STALIN E LO STALINISMO

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STALIN E LO STALINISMO

Oggi più nessuno crede nel mito di Stalin, se non qualche irriducibile vetero-comunista. Ma la critica dello stalinismo non è mai stata facile, come invece in Occidente si è sempre voluto far credere. Da noi lo stalinismo è stato liquidato senza un'analisi politica e ideologica seria: da un lato perché gli intellettuali di sinistra, fino a ieri, non volevano rinnegare l'esperienza del "socialismo reale", dall'altra perché gli intellettuali borghesi non volevano confrontarsi seriamente col marxismo. E così ci si è limitati a evidenziare dello stalinismo gli aspetti che più suscitano riprovazione e sdegno, come ad es. i gulag, la collettivizzazione forzata dei contadini, la burocratizzazione del sistema, ecc.

In realtà, nelle opere e negli slogan di Stalin è difficile, di primo acchito, trovare una discordanza con i concetti abituali del marxismo. Lo è soprattutto se ci si limita a considerare in maniera isolata certe sue affermazioni, evitando di collocarle in un quadro d'insieme ove risultino interdipendenti. La verità non è mai la somma di affermazioni giuste e separate. Ancora oggi, purtroppo, molti sono dell'avviso che le deviazioni staliniane dal marxismo riguarderebbero tre soli elementi, considerati peraltro di secondaria importanza:

  • la riduzione dell'uomo comune a mero ingranaggio del sistema,
  • l'idea del partito come casta di privilegiati,
  • la concezione secondo cui l'edificazione del socialismo comporta l'acuirsi della lotta di classe (di qui l'uso della violenza come metodo di regolazione dei problemi socio-politici).

L'economia del nostro discorso però ha un'unica finalità: quella d'indicare alcuni fondamentali aspetti dello stalinismo che la coscienza politica del periodo in cui esso s'è formato, non è stata capace di cogliere nella loro pericolosità. Vediamo anzitutto la pretesa concordanza che si vuole vedere in Marx, Lenin e Stalin circa il rifiuto del valore mercantile e del mercato nel contesto del socialismo, che è l'affermazione dell'idea di uno scambio diretto dei prodotti in virtù di una pianificazione autoritaria dall'alto.

Ora, nessuno è in grado di dimostrare in quali opere Marx raccomanda di misconoscere i meccanismi del mercato e della formazione dei prezzi, nonché d'introdurre lo scambio diretto dei prodotti e la pianificazione statale in condizioni analoghe a quelle che si verificarono in Russia dopo il 1917. Non è forse vero che Marx, Engels e Lenin riferivano la possibilità di superare i rapporti merce-valore a un regime sociale in grado di sorgere sulla base del capitalismo altamente evoluto? Il socialismo non doveva forse costituire un'alternativa a quel capitalismo capace di socializzare il processo produttivo, di creare un lavoratore altamente qualificato, ecc.? Solo in questa tappa lo scambio diretto dei prodotti e la realizzazione di piani orientati verso i bisogni degli uomini diventano possibili e cominciano a giocare un ruolo progressista.

Nella situazione successiva all'Ottobre 1917, il problema principale era quello di trovare un'alternativa a un'economia caratterizzata da una pluralità enorme di strutture economiche, soprattutto quelle di tipo piccolo-borghese (senza dimenticare la presenza dei rapporti semi-feudali). Lenin non aveva dubbi nell'affermare che in quelle condizioni il socialismo non poteva essere costruito in modo "immediato". Al massimo si poteva parlare di "transizione" verso il socialismo. Lenin anzi si rendeva conto che il capitalismo privato della piccola borghesia era ostile non solo al socialismo ma anche al capitalismo di stato. Ecco perché pensava che i socialisti russi dovessero prendere lezioni dai tedeschi su come costruire il capitalismo statale.

Viceversa, per Stalin e il suo entourage il primato spettava alla volontà politica, alla violenza politica (di qui l'uso di metodi terroristici), con cui essi cercavano di regolare tutti i problemi dello sviluppo economico e culturale, senza pensare se le condizioni per la realizzazione di questi o quegli obiettivi fossero effettivamente mature.

