LA STORIA CONTEMPORANEA
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LE INTERPRETAZIONI DEL Fascismo I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI
I) Il fascismo come malattia morale dell'Europa Benedetto Croce: a)
il fascismo non fu voluto da una singola classe sociale, ma fu uno smarrimento
di coscienza, una depressione civile, una ubriacatura prodotta dalla guerra
mondiale, un male morale; b) questo smarrimento non fu solo un fatto italiano,
ma di quasi tutti i paesi che avevano partecipato alla guerra. In particolare il
fascismo fu una malattia dovuta al fatto che l'Italia non aveva saputo
sviluppare una classe media capace di opporsi a tendenze di tipo assolutistico
(come riuscirono a fare in Francia e Inghilterra); anzi in Italia fu proprio la
classe media a favorire l'ascesa del fascismo, il quale comunque ebbe anche
l'appoggio del mondo rurale, essendo il nostro un paese prevalentemente agricolo
e privo di vera industrializzazione. Quindi il fascismo resta una parentesi
dell'Italia liberale. (Tesi fatte proprie anche da Gobetti e Rosselli). (Da
notare che Croce inizialmente appoggiò il fascismo). Piero Gobetti: il fascismo come conseguenza delle contraddizioni dell'Italia post-risorgimentale, la cui classe dirigente non era in grado di modernizzare il paese. In effetti ha ragione Gobetti: il compromesso tra agrari e grande borghesia aveva scontentato tutti: operai, contadini e piccola borghesia. Non si fece alcuna riforma agraria, si represse il movimento operaio e col protezionismo si favorì l'inflazione. Quando poi il governo non mantenne le promesse fatte per indurre operai e contadini ad entrare nella Grande Guerra contro l'Austria, si raggiunse il colmo dell'ipocrisia. Tuttavia Gobetti non ha capito che la contraddizione maggiore dell'Italia post-risorgimentale non era tanto il mancato sviluppo industriale di tutto il paese, quanto il conflitto tra capitale e lavoro e tra agrari e contadini. L'Italia borghese, a unificazione compiuta, era un'infima minoranza. Sicché il fascismo fu un tentativo di risolvere quelle contraddizioni accentuando gli aspetti monopolistici e statali del capitalismo. Friedrich Meinecke: a) nazismo e fascismo avrebbero rappresentato una sorprendente deviazione dalla linea evolutiva lungo la quale l'Europa si era sin lì mossa. Per spiegare questa deviazione Meinecke si rifà a J. Burckhardt, che per primo aveva intravisto il germe del grande male nella errata aspirazione alla irraggiungibile felicità delle masse, trasformatasi poi nella bramosia di guadagno e nella volontà di potenza. Su questa strada si sarebbe verificata una dissoluzione degli antichi vincoli sociali e si sarebbero affermati princìpi e uomini che avrebbero ridotto le masse alla disciplina e all'obbedienza e le avrebbero indotte a rinunciare alla libertà in nome della felicità; b) questa crisi morale sarebbe stata in particolare la conseguenza della mobilitazione delle masse provocata dalla rivoluzione francese e da quella industriale. La prima guerra mondiale, a sua volta, avrebbe esasperato questa crisi, sacrificando sull'altare della vittoria buona parte dei valori morali. La sconfitta e la crisi economica in Germania fecero alterare soprattutto nella gioventù l'equilibrio tra impulsi razionali e irrazionali; c) da questa linea discende l'interpretazione globale del nazismo e, per estensione, del fascismo, sicché la trasformazione del popolo tedesco secondo il modello hitleriano si era resa possibile in seguito allo scompaginamento delle forze spirituali in essere fin dai tempi di Goethe: da un lato infatti fu smisuratamente sviluppato il raziocinio e, dall'altro, il desiderio di potere e di ricchezza. Tutto ciò che si poteva calcolare ed esigere appariva giustificato, sempre che apportasse ricchezza e potenza, e persino giustificato dal punto di vista morale, quando fosse di profitto al proprio popolo. Hans Kohn: a) dalla crisi della ragione (prima guerra mondiale) sono nate diverse fedi ideo-politiche, una più esclusiva dell'altra, ma tutte espressioni di un'unica crisi. Nasceva il totalitarismo, di cui il fascismo è stato solo una manifestazione, non diversa, nella sostanza, dal comunismo sovietico; b) i tradizionali regimi conservatori avevano lo scopo di mantenere o restaurare un determinato assetto politico-sociale e, a questo fine, puntavano sulla passività delle masse. Viceversa i regimi totalitari mirano a un nuovo ordine politico-sociale e, a tale scopo, mobilitano le masse, interpretando la loro immaturità, la loro crisi morale e materiale. II) Il fascismo come prodotto logico e inevitabile dello sviluppo storico di