L'Isonzo

Le dodici battaglie dell'Isonzo, la guerra tra Italia e Austria-Ungheria

PREMESSA

Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarava guerra all'impero Austro - Ungarico per completare la propria unità entro i suoi legittimi e naturali confini. La grande prova, che richiese la mobilitazione di 27 classi, dalle generazioni mature ai giovanissimi del '99 e del '900 che furono invitati a combattere a soli 18 anni di età, schierò in campo un esercito di 5 milioni e mezzo di combattenti dei quali 689.000 caddero sul campo e oltre un milione e mezzo tornarono alle loro case mutilati o feriti. Durò essa ben 41 lunghissimi mesi, ma si concluse con una sfolgorante vittoria che consentì la felice conclusione delle speranze e dei sacrifici della lunga epopea risorgimentale.

Il primo nervo dell'Esercito Italiano che scese in campo dovette schierare lungo ben 600 chilometri di fronte tra le Alpi e il mare ed affrontare un nemico - uno degli eserciti più potenti del mondo di allora - superiore per numero, mezzi ed armi, specialmente artiglieri, avvantaggiato peraltro da posizioni tutte predominanti, predisposte da tempo ed allestite a norma dei dettami e con i mezzi più moderni dell'arte fortificatoria dell'epoca per cui lo Stato Maggiore germanico le aveva definite "ideali per la difesa".

Lungo la frontiera con l'Austria, l'Esercito aveva schierato: la 1° e la 4° Armata attorno al saliente tridentino, il settore Zona Carnia dal Monte Peralba al Monte Canin; la 2° Armata dal Monte Canin al Vipacco e la 3° dal Vipacco al mare. Esse erano fronteggiate da tre armate austriache: una nel saliente tridentino; un'altra lungo il Cadore e la Carnia; una terza dal Monte Nero al mare.

Guerra in trincea sul fronte italiano

IL PIANO OFFENSIVO (Gen. Cadorna) comprendeva:

1) offensiva sull fronte della Giulia (azione principale) per superare la linea dell'Isonzo e raggiungere la linea della Sava, tra Krainburg e Lubiana;

2) difensiva strategica sull fronte tridentino (il pericoloso saliente tridentino che si incuneava minaccioso lungo la parte più delicata del settore alpino del fronte), sostenuta da azioni tattiche parziali, intese a migliorare la situazione dell'andamento della linea di confine;

3) offensiva in Cadore e in Carnia ma con azioni secondarie con obiettivi il nodo di Dobbiaco e uno sbocco in Carinzia.

IL PRIMO BALZO OFFENSIVO

All'inizio dell'ostilità le truppe italiane irruppero quasi ovunque oltre il confine per assicurarsi buone basi di partenza per le operazioni successive. Sul fronte Giulio conquistarono la conca di Caporetto, la dorsale tra Isonzo e Judrio, e dilagarono nella pianura friulana occupando Cormons, Cervignano e Grado.
Ma il progredire divenne sempre più arduo e sanguinoso perché il nemico, oltre ad una più lunga esperienza di guerra di trincea godeva anche del vantaggio delle posizioni: tutte dominanti.
Ai primi di giugno, venne occupata Gradisca e, forzato l'Isonzo a Plava, creata una testa di ponte che impediva al nemico le comunicazioni per il fondo valle. Venne poi occupata Monfalcone ed il 16 conquistato il M. Nero.

LE PRIME QUATTRO BATTAGLIE

Conclusosi il primo balzo offensivo, il nemico venne poi impegnato, lungo il fronte isontino, in undici battaglie offensive in cui le truppe italiane profusero largamente valore e sangue.

Si ebbero così sull'Isonzo 29 mesi di aspra guerra di posizione che, se furono sanguinosi per le truppe italiane, costarono anche al nemico un terribile logoramento che permise di far non sentire il suo peso determinante su altri fronti. A ondate successive, la generosa gioventù italiana affrontò il fuoco delle mitragliatrici e dei cannoni nemici, si lanciò contro il "tremendo" reticolato nel quale gruppi di uomini votati al sacrificio aprivano dei varchi con mezzi ancora rudimentali ed estremamente pericolosi; finché un anno dopo non sopraggiunse un'arma nuova - la bombarda - a facilitarne il compito e ridurre la perdita di giovani vite umane.
Obiettivi delle prime quattro battaglie, combattute nel 1915, furono le due teste di ponte di Tolmino e di Gorizia a destra dell'Isonzo e il bastione del Carso.

Nonostante lo slancio con cui le truppe italiane si gettarono contro le bene organizzate difese nemiche perdendo il fiore dei suoi combattenti, i risultati furono scarsi. Esse valsero comunque a tenere in stallo notevoli forze nemiche ed a richiamarne altre.

LA QUINTA BATTAGLIA (marzo 1916) ebbe scopo di favorire l'alleato francese, impedendo al nemico di trasferire truppe sul fronte di Verdun dove i tedeschi avevano lanciato un grande attacco. La lotta fu particolarmente aspra tra il S. Michele e S. Martino, ma con i risultati assai modesti.