Ovviamente ciò non va imputato a una presunta "perfidia politica" o ad una "malattia mentale" di Stalin. La questione è molto più complessa e riguarda, se vogliamo, le tendenze storiche oggettive, le quali non possono essere interpretate ricorrendo alle concezioni filosofiche tradizionali. La storia della filosofia non ci è di nessun aiuto per comprendere a fondo l'ideologia stalinista. Che senso avrebbe, infatti, applicare -come alcuni fanno- il concetto di "idealismo soggettivo estremo" a una figura come Stalin, quando lo stesso concetto lo si applica a filosofi come Fichte, Berkeley, Bogdanov?

Lo stalinismo, in realtà, non ha precedenti storici. Esso è l'ideologia e la dittatura dell'élite burocratica, capeggiata da un despota ritenuto onnipotente: un'ideologia volontarista e antiumanista, che usa la violenza in tutte le sue forme. Ancora oggi gli stalinisti si considerano come veri demiurghi della storia: "I quadri decidono tutto", diceva Stalin. Ai loro occhi, la realtà sociale non è un sistema organico di rapporti interumani, che si sviluppa in virtù di leggi proprie, attraverso gradi successivi di maturità, ma è una materia prima come l'argilla, che si può manipolare a proprio piacimento, usando la volontà politica, una buona organizzazione, una disciplina di ferro e potenti mezzi di violenza. In questo senso lo stalinismo è un sistema fondato sulla menzogna più sfacciata, sul cinismo ideologico e sulla doppia morale.

Quali radici poteva avere un fenomeno così mostruoso? La formazione delle premesse dello stalinismo vanno ricercate negli anni 1924-29. Le sue fonti ideologiche risiedono in un marxismo semplificato, mentre quelle socio-politiche in una strumentalizzazione della Rivoluzione d'Ottobre. A dir il vero la volgarizzazione del marxismo era peculiare a tutto la direzione bolscevica: Zinoviev, Trotski, Kamenev, Bucharin, Piatakov..., salvo Lenin. L'atmosfera di lotta, prima durante e dopo l'Ottobre, li aveva portati ad attribuire un grande ruolo all'iniziativa storica, all'attività umana, all'esigenza di "trasformare" il mondo più che di "interpretarlo". I fatti sembravano dar loro ragione: la rivoluzione procedeva sconfiggendo, uno dopo l'altro, i suoi nemici, superando, uno dopo l'altro, i suoi problemi.

Le radici dello stalinismo stanno proprio in questo orientamento gauchiste, soggettivistico sul piano ideologico e volontaristico su quello politico: atteggiamento che trovò subito appoggi molti vasti nella mentalità primitiva di una parte assai considerevole di masse rivoluzionarie.

Naturalmente esiste una certa differenza fra gli errori in buona fede di Bucharin, che tendeva a esagerare le possibilità del popolo rivoluzionario (e dei suoi capi) nella storia, e la politica deliberatamente impopolare degli stalinisti, almeno così come essa appare alla fine degli anni '20. A dir il vero, la differenza principale, all'interno del bolscevismo, tra stalinisti e antistalinisti, non stava tanto negli obiettivi da perseguire: nessuno era favorevole allo zarismo, né alla dittatura militare di Kornilov, né alla guerra, al parassitismo e all'arbitrio del capitale. I problemi tuttavia sorgevano quando si doveva stabilire il modo di liquidare la vecchia società e di edificare quella nuova.

Nella storia del movimento rivoluzionario russo si erano già viste all'opera due diversi approcci della realtà: quello autoritario dei gruppi cospirativi, che avrebbe poi portato al comunismo da caserma, di Zainchevsky, Nechaev e Tkachov; e quello democratico di Radishev, Herzen, Lavrov, Dobroljubov e Chernyshevsky, che valorizzava l'attività creativa e storica del popolo.

L'orientamento autoritario dello stalinismo è stato appoggiato dagli strati sociali meno evoluti, più marginali, il cui odio per il regime sociale oppressivo, antecedente alla rivoluzione, aveva assunto un carattere totalmente distruttivo. Questi strati sociali possono combattere l'oppressore con grande eroismo, sono capaci di enormi sacrifici, ma possono anche trasformare in una legge generale della nuova società le loro istanze non sviluppate, la loro inferiorità culturale, i loro rozzi principi morali, frutto di un'esistenza subumana, condotta nel passato regime. I successi straordinari dell'Ottobre e il basso livello culturale d'una parte considerevole della popolazione provocarono l'euforia generale dell'onnipotenza.

