STORIA DELLA SPAGNA - La dominazione araba


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Moschea di Cordova

Dopo la caduta del regno visigoto, la Spagna fu incorporata nel califfato arabo di Damasco e se gli arabi non fossero stati fermati da Carlo Martello a Poitiers nel 732, lo sarebbe stata anche la Gallia.

Qualcosa però gli arabi non riuscirono a conquistare e forse fu l'errore più grave della loro storia di conquista, poiché proprio da qui scattò il movimento di resistenza ispanico dei contadini e montanari della Cordigliera Cantabrica e dei Pirenei, che porterà poi alla riscossa nazionale.

Si tratta del piccolo regno ispano-visigoto presso i monti delle Asturie, guidato dal semi-leggendario Pelagio I (718-737), con capitale Oviedo (inizi sec. IX). Un forte appoggio venne dai Franchi, preoccupati del pericolo musulmano sulla loro frontiera meridionale; per questo Carlo Magno realizzò una spedizione nel 778 che non poté conquistare Saragozza, ma rafforzò un secondo staterello, quello di Pamplona, e portò poi alla creazione della Marca Ispanica, forte caposaldo militare, con una “contea” indigena, quella di Barcellona, a partire da Wifredo il Velloso (874-898).

Altre piccole contee pirenaiche, a cominciare da quella d'Aragona, nacquero per l'appoggio dei Franchi, salvo poi rendersene indipendenti di fatto.

La Spagna non fu conquistata solo dagli arabi e dai siriani, ma anche e soprattutto dai berberi. Gli arabi dovettero sostenere dure lotte contro quest'ultimi in Marocco e alla fine riuscirono a sottometterli proprio promettendo loro la conquista della penisola iberica (che poi, alla resa dei conti, ai berberi spettarono le conquiste meno significative).

Quando entrarono in Spagna i conquistatori arabi e berberi offrirono condizioni migliori ai contadini, tanto che i baschi si allearono coi berberi pur di non avere i franchi nel loro territorio. Gli arabi non pensarono neppure di sottomettere gli indomiti pastori-banditi delle montagne cantabriche e in molti casi vennero a patti con i caudillos locali, limitandosi a riscuoterne tributi e tasse, senza modificare, l'antico "cantonalismo" spagnolo. Col passare del tempo, tuttavia, tornò in auge l'esigenza d'imporre rapporti servili e persino schiavili, che gli iberici già conoscevano dai tempi dei romani e dei visigoti.

Non solo, ma i nobili arabi e berberi, una volta trasformatisi da guerrieri a feudatari, cominciarono a mostrare segni di insofferenza nei confronti del califfato di Damasco, da cui dipendevano specie per le questioni fiscali. E i primi a ribellarsi esplicitamente furono proprio i berberi nel 743.

Nell'ambito del califfato di Damasco la dinastia degli Omayyadi governò il mondo arabo dal 661 al 750. Tale dinastia considerava le questioni politiche non meno importanti di quelle religiose, sicché riuscì a trasformare lo Stato islamico da aggregato di tribù in un efficiente organismo supernazionale, facendogli raggiungere la massima espansione geografica. L'arte e la cultura di questo periodo, sotto i califfi di Cordova, fu di altissimo livello.

Gli scontri religiosi tra sunniti, sciiti e kharigiti e la volontà di riscatto da parte delle popolazioni vinte che, una volta islamizzatesi, non accettavano più di piegarsi ai voleri dell'etnia araba, finirono per produrre, già nell'VIII secolo, la crisi della dinastia, sostituita nel 750 da quella degli Abbasidi, che trasferirono la loro capitale a Baghdad, dove regnarono fino al 1258.

Anche questa dinastia, che pur segnò un primo ridimensionamento dello strapotere arabo a favore dell'elemento persiano, volle realizzare una politica di centralizzazione, ma fece l'errore di sostituire le tribù che fino ad allora erano state il nucleo della compagine amministrativa e militare dell'islam, con milizie regolari nelle quali l'elemento straniero (p.es. turco) finì con l'avere il sopravvento, proprio come strumento del potere personale del sovrano. Le aree provinciali cercarono di rendersi sempre più indipendenti, indebolendo le difese dell'impero, la cui capitale Baghdad fu incendiata dai tatari nel 1258. Da allora la dinastia sopravvisse in una serie di pseudo-califfi fino al 1517, in Egitto, ma ormai era sopraggiunto il momento per l'espansione della potenza turca, che assunse il potere reale dei califfi abbasidi.