All'alba del 29 giugno 1916, nella zona del S. Michele, fece la sua tragica apparizione un nuovo crudele mezzo di lotta: il gas asfissiante. Sorpresi nel sonno, in pochi minuti persero la vita 2.700 uomini dell'XI Corpo d'Armata, mentre altri 4.000 rimasero gravemente intossicati. Ma, con un mirabile sforzo di volontà dei superstiti, la situazione, inizialmente compromessa, veniva prontamente ristabilita.

LA SESTA BATTAGLIA DELL'ISONZO (4 - 17 agosto)

Il piano prevedeva due attacchi principali ai lati del campo trincerato di Gorizia dalle alture del Sabotino al Podgora e dal S. Michele a Doberdò; altra azione diversiva doveva essere sferrata con adeguato anticipo sul settore di Monfalcone.

L'operazione, che venne affidata alla 3° Armata era stata preparata accuratamente; per la prima volta sul fronte italiano si affiancava al cannone la bombarda, nata per infrangere la barriera dei reticolati. Dopo un poderoso tipo di preparazione furono conquistate di slancio le importanti posizioni del Sabotino e le tanto contrastate cime del S. Michele. Il 9 agosto le nostre avanguardie entravano in Gorizia e quindi si attestavano oltre il Vallone.

La 6° battaglia dell'Isonzo costituì un grande successo per gli iatliani che inflissero agli austriaci la perdita di 41.835 uomini e di ingente materiale bellico.

Nel 1916 si ebbero ancora tre battaglie: la SETTIMA, l'OTTAVA e la NONA, con le quali, nonostante l'immutato slancio e l'indomita tenacia, vennero raggiunti risultati modesti: la difesa era ancora più forte dell'attacco nonostante l'adozione di nuovi mezzi.

La primavera del 1917 fu contrassegnata dalla DECIMA BATTAGLIA (12 maggio - 8 giugno) che aveva per obiettivi la conquista del bastione montuoso strapiombante sull'Isonzo tra Plave e Gorizia e dell'importante massiccio dell'Hermada.
Violentissimi combattimenti si ebbero specialmente sul Vodice e sul Monte Santo il quale venne occupato e perduto più volte. Furono comunque occupati il Monte Kuk, Jamiano e quota 21 di Monfalcone.

L'UNDICESIMA BATTAGLIA (18 agosto - 12 settembre) ebbe per obiettivo l'altipiano della Bainsizza che costituiva per il nemico una buona base di partenza per le proprie offensive e rappresentava altresì la naturale copertura del Vallone di Chiapovano, utilizzato dagli austriaci per il sicuro spostamento di uomini e di mezzi tra il Carso e la Conca di Tolmino.

L'offensiva si sviluppò anche sul Carso, ed a questa concorsero validamente dal mare monitori e batterie natanti della marina. A prezzo di gravi sacrifici, le truppe italiane forzarono l'Isonzo in più punti e progredirono così rapidamente sul margine occidentale dell'altipiano della Bainsizza da costringere il nemico a ripiegare su una linea più arretrata, lasciando in mani italiane lo Jenelik, il Kbilek, il Monte Santo, 20.000 prigionieri, nonché ingenti quantità di armi. Le perdite complessive in questa grande battaglia ammontarono a 143.000 italiani e 110.000 austriaci tra morti, feriti e dispersi. Dopo questa battaglia l'esercito austro - ungarico era ridotto in condizioni da non poter sostenere un altro attacco italiano.

Per cercare di risollevarne le sorti, gli Stati Maggiori germanico e austro - ungarico decisero di sferrare, prima dei mesi invernali, una grande offensiva contro l'ala nord della 2° Armata italiana (DODICESIMA BATTAGLIA DELL'ISONZO).

All'alba del 24 ottobre, la 14° Armata austro - ungarica, formata da otto divisioni austriache e sette germaniche attaccò vigorosamente tra Plezzo e Tolmino le linee italiane, preventivamente sconvolte da un massiccio fuoco di artiglieria a proietto e a gas, riuscì a quasi totalmente travolgerle raggiungendo rapidamente la conca di Caporetto. Fattori psicologici nonché la coincidenza di sfavorevoli circostanze, concorsero a trasformare un successo tattico del nemico in un successo strategico, che determinò lo scardinamento del fronte Giulio ed obbligò il Comando Supremo ad ordinare la ritirata sul Tagliamento prima e sul Piave, per impedire l'accerchiamento della 3° Armata. Il saldo ed eroico comportamento della 3° Armata permise all'esercito di salvarsi sulla destra del Tagliamento e rese possibile la successiva resistenza ad oltranza sulla linea destra del Piave sul Grappa e sugli Altipiani, dove s'infransero tutti i disperati attacchi nemici. Da quelle posizioni, alla fine dell'ottobre 1918, balzarono i fanti italiani per travolgere il nemico finalmente battuto.

Nel quadro della complessa guerra italo - austriaca, la 3° Armata assolse un compito particolarmente arduo e sanguinoso. I suoi soldati si comportarono sempre con valore coprendosi ovunque di gloria, nella lunga e durissima lotta su un terreno molto difficile e contro un nemico particolarmente tenace ed agguerrito. Anche nelle tragiche giornate della ritirata al Piave il suo comportamento fu tale da meritarle lo storico appellativo di "Invitta".

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