Lenin fu uno dei pochi ad andare contro corrente. Sono noti i suoi appelli ad apprendere le tecniche del commercio presso gli specialisti, a servirsi di tutta la cultura del passato, a sviluppare l'industria in modo scientifico, a promuovere i principi cooperativistici nelle campagne, sulla base del libero consenso, della persuasione, usando esempi concreti di successo: in una parola, a unire in modo dialettico la direzione centralizzata con la democrazia operaia. L'entusiasmo andava combinato - a suo avviso - con l'interesse materiale dei lavoratori, altrimenti si sarebbe caduti nella retorica e nella demagogia.

Stalin la pensava diversamente. A suo parere, era necessario creare in pochissimi anni e con una terapia d'urto i necessari rapporti socialisti nelle campagne, trasformando i contadini in colcosiani (ed eliminando i recalcitranti). Nell'arco di due-tre piani quinquennali l'URSS avrebbe dovuto superare i paesi più progrediti del mondo, altrimenti sarebbe stata la fine della rivoluzione. La religione doveva essere estirpata con la forza. Questi e altri principi furono appoggiati da quella parte di popolo meno evoluta, meno istruita, e, almeno in un primo momento, la loro applicazione conseguì notevoli risultati, anche se a prezzo di enormi sacrifici e soprattutto di spaventosi soprusi.

Il meccanismo generale che permette ai regimi "bonapartisti" (ivi incluso lo staliniano) di formarsi una propria base sociale, è descritto perfettamente da Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Il bonapartismo -come noto- trova la sua linfa vitale negli strati sociali più oppressi: negli anni '40 del secolo scorso si trattava soprattutto dei contadini. Una volta poi realizzati i principi della burocrazia, del militarismo e dell'apparato repressivo statale, il bonapartismo non ebbe bisogno neppure dell'appoggio dei contadini, i quali anzi furono soggetti a feroci persecuzioni. Questo perché la base sociale più adeguata dei regimi bonapartisti maturi (incluso quindi lo stalinismo) è la burocrazia, non la classe contadina.

Lo stalinismo s'è trasformato da sistema volontarista, legato a una certa base popolare, il cui entusiasmo post-rivoluzionario era ancora molto vivo, a sistema burocratico e impopolare verso la metà degli anni '30, cioè nel momento in cui lo sviluppo dell'economia nazionale, alzando il livello culturale del Paese, aveva portato i lavoratori ad un'opposizione sempre più consapevole ai metodi dittatoriali del regime. Ciò tuttavia non impedì il rafforzamento della burocrazia. Le ragioni sono più di una.

  • Anzitutto bisogna ricordare che all'inizio degli anni '20 il sistema economico era caratterizzato da "isole produttive" poco legate tra loro. I funzionari statali realizzavano sul piano politico-amministrativo quei collegamenti che mancavano sul piano economico.
  • In secondo luogo va considerato il fatto che l'ignoranza dei lavoratori ostacolava fortemente una partecipazione reale alla gestione economica, ovvero un controllo effettivo degli organi statali e amministrativi.
  • In terzo luogo va detto che il sistema burocratico non ha mai smesso di servirsi, coscientemente, del volontarismo e del soggettivismo per autolegittimarsi (lo attesta p.es. l'ideologia del culto della personalità).

Queste ragioni però, se fanno pensare che la burocrazia era inevitabile, non devono far pensare che il rafforzamento della burocrazia doveva necessariamente portare allo stalinismo, cioè al dominio totale e incondizionato della burocrazia. Le alternative allo stalinismo sono state ben visibili sin dall'inizio degli anni '20, alla vigilia della NEP, nonché nel 1927, durante il XV Congresso del partito, ed anche nel 1956, col XX Congresso. Lo stesso Lenin aveva chiaramente detto che la burocrazia era il pericolo maggiore della rivoluzione, la fonte di una possibile "reazione termidoriana". Se le sue indicazioni fossero state seguite con coerenza e decisione, probabilmente i destini dell'URSS sarebbero stati diversi.

Il programma di Lenin per indebolire la burocrazia era basato sulla Nuova Politica Economica, sull'estensione delle cooperative, sulle forme di produzione capitalistico-statali, sulle concessioni al capitale estero d'investire in URSS, sugli incentivi economici per i lavoratori (onde eliminare la costrizione extra-economica), sulla partecipazione degli operai e dei contadini all'attività degli organi superiori del potere statale, sul controllo dell'attività dei quadri dirigenti del partito, sullo sviluppo della cultura generale del popolo.

