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TEORIE SUL PLUSVALORE
Commento all'APPENDICE del vol. III
(Storia dell'economia politica, Editori Riuniti, Roma 1993)
MARX E IL CAPITALE PRODUTTIVO
D’INTERESSE
Conclusioni
Perché Marx s’è soffermato così tanto nel descrivere le
forme in cui il capitale si manifesta? Perché Lenin ebbe il coraggio di dire
che la politica andava considerata come una “sintesi dell’economia”?
In effetti, ciò che più importa non è tanto quello di
sviscerare le contraddizioni del sistema, quanto, una volta chiarito il motivo
fondamentale dell’antagonismo, quello di organizzarsi politicamente per
superarle.
Un’analisi troppo particolareggiata delle contraddizioni del
sistema, finisce coll’aiutare il sistema stesso a trovare le soluzioni più
idonee a superare i propri limiti o le soluzioni per mistificare meglio le
proprie contraddizioni.
Il superamento del sistema capitalistico deve avvenire sulla
base del primato del valore d’uso su quello di scambio, del primato della terra
sull’industria, del primato dell’ecologia sull’economia, dell’autoconsumo sul
mercato, della proprietà comune dei fondamentali mezzi produttivi contro
l’appropriazione individuale degli stessi.
Il capitalismo è antagonismo irriducibile tra capitale e
lavoro, tra possesso privato di strumenti produttivi, da un lato, e di forza
lavorativa dall’altro. Ecco perché il salario va abolito, sic et simpliciter,
come va abolito l’uso del denaro, che va sostituito col baratto. Le eccedenze
ottenute col lavoro possono essere vendute o conservate, ma va anzitutto
garantita la soddisfazione dei bisogni primari. Non ha senso produrre per il
mercato o per un profitto o per una rendita altrui o per un mero interesse
finanziario. Si produce per riprodursi, e lo si fa rispettando le esigenze
riproduttive della natura.
Il lavoro è obbligatorio per chi è in grado di svolgerlo, e
il suo valore non va quantificato meccanicamente, essendo il suo valore anche
“sociale”, non solo “economico”: esso serve alla collettività nel suo insieme,
serve a tenerla unita, legata a tradizioni consolidate e condivise. Non ha
senso misurare il valore di un oggetto sulla base del tempo di lavoro
socialmente necessario per produrlo, né sulla base dei suoi possibili prezzi di
costo.
Il valore di un oggetto è, per un collettivo,
incommensurabile a calcoli di tipo matematico o finanziario. Esistono forme di
lavoro (come l’educazione, l’istruzione, la stessa riproduzione e l’allevamento
della prole) che praticamente non hanno prezzo, e non perché siano sul piano
economico “improduttive”, né perché “valgano poco”, quanto perché il loro
valore sociale, umano, culturale, etico è altissimo, imparagonabile col valore
materiale di qualunque bene.
L’unico vero problema che a questo punto si pone è:
- come organizzare un movimento politico che contribuisca a
far scoppiare le contraddizioni antagonistiche e che si tenga pronto per
la rivoluzione;
- come organizzare piccole sperimentazioni sociali e
territoriali con cui mettere in pratica, da subito, le forme di produzione
e di consumo alternative a quelle dominanti.
In entrambi i casi occorre sperimentare forme di esperienze
collettiva, in cui si tenta di vivere la realtà secondo parametri culturali
opposti a quelli dominanti. Non è possibile alcuna forma di compromesso con lo
sfruttamento.
Premessa -
Il feticismo -
Il valore della cultura nel
capitalismo finanziario -
Trasformazioni del capitale -
Economia e cultura -
L'emancipazione borghese - Conclusione
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