sessi era considerata "naturale": caccia e pesca per l'uomo; raccolta della frutta per la donna; lavorazione della pietra per l'uomo; delle pelli d'animale per la donna, e così via.

Soltanto nel Neolitico si sviluppano l'agricoltura e l'allevamento, che col tempo porteranno a una certa differenziazione tra nomadismo e sedentarietà. Stando ai miti a nostra disposizione, deve essere stata l'agricoltura a porre degli ostacoli all'allevamento. Quest'ultimo deve essere nato prima dell'agricoltura, non solo perché connesso al nomadismo, ma anche perché più facile da gestire.

L'agricoltura probabilmente è nata in maniera casuale, grazie a sperimentazioni condotte dalle donne, che la storia ci tramanda come esperte di erbe. Finché essa è rimasta circoscritta a livello di orticoltura non può aver dato alcun fastidio all'allevamento. Quando invece s'è cominciato a capire che da essa si potevano ricavare importanti eccedenze per l'alimentazione nei periodi dell'anno più difficili, si è inevitabilmente cominciato a trasformare il prativo e il bosco in arativo.

Una volta scoperta, l'agricoltura s'è sviluppata in maniera impetuosa, imponendo le esigenze della stanzialità e quindi la rinuncia definitiva al periodico trasferimento della tribù in zone più favorevoli alla caccia e all'allevamento. Inevitabilmente è sorta anche l'esigenza di interdire i campi arati alle mandrie.

Era impossibile non venire a conflitto con chi aveva continuamente bisogno di campi aperti. Una qualunque limitazione (p.es. con dei fossati) appariva all'allevatore come un abuso di potere, come una forma di proprietà indebita, benché il proprietario fosse un ente collettivo, quale il clan o la comunità, mentre l'allevatore specializzatosi in questo lavoro era generalmente in rapporto a poche persone.

Quando l'agricoltore Caino uccide l'allevatore Abele, non si ha a che fare con una diatriba tra estranei o tra membri di clan rivali, ma tra fratelli. Quindi si deve supporre che in origine chi aveva rinunciato all'agricoltura conservando il mestiere originario dell'allevamento, fosse imparentato con qualche clan della comunità rurale.

Anzi il mito dice che dei due il più religioso era Abele, a testimonianza che con la nascita dell'agricoltura, che sembrava favorire, attraverso le eccedenze, una maggiore sicurezza al clan, si forma anche una sorta di coscienza ateistica, ancorché vissuta in maniera individualistica, in contrapposizione agli interessi della tribù.

Qui non si deve pensare a degli agricoltori che non praticassero per nulla l'allevamento, poiché su piccola scala la presenza degli animali era indispensabile, ma a degli allevatori che non praticavano per niente l'agricoltura. Finché questa è rimasta ferma allo stadio dell'orticoltura, cioè del consumo dello stretto necessario, non possono esserci stati particolari problemi con gli allevatori. I problemi sono venuti quando l'agricoltura s'è trasformata in produzione estensiva, per avere cospicue eccedenze alimentari durante la stagione invernale.

Il patriarcato, probabilmente, più che nell'ambito dell'allevamento, si è sviluppato nell'ambito dell'agricoltura, benché in origine fosse la donna ad avere maggiore competenza in questo settore. Una precisa delimitazione dei confini agricoli del clan ha fatto maturare il senso della proprietà, e l'accumulo di eccedenze ha promosso l'esigenza del controllo. Il bisogno di regolamentare in maniera razionale i propri beni, il bisogno di quantificare il lavoro svolto devono aver indotto progressivamente l'uomo a vedere la donna come parte dei propri beni, come un anello fondamentale della catena produttiva e riproduttiva, di cui lui si sentiva in dovere di gestire l'inizio e la fine.

Processi di questo genere devono aver avuto dei decorsi lunghissimi, di migliaia e migliaia di anni, proprio perché, prima che s'affermasse un dominio del maschile sul femminile, s'è dovuto imporre il principio della proprietà privata tra gli elementi maschili.

L'uguaglianza tra i sessi è andata di pari passo con la proprietà comune (clanica e tribale) dei fondamentali mezzi produttivi. Non è mai esistito un periodo in cui le donne dominavano gli uomini, anche se resta del tutto plausibile l'idea che in origine fosse più importante la discendenza matrilineare. Ma una discendenza del genere non ha mai comportato un matriarcato vero e proprio. P.es. per gli ebrei resta ancora oggi fondamentale, per stabilire l'effettiva "ebraicità" di una persona, risalire all'origine materna, ma non per questo si può dire che l'ebraismo sia una religione "femminista".

E' anzi probabile che il prevalere di una discendenza (matri o patrilineare) sia dipesa da circostanze casuali e che non abbia affatto inciso sulla differenziazione dei sessi vista in funzione del dominio dell'uno sull'altro. Quel che si sa con certezza è che esiste patriarcato là dove la proprietà viene trasmessa di padre in figlio.

Enrico Galavotti

Questo file si trova all'interno del libro Homo primitivus. Le ultime tracce di socialismo, che in formato pdf si può scaricare qui, mentre in formato cartaceo si può acquistare qui


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