Morto Lenin, i tentativi di Trotski e Preobrazhensky di creare un sistema burocratico sulla base dell'accumulazione socialista primitiva fallirono grazie soprattutto al ruolo teorico giocato da Bucharin nel corso del XV Congresso del partito bolscevico (1927). Giustamente venne rifiutata l'idea di sviluppare l'economia nazionale contro gli interessi dei contadini, drenando risorse e mezzi dalla campagna alla città, trasformando officine e fabbriche in caserme di operai, stimolando l'intensificazione del lavoro con la violenza gius-politica. Tuttavia, già verso la fine degli anni '20 le forze della "guardia leninista" avevano perso la loro influenza. Le Note di un economista (1928) di Bucharin e la piattaforma di Ryutin (1932) furono forse gli ultimi importanti tentativi di proseguire sulla via leninista.

Il leninismo uscì sconfitto dallo scontro con lo stalinismo semplicemente perché esso cercò di frenare l'evoluzione verso il comunismo da caserma con dei metodi non meno burocratici e autoritari. Si pensava cioè di poter conseguire un obiettivo diverso usando gli stessi mezzi.

In seguito, il XX e XXII Congresso del Pcus, nonché gli sviluppi seguenti all'aprile 1985, hanno dimostrato che un'alternativa allo stalinismo è sempre possibile. Il corso della storia non presenta mai degli avvenimenti inevitabili o irreversibili, ma sempre delle alternative soggette a determinate scelte e destinate a ricomparire ogniqualvolta le decisioni prese si rivelano fallimentari. Ovviamente resta falsa la tesi secondo cui nella storia "tutto è possibile" o che "tutto dipende dall'uomo". Qui si vuole soltanto affermare che non esiste mai un'unica via da seguire, né si può sapere in anticipo quale soluzione avrà la meglio. I risultati, generalmente, dipendono da numerosi fatti concreti.

Nell'epoca di Brezhnev la tendenza antiburocratica si esprimeva nelle forme dello stalinismo "popolare", quello della fine degli anni '20. Il sogno era di veder improvvisamente apparire all'orizzonte un uomo forte come Stalin, capace di difendere il popolo dal potere totalizzante della burocrazia. Questa forma di stalinismo non è così pericolosa come quella burocratica, in quanto può essere superata da un'opera di paziente istruzione, dall'estensione della glasnost e dei principi democratici, in virtù dei quali gli uomini si rendono conto di quanto la loro forza sia sufficiente per liquidare non solo la burocrazia, ma anche l'esigenza di contare sulla potenza mitica di una personalità carismatica.

Trent'anni fa anche Kruschev cercò di finirla con lo stalinismo e la burocrazia usando metodi burocratici. Ben lungi dal promuovere lo sviluppo dei meccanismi sociali della democrazia, egli considerò la sua personalità come garanzia ultima contro il ritorno dello stalinismo. In tal modo non comprese che né il XX Congresso né la crescita della democrazia tra il 1956 e il 1961 potevano essere il risultato della sua azione personale (anche se bisogna riconoscergli un certo coraggio politico). Sopravvalutando se stesso, Kruschev non fece che ostacolare, in definitiva, il processo di smantellamento dello stalinismo. Basta qui ricordare il modo con cui egli trattava gli intellettuali (scrittori, artisti, giornalisti) o con cui distribuiva i posti di presidente, di segretario del C.C. ecc. Non a caso, sotto il suo potere, Lysenko e soci tornarono in auge, mentre i neo-stalinisti Suslov e Brezhnev iniziarono la loro carriera politica.

Senza saperlo, fu proprio il krusciovismo a porre le basi del sistema amministrativo di comando neo-stalinista. In sostanza si può parlare di "socialismo democratico sovietico" solo per alcuni momenti storici veramente significativi: gli anni 1917-29, il periodo bellico 1941-45 (qui, in effetti, lo slancio patriottico e il sentimento di responsabilità personale per i destini della Nazione diedero luogo ad alcuni processi di destalinizzazione), relativamente gli anni 1953-65 e infine dal 1985 ad oggi.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015

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