alcuni paesi Il fascismo sarebbe stato la logica e inevitabile conseguenza di una serie di limiti fondamentali nello sviluppo storico di alcuni paesi (soprattutto Italia e Germania, ma anche Spagna e Portogallo). Alcuni di questi limiti sarebbero connessi al ritardo e alla fragilità con cui in quei paesi si sarebbero realizzati lo sviluppo economico o l'unificazione e l'indipendenza nazionale. La borghesia cioè non sarebbe riuscita a svilupparsi se non in forme patologiche e avrebbe dovuto perciò ricorrere continuamente ad alleanze conservatrici e a forme di potere politico illiberali per affermare il proprio predominio. Quindi agli elementi di tipo democratico-radicale, populistico e persino rivoluzionario si sarebbero uniti elementi tradizionali di tipo conservatore. L'ideologia nazionalista piccolo-borghese del fascismo non era solo contraria al comunismo, ma anche al capitalismo “plutocratico” di Francia e Gran Bretagna. III) Il fascismo come prodotto della società capitalistica e come reazione anti-proletaria Gli ambienti socialcomunisti sostengono che il fascismo sia stato una delle forme che nel XX secolo ha assunto il capitalismo nella propria lotta contro i lavoratori: a) Maurice Dobb ritiene che il fascismo sia figlio della crisi del capitale monopolistico, privato dei frutti del colonialismo su cui precedentemente contava; b) Paul A. Baran e Paul Sweezy ritengono però che le oligarchie finanziarie preferiscono di più i governi democratici che non quelli totalitari. August Thalheimer ritiene il fascismo non la forma della dittatura aperta del capitale, ma una sua forma particolare, a cui il potere statuale borghese giunge dopo la minaccia della rivoluzione proletaria. Se il fascismo è una dittatura aperta del capitale, il potere statale è però in gran parte nelle mani di una élite che non è espressione del capitalismo: questo perché la borghesia, per salvare la propria esistenza sociale, si è vista costretta a sacrificare il proprio potere politico. Resta comunque vera la sostanza del fascismo come dominio della borghesia sulla classe operaia e su tutti gli strati sociali sfruttati dal capitalismo. Otto Bauer ritiene il fascismo una forma di potere politico che si pone al di sopra sia della borghesia capitalistica che del proletariato, in quanto esso realizza una dittatura capitalistico-militarista in funzione di interessi conservatori ben definiti. Infatti alla radice del fascismo erano la guerra (che aveva declassato e orientato ideologicamente in senso militaristico vaste masse di combattenti) e le crisi economiche del dopoguerra (che avevano ridotto in miseria ed esasperato larghe masse di piccoli borghesi e di contadini, salvaguardando i profitti solo per la classe capitalistica vera e propria). Di qui il sorgere del fascismo come un'ideologia nazionalista piccolo-borghese e il progressivo sostegno ch'esso ha avuto dalla borghesia capitalistica, la quale, in origine, non pensava di cedergli il potere, ma ne rimase come prigioniera, dato che, reprimendolo, si sarebbe esposta alla rivincita proletaria. In ogni caso la borghesia capitalistica non perse sotto il fascismo il proprio potere, anzi una parte di essa (il grande capitale e la grande proprietà terriera) lo vide accresciuto. George D. H. Cole nega che il fascismo possa essere considerato come la convulsione finale del capitalismo in declino, in quanto non lo ritiene una nuova forma di capitalismo imperialistico, bensì una terza forza che si opponeva sia al capitalismo parlamentare che al socialismo e al comunismo. Una terza forza che aveva il suo motore principalmente nella piccola borghesia, avversa alle ambizioni egualitaria della classe operaia e colpita dalla depressione economica. In Italia e in Germania il fascismo, arrivato al potere, finì per comprimere i suoi elementi più radicali, per allearsi con le forze feudali e capitalistiche, anche se non per questo la sua essenza divenne feudale o capitalistica in senso tradizionale. La tesi dell'Internazionale Comunista fu che il fascismo sia stato l'ultimo stadio di sviluppo del regime capitalistico all'interno di vari paesi. Nel 1935, al VII Congresso, la valutazione del fascismo fu radicalizzata: fascisti erano anche quei paesi in cui il fascismo non si decideva subito a liquidare il parlamento e lasciava agli altri partiti borghesi e anche alla socialdemocrazia un certo grado di legalità. Le forze sociali che più hanno contribuito ad esprimere il fascismo sono state quelle che più hanno sofferto la prima guerra mondiale e il conseguente dissesto dell'economia capitalistica, quindi ampi strati della piccola borghesia, della piccola