In Spagna, dopo il crollo della dinastia Omayyadi, giunse un principe omayyade, scampato alla strage della sua famiglia a Damasco. Egli riuscì a convincere i principi arabi e berberi a formare un emirato indipendente dal centralismo dei califfi di Baghdad. Questo nuovo Stato ibero-islamico sarebbe durato due secoli e mezzo, prima come emirato (756-928), poi come califfato di Cordova (929-1031).

La dominazione ebbe anche degli aspetti positivi, poiché avendo gli arabi molti rapporti coi paesi evoluti dell'Asia anteriore, seppero portare in Spagna nuove colture: riso, palma da datteri, melograno, canna da zucchero; nuove tecniche agricole: irrigazione, sericoltura, viticoltura e diffusero ampiamente l'allevamento degli ovini. Migliorarono di molto anche la lavorazione dei metalli e la tessitura.

Città come Siviglia, Cordova, Valencia, Granada, Toledo si svilupparono enormemente, proprio perché nel mondo arabo erano forti anche i commerci e l'artigianato. La sola Cordova, nel X sec., aveva circa mezzo milione di abitanti ed era forse, in questo periodo, la più colta e fiorente città europea.

La composizione etnica della penisola era diventata assai eterogenea: ispano-romani, visigoti, arabi, berberi, ebrei. Tra le popolazioni autoctone si formarono due gruppi distinti: i muvalladi, che accettarono l'islam conservando la lingua latina, e i mozarabi, che assimilarono la lingua araba conservando il cristianesimo.

La cultura araba non aveva nulla da invidiare a quella latina dello stesso periodo. Nelle scuole superiori di Cordova s'insegnavano non solo teologia e diritto, ma anche filosofia, matematica, astronomia (1), fisica, medicina e vi si recavano a studiare allievi provenienti da molte parti d'Europa e d'Asia. Nella biblioteca del califfo Hakam II (961-976) si traducevano anche opere scientifiche dal greco antico, e nell'XI sec. queste stesse opere furono ritradotte dall'arabo al latino.

Una prima ribellione contro la politica dell'emirato vi fu a Toledo nell'853, ma quella più significativa fu condotta dai contadini, che sotto il segno della libertà di religione, organizzarono una rivolta sulle montagne di Ronda (899-917), guidati da un nobile di origine visigota. Riuscirono a conquistare un notevole territorio, governandolo per 30 anni come Stato indipendente. Altri contadini del centro-sud della penisola tendevano a fuggire al nord, verso le aree dominante dai cristiani.

Nonostante questo, l'emirato di Cordova, che nel 929 era stato proclamato califfato, era in grado di controllare buona parte della penisola, centralizzandone l'amministrazione, anche se non riuscì mai a unificare sotto la bandiera dell'Islam la penisola. La flotta di questo califfato dominava nettamente l'area occidentale del Mediterraneo (nell'846 attaccò Civitavecchia e Roma).

Verso la seconda metà del  X sec. si aprì una forte contesa tra i feudatari arabi legati all'apparato statale e quelli delle province, che volevano maggiori poteri, minacciando, in caso contrario, di non fornire più alcuna milizia.

I califfi di Cordova, per non dipendere da questi feudatari locali, si crearono una loro guardia permanente, composta da schiavi (mamelucchi), provenienti dalle tribù dell'Europa orientale e condotti in Spagna dai mercanti di schiavi.

Questo tuttavia non poté impedire l'acutizzarsi delle spinte centrifughe e delle guerre intestine feudali (ivi incluse quelle tra arabi e berberi, mai sopite): il califfato in sostanza finì col suddividersi in decine di emirati e principati, detti “regni di taife” (dall'arabo taifa, banda, fazione o partito), ciascuno con dinastia e vicende proprie (1031-1492).

I piccoli Stati cristiani (il regno delle Asturie e l'ex-marca spagnola) cercarono di approfittare della situazione. Nel sec. X il regno asturiano si era potuto estendere, pressoché indisturbato, verso ovest (Galizia) e a sud-est (con nuova capitale a León, 914), raggiungendo la valle del Duero: in pratica il regno delle Asturie, unendosi con la Galizia e con una parte della futura Castiglia ("regione dei castelli"), assunse il nome di León, anche se all'inizio dell'XI sec. la Castiglia si separò diventando un regno indipendente (fino al fiume Duero).

Oltre a questi regni s'andavano formando quelli di Navarra, di Aragona e di Catalogna, separatisi dalla vecchia marca spagnola.

