Considerazioni sullo stalinismo

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CONSIDERAZIONI SULLO STALINISMO

La semplificazione che lo stalinismo fece del leninismo contribuì a creare una sorta di monismo ideologico di Stato, che servì da supporto per la dittatura del partito unico sulla società (che fu poi la dittatura degli intellettuali, dei funzionari di partito e dei burocrati dell'amministrazione statale, formatisi in ambienti urbani).

Questa semplificazione fu un atto non solo d'imperio, reso possibile dall'arretratezza di un paese con una percentuale altissima di analfabeti e di cittadini abituati da secoli all'obbedienza passiva. Fu anche un atto ingenuo, in quanto si credeva di poter contribuire, con gli strumenti dell'ideologia, a tenere la società più unita.

Il capitalismo non crede in queste forme di idealismo, se non in misura molto limitata, in quanto basa la propria sopravvivenza su fattori più prosaici, come il profitto, la rendita, l'evasione fiscale, un salario per acquistare beni superflui o comunque per consumare quelle forme utili a far dimenticare i problemi sociali o almeno a nascondere la causa che li genera. Anzi, ogni richiamo agli ideali che non siano religiosi o di derivazione religiosa, viene definito, sprezzantemente, come una forma di ideologia.

L'occidente non ama mettere in discussione la propria ideologia (formale) con altre ideologie (sostanziali), non ama gente che pensa e che non compra.

Ma c'è un altro aspetto da considerare. Lo stalinismo fu anche l'incapacità di capire che le esigenze del mondo contadino dovevano prevalere su quelle industriali, non solo perché il paese era basato su un'economia prevalentemente rurale, ma anche perché un'applicazione forzata di quella stessa rivoluzione industriale compiuta in Europa occidentale e negli Stati Uniti, non avrebbe fatto altro che portare alla rovina un paese privo di colonie, le quali appunto erano servite ai paesi capitalisti per scaricare il peso dei guasti causati da quella rivoluzione.

La Russia europea trasformò quella asiatica in una gigantesca colonia interna, come in Italia la parte del centro-nord fece con quella meridionale. Quanto più la classe contadina opponeva resistenza alle priorità assolute dell'industria e della città, che il partito voleva imporre a tutti i costi, temendo di perdere il confronto con l'occidente, tanto più la politica tendeva ad assumere forme di spiccato autoritarismo, giustificato col pretesto che nel mondo rurale s'andavano diffondendo tentativi di ripristinare il capitalismo (vedi la questione dei kulaki).

In sostanza non ci si rendeva conto che proprio l'industrializzazione forzata, fatta pagare soprattutto alla classe rurale, costituiva l'elemento principale di una penetrazione delle campagne e in tutto il paese di una sorta di capitalismo di stato, gestito da un unico imprenditore nazionale, burocratico e poliziesco, una sorta di manager amministrativo preposto a far funzionare un'economia di cui il partito politico, in forza dell'Ottobre, si sentiva unico legittimo proprietario.

Tutto ciò per dire che nel 1991 è fallito in Urss non tanto il leninismo, quanto piuttosto il sistema amministrativo-dirigista inaugurato da Stalin e proseguito dai suoi successori nel periodo della stagnazione.

A differenza di Lenin, Stalin non riuscì mai a tollerare il pluralismo degli orientamenti ideali, nonché una loro organizzazione autonoma, né mai riuscì ad accettare l'idea che lo Stato dovesse progressivamente estinguersi in rapporto alla crescita del socialismo. Anzi, egli teorizzò proprio il contrario, e cioè che lo sviluppo del socialismo avrebbe comportato un aumento del burocratismo e del militarismo, proprio per difendersi dalla inevitabile accresciuta ostilità delle potenze capitalistiche. I poteri forti delle organizzazioni statali andavano difesi ad oltranza per tutelare le conquiste della rivoluzione.