proprietà contadina e dell'intellighenzia. Complice dell'adesione al fascismo è stato indirettamente anche il socialismo riformista, totalmente incapace di svolgere la propria azione in senso rivoluzionario. In una prima fase il fascismo ha in parte simpatizzato con istanze rivoluzionarie, ma di fronte all'offensiva generale della borghesia le masse che hanno seguito il fascismo si sono messe al fianco di essa. Tuttavia l'obiettivo di trasformare il tradizionale Stato democratico borghese nello Stato autoritario fascista è andato incontro a contrasti molto forti tra grande borghesia e piccola borghesia, tra piccoli contadini e intellettuali, tra borghesia e proletariato. In particolare si è sempre sostenuto, da parte comunista, che la piccola borghesia si distingue per la sua dipendenza economica e la sua eterogeneità sociale. Essa oscilla sempre tra capitalisti e operai e non può avere per questo una politica indipendente. Quando sopraggiunge una forte crisi economica la piccola borghesia assume un atteggiamento sempre più ostile verso il proprio strato superiore. Infatti è l'impazienza e la disperazione della piccola borghesia che vengono sfruttate dal fascismo. Richard Löwenthal descrive il movimento fascista come una comunità di falliti, cui corrispondeva una corrispondente élite dirigente, che contavano di riscattarsi attraverso l'occupazione dello Stato, indebolendo la classe operaia e la democrazia. Lo dimostra il fatto che il fascismo non ha avuto nelle sue fila, fino alla vittoria, appartenenti alla classe dominante. Man mano che si acuirono i contrasti interni alla grande borghesia, la corsa ad accaparrarsi il favore del partito fascista si era fatta più veloce, sino a portare il fascismo a fare il suo ingresso in un governo di coalizione con essa. In tal senso il fascismo non è la rappresentazione di una formazione economica nuova, ma è sempre il frutto di un capitalismo in corso di trasformazione. Palmiro Togliatti: il fascismo come regime reazionario di massa, appoggiato dai ceti medi e diretto contro la classe operaia. Togliatti però non vide il lato propulsivo del fascismo a favore del capitalismo monopolistico di stato e imperialistico. L'imperialismo non fu affatto l'esito di manie di grandezza, ma il corso necessario di uno Stato che, essendosi trasformato in un capitalista esso stesso, aveva strutturalmente bisogno di colonie da sfruttare. Il colonialismo non era stato usato come diversivo di massa, per distogliere la popolazione dai problemi interni. Il regime sapeva bene che senza un proprio impero nel Mediterraneo sarebbe stato impossibile competere con Francia e Gran Bretagna. Ernesto Ragionieri:il fascismo come espressione di un capitalismo asfittico e immaturo. Un'espressione però inevitabile - avrebbe dovuto aggiungere -, in quanto il capitalismo italiano (a differenza di quello anglo-americano) non beneficiava di alcun sistema coloniale. Il capitalismo italiano fu costretto a darsi una veste autoritaria proprio perché doveva recuperare il tempo perduto (e così il nazismo). Il fatto di essere partiti tardi nel decollo industriale di tipo capitalistico, non poteva non avere un risvolto autoritario quando il resto del mondo era già stato spartito tra inglesi, francesi, americani e, prima di loro, da spagnoli, portoghesi, olandesi e belgi. IV) L'interpretazione cattolica Jacques Maritain ritiene che il fascismo sia stato un effetto della crisi del liberalismo individualistico, privo di spiritualità. Esso tuttavia conserva lo sviluppo della storia all'interno di un quadro capitalistico, pur ricorrendo in larga misura a forme di socialismo di stato. Da un lato quindi il fascismo ha sviluppato una sorta di imperialismo etnico o nazionale e una politica di prestigio, dall'altro invece ha orientato la propria evoluzione interna in un senso vicino alla morfologia comunista, dando molto risalto allo Stato etico e assistenziale. Augusto del Noce ritiene che il totalitarismo non sia altro che una religione secolare, che va vista nel quadro della crisi dei valori etico-religiosi della moderna civiltà occidentale. Tuttavia mentre il nazismo è totalitario in quanto ha voluto opporsi, con tutta la propria ideologia mondana e immanentistica, al comunismo, trasformandosi in un fenomeno irrazionale, il fascismo italiano invece non è stato un regime autenticamente totalitario, in quanto ha semmai voluto inverare gli ideali del marxismo. Il fascismo italiano era peraltro convinto che sotto la realtà delle classi vi è una realtà più profonda, quella della nazione, intesa non in senso tradizionale del nazionalismo, cioè come un luogo in cui