LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


LA CRISI ECONOMICA MONDIALE DEL 1929 E LA POLITICA DEL FASCISMO

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Nel 1932 il volume totale della produzione industriale italiana era sceso del 33% rispetto al 1929. La fusione della ghisa era diminuita del 32% e quella dell’acciaio del 34%, mentre si era ridotta di quasi la metà la produzione dell’industria tessile. La situazione era grave anche in altri importanti settori dell’industria, come quello minerario, automobilistico e delle costruzioni navali. Più di un milione di lavoratori era senza lavoro.

La crisi portò a un’ulteriore concentrazione della produzione e al rafforzamento dei monopoli. Durante il periodo dal 1929 al 1933 più di 55.000 imprese piccole e media fallirono o vennero assorbite dai grossi monopoli.

Diminuirono rapidamente i prezzi dei prodotti agricoli, e molte migliaia di contadini, privati della terra per il mancato pagamento delle tasse e dei debiti, si trasformarono in affittuari o in braccianti.

Il governo di Mussolini dette un solido appoggio ai grossi industriali e all’alta finanza. La somma totale dei sussidi statali erogati ai monopolisti toccò i 10 miliardi di lire. Contemporaneamente il governo acquistò ingenti quantitativi di azioni e obbligazioni delle imprese industriali; ne conseguì un consolidamento delle posizioni dei circoli più reazionari e sciovinisti della borghesia monopolistica.

Le sovvenzioni al capitale monopolistico comportarono un’ulteriore riduzione del livello di vita delle masse lavoratrici. Negli anni della crisi i salari degli operai dell’industria pesante si ridussero del 50%. Gli operai erano inoltre obbligati a pagare ai padroni varie multe e a versare “volontariamente” pesanti contributi alle organizzazioni fasciste.

Nelle campagne il governo fascista attuò la cosiddetta “battaglia del grano”, che si aggiunse alle altre cause che portarono alla rovina migliaia di aziende contadine, forzate a rinunciare alla produzione delle colture tradizionali. L’apparato statale del partito fascista e la Chiesa cattolica s’inserirono attivamente in questa “battaglia”, ma nonostante tutti i loro sforzi, il paese non si liberò dalle importazioni di grano dall’estero.

Accanto al processo di concentrazione del capitale si verificò un’ulteriore concentrazione del potere politico nelle mani del partito fascista. Il governo intensificò la demagogia sociale e nazionalistica ed elaborò provvedimenti per la definitiva instaurazione del sistema corporativo.

Venne creato uno speciale “Istituto della ricostruzione industriale” (IRI) per la direzione delle imprese statali monopolistiche, in particolare di quelle legate alla preparazione della guerra.

LA LOTTA ANTIFASCISTA DELLE MASSE POPOLARI

Alla fine del 1929 in molte regioni, soprattutto nei centri industriali, si registrarono azioni di protesta dei lavoratori. A Torino, Milano, Genova gli operai scesero in lotta contro le riduzioni del salario. Nel 1930 il movimento operaio assunse maggior ampiezza. A Milano il 1° maggio una grande parte degli operai non si presentò al lavoro, nonostante che alla vigilia i fascisti, nella speranza d’intimorirli, avessero effettuato numerosi arresti. A Torino proseguirono per tre giorni le dimostrazioni di strada dei disoccupati, che si scontrarono con la polizia e la cavalleria.

L’ampiezza del movimento operaio era testimoniata anche da altri scioperi di protesta contro la riduzione del salario, e da dimostrazioni di disoccupati con la parola d’ordine “Pane e lavoro”.

Il 1° maggio 1932, su appello del partito comunista, gli operai e i contadini di molte località sospesero il lavoro e organizzarono varie manifestazioni. Il movimento dei contadini si sviluppò nel corso del 1930, soprattutto nella Val Padana e nell’Italia meridionale. A Martina Franca i contadini bruciarono la sede del municipio e il circolo fascista. Nel 1931 azioni di operai agricoli e di contadini avvennero in tutta Italia. Ventimila mondine del Piemonte proclamarono uno sciopero, chiedendo l’aumento del salario, e ottennero un parziale successo. Negli anni 1932-33 decine di migliaia di contadini del Piemonte, dell’Abruzzo-Molise, della Toscana e della Sicilia scesero in lotta contro il pagamento delle tasse.

La lotta delle masse lavoratrici italiane contro il fascismo ebbe un carattere spontaneo, principalmente perché il partito comunista si trovava allora in una situazione estremamente grave. Migliaia di comunisti languivano nelle prigioni fasciste o al confino, e molti erano stati costretti a emigrare all’estero. All’interno del partito v’era stata l’attività sabotatrice degli opportunisti e dei capitolardi e talvolta anche quella di autentici traditori. Nel 1929 venne espulso dalle file del partito comunista Angelo Tasca, passato poi apertamente nel campo della borghesia e finito collaborazionista a Vichy; nel marzo 1930 venne espulso Amadeo Bordiga, da lunghi anni attestato su posizioni settarie e antipartito.

Il IV Congresso del partito, che si riunì clandestinamente nell’aprile del 1931 in Germania, invitò tutti i suoi membri a rafforzare l’unita proletaria e a consolidare la direzione del movimento antifascista.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 19/02/2015