La società civile, sotto lo stalinismo, era stata come inghiottita dallo Stato, il cui compito principale era quello di organizzare e di indottrinare le masse. Dopo aver abolito ogni forma di proprietà privata, lo Stato pretendeva di coincidere col popolo tout-court. E mentre sotto lo stalinismo gli oppositori venivano eliminati fisicamente, sotto la fase della stagnazione l'eliminazione era politica, morale, psicologica (con l'internamento nei manicomi).

La maggiore illusione è stata proprio quella di credere d'aver costruito il socialismo dal punto di vista della proprietà statalizzata, in cui la dittatura politica del partito unico si serviva degli organi statali per imporsi sulla società.

La stragrande maggioranza dei cittadini era salariata statale. Il che aveva portato all'indifferenza per le sorti del "bene pubblico", all'apatia, alla rassegnazione per i destini del paese, in quanto non può esservi interesse là dove la cosa "pubblica" non viene avvertita come "propria".

Solo nell'ambito della società civile, in un processo spontaneo, autocosciente, di appropriazione collettiva del bene pubblico, in modo che tutti abbiano da riconoscersi come persone "libere", è possibile parlare di "socialismo reale". Qualunque "socialismo di stato" è un "socialismo da caserma".

Il problema è, purtroppo, che in Russia non si è sviluppato un socialismo dal punto di vista della società civile, in opposizione a quello "statalista", ma si sono sviluppate correnti borghesi che stanno utilizzando lo Stato per potersi meglio affermare.

E' d'altra parte inevitabile veder sorgere una reazione borghese, istintiva, individualistica alla massificazione obbligata di 70 anni di dittatura.

Si è approfittato del fallimento del socialismo burocratico per sostenere uno sviluppo che prima o poi porterà a contraddizioni così acute da riproporre il tema di un loro superamento anticapitalistico.

Non si può cancellare il leninismo con un colpo di spugna. Non si può cancellarlo col pretesto che la prosecuzione del leninismo è stata, storicamente, lo stalinismo.

Lo stalinismo, come d'altra parte il trotskismo, nella loro versione codificata, consegnata alla storia, non hanno nulla a che fare col leninismo. Lenin fu ostile sia a Stalin che a Trotsky in più occasioni, non apprezzava i loro metodi "amministrativi", cioè autoritari, anche se questo non gli impedì di lavorare con loro. La stessa ideologia "leninista" non ha nulla a che vedere col metodo dialettico di Lenin, che mal sopportava gli "ismi" di qualsivoglia genere.

Lo stesso Marx - come noto - rifiutava di definirsi "marxista". Ogni forma di fossilizzazione, di cristallizzazione di una teoria, è una forma di tradimento nei confronti degli autori che l'hanno elaborata. Non c'è un solo libro di Lenin che non abbia rettificato delle tesi espresse in un libro precedente.

P.es. dopo il fallimento della prima rivoluzione russa, Lenin dovette rendersi conto che lo sviluppo del capitalismo nelle campagne era stato sopravvalutato. La stessa realizzazione della Nep era in sostanza l'ammissione che il socialismo non poteva essere imposto dall'alto. Nelle opere del 1922-23 egli offre una visione del socialismo come società di cooperatori civilizzati, in cui il ruolo delle cooperative (fino ad allora criticato) sarebbe stato fondamentale. Lui stesso più volte aveva detto ch'era impossibile non commettere errori e che il problema vero stava nel saperli correggere in tempo, senza aspettare che si correggessero da soli. Il marxismo dell'ultimo Lenin era molto più pragmatico e realista di quello del periodo precedente.

Bibliografia

  • Anna di Biagio, Democrazia e Centralismo, Il Saggiatore, Milano 1978

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  • L. Trotski, La mia vita, ed. Mondadori, Milano 1961

  • L. Trotski, Nuovo Corso, ed. Samonà e Savelli, Roma 1967

  • J. Stalin, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1952

  • J. Stalin, La dittatura del proletariato. Scritti e discorsi politici, M & B Publishing

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015

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