conservare un'eredità di valori, ma come un divenire di potenza. La storia non è concepita come una fedeltà, ma come una creazione continua che merita di rovesciare nel suo passaggio tutto ciò che le si può opporre. V) Il fascismo come manifestazione del totalitarismo Il totalitarismo rappresenta una delle forme tipiche di organizzazione politica della moderna società di massa, che si avvale di mezzi tecnici del tutto ignoti ai precedenti regimi autocratici. Hanna Arendt sostiene che il sorgere del totalitarismo è connesso soprattutto al tramonto dello Stato nazionale liberale e all'affermarsi dell'imperialismo, ma anche al crollo del sistema classista e dei suoi valori, conseguente allo scatenamento della prima guerra mondiale, la quale avrebbe favorito l'atomizzazione della moderna società di massa, cioè l'isolamento alienato e frustrato di lavoratori che per riscattarsi diventano disponibili alle suggestioni più demagogiche. Di qui la nascita delle masse popolari. I regimi totalitari ci servono di individui che non erano mai apparsi prima sulla scena politica e che appartengono a masse indifferenziate. Ecco perché vengono introdotti metodi nuovi di propaganda e di demagogia. VI) Il fascismo come fenomeno transpolitico Ernst Nolte sostiene che il fascismo può nascere solo sul terreno del sistema liberale e non esiste senza la sfida del bolscevismo, cioè esso è la risposta alla protesta radicale comunista, che nasce nel sistema liberale. Senza comunismo non ci può essere alcun fascismo. Inoltre Nolte ritiene che l’Olocausto, con tutto ciò di cui è formato (deportazioni di massa, torture, campi di concentramento...), non sia altro che una pagina nella storia dei massacri che ha caratterizzato il XX secolo (dal genocidio armeno in Turchia allo sterminio della dissidenza politica nella Spagna di Franco, passando per lo sterminio dei dissidenti nei gulag stalinisti, che precedono i lager nazisti). I crimini nazisti possono essere interpretati come una conseguenza della "barbarie asiatica" dei bolscevichi. Hitler avrebbe preso esempio da Stalin e dai gulag, attuando una "lotta di razza" anziché una "lotta di classe". Temendo una rivoluzione comunista al proprio interno, la Germania avrebbe reagito sterminando gli ebrei, considerati all'epoca i fondatori del regime comunista in Russia. (Si vedano anche le tesi di Hilderbrand e di Hillgruber). VII) Il fascismo come fenomeno rivoluzionario piccolo-borghese Renzo De Felice: il fascismo non fu una reazione ma una rivoluzione dei ceti medi emergenti, desiderosi di affermare un proprio ruolo sia nei confronti del proletariato che della grande borghesia. Semmai il fascismo-regime ha contraddetto le aspirazioni del fascismo-movimento, perché realizzò un compromesso coi gruppi dirigenti tradizionali e con la chiesa. Tuttavia De Felice avrebbe dovuto ammettere che senza l'appoggio degli agrari e della grande industria, nonché della corona (e quindi delle forze dell'ordine pubblico e dell'amministrazione statale), il fascismo non avrebbe potuto vincere né contro i socialisti né contro i popolari. Emilio Gentile: il fascismo come visione mistica della politica poggiante su un nazionalismo radicale, su una concezione della violenza come rigenerazione morale (vedi nazionalismo e futurismo), volta a creare un "uomo nuovo", più deciso e coraggioso, come non riuscì a fare il socialismo italiano, troppo riformista, troppo democratico, non sufficientemente avverso alle vecchie classi liberali. Tuttavia Gentile avrebbe dovuto aggiungere che l'Italia sperimentò in un tempo molto breve tutti i limiti della classe politica liberale, la quale, non avendo un proprio impero coloniale, non era in grado di corrompere le opposizioni, offrendo benessere e alti salari. Dal 1861 alla fine della I guerra mondiale la classe politica sperimentò un insuccesso dopo l'altro: il colonialismo africano fu del tutto fallimentare e quello che si sperò di ottenere in Dalmazia, entrando nella I guerra mondiale, venne frustrato dalla resistenza delle potenze occidentali (Francia, Gran Bretagna e Usa). L'Italia non sarebbe mai potuta diventare una grande potenza industriale capitalistica limitandosi a fare del Mezzogiorno una propria colonia interna. Il fascismo fu la dimostrazione che occorrevano ben altre colonie: di qui la continua esigenza di occupare i territori africani, balcanici e mediterranei, dichiarando guerra a Francia e Gran Bretagna. La parte retorica-demagogica-populistica era soltanto funzionale alla necessità di dare un volto "nazionale" a un paese diviso tra nord e sud, tra industria e agricoltura, tra borghesia e agrari (mafiosi al sud). |