Alla riconquista partecipavano tutte le classi sociali, con grande maggioranza dei contadini, i quali, man mano che penetravano nel sud della penisola riuscivano a liberarsi di molti obblighi feudali. Nelle città si eleggevano i membri del consiglio cittadino, i funzionari amministrativi e i giudici. La classe dominante restava sempre quella aristocratica latifondistica, sia laica che ecclesiastica, con pari doveri di tipo militare. L'alta aristocrazia poteva condurre guerre anche in maniera autonoma rispetto alla volontà del re, non pagava le tasse e possedeva diritti di immunità.

La prima fase della riconquista terminò con la presa della città di Toledo, sotto il re Alfonso VI di Castiglia, aiutato da "crociati" franchi (uno dei quali fu poi suo genero e primo "conte di Portogallo"). Intorno al 1085 il León e la Castiglia, uniti sotto il dominio di un unico sovrano, ingrandirono di molto il loro territorio.

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Quali sono state le influenze della civiltà araba su quella europea? Come noto la contrapposizione tra mondo islamico e occidente era più tra imperi o Stati che non tra popoli e quando diventava anche tra popoli era a causa di una propaganda faziosa e integralista, strumentale a interessi di potere.

Molte delle nostre abitudini consolidate da generazioni (i colori che prediligiamo per gli abiti in estate o in inverno, le pratiche igieniche e di bellezza come, ad esempio, il taglio corto dei capelli per l’uomo, la depilazione per la donna), dei cibi, delle discipline che studiamo (la chimica, la matematica, l’algebra, la filosofia greca, la medicina, la botanica, l’agronomia, l’astronomia, e così via), sono giunte fino a noi dal Medioevo attraverso la civiltà arabo-islamica.

Le abitudini quotidiane dell’Europa dall’VIII secolo in poi, p. es., furono completamente rivoluzionate da un eclettico artista iracheno trasferitosi nella Spagna musulmana: Ziryab. Egli infatti introdusse l’uso della forchetta, l’ordine delle portate a tavola, creò mode nell’abbigliamento che si diffusero rapidamente divenendo patrimonio di tanti paesi.

Anche gli studi filosofici hanno beneficiato dell’apporto islamico: i commentari in lingua araba di Averroè (Ibn Rushd) alle opere di Aristotele furono tradotti in latino e in ebraico ed esercitarono una grande influsso sul pensiero cristiano nell’Europa medioevale.

Le "influenze arabe" nella Divina Commedia di Dante Alighieri – la traduzione in latino del Libro della Scala di Maometto, cioè il racconto del viaggio ultraterreno del Profeta dell’islam - sono oggi ampiamente riconosciute. L’introduzione delle cifre arabe (notazione posizionale) e la risoluzione delle equazioni di 3° grado, si devono ai viaggi che Leonardo Fibonacci da Pisa, vissuto nel XII secolo, fece nel mondo arabo.

Dalla Spagna islamica, inoltre, arrivarono importanti innovazioni in materia urbanistica, come la creazione del sistema fognario, dei bagni pubblici o la costruzione di vie di comunicazione verso le grandi rotte commerciali; l’introduzione della "noria" in agricoltura, che facilitò l’irrigazione dei campi e la coltivazione di piante fino ad allora sconosciute, come la melanzana, il carciofo, l’asparago, il riso, la canna da zucchero, e così via.

La stessa lingua araba, nel Medioevo, era considerata lo strumento della comunicazione scientifica internazionale e veniva utilizzata sia dai musulmani sia dai cristiani e dagli ebrei che vivevano nei paesi sotto dominio islamico.

www.nigrizia.it/doc.asp?ID=6871&IDCategoria=105

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Nell'analizzare la storia dell'unificazione nazionale spagnola spesso si incontrano degli storici, anche di sinistra, che fanno questo curioso ragionamento: posto che la centralizzazione dei poteri è da preferirsi al decentramento feudale, in quanto tutta la storia dell'Europa moderna, cioè della nascita delle "nazioni", sarebbe stata impossibile senza gli Stati assolutistici; posto anche che la democrazia in sé non dipende dal centralismo di uno Stato né dalla presenza di un forte decentramento regionale, per cui, dovendo scegliere, è meglio optare per quella soluzione che offre maggiore sicurezza di successo politico, quale conclusione se ne trae riguardo alla realtà musulmana presente in Spagna? Semplicemente si preferisce guardare assai benevolmente al decentramento operato da questa realtà, rispetto alla madre patria di Damasco e di Baghdad, perché proprio in virtù di questa scelta politica i regni cattolici, col loro centralismo, poterono alla fine avere la meglio.


Bibliografia

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia della Spagna
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Aggiornamento: 01/05/2015